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SEI MORTO IN 20 MINUTI

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SEI MORTO IN 20 MINUTI
COMEDONCHISCIOTTE | MAR 10 DIC
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Registrato un livello record di radiazioni all'esterno della centrale "Fukushima-1" Il livello delle radiazioni nei ... Read more

Tutta colpa del "Signoraggio".
 
C’È DIETRO LA SOCIETÀ DI CONSULENZA USA CHE HA POSTO MARRANCI A CAPO DELLO IOR? - 2. BENVENUTI NEL “FELPATO” MONDO DI PROMONTORY, LA SOCIETÀ CHE STA PIAZZANDO I SUOI UOMINI IN TUTTI I GANGLI DELLA FINANZA VATICANA. PRIMA CON “SEMPLICI” CONSULENZE PRESTATE ALLO IOR E ALL’APSA, ADESSO SISTEMANDO AI VERTICI DELLO IOR I SUOI UOMINI DI PUNTA - 3. NEL GRUPPO, CHE STA SVOLGENDO ANCHE UNA ‘DUE DILIGENCE’ SUI CONTI DELL’APSA, I PEZZI GROSSI DI WASHINGTON VICINI ALL’AMMINISTRAZIONE CLINTON E A QUELLA DI CARTER - 3. IN ITALIA GLI AMERICANI OPERANO ATTRAVERSO LA PROMONTORY FINANCIAL GROUP ITALY, CHE QUALCHE TEMPO FA AVEVA RECLUTATO L’EX MINISTRO DELL’ECONOMIA, PADOA-SCHIOPPA


Stefano Sansonetti per La Notizia (www.lanotiziagiornale.it)
alfred moses
Sta piazzando i suoi uomini in tutti i gangli della finanza vaticana. Prima con "semplici" consulenze prestate allo Ior e all'Apsa, le strutture economiche della Santa Sede che dovevano essere ripulite dopo i recenti scandali che le hanno coinvolte. Adesso sistemando ai vertici della banca vaticana i suoi uomini di punta. Benvenuti nel "felpato" mondo di Promontory, la società di consulenza americana dai cui ranghi è stato pescato, qualche giorno fa, il nuovo direttore generale dello Ior, Rolando Marranci.
promontory financial group
Accanto al quale, già da diversi mesi, opera in qualità di chief risk officer dell'istituto Antonio Montaresi, anche lui appartenente alla "misteriosa" famiglia di Promontory. Il tutto sotto l'egida di Elizabeth McCaul e Raffaele Cosimo, altri esponenti del gruppo americano che di fatto stanno affiancando il presidente dello Ior, Ernst Von Freyberg, nella gestione della banca vaticana. Insomma, se non è una presa massiccia sui posti di comando poco ci manca.
Anche perché Promontory non soltanto da luglio sta passando al setaccio i conti dello Ior, ma sta pure svolgendo una due diligence sui conti dell'Apsa, ovvero la struttura che custodisce il cospicuo patrimonio mobiliare e immobiliare della Santa Sede. L'obiettivo, portato avanti da Papa Bergoglio, è quello della trasparenza dopo inconvenienti di ogni sorta.
Ma perché è stata chiamata in causa Promontory? E chi c'è sullo sfondo? Qui viene il bello, perché La Notizia, carte alla mano, è in grado di documentare come dietro al gruppo americano si muovano spezzoni delle passate amministrazioni di Bill Clinton e Jimmy Carter, pezzi grossi affermatisi nel pubblico e poi transitati per il settore privato, vantando anche legami strettissimi con la comunità e la finanza ebraica.
ERNST VON FREYBERG
I nomi
In Italia gli americani operano attraverso la Promontory Financial Group Italy, società che qualche tempo fa era assurta agli onori della cronaca per aver reclutato l'ex ministro dell'economia, Tommaso Padoa-Schioppa, come responsabile per l'Europa. Dietro la filiale italiana c'è comunque la Promontory americana, fondata nel 2001 da Eugene Ludwig. Si tratta di un personaggio molto influente, che Bill Clinton scelse nel 1993 come capo dello U.S. Comptroller of the Currency, un'agenzia inserita all'interno del Dipartimento del Tesoro che regola e supervisiona il settore bancario, soprattutto al fine di garantire la concorrenza.
BILL CLINTON SALUTA IL SUO VECCHIO SEGRETARIO DI STATO MADELEINE ALBRIGHT DURANTE UN EVENTO DI BENEFICENZA A NEW YORK
Ma nel passato di Ludwig c'è stato anche un passaggio nella Federal Deposit Insurance Corporation, altra agenzia che vigila sulla solvibilità delle banche e assicura i depositi. Un pezzo grosso dell'amministrazione Usa, quindi, che come spesso accade ha poi deciso di fare fortuna nel privato. Oltre a fondare Promontory, infatti, Ludwig è partner della CapGen Financial, una società di private equity che investe in banche e finanziarie regionali americane in difficoltà, puntando soprattutto su istituti che hanno asset compresi tra i 500 milioni e i 20 miliardi di dollari.
BILL E HILLARY CLINTON
Le lobby
Il cofondatore della Promontory, invece, si chiama Alfred Moses, avvocato, finanziare, ambasciatore, ex consulente di Jimmy Carter. Ma Moses, che si è affermato nello studio legale Convington & Burling di Washington, è anche un esponente di spicco della comunità ebraica: è stato presidente dell'American Jewish Committee, dello Hebrew College e della Golda Meir Association.
KOFI ANNAN JIMMY CARTER HENRY KISSINGER
Anche lui, poi, ha avuto stretti contatti con l'amministrazione Usa, quando all'inizio degli anni ‘80 venne reclutato come super-consulente dell'allora presidente Carter in riferimento al Billygate. Si tratta dello scandalo di cui fu protagonista Billy, il fratello di Carter, accusato all'epoca di aver intascato soldi dai libici in un'operazione di compravendita di petrolio.
TOMMASO PADOA SCHIOPPA - Copyright Pizzi
Ebbene, secondo un'inchiesta della magistratura italiana condotta a metà degli anni ‘80 anche i servizi segreti nostrani, con il Sismi e l'ex faccendiere Francesco Pazienza, avrebbero preso parte all'organizzazione del Billygate per fare emergere lo scandalo nella campagna elettorale del 1980 e favorire il candidato repubblicano Ronald Reagan. Insomma, per tutto questo Billygate, il superconsulente Moses assistette Carter durante il calvario delle audizioni davanti al senato Usa. Lo stesso Moses che, con Ludwig, muove i fili di Promontory, ovvero la società americana che di fatto sta gestendo tutta la finanza vaticana.
FRANCESCO PAZIENZA


RONALD REAGAN Alfred Moses
 
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SORGENIA DI DEBITI...MONTEPASCHI SEPPELLITO PER 600 MILIONI...DE BENEDETTI DIFESO SOLO DAL SILENZIO DELLA SUA REPUBBLICA...CIR DA SHORTARE ALLA GRANDE...



BELLISSIMO ARTICOLO APPARSO NEI GIORNI SCORSI SULL'IMPERO DE BENEDETTI ..
IL TITOLO DELLA HOLDING CIR NE HA RISENTITO E NON POCO..MA SE FOSSE VERO QUANTO SCRITTO NELL'ARTICOLO...LA DISCESA POTREBBE ESSERE SOLO INIZIATA...
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5 dic – C’è un buco che minaccia le banche italiane di cui si dice poco o niente. Una voragine profonda come quella di Alitalia, Telco-Telecom o Tassara-Zaleski.
Si chiama Sorgenia ed è il gruppo energetico controllato dalla Cir della famiglia De Benedetti, che negli ultimi 10 anni ha accumulato debiti su debiti, fino a raggiungere la soglia da allarme rosso di 1,8 miliardi. E qui ha dovuto chiedere alle banche una moratoria e una ristrutturazione del debito. Il gruppo, fondato nel ’99 dall’Ingegnere in vista della liberalizzazione del settore, da un lato non riesce più a rispettare le scadenze; dall’altro dovrà far fronte nel 2014 e 2015 (tra linee «corporate» e «project») a rimborsi per oltre un miliardo.
Le banche tremano. Mentre la Cir chiede uno «sconto» sui debiti senza però voler metterci del suo. Il che, specie dopo il fresco ingresso nelle casse dei De Benedetti dei 350 milioni netti pagati da Fininvest per il Lodo Mondadori, sta irritando non poco le banche coinvolte nella faccenda. Tra queste, prima fra tutte c’è il Monte dei Paschi di Siena che, per non farsi mancare niente, è la maggiore sostenitrice creditizia del gruppo Sorgenia, leader di vari pool di finanziamento erogati negli anni della gestione di Giuseppe Mussari.
La banca guidata da Alessandro Profumo, interpellata, non ha voluto fornire alcuna indicazione per «policy aziendale». Ma secondo voci di mercato Mps dovrebbe essere esposta per circa 600 milioni (un ordine di grandezza pari a un quinto dell’aumento di capitale da 3 miliardi che la banca senese ha in cantiere). Intesa è la seconda più esposta seguita poi da Unicredit, Mediobanca, Banco Popolare, Ubi Banca, Bpm e in misura minore anche Carige, Bnl, Cariparma, Pop Etruria e qualche estera. Il debito è distribuito tra le diverse società del gruppo, ma essenzialmente sta in capo alla holding per 800 milioni, a Sorgenia Power (650 milioni) da cui dipendono tre delle quattro centrali elettriche e alla collegata (quindi non consolidata) Tirreno Power (800 milioni), una delle tre «Genco» cedute dall’Enel, di cui Sorgenia detiene il 39 per cento. La situazione è per di più appesantita dal fallimento di una delle banche creditrici, la tedesca Portigon (ex WestLb).
Nei soli primi 9 mesi di quest’anno Sorgenia ha annunciato una perdita di 434 milioni, in gran parte dovuta a svalutazioni. Il nuovo manager operativo, Andrea Mangoni, arrivato a luglio, deve ora negoziare con le banche, che gli hanno chiesto un piano industriale, in calendario per martedì prossimo, nel quale oltre a qualche dismissione ci sarà la richiesta al governo di sovvenzioni (il capacity payment). Ma il punto è che la società si trova in queste condizioni per un errore di fondo commesso dai De Benedetti: quello di investire miliardi nelle centrali a «ciclo combinato» (quelle che funzionano a gas) e di averlo fatto fino a pochi anni fa, quando il crollo della domanda da un lato, e la priorità nel dispacciamento delle energie rinnovabili dall’altro, hanno reso la tecnologia di Sorgenia marginale. Centrali programmate per lavorare 7-8mila ore l’anno si trovano a funzionare per 2.500. Per il resto stanno ferme, non producono ricavi, tanto meno margini, ma solo costi fissi (appesantiti dai famigerati contratti «take or pay») e di ammortamento degli investimenti effettuati. E Sorgenia, a differenza di altri produttori, ha poche o nulle possibilità di diversificazione.
Le banche si trovano quindi di fronte un mix di fattori tutti negativi: il peso del debito e la crisi del settore, a cui si aggiunge un azionariato frammentato: la Cir dei De Benedetti controlla il 52% delle attività Sorgenia con gli austriaci di Verbund al 48%; mentre in Tirreno Power Sorgenia ha il 39%, con il 50% dei francesi di Gdf. Per risolvere il rebus Sorgenia ha chiamato Lazard, che se ne occupa con l’ad Marco Samaja e il partner Igino Beverini. Anch’essi, interpellati, non hanno voluto fornire chiarimenti sulla situazione, a conferma della cintura di protezione che si sta stringendo intorno a una vicenda esplosiva. Gli scenari sono diversi e arrivano fino a quello, estremo, secondo il quale il socio Verbund sarebbe deciso a chiedere il concordato preventivo per fermare l’emorragia. Altri invece giurano che la questione sia il primo pensiero dell’Ingegnere. Deciso a non perderci un centesimo. Magari grazie a qualche operazione di «sistema» da organizzare nel 2014. Dopo la vittoria alle primarie del Pd di Matteo Renzi, il candidato sostenuto dalla «sua» Repubblica.
 
Stiamo svendendo la Banca d'Italia alla Germania? Stiamo quindi svendendo a Berlino la nostra riserva aurea di 92 miliardi di euro e 66 miliardi di valute pregiate e la nostra quota del 18% nella Banca Centrale Europea, quella del 3,24% nel Fondo Monetario e il controllo sui 145 miliardi di euro di circolazione monetaria in Italia?
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Il drammatico interrogativo si pone leggendo nella Gazzetta Ufficiale del 30 novembre 2013 n.133, il titolo II, riguardante la Banca d'Italia che la autorizza ad aumentare il proprio capitale a 7,5 miliardi e dispone anche che nessuno dei suoi azionisti può avere più del 5% del capitale sociale. Gli azionisti possono essere banche e assicurazioni non solo italiane ma anche estere, se hanno sede legale e amministrazione centrale in uno Stato dell'Unione Europea. Il passaggio di Banca d'Italia al controllo estero, con queste norme, non è una ipotesi irreale. Infatti, in base alla regola del 5%, il 43,8% delle quote attuali di banche italiane dovrà essere venduto. Intesa San Paolo dovrà cedere il 25,3%, Unicredit il 17,3% e la Cassa di Bologna l'1,2%. Totale 43,8%. Inoltre ci sono già tre soggetti finanziari esteri che possiedono quote di Banca d'Italia. Due, ossia Bnl posseduta da Bnp-Paribas e Allianz, non hanno la sede e l'amministrazione centrale in Italia ma in Francia e Germania. Assicurazioni Generali, pur avendo sede e direzione centrale in Italia, non ha una maggioranza di controllo interamente italiana. Bnl ha il 2,8%, Allianz l'1,3 e Generali il 6,3. In totale soggetti esteri di diritto o di fatto già hanno il 10,4% del capitale di Bankitalia. Sommato al 43,8 di soggetti italiani, che va ceduto, fa il 54,2%.

Sin qui ho contato solo le quote che vanno vendute obbligatoriamente, non tutte quelle che possono essere vendute: cioè tutte quelle dei proprietari attuali. E fra questi qualcuno può avere necessità o elevata convenienza a vendere: ad esempio Fondiaria, che fa parte del gruppo Ligresti. Inoltre la convenienza a vendere dipende dal prezzo offerto. E una banca Ue non italiana può offrire un prezzo allettante per ottenere una partecipazione «strategica». C'è un'altra obiezione: il decreto legge consente agli attuali detentori di quote di Bankitalia in eccesso al 5% di tenerle nel proprio patrimonio in parcheggio, senza diritto di voto e senza utili. Una tale partecipazione è accettata dal collegio sindacale di una banca o di un'assicurazione solo in attesa di vendita a un prezzo soddisfacente. Diversamente si tratta di un cespite che è scorretto mantenere, avendo ogni società per azioni, come fine, il profitto. E ciò soprattutto quando si stia discutendo di riserve patrimoniali obbligatorie. Con una maggioranza estera della Banca d'Italia avremmo le mani e i piedi legati entro l'euro perché non conteremmo più nulla in sede Bce e in sede di istituzioni bancarie, come l'Unione bancaria europea, sorvegliata dalla Bce. Non potremmo uscire dall'euro, se lo volessimo, perché le nostre riserve auree valutarie sarebbero nel controllo di banche estere che potrebbero rifiutare di emettere euro-lire, garantite da tali riserve. Perché mai il ministro dell'Economia Saccomanni ha fatto una norma che crea gravosi rischi di perdita di autonomia alla nostra economia?
Mi pare di poter affermare che queste norme sono incostituzionali perché poste in un decreto legge mentre a esse manca ogni requisito di necessità e urgenza e perché violano l'articolo 47 della Costituzione, I comma, che stabilisce che la Repubblica disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito.
Con Banca d'Italia a maggioranza estera (una novità assoluta per le Banche centrali) la politica del credito è gestita dall'estero. Domando poi se il potere monetario può esser venduto a soggetti esteri per decreto legge. speriamo che intervengano forze italiane.cdp ,,,,,,,,,,,,,,,,,,

 
domenica 8 dicembre 2013

Emilia-Romagna: la moneta complementare arriva per legge



In Emilia-Romagna ritorna il baratto. La moneta complementare arriva per legge

http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-12-05/in-emilia-romagna-ritorna-baratto-moneta-complementare-arriva-legge--152600.shtml?uuid=ABhsP7h



di Ilaria Vesentini5 dicembre 2013





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[COLOR=#393939 !important]BOLOGNA - "La Regione promuove la nascita, la diffusione e l'utilizzo, anche da parte di Regione ed Enti locali, di strumenti di scambio non monetari creati dal basso promuovendo altresì il confronto e l'approfondimento sul tema delle monete complementari".Parole contenute nel secondo comma, articolo 4, del pionieristico progetto di legge 4738 appena approdato sul tavolo dell'assemblea legislativa emiliano-romagnola che ha unito maggioranza e opposizione nel tentativo di sostenere per via normativa l'economia solidale e dare risposta alle emergenze credit crunch e pagamenti in ritardo della Pa.

[/COLOR]


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Moneta e società (video)




Moneta e società (1 di 5) from Marco Saba on Vimeo.


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Mucchetti (PD): il signoraggio è funzione pubblica



Mucchetti (Pd): “Quote Bankitalia, scelte sbagliate, così è un regalo…”

Pubblicato il 4 dicembre 2013
http://www.blitzquotidiano.it/rassegna-stampa/mucchetti-pd-quote-bankitalia-scelte-sbagliate-cosi-regalo-1735294/
di Redazione Blitz

TAG: bankitalia, partito democratico



Mucchetti (Pd): "Quote Bankitalia, scelte sbagliate, così è un regalo..."

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Rivalutando Bankitalia con l'ok Bce



ROMA – “Quote Bankitalia, scelte sbagliate così è un regalo ai principali soci”, il senatore del Pd Massimo Mucchetti la rivalutazione delle quote di Bankitalia è un’operazione sbagliata “sia in termini contabili che istituzionali”.
L’intervista a Repubblica:
Cosa non va, a suo avviso? «La struttura dell’operazione. Negli anni ’90, con la fine del controllo pubblico sulle banche, ci fu una privatizzazione preterintenzionale della Banca d’Italia, detenuta dagli istituti. Adesso si procede a una privatizzazione intenzionale con ricca dote per i soliti noti».
Il ministro Saccomanni dice che non è una privatizzazione, perché la tipologia dei soci di Bankitalia non cambia.
«Non mi pare. Dal 1936 agli anni ’90 i soci erano enti pubblici italiani. Gli stessi, tranne Inps e Inail, sono stati privatizzati senza riflettere agli effetti per la banca centrale. Ora i nuovi soci dovrebbero essere banche e assicurazioni dei 27 Paesi Ue, le fondazioni, i fondi pensione italiani e europei. E’ una mezza rivoluzione. Viene meno anche il diritto di gradimento del Tesoro sui soci. E così, in teoria, all’assemblea annuale di Via Nazionale potrebbe accadere che il delegato di una banca cipriota quotista, magari legato ai servizi segreti russi, possa venire a concionare».
Per il Tesoro adeguare il capitale è urgente ai fini della vigilanzaeuropea.
«È dal 2005 che il problema è aperto. Arrivare all’ultimo, dopo un’estenuante trattativa con le banche e la Bce, è segno di una gestione dell’agenda poco rispettosa del parlamento. D’altra parte l’urgenza ci sarebbe se le banche azioniste tenessero in pugno la Vigilanza, ma così non è. Il ministro Saccomanni e il governatore Visco devono venire in Senato e poi alla Camera a spiegare i lati incomprensibili del decreto».
Il calendario del Senato prevede il voto in aula entro il 17 dicembre. Ci sono i tempi?
«La Banca d’Italia è un’istituzione della Repubblica che fa parte dell’Eurosistema. Non una corporazione che risolve tutto al chiuso di una trattativa con l’Abi sulla base di una perizia di parte presa per buona dal governo e senza approfondimento da parte del parlamento ».
Lei parla di ricca dote per le banche. Non crede alla perizia?
«Il governo sceglie la parte alta, 7,5 miliardi, di una forcella di comodo. Mi risulta ci siano altre valutazioni, fatte da Bankitalia, più basse. I tre consulenti dicono che gli utili da signoraggio (da emissione di moneta, ndr) accantonati non possono essere patrimonio dei privati, perché il signoraggio è funzione pubblica. Allora quali sono le funzioni non pubbliche e i loro rendimenti accumulati? A chi appartiene la parte di patrimonio non ‘privata’? Allo Stato. Ma allora come esercita lo Stato i suoi diritti di proprietà?»
A chi si riferisce quando parla dei “soliti noti”?
«Due terzi della somma vanno a Intesa Sanpaolo e Unicredit. Poiché dovranno scendere sotto al 5% saranno le altre banche dovranno comprare e finanziare così colossi loro concorrenti. In un mercatino delle quote di cui non si capisce come si formino i prezzi e quale autorità eserciti la sorveglianza ».
La riforma blinda l’indipendenza di Bankitalia, non trova?
«Questa riforma, se non corretta, farà confusione. L’indipendenza deriva dall’autorevolezza dei governatori. E il governo non può aver paura di se stesso, cadere nella tentazione di ingerirsi delle attività regolate dall’Eurosistema. C’è una governance che lo impedisce. Perché non copiare lo statuto della Buundesbank? Con questo decreto Bankitalia diventa la mosca bianca d’Europa».
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Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio

8 ore fahttps://it-it.facebook.com/pages/Abbattiamo-la-Frode-Bancaria-e-il-Signoraggio/208622872545749#


L'ITALIA SI SALVA SOLO SE LASCIA L'EURO

Tre famosi docenti universitari italiani hanno spiegato al Parlamento Europeo perchè l'unica soluzione alla crisi italiana, sia quella di abbandonare l'euro, tornando ad una moneta nazionale.

1) LA ...BUFALA DELL’INFLAZIONE

«Non è affatto vero che se l’Italia uscisse dall’euro e svalutasse del 20-30% ci sarebbe un’inflazione dello stesso livello», sostiene Bagnai. «Recentemente la Polonia ha svalutato lo zloty più del 20% e l’inflazione si è ridotta. E anche nel 1992, quando lo ha fatto l’Italia, l’inflazione è diminuita. Oltretutto all’epoca l’inflazione globale viaggiava al 4-5%, mentre oggi ci troviamo in uno scenario di deflazione e quindi l’impatto sarebbe ancora minore». «L’inflazione viene dipinta come il male assoluto», osserva Borghi, «ma non è affatto così. Negli anni 80 in Italia l’inflazione viaggiava a due cifre, ma il clima economico era nettamente migliore. Oggi invece abbiamo il deflazionato disoccupato».

2) NESSUNA DIFFERENZA PER I RISPARMIATORI

Ma i piccoli risparmiatori che hanno investito in Bot e altri titoli di Stato italiani non rischierebbero di trovarsi con un pugno di mosche? «Nessun problema, il debito pubblico verrebbe convertito nella nuova moneta. La stessa che utilizzerebbero i risparmiatori per la fare la spesa. Quindi per loro non cambierebbe niente», rispondono all’unisono Borghi e Bagnai.

3) IL PROBLEMA DELLA CRESCITA

Però l’Italia è un Paese di vecchi e i pensionati hanno paura del salto nel buio. «Adesso vengono anche loro torchiati dal fisco per poter rispettare i diktat europei», osserva Borghi, «e devono capire che le loro pensioni vengono pagate da chi lavora. Se tutti sono disoccupati chi le pagherà? Anche a loro conviene preoccuparsi soprattutto di ripristinare le condizioni per la crescita». Crescita economica che finché si resta nell’euro è una chimera. «Impossibile raggiungerla dovendo rispettare il Fiscal Compact», spiega Rinaldi, «che dal 1° gennaio 2015 obbligherà tutti i 25 Paesi firmatari e ratificatori del Trattato al pareggio di bilancio e alla riduzione sistematica del 5% annuo dell’eccedenza del 60% del rapporto debito pubblico/pil. Per l’Italia questo significherebbe trovare ogni anno risorse aggiuntive per 98 miliardi di euro. Una somma pari a più di quattro volte il gettito Imu complessivo».

4) LA GABBIA EUROPEA

Rinaldi tiene poi a sottolineare l’assurdità dell’attuale costruzione europea: «Il Trattato di Maastricht è stato firmato il 7 febbraio 1992 e da allora non hanno ancora uniformato le aliquote Iva. Ma che mercato comune è?». Che fare, allora? «Bisogna chiedere subito la moratoria del Fiscal Compact, altrimenti è la fine. Siamo ingabbiati in un meccanismo in cui è l’economia reale a doversi adeguare all’euro e non viceversa». L’alternativa è l’uscita dall’euro, che dovrebbe essere concordata per attutire al massimo gli impatti negativi. Ma è possibile? «Credo che sarà la Germania la prima a uscire», sostiene Borghi. «Ormai ha raccolto tutto quello che poteva da questo stato di cose. E quando si tratterà di dover dare nuovi finanziamenti alla Grecia o a qualche altro Stato, a Berlino decideranno di mettere la parola fine».

http://www.ilnord.it/index.php?id_articolo=2046Visualizza altro







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In curva oro: JPMorgan sta prendendo tutte le consegne



TF metalli relazione: In curva oro, JPM sta prendendo quasi tutte le consegne di Comex


[SIZE=+0]Inviato da cpowell il Sab, 07-12-2013 18.34.Sezione: Daily Dispatches [/SIZE] 01.30 p ET sabato 7 dicembre 2013
http://www.Gata.org/node/13345
Caro amico di GATA e oro:
JPMorganChase sta prendendo ben oltre il 90 per cento delle consegne fatte contro i contratti di futures oro dicembre New York Commodity Exchange, Turd Ferguson del rapporto metalli TF scrive oggi. Egli sostiene che prendendo la consegna non sarebbe necessaria se la posizione lunga di Comex di JPM era semplicemente copertura posizioni short da qualche altra parte.
Ferguson si conclude: "JPM vuole solo il loro oro indietro prima che l'attuali lingotti di riserva frazionaria bancaria interruzioni di sistema, i prezzi alle stelle nuovo e un nuovo regime di valuta globale si impadronisce. E ora, per la prima volta, hai conquistato il Comex gold futures sul mercato al fine di garantire che succede."
Il suo commentario è titolava "QED II" ed è pubblicato su metalli TF relazione qui:
http://www.tfmetalsreport.com/Blog/5304/QED-II
CHRIS POWELL, segretario/tesoriere
Gold Anti-Trust Action comitato Inc.


 

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