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Il signoraggio “prende” sempre di più »











Ora s’incomincia a capire l’inganno dell’€uro ..


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13 gennaio 2014 |
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Autore Redazione | Stampa articolo



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“Per rubare mille dollari, è necessario destrezza,
Per rubare un milione di dollari,
hai bisogno di una gang.

Per rubare un miliardo, c’è bisogno di una legge.
Per rubare un trilione è necessario una ideologia


G.Q.



PERCHE’ L’ORO DI BANKITALIA APPARTIENE AL POPOLO ITALIANO E NON ALLE “BANCHE PARTECIPANTI”. ( seconda parte) di Mario Esposito

http://corrieredellacollera.com/2014/01/13/perche-loro-di-bankitalia-appartiene-al-popolo-italiano-e-non-alle-banche-partecipanti-seconda-parte-di-mario-esposito/#more-21039
continua dal post di ieri col medesimo titolo.
L’ORO E’ ANCHE UNA GARANZIA PER RECEDERE DALL’ EUROSISTEMA
L’oro rappresentava – e rappresenta oggi ancora , se è vero, come pare non possa smentirsi, che l’Italia potrebbe recedere dall’ Eurosistema ( diversamente, il conferimento della funzione monetaria nel SEBC non sarebbe tale, trattandosi, pur a dispetto di ogni evidenza normativa di una cessione definitiva) - un bene strumentale all’esercizio di un ufficio sovrano, delegato alla Banca mediante la sua stessa istituzione e, poi, ulteriormente regolato con le modifiche successivamente intervenute.
Le riserve auree dovevano pertanto qualificarsi – almeno fino a quando l’Italia ha direttamente emesso la propria moneta – come beni assimilabili a quelli demaniali e, pertanto, siccome ” pertinenze della sovranità”, appartenenti al popolo, anche se affidati, per la gestione, allo stato o ad altri enti pubblici: esse garantivano infatti la sovranità interna ed esterna, quanto rispettivamente ai biglietti emessi e agli eventuali squilibri della bilancia dei pagamenti.
Con l’ingresso del nostro paese nel SEBC , cessa l’esercizio diretto ed in proprio ( non però la titolarità finale) della funzione suddetta in proprio da parte dello Stato e, quindi, della Banca d’Italia.
Essa viene infatti affidata alla gestione della BCE: non a caso – la circostanza assume valore probante della loro natura demaniale - la nostra Banca centrale ha dovuto conferire nell’istituto di Francoforte una parte delle riserve italiane. E si è trattato dell’ultimo atto lecito di disposizione.

DA QUANDO SIAMO ENTRATI NELLA BCE BANKITALIA HA CESSATO DI POTER DISPORRE DELL’ORO ITALIANO
Ne consegue che, successivamente a tale momento, la detenzione delle riserve auree da parte della Banca d’Italia non corrisponde ad alcun titolo, tantomeno di appartenenza.
Esse devono pertanto essere restituite alla collettività e per essa allo Stato, anche in ragione del permanere della loro funzione di garanzia dell’Italia nei rapporti economici e finanziari comunitari e internazionali ( potendo fornire alla collettività data l’attuale consistenza delle riserve medesime, la capacità autonoma di emettere circolante assicurato, appunto, dall’oro) e , in ogni caso, per legittima spettanza, agli italiani, ai quali soltanto – ovviamente nelle forme costituzionali all’uopo predisposte – compete l’assunzione di ogni determinazione in proposito, che trova, quale controlimite di legittimità, l’articolo 47 della Costituzione.
Peraltro, come dimostra l’art. 19 comma 10 legge n. 262/2005 , l’istituto di via nazionale non ha più i requisiti minimi per continuare nella custodia e meno ancora ha idoneità ad esercitare poteri di carattere dispositivo, almeno sino a quando non sia perfezionato il procedimento volto a rendere il capitale dell’istituto a totale partecipazione pubblica.
E a quel punto, sia detto per inciso, non si capirà a che serva avere un capitale e non già un fondo di dotazione, come era tipico degli enti pubblici economici.
CON CHE DIRITTO POCHE BANCHE PRIVATE HANNO MESSO IL NOSTRO ORO NEI LORO BILANCI ?
Frattanto – vi si faceva cenno prima - è concreto il rischio che, pur avendo autorevoli fonti affermato che l’oro dell’Istituto centrale non può considerarsi afferente al patrimonio netto della Banca d’Italia, si giunga, avendo i quotisti già provveduto a rivalutare le proprie partecipazioni facendo espresso riferimento al valore delle riserve auree, alla approvazione di una disciplina che espressamente consenta il ricorso a tale metodo di valutazione, facendo così rientrare le quote nel patrimonio dei soggetti partecipanti anche ai sensi del c. d. CORE TIER 1 con conseguente disponibilità delle medesime sul mercato.
Qualora a tanto si dovesse giungere – e “ le campagne di stampa” lo lasciano presagire - si otterrà che delle riserve auree potrà disporsi in sede di negoziazione privata tra privati delle azioni delle Banche partecipanti al capitale di Bankitalia che abbiano, in sede di determinazione del patrimonio netto, attribuito alle proprie quote un valore ragguagliato anche alle riserve auree di questa.
Tale prospettiva si porrebbe in contrasto con le funzioni attualmente proprie dell’Istituto di via nazionale: è molto dubbio, infatti, che Esso possa provvedere ad operazioni che abbiano quale effetto predeterminato l’ausilio di alcuni soggetti, in violazione del principio di uguaglianza nel settore dell’esercizio del credito.


Un gentile regalo alla casta bancaria: Bankitalia e le riserve auree ai privati

28 dicembre 2013 | Filed under: Economia, Notizie and tagged with: 2005, 262, Banca d’Italia, Bankitalia, governo, nazionalizzazione, oro, privatizzazione, riserve auree, Signoraggio, stato, Tremonti
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Per chi volesse approfondire la questione, si consiglia la lettura dello studio di Mario Esposito, Professore straordinario di diritto costituzionale, Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università del Salento
Bankitalia e le riserve auree ai privati: forse l’ultimo passo verso la dismissione della sovranità monetaria (con un decreto legge di “riforma costituzionale”)
Ecco cosa diceva la legge 262 del 2005 e perché i banchieri la temevano
Quando Tremonti provò a nazionalizzare la Banca d’Italia …
[..] occorre evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge n. 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca – Tratto dal documento interno della Banca D’Italia ”Un aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d’Italia
[..] si sta per regalare alle banche un patrimonio valutabile tra i 5 e 7,5 miliardi, a cui bisogna aggiungere i futuri dividendi che riceveranno per diritto divino, non avendo (repetita juvant) alcuna funzione da svolgere [..]
[..] Nello scarno linguaggio tecnico si nasconde la verità che alle banche si sta per consegnare il cadeau di una rendita annuale valutabile tra i 360 e i 420 milioni di euro, pari a circa la copertura di una rata di IMU (o come si chiamerà domani l’imposta) sulla prima casa [..]
Un gentile regalo alla casta bancaria - di Oreste Parise
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Si apre lo scrigno della Banca d’Italia non servirà ad alleviare le sofferenze dei nuovi poveri, ma a impinguare il capitale e la rendita parassitaria delle banche partecipanti
Prima della celebrazione del decennale della sua mancata applicazione, sembra che la legge 262 approvata in pompa magna e con urgenza nel 2005 sta per essere finalmente completata con l’emanazione del decreto di attuazione da parte Ministero competente (il MEF, Ministero Economia e Finanza).
È assolutamente necessario premettere qualche rigo di chiarificazione poiché l’argomento è apparentemente solo tecnico e non riguarda la vita dei comuni mortali. La situazione ideale per poter disporre in maniera arbitraria e assolutamente senza controllo del patrimonio pubblico.
La grande riforma bancaria del 1936 ha reso la Banca d’Italia, costituita sotto forma di società per azione, l’unica banca emittente e il suo capitale distribuito tra le principali banche, tutte rigorosamente pubbliche: i sei istituti di credito di diritto pubblico (Banco di Napoli, Istituto San Paolo di Torino, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena, Banca Nazionale del Lavoro e Banco di Sardegna) e le tre BIN (Banche di Interesse Nazionale, Banche Commerciale Italiana, Banco di Roma e Credito Italiano) e altri enti pubblici e assicurazioni.
[..] Rispetto all’assetto originario i partecipanti al capitale sono profondamente cambiati non solo nel nome, ma soprattutto nella natura giuridica. Ieri erano pubbliche anche se alcuna in forma privata, oggi sono private nella forma e nella sostanza e si apprestano a spartirsi lo scrigno accumulato nel corso degli anni, e alla cui formazione non hanno dato alcun contributo neanche sotto forma di partecipazione di capitale. L’acquisto delle quote nel 1936 è stato fatto rigorosamente con fondi pubblici e mai più nel corso degli anni sono stati chiamati a finanziare l’istituto. La grande trasformazione del sistema bancario e i processi di concentrazione avvenuti negli ultimi anni hanno accresciuto enormemente il peso percentuale del capitale della Banca d’Italia detenuta dai gruppi bancari di maggiori dimensioni.
In un documento riservato “Un aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d’Italia” redatto dai professori Franco Gallo, Lucas Papadernos e Andrea Sironi si afferma però che “Ciò non ha creato problemi di sostanza, grazie alle norme che limitano i diritti dei partecipanti, ma è necessario evitare la possibile (erronea) percezione che la Banca possa essere utilizzata dai suoi maggiori azionisti”. Si è creato un vero e proprio pasticcio, poiché il quadro giuridico originario, l’assetto proprietario degli istituti e le funzioni stesse della Banca d’Italia sono profondamente cambiati, come si è riconosciuto con la legge richiamata sopra.
Gli esperti interpellati sostengono però che “Il modello caratterizzato da una proprietà privata del capitale va preservato; l’assetto proprietario e la struttura di governance hanno garantito per decenni la piena indipendenza della Banca d’Italia”. Per corroborare questa tesi richiamano l’esempio della Federal Reserve dove circa il 38% delle 8039 banche commerciali negli Stati Uniti ha lo status di azionista del Federal Reserve System, mentre le banche commerciali a statuto federale ne fanno parte per legge.
“In secondo luogo,” – continua il documento degli esperti – “occorre evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge n. 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca. L’equilibrio che per anni ha assicurato l’indipendenza dell’Istituto, preservandone la capacità di resistere alle pressioni politiche, non va alterato”. Il problema reale non è certo la definizione della proprietà dell’Istituto (e si continua ad usare per essa una terminologia riservata agli enti pubblici non a caso), è un aspetto assai secondario della questione, poiché nella sostanza siamo di fronte a un ente che svolge funzioni esclusivamente pubbliche e solo per convenienza è stato organizzato sotto forma privatistica.
In questo caso non si tratta di disquisire del sesso degli angeli e indire un concilio a tale scopo, ma è in gioco un rilevante patrimonio, la cui destinazione riveste un grande e concreto interesse per la finanza pubblica.
Che possano esserci degli equivoci da chiarire lo rileva lo stesso studio, dove si rileva che “è necessario modificare le norme che disciplinano la struttura proprietaria per chiarire che i partecipanti non hanno diritti economici sulla parte delle riserve della Banca riveniente dal signoraggio, poiché quest’ultimo deriva esclusivamente dall’esercizio di una funzione pubblica (l’emissione di banconote) attribuita per legge alla banca centrale”. Bisogna evitare che i partecipanti pretendano di appropriarsi del tesoro della Banca d’Italia costituito nel corso degli anni con l’esercizio del signoraggio della moneta.
Le due componenti economiche sono costituite dalle riserve, quantificate in 15 miliardi di euro, e dal capitale dell’Istituto, per il quale viene proposto un metodo di valutazione determinato con l’attualizzazione degli utili futuri.
Nelle parole degli esperti. “Secondo i principi generali della finanza, il valore di un’attività finanziaria è pari al valore attuale netto del flusso di reddito che esso genera. Il valore delle quote della Banca è stato determinato utilizzando un Dividend Discount Model (DDM) al fine di stimare il valore attuale netto del flusso dei dividendi futuri che saranno percepiti dai partecipanti in base all’attuale disciplina. Ciò ha richiesto un’attenta selezione dei parametri di base del modello: il risk free interest rate, il tasso di crescita dei dividendi della Banca, il coefficiente Beta delle quote della Banca, l’equity premium, il liquidity discount. Nel complesso, in base alle analisi svolte il valore complessivo delle quote si collocherebbe in un intervallo compreso tra € 5 e 7.5 miliardi”.
Tradotto in italiano corrente, ciò significa che si sta per regalare alle banche un patrimonio valutabile tra i 5 e 7,5 miliardi, a cui bisogna aggiungere i futuri dividendi che riceveranno per diritto divino, non avendo (repetita juvant) alcuna funzione da svolgere.
“Ogni ambiguità su tale questione, definendo con chiarezza i diritti economici dei partecipanti e allineando le norme che regolano la distribuzione degli utili a quelle adottate da altre banche centrale con azionisti privati”, sostengono gli esperti. Resta senza risposta la domanda in virtù di quale principio degli azionisti che non hanno mai investito niente e non svolgono né sono chiamati a svolgere alcuna attività nella società di cui detengono le quote debbano percepire degli utili.
Gli esperti hanno provveduto a
1) calcolare il valore corrente delle quote della Banca;
2) aumentare il valore del capitale della Banca (al momento puramente simbolico). trasferendo una parte delle riserve a capitale;
3) attribuire ai partecipanti un flusso futuro di dividendi, il cui valore attuale netto sia pari al valore corrente stimato delle azioni della Banca (ponendo contemporaneamente fine a ogni eventuale pretesa sulle riserve statutarie);
4) fissare un limite massimo alla quota di capitale detenibile da una singola istituzione e gruppo, stabilendo un intervallo temporale entro il quale cedere obbligatoriamente le quote eccedenti”.
“Le nostre analisi mostrano che nelle attuali condizioni di mercato, qualora il capitale della Banca venisse aumentato a € 6/7 miliardi e considerando un tasso di dividendo del 6 per cento (360 o 420 milioni in termini assoluti), il valore delle azioni dopo la riforma si collocherebbe all’interno dell’intervallo sopra indicato (€ 5-7,5 miliardi)”.
Nello scarno linguaggio tecnico si nasconde la verità che alle banche si sta per consegnare il cadeau di una rendita annuale valutabile tra i 360 e i 420 milioni di euro, pari a circa la copertura di una rata di IMU (o come si chiamerà domani l’imposta) sulla prima casa.
Alla fine una questione tecnica si traduce in un interesse concreto. E resta da chiarire in che modo, tolto il signoraggio della moneta, la Banca d’Italia potrà realizzare questo utile e per quale attività le banche sono chiamate a sedersi alla tavola per consumare la succulenta crapula.
Un utilizzo più consono è un aiuto concreto alle fasce più deboli della popolazione che soffre per gli effetti della crisi. E se la Banca d’Italia diventa un ente pubblico, non sarà certo un dramma. Lo è di fatto.
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IL CORRIERE DELLA COLLERA
Per la Repubblica di domani
PERCHE’ L’ORO BANKITALIA APPARTIENE AL POPOLO ITALIANO E NON ALLE “BANCHE PARTECIPANTI. ( prima parte) di Mario Esposito”

Pubblichiamo la prima parte di un intervento ben argomentato di Mario Esposito, avvocato, professore straordinario di diritto costituzionale presso l’Università del Salento. La parte successiva ( l’ingresso del nostro paese nel SEBC) seguirà domani.
Con un linguaggio professorale, ma senza peli sulla lingua, il professor Esposito ci spiega pazientemente e con serene argomentazioni quale sia la natura della Banca d’Italia e le caratteristiche proprietarie del deposito dell’ oro Bankitalia. L’articolo riprodotto è tratto dalla rivista ” LA FINANZA” redatta da specialisti di dodici grandi università sparse per il mondo e coordinati dal prof Vittorangelo Orati rettore dell’International Institute of Advanced Economics and Social Studies.
Come ha rammentato su queste pagine Giorgio Vitangeli, nel 2009 Claude Trichet allora Governatore della Banca Centrale Europea si domandò se essa non appartenesse al popolo italiano piuttosto che all’Istituto centrale.La suggestione merita di essere attentamente considerata sub specie juris allorché si vanno ripetutamente diffondendo tra i quotisti della Banca di via Nazionale, ma con il conforto di autorevoli economisti( v. il documento a firma Fulvio Coltorti e di Alberto Quadrio Curzio apparso sul SOLE24ORE del 5 settembre 2013), propositi diversamente declinati, di far leva sulla ( almeno apparente ) sussistenza di un diritto domenicale di Palazzo Koch sulle riserve auree, al fine di giungere ad una corrispondente rivalutazione delle loro partecipazioni.
Tali propositi trovano generoso terreno di coltura nelle incertezze, sempre perduranti, intorno alla natura della Banca d’Italia, sospesa tra diritto privato ( per la struttura organizzativa e, più ancora, per la natura dei soggetti che al suo capitale partecipano) e diritto pubblico ( per le funzioni e per i mezzi di loro espletamento, tra i quali si annoverano poteri discrezionali di tale latitudine da sconfinare nella normazione, per non dire dei c.d. poteri di moral suasion del Governatore, sciolti da specifici parametri di legittimità, pur essendo suscettibili di produrre conseguenze di rilevantissimo impatto sull’indirizzo politico nazionale.)
Non per caso, sul sito istituzionale della Banca è recentemente apparsa una nota di chiarimenti che dovrebbe essere intesa a tranquillizzare in ordine alla natura pubblica dell’ente, che non potrebbe essere compromessa, o esposta a conflitti, per la qualità privata della maggioranza dei c. d. quotisti.
Eppure, la stessa Banca d’Italia ha già nominato un comitato di esperti incaricato di effettuare una valutazione delle quote di partecipazione al proprio capitale ( v. Il SOLE24 ORE del 20 settembre 2013, nonché gli ampi servizi apparsi in proposito sull’inserto Affari & Finanza de La Repubblica del 30 settembre) e nonostante le rassicurazioni fornite in proposito dal direttore Generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, ( v. intervista apparsa su Il Sole 24 ore del 6 settembre 2013) sono forti e razionali i dubbi che, sotto la spinta della pressione ( almeno) di quei quotisti che già hanno riportato nei propri bilanci stime della loro partecipazione nella Banca centrale comprendenti anche le riserve, si giunga ad approvare una qualche disposizione di legge che legittimi tale condotta.
Il punto è certamente del più grande rilievo: e ce ne vorremmo occupare in uno dei prossimi numeri della rivista ( LA FINANZA ndr) con più ampio corredo di istruttoria e di motivazione.
Qui ci si limita , intanto, a qualche cenno sulla natura giuridica dell’oro, iscritto nel patrimonio della nostra Banca centrale: un tema, a quanto consta, poco esplorato persino nelle trattazioni che direttamente concernono la Banca d’Italia.
Si tratta di una questione che può essere utilmente avviata a soluzione seguendo l’evoluzione delle funzioni dell’Istituto di via Nazionale.
Le proposte volte a disporre delle riserve auree fanno quasi sempre leva sull’assunto secondo cui essendo venuta meno la funzione di emissione monetaria per l’innanzi confidata ( ma si dovrebbe aggiungere , non a titolo originario, almeno all’indomani dell’affermazione costituzionale del principio di sovranità popolare) a Bankitalia, queste non sarebbero più assoggettate a nessun vincolo pubblicistico se non a quello, generale e quindi non ad esse specificatamente attinente, derivante dalla loro inclusione nel patrimonio della Banca centrale e, dunque, dalla complessiva finalizzazione dell’attività dell’Istituto al perseguimento di interessi pubblici ( recte: pubblico-comunitari): ma si tratterebbe di elementi fungibili, non potendosi, appunto, più ravvisare un nesso di corrispondenza con il potere di battere moneta.
Si tratterebbe, insomma, di beni suscettibili di atti di disposizione della Banca d’Italia indirizzati al soddisfacimento di interessi propri dei quotisti, i quali trarrebbero ovviamente vantaggio qualora il valore della propria partecipazione nella Banca centrale potesse essere stimato includendo le riserve auree: ma ciò postulerebbe, appunto, la loro appartenenza alla Banca d’Italia a titolo di “privata proprietà”.
Tale assunto sembra però non considerare che, anche allorquando la Banca d’Italia era investita, per delega statale, della funzione monetaria, le riserve auree venivano costituite per conto dello Stato ( funzione che fa riferimento ad un assetto statuale non più sussistente): se poteva sostenersi che, fermo restando che tale obbligo di costituzione era imposto dalla normativa statale ( r. d. n. 204/1910; r.d. n.2325/1927; r.d.l. n. 812/1926) la proprietà delle riserve – pur sottoposta a un vincolo di pubblico interesse – spettasse all’Istituto di emissione, in quanto soggetto privato, nessun dubbio può nutrirsi in proposito successivamente alla trasformazione della Banca d’Italia da società anonima a istituto di diritto pubblico ( r.d.l. 375 /1936 che conteneva, tra l’altro, una disposizione, l’art 21, inforza della quale e in conseguenza del nuovo ordinamento pubblicistico, ai soci della anonima veniva rimborsato” il valore delle azioni in misura fissa per ogni azione, rappresentante sia il capitale versato, sia la quota di riserva afferente a ciascuna azione”.
Ne induce a diverse conclusioni la reiterata adozione, in epoca repubblicana, , di norme che autorizzavano la Banca d’Italia a computare al proprio attivo le disponibilità in metallo ( ad es. legge n. 14/1960; legge 867/1976): al contrario – e lasciando da parte le ulteriori finalità di simili previsioni – la necessità di un titolo statale di abilitazione appare semmai quale indice sintomatico della non appartenenza delle riserve auree alla Banca centrale.
 

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STATO DI MASSIMA ALLERTA! THE FIRE FINANCIAL NEXT TIME!












Scritto il 15 gennaio 2014 alle 09:44 da icebergfinanza

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Quando parla lui è come se parlasse il saggio del villaggio globale economico/finanziario, bisogna stare in religioso silenzio ad ascoltarlo, in fondo è l’unico al mondo che ha previsto tre delle ultime tre grandi bolle finanziarie, uno dei sacerdoti della finanza comportamentale, che come ben sapete è uno dei nostri punti di forza insieme alla storia e all’analisi empirica.
State sintonizzati perchè in questo post ci sono alcune informazioni davvero interessanti che verranno integrate in maniera dettagliata nel manoscritto “Madame Volatilité” che sarà inviato venerdi sera, per permettervi di leggerlo con calma nel fine settimana.
The Financial Fire Next Time – Project Syndicate è il titolo di questo capolavoro metaforico , tradotto in tutte le lingue, arabo e cinese inclusi, tranne che in italiano ovviamente, abbiamo visto nascere la lingua universale e l’economia sul nostro territorio e ci siamo ridotti a fantasmi che dimenticano il proprio glorioso passato.

“Se abbiamo imparato qualcosa da quando la crisi finanziaria globale ha raggiunto il suo picco nel 2008, è che prevenirne un’altra è un lavoro più difficile di quanto la maggior parte delle persone credono, non solouna prevenzione efficace delle crisi richiede la revisione delle nostre istituzioni finanziarie attraverso l’applicazione creativa dei principi di buona finanza.; richiede anche che i politici e le loro componenti abbiano una comprensione condivisa di questi principi.”
E qui mi fermo per un attimo prima di riprendere alcuni passaggi dell’articolo di Shiller, condividendo solo la realtà quotidiana di questa crisi, il motivo per il quale non abbiamo scampo, siamo circondati…
MILANO - L’accordo dei banchieri centrali sui requisiti di liquidità per le banche è stato accolto dalla totalità degli osservatori come una vittoria di queste ultime, forti di un’attività di lobbying che probabilmente non ha pari. I regolatori hanno così “annacquato”, scrive il FT, le nuove norme controverse per frenare la dipendenza delle banche dall’indebitamento. Le “concessioni” – le definisce Bloomberg – fatte dai regolatori permettono agli istituti di utilizzare prassi contabili differenti che permettono loro di contenere la rappresentazione del debito: una vittoria ottenuta per il timore che le nuove regole potessero penalizzare le attività finanziarie a basso rischio e portare a un’ulteriore stretta sui prestiti.Le banche festeggiano l’accordo per Basilea.
Angelina Markel e soprattutto la sua Deutsche Bank, ringraziano sentitamente per questo splendido regalo, che permette di nascondere la reale entità della discarica derivata che si nasconde sotto la banca tedesca.
Ma come spesso accade avanti con le armi di distrazione di massa … “Se non riusciamo a fare l’aumento di capitale, non è a rischio solo il Montepaschi ma l’intero sistema bancario italiano” ha detto un certo Profumo.

Ovviamente non chiedete alla stampa italiana ed ai giornalisti economico/finanziari nostrani di fare uno sforzo in questa direzione, loro conoscono solo le vicende del Monte dei Pazzi di Siena del senno di poi, mica puoi pretendere che sappiano come i fondi di salvataggio europei siano serviti per salvare le fragili banche tedesche o che Deutsche Bank ha in pancia derivati pari 20 volte il PIL tedesco…
La Deutsche bank, la più grande banca tedesca, ha tolto il primato all’americana JP Morgan Chase nella classifica dei derivati finanziari! Questo è un fatto sottaciuto, ma bruttissimo per tutta l’Europa Il bilancio annuale 2012 della Db rivela contratti in derivati per un valore nozionale di 55,60 trilioni di euro, pari a oltre 72 trilioni di dollari Ha superato quindi la Jp Morgan Chase, che è sempre stata la numero uno sui mercati Otc. Quest’ultima alla fine del quarto trimestre dello scorso anno deteneva derivati per un valore nozionale pari a 69,5 trilioni di dollari. Deutsche bank spaventa Merkel
Cosa vuoi mai che siano 72 trilioni oggi, mi raccomando continuate a raccontarmi cosa hanno detto a Ballarò o cosa scrivono su Repubica o il Corriere dei Piccoli o sul Tramonto24Ore.
Non vi siete mai chiesti per quale motivo non vi raccontino queste cose?
Ma proseguiamo che è meglio e ascoltiamo Shiller o meglio le sue conclusioni e la sua splendida metafora e non dimenticatevi il concetto di leva finanziaria perchè la rivedremo in Madame Volatilitè…

(…) vi è una forte domanda pubblica per una risposta dei governi volta a prevenire un’altra crisi e porre fine al problema delle istituzioni finanziarie “troppo grandi per fallire” Ma la realtà politica è che i funzionari del governo non hanno le conoscenze e l’incentivo per porre in essere riforme che siano efficaci e tecnicamente sufficienti.
(…) “ Fare i vigili del fuoco è più affascinante che prevenire incendi.” Così come la maggior parte delle persone sono più interessate alle storie di incendi, di quanto non lo siano sulla struttura chimica dei prodotti ignifughi, sono più interessate alle storie delle crisi finanziare che non alle misure necessarie per prevenirle. Questa non è una ricetta per un lieto fine.
Capito cosa significa finanza comportamentale?
Visto che a qualcuno sembra essere sfuggito ma non a Madame Volatilitè, mentre i signori mercati si fidano della BCE, ricordo a tutti che dall’uccelliera della ECB è uscita una colomba Asmussen ma sono entrati due falchetti, la vice di Wiedmann, Lautenschläger e un certo IIlmar Rimsevics, governatore della banca centrale lettone, new entry nella camera a gas europea, giusto per Vostra informazione.
In un’audizione presso il Parlamento europeo che doveva ratificare la sua nomina EZB-Kandidatin Lautenschläger probt im Parlament Spagat sembra abbia detto tanto per cambiare che i bassi tassi di interesse stimolino effettivamente l’economia ma a lungo termine non sono senza rischi e che per quanto riguarda i titoli di stato sovrani e la loro valutazione…
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Inoltre sembra che alcuni governatori della Fed siano sempre più inquieti ed incominciano ad agitarsi, non vedono bolle, ma bollicine e parlano di birre e cammelli … Beer Goggles, Monetary Camels, the Eye of the Needle and the First
Appuntamento a venerdi in serata con Madame
 

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domenica 3 novembre 2024









MPS: LANNUTTI, BANKITALIA SAPEVA



16 Gennaio 2014 13:32 MPS: LANNUTTI, BANKITALIA SAPEVA ECCO LE PROVE

ADUSBEF PRESENTA ESPOSTO-DENUNCIA CORTE APPELLO GENOVA

http://www.agenparl.it/articoli/news/economia/20140116-mps-lannutti-bankitalia-sapeva-ecco-le-prove-adusbef-presenta-esposto-denuncia-corte-appello-genova
(AGENPARL) - Roma, 16 gen - In un corposo esposto-denuncia inviato alla Corte di Appello del Tribunale di Genova, competente sul Tribunale di Siena ed alla Procura Generale di Cassazione, Adusbef ha chiesto di accertare le strane dimenticanze del Tribunale della città del Palio, in merito al ruolo della Banca d’Italia, che nonostante fosse bene a conoscenza delle operazioni strutturate di ricopertura sui derivati tossici, sembra abbia chiuso gli occhi per togliere le castagne dal fuoco da una istituzione “che non sbaglia mai perchè produce ministri e presidenti del Consiglio e della Repubblica”, fornendo l’alibi perfetto alla tesi secondo la quale Bankitalia fosse stata all’oscuro dell’operazione ‘Alexandria’, e che addirittura fosse stata ostacolata nelle sue funzioni di ‘alta Vigilanza’. La comoda tesi sostenuta nel capo di imputazione del processo che si sta celebrando a Siena, è che alla Banca d’Italia sia stato nascosto un documento dal quale emergerebbe il collegamento tra la ristrutturazione dell’operazione Alexandria e l’acquisto di 3 miliardi di euro di Btp, entrambe realizzate da MPS con Nomura, la cui mancata comprensione del collegamento avrebbe impedito alla Banca d’Italia di eccepire la corretta contabilizzazione del BTP, ipotizzata anche nell’interrogatorio reso dall’ex Capo degli Ispettori di Bankitalia Giampaolo Scardone (nel frattempo passato a Banca Carim come Vice direttore Generale) durante la testimonianza resa il 2.12.2013 dicembre 2013 (pag.186 del verbale), non regge con le carte e con l’integrale ascolto dell’udienza Link Audio Radio Radicale: Giampaolo Scardone | RadioRadicale.it, dove emerge chiaramente che furono i funzionari del MPS a chiarire agli ispettori il meccanismo di collegamento di Alexandria. Chiunque abbia seguito il processo ha compreso che tale tesi, secondo la quale Bankitalia fosse stata tenuta all’oscuro delle operazioni “struttura BTP 2034 e nota Alexandria” è falsa e ridicola, smentita clamorosamente dalle stesse ispezioni della Vigilanza di Bankitalia iniziate l’11 maggio e concluse il 6 agosto 2010 (firmata da Vincenzo Cantarella, Biagio De Varti, Giordano Di Veglia, Angelo Rivieccio, Federico Pierobon, Omar Qaram), ma soprattutto dalle successive ispezioni del 2011,dove gli ispettori della Banca d'Italia esaminarono i numeri di Banca Mps, nel quale dedussero esplicitamente il collegamento tra l'operazione di ristrutturazione Alexandria e i repo sui BTp condotti con la controparte Nomura, oltre che dal rapporto che la Banca d’Italia fornisce alla Consob nel mese di aprile 2012, quindi 5 mesi prima del supposto ritrovamento del Mandate il documento che legava esplicitamente le due operazioni in una oscura cassaforte. Se non fosse stato così evidente, come mai il rapporto ispettivo di Bankitalia, che mise in luce il collegamento del repo sui BTp al 2034, la cui connessione fu fornita dai dirigenti del MPS, dedusse che avrebbe creato un serio problema di liquidità alla banca, con possibili impatti della sola operazione repo BTp con Nomura, tale da mettere a rischio la stessa sopravvivenza della banca ? Già in un precedente esposto-denuncia inviato il 25 gennaio 2013 alle Procure della Repubblica, tra le quali Siena, Adusbef aveva ipotizzato l’esatta ricostruzione delle dinamiche truffaldine messe in atto dal Monte dei Paschi, con il diretto concorso della Banca d’Italia, che nonostante le ripetute ispezioni aveva fatto finta di non vedere. Negli esposti Adusbef ricostruisce le fasi di acquisizione di Antonveneta, annunciato l'8 novembre 2007 da MPS, per 10,3 miliardi di euro accollandosi anche 7,9 miliardi di debiti, quando appena sessanta giorni prima gli spagnoli del Banco Santander di Botin- Opus Dei, molto vicino al banchiere Ior Gotti Tedeschi a sua volta vicinissimo a Mussari (come risulta dalle agende dell'ex presidente di Mps) avevano rilevato la stessa Antonveneta per 6,3 miliardi. Tutte le acquisizioni e le fusioni tra gli istituti di credito, devono passare al vaglio preventivo della Banca d'Italia, che deve valutare la sostenibilità finanziaria, la sana e prudente gestione, l'impatto sui bilanci e sul conto economico, ai fini della stabilità e per non mettere a rischio il risparmio dei depositanti da operazioni azzardate o sopravvalutate. Ai tempi dell'acquisizione, ricopriva la carica di Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, con la signora Anna Maria Tarantola, attuale presidente della Rai, ai vertici dell'ufficio di Vigilanza, Fabrizio Saccomanni direttore Generale. Già dalle relazioni della Vigilanza di Bankitalia che nel 2010 fa visita al Monte dei Paschi di Siena, emergono risultanze parzialmente sfavorevoli, con i punti di debolezza. Per quel che riguarda i profili organizzativi e di controllo gli ispettori scrivono: «La regolamentazione delle operazioni finanziarie deve essere estesa ai veicoli di diritto estero, al fine di evitare che possano essere assunte posizioni non monitorabili dalle strutture di controllo» (ovvero: siccome ci sono più centri decisionali in grado di assumere rischi ad esempio acquistando finanza strutturata, è opportuno che la capogruppo sia in grado di conoscere i rischi che tutti questi altri centri si assumono). La relazione prosegue: «L’azione dei comitati interni è incerta, poco incisivo l’operato del comitato rischi, le decisioni prese nei comitati finanza e di stress non vengono riportate con regolarità al consiglio» (cioè ognuno assume rischi come gli pare e il Consiglio non sa niente). «La struttura commerciale si raccorda in modo insufficiente con quella che gestisce i rischi finanziari derivanti da prodotti che includono derivati. Poco efficace anche il coordinamento dei vari risk Taking Center, la cui sovrapposizione operativa è stata assecondata assegnando crescenti obiettivi di profitto all’area Tesoreria, Capital Managment e Direzione Global Market» (in altre parole, i dirigenti di queste aree si sovrappongono pur di fare profitto senza monitorare i rischi).«L’orientamento del gruppo verso l’assunzione dei rischi escluso dal computo dei requisiti prudenziali non si è accompagnato al rafforzamento, anche in termini di risorse addette, dei relativi presidi di riscontro» (come dire che hai comprato il treno ma non hai assunto il macchinista e lo fai guidare ad uno che non ha la patente). A maggior riprova della mancanza di competenza nella capacità di gestire i rischi assunti, Bankitalia scrive: «Il Risk managment non riscontra le valorizzazioni dei fondi hedge e di private equity, né le posizioni detenute da numerose controllate estere». Ed erano appunto le controllate estere a fare le famose operazioni Alexandria e Santorini, di cui Bankitalia dice di non sapere nulla, nonostante sulla relazione ispettiva scriva: «Alcuni investimenti a lungo termine presentano profili di rischio non adeguatamente controllati né riferiti dall’esecutivo all’organo amministrativo. In particolare si sono determinati consistenti assorbimenti di liquidità (oltre 1,8 miliardi) riferiti a due operazioni, del complessivo importo nominale di 5 miliardi di euro, stipulate con Nomura e Deutsche Bank Londra» ossia dell’operazione Alexandria e Santorini che “potevano mettere a rischio la sopravvivenza della banca”. Bankitalia conosceva queste operazioni, e sapeva che non erano adeguatamente monitorate. Inoltre tutte queste operazioni vanno scritte in un bilancio, e poiché il controllo della correttezza contabile spetta alla Consob, (ed è difficile immaginare che la nocività si sia manifestata negli ultimi tre mesi) se ne deduce che anche Consob non abbia garantito negli anni al mercato ed agli investitori la dovuta trasparenza sulla situazione contabile e finanziaria di Montepaschi. Una Consob stile Vegas-Caputi silente e contigua, che dopo aver ricevuto nel luglio 2012 in un esposto, l’esatta ricostruzione delle operazioni in derivati contabilizzate in modo da occultare le perdite nel bilancio Mps nella ristrutturazione di Santorini fatta da Mps con Deutsche Bank, e di Alexandria con Nomura, ha avallato tutte le operazioni sporche di bilancio, a differenza della Bafin, omologa autorità tedesca, che ha contestato nel novembre 2013 al top management di Deutsche Bank, la falsa contabilizzazione del derivato Santorini da parte del ramo finanza della banca d' affari tedesca, ipotizzando che dietro Santorini fosse nascosta la condivisione dell' occultamento delle perdite di bilancio di Mps tra i manager Deutsche Bank e quelli Mps. Adusbef confida che la Procura Generale di Cassazione e la Corte di Appello di Genova, possano aprire un’inchiesta sull’operato di un Tribunale, che non vuole vedere le pesanti responsabilità della Banca d’Italia e la sua palese omessa vigilanza, aggiungendo al danno sofferto da risparmiatori, azionisti, lavoratori e contribuenti chiamati a ripianare le perdite di un crack bancario per oltre 4 miliardi di euro, la beffa di esonero di responsabilità per l’ex Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, la signora Anna Maria Tarantola, attuale presidente della Rai, i vertici dell'ufficio di Vigilanza, e l’ex direttore Fabrizio Saccomanni attuale ministro dell’Economia.​



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FERMARE LA PROSSIMA ATROCITA’ UE, IL TRATTATO SRM


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17 gennaio 2014 |
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Fermare la prossima atrocità dell’UE, il Trattato SRM

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15 gennaio 2014 (MoviSol) – I documenti ora pubblicati relativi alla programmata Unione Bancaria mostrano non solo che si tratta della “legge più complicata mai stilata nell’UE”, come descritto dal sito euinsider.com, ma anche che essa conferisce poteri senza precedenti ad un organo ristretto di funzionari non eletti di gestione del settore privato dell’economia delle nazioni, dopo che il settore pubblico è già sotto la giurisdizione della Troika, e rendere le riforme vere quasi impossibili.
La proposta di legge esclude anche ogni tentativo da parte di stati membri dell’UE di muoversi nella direzione di una vera separazione bancaria alla Glass-Steagall. Costruire steccati tra le attività bancarie “crea ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali e distorce la competizione nel mercato interno”, recita il testo del trattato intergovernativo per un Meccanismo di Risoluzione Unico (SRM).
La proposta dell’UE dello “steccato” (ringfencing) era contenuta nel rapporto della Commissione Liikanen presentato nell’ottobre 2012, ma è stata ritardata dalla Commissione in modo che per quest’anno non se ne farà niente, mentre è prevista una direttiva sulla materia entro la primavera. Questo rende credibile quanto pubblicato dal Financial Times il 5 gennaio, e cioè che il Commissario Michel Barnier sta lavorando ad una versione annacquata della proposta, già blanda, dello steccato di Liikanen.
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«La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa ottenere guadagni territoriali. Le guerre devono essere dirette in modo tale che le Nazioni, coinvolte in entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre di più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere.»
[Mayer Anselm Rothschild 1773] — con La Scintilla Sicilia.





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