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2014
VICEPRESIDENTE CAMERA, DI MAIO, SMASCHERA LE BALLE SUI TAGLI DI BOLDRINI E RENZI



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Con un messaggio dalla sua pagina Facebook il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio ha smentito tutte le balle di Matteo Renzi e Laura Boldrini sui tagli alla politica, sostenendo che si tratta soltanto di annunci a fini elettorali. Ecco le sue parole:

RENZI E BOLDRINI: FINO AD ORA IL NULLA.

Il Premier Renzi e la Presidente Boldrini, in una ridicola corrispondenza epistolare a mezzo stampa, in questi giorni stanno discutendo dei costi da tagliare alla Camera e alle amministrazioni pubbliche dello Stato, giocando a chi è più bravo.
Renzi che sostiene si debbano tagliare i maxi-stipendi dei dirigenti della Camera, non ha tagliato ancora un solo euro ai manager pubblici delle aziende partecipate italiane, nonostante ne parli da mesi. E non si è ridotto di un euro il suo stipendio.

La Presidente Boldrini che gli risponde, addirittura si vanta di aver già fatto tagli agli stipendi del personale della Camera (per inciso ha tagliato 2000 euro al mese a una persona che guadagna quasi 500.000 euro all’anno!!). Ovviamente nessun taglio agli stipendi dei parlamentari.

Si vanta anche di essersi tagliata del 30% il suo stipendio. Balle! Si è tagliata del 30% l’indennità aggiuntiva. Quella a cui io è Roberto Fico rinunciamo interamente insieme alle spese di rappresentanza e all’auto blu. Inoltre ci dimezziamo lo stipendio da Deputato.

Siamo ormai al niente che risponde al nulla!

Ormai è un anno che il Movimento 5 Stelle sta chiedendo a questa maggioranza del Partito Democratico e alla Presidente Boldrini, di iniziare davvero tagli drastici alla Camera. Lo abbiamo ribadito con diverse richieste scritte e verbali negli organi competenti, che non sono mai state messe neanche all’ordine del giorno dell’ufficio di Presidenza, almeno avremmo gradito una risposta. Neanche quella.
Abbiamo chiesto le dimissioni dei Questori della Camera per evidenti incapacità nel tagliare gli stipendi dei parlamentari dei loro partiti.


I punti focali sono sempre quattro, da un anno:
- La dismissione di 9 auto blu su 10 del parco macchine della Camera. La Boldrini ci ha fatto sapere che non si può fare, perché c’è bisogno di “decoro istituzionale” (!!). Risposta “indecorosa”, visto che si potrebbe risparmiare un milione di euro all’anno.

- Il dimezzamento immediato degli stipendi dei parlamentari. Inoltre tutti i rimborsi devono essere rendicontati ai cittadini pubblicamente.
50 milioni di euro in meno subito;

- L’assimilazione dello status dei dirigenti camera a quello dei funzionari pubblici, con i tetti di stipendio previsti dalla Legge;
- L’abolizione dei vitalizi dei parlamentari. Ci costano oltre 200 milioni di euro all’anno.
Il Pd è un anno che ci riflette, la Boldrini è un anno che non risponde alle richieste del Movimento 5 Stelle. C’è bisogno di altro per spiegarvi che questi due ci stanno prendendo in giro?


Fingono di avere a cuore i costi della politica solo in campagna elettorale e poi si tengono il malloppo il giorno dopo. Ancora una volta si sta consumando una truffa politica ai danni dei cittadini. Con la complicità di tanti media.
 
SOVRANITA' INDIVIDUALE APPLICATA A MILANO: GIUDICE ABBANDONA L'AULA!
IL GIUDICE HA ABBANDONATO L'AULA, HA ABBANDONATO LA NAVE.
CASO CHIUSO CON PREGIUDIZIO.

Antonino Fabio Ciaccio, accade il 25 marzo 2014













 
Ultima modifica:
di MARIETTO CERNEAZ
Sarebbe il caso che la stampa allineate la smettesse di continuare a propagandare le menzogne di governo, che con Renzi al timone non sono diverse da quando le raccontavano Berlusconi, Monti e Letta.
Ieri, l’Istat (roba pubblica) ha sciorinato numeri che lasciano ben intendere che la ripresa è solo nella testa bacata dei politicanti. Due giorni fa, la Cgia di Mestre ci ha spiegato che quest’anno, 2014, le gabelle sulla casa schizzano a quasi 5 miliardi di euro. Due giorni fa, le ennesime conferme su aumento del debito pubblico, della disoccupazione e dei parassiti assunti dallo Stato: la panzana del taglio delle province, prevede – non a caso – l’aumento di oltre 20.000 cadreghe per la casta politicante.
Oggi, Finanza.com ci ricorda che la stangata fiscale in arrivo è di oltre 44 miliardi di euro. Leggiamo: “E’ quanto le famiglie e imprese pagheranno in più di tasse nel quinquennio 2013-2018 secondo quanto previsto dal Documento di economia e finanza approvato dal governo Renzi la scorsa settimana. Lo rileva un’analisi del Centro studi di Unimpresa sulla base delle informazioni contenute nel Def 2014. Il programma dell’esecutivo prevede infatti maggiori entrate per 3,8 miliardi quest’anno e per altri 6,4 miliardi l’anno prossimo; nel 2016, nel 2017 e nel 2018 sono previsti incassi tributari aggiuntivi rispettivamente per 10,1 miliardi, 11,8 miliardi e 11,8 miliardi. In totale, famiglie e imprese pagheranno tasse in più per 44,09 miliardi nel quinquennio 2013-2018″.
Ancora: “Gli interventi del piano nazionale di riforme non sono quindi a costo zero e comportano l’indicazione di cosiddette coperture finanziarie. Le maggiori entrate previste, rimarca il rapporto dell’associazione, si riferiscono nel dettaglio alle misure per il contenimento della spesa, il lavoro e le pensioni, il sostegno alle imprese. Per quanto riguarda il contenimento della spesa, per coprire le sforbiciate al bilancio statale sono previsti incrementi di imposta, evidentemente con l’obiettivo di non ridurre i servizi della pubblica amministrazione ai cittadini, pari a 1,6 miliardi quest’anno e 4,1 miliardi nel 2014; nel triennio successivo sono previsti maggiori entrate per 8,1 miliardi, 10,1 miliardi e 10,09 miliardi. “Complessivamente – rimarca Unimpresa - le misure sulla spesa statale provocheranno 34,09 miliardi di tasse in più. Gli interventi sul lavoro e sulle pensioni comportano inasprimenti fiscali per 1,5 miliardi nel 2014 e 1,7 miliardi l’anno nel periodo 2014-2018: in totale si tratta di imposte aggiuntive per 8,4 miliardi. Le misure sul sostegno alle imprese saranno coperte con 1,5 miliardi di tasse in più nel quinquennio in esame (620 milioni nel 204, 630 milioni nel 2015 e 326 milioni nel 2016)”.
Le parole stanno a zero! La frottola degli 80 euro in busta paga – che Renzi e la sua compagnia cantante – vanno propagandando è nulla più che l’ennesimo specchietto per le allodole. Le tasse, come sempre, continueranno ad aumentare. La spesa pubblica anche. Cottarelli e la sua spending review sono solo ciarlatani di regime. Ricordatevi: “Se tutti pagassero le tasse, lo Stato sprecherebbe e spenderebbe di più”. E’ quanto sta puntualmente accadendo.
 
Irlanda 1970, Chiusura delle Banche.

“Cos’è il denaro?”

Il 4 maggio apparve sull’ “Irish Independent”, il miglior quotidiano d’Irlanda, un avviso a tutto pagina, dal titolo semplice ma allarmante: “CHIUSURA DELLE BANCHE”. L’annuncio, pubblicato dalla Commissione Permanente delle Banche d’Irlanda, gruppo che rappresentava tutte le principali banche irlandesi, informava il pubblico che a causa del grave deterioramento dei rapporti industriali fra le banche e i loro impiegati, "si è giunti a una situazione in cui è impossibile per le suddette banche fornire anche il recentemente limitato servizio nella Repubblica d’Irlanda". L’annuncio proseguiva: "In tali circostanze è rammarico che queste banche annunciano la chiusura di tutti gli uffici nella Repubblica d’Irlanda a partire da venerdì 1° maggio, fino a nuovo ordine". Potrà sconvolgere l’idea che il sistema bancario di una economia avanzata potesse chiudere pressochè in blocco da un giorno all’altro, in tempi così recenti. All’epoca, tuttavia, questo esito era ampiamente previsto, non fosse altro perché si era già verificato una volta, nel 1966. L’oggetto del contenzioso fra le banche e i loro impiegati era ben noto all’ Europa della fine degli anni sessanta: l’aumento degli stipendi rispetto a quello dei prezzi. L’inflazione alta per tutto il 1969 (in autunno il costo della vita era salito più del 10% rispetto ai quindici mesi precedenti) aveva spinto il sindacato dei dipendenti a esigere un nuovo accordo sui pagamenti. Le banche si erano rifiutate, e l’Associazione irlandese dei funzionari di banca aveva decretato lo sciopero.
Fin dall’inizio, ci si aspettava che la chiusura delle banche non sarebbe stata breve, dunque ci si preparò all’eventualità. La prima reazione delle aziende fu quella di fare incetta di monete e banconote. Scrisse l’”Irish Independent”:
Ci furono prelievi massicci di contante in tutto il paese: le aziende accumulavano scorte in previsione di una chiusura. Si preannunciano ottimi affari per le compagnie di assicurazione, rivenditori di casseforti e società di sicurezza durante tutto il periodo di “shut down”. Fabbriche e altre attività dagli organici numerosi si sono attivate per ricevere denaro contante da grosse rivendite come supermercati e grandi magazzini per far fronte ai pagamenti degli stipendi.
Ma nel primo mese della crisi divenne evidente che la situazione non era poi così nera.
Ad aprile la Banca Centrale d’Irlanda aveva soddisfatto deliberatamente il surplus di richieste di contante, dunque a maggio circolavano circa 10 milioni di sterline in più del solito in monete e banconote. I flussi di pagamento diedero inevitabilmente origine a un eccesso di piccoli tagli in alcuni luoghi (in genere nei negozi e altre attività al dettaglio) e una mancanza di altri, di solito grossisti e pubbliche istituzioni che non avevano motivo di ricercare contanti nel corso degli affari della giornata. La Banca Centrale fece persino un vano appello alla società statale di autobus affinchè distribuisse contanti ai passeggeri. Ma questi ingorghi nella circolazione di monete e banconote si rivelarono un inconveniente da poco. Il motivo era che la stragrande maggioranza dei pagamenti continuava a essere effettuata tramite assegno; in altre parole trasferendo denaro dal conto corrente di un individuo o di una azienda a quello di un altro, nonostante le banche dove i conti erano tenuti fossero chiuse. Nella sua relazione sull’intera faccenda, la Banca Centrale d’Irlanda osservò che prima della chiusura "circa due terzi dei patrimoni complessivi sono costituiti da saldi su conti correnti, e il rimanente da banconote e monete".
La domanda cruciale, dunque, era se questo “denaro bancario” avrebbe continuato a circolare. Soprattutto per i privati non c’era davvero scelta: per ogni spesa eccedente il contante che possedevano quando le banche avevano chiuso il primo maggio, l’unica possibilità era quella di scrivere delle cambiali sotto forma di assegno e sperare che fossero accettate.
La cosa degna di nota fu che, durante quella lunga estate, le transazioni proseguirono e gli assegni vennero scambiati quasi esattamente come al solito. L’unica ovvia differenza fu che nessuno degli assegni poteva essere presentato in banca. Di norma è questa la struttura che perlopiù solleva i venditori dal rischi insito nell’accettare pagamenti a credito: gli assegni possono essere incassati alla fine di ogni giornata lavorativa. Con l’arresto del sistema bancario, però, gli assegni erano temporaneamente soltanto delle cambiali private o aziendali. I venditori che li accettavano si affidavano soltanto al proprio giudizio personale sul credito dei compratori. Il rischio maggiore, dunque, era che si abusasse di quel sistema improvvisato. Date che gli assegni non venivano riscossi, in linea di principio nulla impediva di scrivere assegni per importi che non si possedevano. Affinchè il sistema funzionasse i pagati dovevano confidare che gli assegni dei paganti non fossero scoperti, e tutto questo senza avere idea di quando le banche avrebbero riaperto, per poterlo verificare. Il “Times” di Londra seguiva gli eventi al di là del mare d’Irlanda con grande interesse, e a luglio notava sia il fatto straordinario che nulla sembrava essere cambiato granchè, sia la fragilità apparente della situazione. "Le cifre e le tendenze disponibili indicano che finora il contenzioso non ha avuto un’effetto nocivo sull’economia", scriveva il suo corrispondente. "Ciò è dovuto a una serie di fattori, non ultima la prudenza delle imprese nei riguardi delle spese eccessive". Ma quell’equilibri precario poteva durare? " Esiste però oggi il rischio psicologico che, se il contenzioso si trascinerà, la cautela venga abbandonata, soprattutto dalle piccole imprese". Qua e la iniziavano effettivamente ad apparire delle crepe. A un mese dalla chiusura ci fu un momento di panico quando alcuni mercati di bestiame annunciarono che non avrebbero più accettato assegni da privati. A luglio un agricoltore di Omagh che era stato condannato per aver introdotto illegalmente nella Repubblica sette maiali non potè pagare la multa comminatagli di 309 sterline, per mancanza di liquidità. E nel corso dell’estate la lobby delle aziende, incoraggiata dalle banche ed esasperata dalle spese sostenute per aggirare la loro chiusura, iniziò a disseminare nei giornali dichiarazioni allarmistiche, affermando per esempio che " A causa del contenzioso delle banche si sta diffondendo nell’economia una paralisi in rapido aumento". Ma le prove raccolte dalla Banca Centrale d’Irlanda alla risoluzione della crisi nel novembre 1970 dimostrano l’esatto contrario. La sua relazione sulla chiusura concludeva non soltanto che "l’economia Irlandese ha continuato a funzionare per un periodo ragionevolmente lungo pur con le principali banche di compensazione chiuse al pubblico", ma che "il livello di attività economica ha continuato a crescere" in quel periodo. Per quanto sembrasse incredibile subito prima e subito dopo, in qualche modo aveva funzionato: per sei mesi e mezzo, in una delle 30 economie più ricche del mondo all’epoca, "un sistema di credito altamente personalizzato, senza alcuna scadenza definitiva per l’eventuale compensazione di debiti e crediti ha sostituito il sistema bancario istituzionalizzato esistente".
Alla fine, il maggior impedimento causato da questo sistema tanto riuscito si rivelò di natura logistica. Quando le banche e i loro dipendenti raggiunsero finalmente un accordo sui pagamenti, e fu annunciato che le banche avrebbero riaperto il 17 novembre 1970, privati e aziende avevano accumulato una mole enorme di assegni non riscossi. Sui giornali apparvero annunci che invitavano i clienti a non presentarli tutti insieme, e avvertivano che difficilmente i saldi dei conti si sarebbero riallineati prima di parecchie settimane. Ci vollero altri tre mesi, da novembre a metà febbraio del 1971, prima che tutto tornasse alla normalità. A quel punto erano stati presentati per la riscossione cinque milioni di sterline in assegni compilati durante il periodo di chiusura. Era il denaro che il popolo irlandese si era prodotto da sé mentre le banche erano in sciopero.
Come si era potuto realizzare questo apparente miracolo di cooperazione economica spontanea? L’opinione diffusa dopo il fatto era che a questo esito positivo avevano contribuito vari elementi della vita sociale irlandese, non ultimo il più famoso: il pub. La difficoltà principale era stabilire l’affidabilità creditizia di chi pagava con assegni non riscuotibili. L’Irlanda era avvantaggiata in questo senso, dato che le comunità, sia nelle città sia in campagna, erano molto compatte. Ognuno conosceva di persona quasi tutti quelli con cui trattava, e dunque poteva farsi facilmente un’idea della loro affidabilità. Ma nel 1970 l’Irlanda aveva comunque una economia sviluppata e diversificata, per cui le cose non stavano sempre così. Fu qui che i pub e le botteghe si rivelarono preziosi, fungendo da nodi del sistema, raccogliendo, garantendo e riscuotendo assegni come un sistema bancario sostitutivo. L’economista irlandese Antoin Murphy concludeva, con ammirevole circospezione: " Pare che i gestori di queste rivendite e pubblici esercizi disponessero di molte informazioni sui propri clienti; dopotutto non si serve da bere a qualcuno per anni senza venire a sapere qualcosa circa la sua liquidità".

La chiusura delle banche irlandesi dimostra che l’armamentario ufficiale di banche, carte di credito e banconote solennemente decorate con emblemi impossibili da contraffare, non è una componente essenziale del denaro. Tutto ciò può scomparire e il danaro rimarrà comunque: un sistema di credito e di debito, che si espande e contrae senza sosta come un cuore pulsante, mantenendo in vita la circolazione dei commerci. Quel che importa è soltanto che esistano emittenti che il pubblico considera affidabili dal punto di vista creditizio, e una convinzione sufficientemente condivisa che le loro obbligazioni saranno accettate da terzi. In genere è facile soddisfare questi criteri per i governi e le banche: mentre per le società, e ancor più i privati, è in genere difficile. Ma come dimostra l’esempio irlandese, queste regole indicative non hanno validità universale. Quando si disintegrano gli ordinamenti monetari ufficiali, è sorprendente l’efficacia con cui la società improvvisa delle alternative.

Tratto da: Denaro, di Felix Martin, 2013

 
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Pillole di macroeconomia for dummies, ovvero, come distruggere la propaganda eurista in 8 punti



1) Il debito pubblico italiano nasce (e poi cresce e pasce) dal 1981, anno del divorzio tra min. del Tesoro e Bankitalia voluto da andreatta e accettato da c. a. ciampi, con la supervisione di spadolini e la firma d’avallo di pertini sandro, l’allora presidente della Repubblica. All’epoca il rapporto debito/PIL era pari al 58%. Da quel giorno è cresciuto al ritmo del 5,35% annuo, sino ad arrivare al 135% attuale. Da quel giorno l’Italia ha pagato in soli INTERESSI 3000 miliardi di euro attualizzati, ovvero, 91 miliardi l’anno. Un interesse costante del 5% ogni 14 anni raddoppia il proprio montante. L’economia italiana avrebbe dovuto crescere del 5.5% l’anno SOLO per impattare gli interessi. Per chi non lo sapesse: prima del divorzio, il min. del Tesoro e la Banca d’Italia concordavano il tasso di INTERESSE con cui vendere i titoli di stato: essi erano SEMPRE inferiori alla INFLAZIONE reale. Se le aste andavano parzialmente (o del tutto) deserte la BdI comprava tutto il pacchetto e, inoltre, accreditava gli interessi stessi al Tesoro. In pratica, la creazione di moneta avveniva PRIVA del peccato originale: il DEBITO usuraio.

2) Oggi l’Italia ha rating Standard&Poors di BBB, ad un passo da “junk” (spazzatura), nel 1998 il nostro rating era AA. Il Giappone ha rating S&P AAA, nonostante il rapporto Debito/PIL è al 235%, i loro titoli decennali pagano lo 0,70% di interessi. Lo Yen si è svalutato del 30% negli ultimi 6 mesi e sono alla ricerca disperata di una INFLAZIONE maggiore del 2%. Giorno 15/01/2014, il Giappone ha emesso un bond (i nostri BTP) a 30 anni con rendimento lordo del 1,655%. Alcuni mesi fa, gli stessi BTP a 30 anni emessi dall’Italia hanno “elargito” un rendimento del 4,9%. La differenza abissale di rendimento fa capire UNIVOCAMENTE circa il rischio che si assume chi acquista i nostri BTP. In 30 anni la differenza diventa del 97,35% in più rispetto ai bond giapponesi. Un decurtamento del 30% che accuserebbero gli investitori stranieri derivante da un ritorno alla Lira, sarebbe comunque AMPIAMENTE ripagato dalla differenza di rendimento, non solo verso i titoli giapponesi ma anche verso i bond USA, tedeschi, francesi, inglesi, australiani, canadesi, norvegesi, svizzeri e di TUTTI quei Paesi che godono almeno di rating A+. Chi si preoccupa di questo o è stolto o è in malafede. Se facessimo un paragone con una scommessa calcistica in un match Barcellona VS Atalanta, avremmo: la vittoria del Barcellona a 1,10 il pareggio a 5 e la sconfitta a 50 … quale evento immaginate si possa verificare più facilmente e a rigor di logica? Giocando ognuno si assume i propri RISCHI.

3) La Corea del sud, nel 1997 svalutò la propria moneta del 120%: in meno di 2 mesi il WON coreano passò da 800 a 1800 per ogni singolo dollaro USA. Dal 2000 ad oggi il Won coreano ha perso il 60% del suo valore. E loro che fanno? Crescono al ritmo del 3/5% l’anno. Sono i TERZI esportatori netti al mondo. L’inflazione coreana è stabilmente intorno al 3% da moltissimi anni. Sembra che i loro politici abbiano preso a modello l’Italia del boom economico, quella stessa Italia che nel 1992 svalutò la Lira del 30% e che nel 1993 ebbe inflazione calante dell’1% (da 5,5% a 4,5%): se la gente non guadagna non spende e l’inflazione scende, a prescindere da quanto tu svaluti la moneta.

4) Lex-monetae. E’ quella legge grazie alla quale TUTTI i debiti che NON sono espressi sotto giurisdizione anglosassone possono essere tramutati in una nuova moneta. Ad esempio, se quando avevamo la Lira avessimo voluto un’altra valuta per eliminare gli zeri in eccesso, e l’avessimo chiamata “sesterzo”, TUTTO il debito (sia nazionale che estero) sarebbe stato ridenominato in “sesterzi” per DECRETO-LEGGE. A tutt’oggi, i possessori ESTERI di debito pubblico italiano detengono il 32% del totale, ovvero € 670 miliardi ca. il debito TOTALE (privato e pubblico) denominato sotto legislazione inglese (devi ripagarlo nella stessa valuta che ti è stata prestata) ammonta al 10/12% del totale aggregato, pari a $300/350 miliardi ca. anche i mutui verranno riconvertiti, alle stesse condizioni, in nuova valuta. A meno che non siate stati così avventati ad averlo sottoscritto in sterline o dollari. TUTTO il debito sarà ripagato in nuove Lire (tranne quello assunto sotto giurisdizione inglese che sarà regolato come accordi e come legge vuole), senza dare DEFAULT (significa fallimento), neanche parziale. Gli investitori esteri non potranno fare altro che adeguarsi poiché il rischio che si sono assunti al momento della stipula era OTTIMAMENTE ripagato dai LAUTISSIMI INTERESSI.

5) Le materie prime, l’energia e il petrolio che l’Italia è costretta a comprare all’estero sono da sempre ripagati con le valute forti (dollari, marco, franchi, yen, sterline ecc.) provenienti dal nostro export e dal turismo. Dal giugno 2012 al giugno 2013 la bilancia commerciale italiana ha avuto un SURPLUS (differenza positiva tra export-import) di circa 30 miliardi di dollari. L’Italia risulta essere il QUINTO esportatore netto al mondo, dopo Cina, Germania, Corea del sud e Giappone. (Il Brasile, sesto, è a + 10 miliardi di surplus, ben lontano da noi). E’ doveroso capire come una Nazione importa da un’altra e come la paga. La camera di commercio con l’estero è nata all’uopo. Non tutti sanno che una Nazione per comperare merce dall’estero deve prima acquistare la moneta di quello Stato in cui quel tale prodotto viene realizzato. Se vuoi comprare una Toyota nuova, ti rechi presso il concessionario, ti scegli il modello, il colore ecc, lo paghi (non importa come) e ti porti via l’auto. Pensi che sia finita qui? NOSSIGNORE, da qui comincia, e questo esempio vale per ogni singolo prodotto che importiamo/esportiamo. Lo Stato italiano, tramite la camera di commercio estera compera gli Yen necessari per pagare l’auto da me acquistata e pagata, in euro oggi e in Lire sino a prima della moneta unica europea. Lo stesso fanno i giapponesi quando acquistano una Ferrari o un abito di Armani o un etto di parmigiano. Questo è ciò che accade miliardi di volte al giorno per le transazioni estere. Tanto più vendi prodotti all’estero e/o attrai turisti stranieri in Patria e tanto più sarà richiesta la tua moneta: il valore della tua valuta sale. Prima legge dell’economia: molta richiesta fa alzare il prezzo del prodotto. Che esso sia un’auto, un abito, un etto di parmigiano … o moneta. Altro esempio: come sappiamo le merci più richieste al mondo, tra cui spicca il petrolio, vengono contrattate in dollari USA. Per una fornitura di petrolio dal Qatar, lo Stato italiano prima deve acquistare dollari USA e poi pagherà il giusto prezzo al Qatar. Il Qatar aumenterà le sue scorte di dollari USA per il controvalore incamerato dalla vendita di quel petrolio e userà quei dollari per comperare ad es. frumento dall’Ucraina o carbone dalla Cina; se i dollari non dovessero bastare sarà costretto anche il Qatar a comperare dollari. (questo è il vero potere degli USA). E’ abbastanza chiaro il concetto? Un SURPLUS di bilancia commerciale è SEMPRE in valuta pregiata. Il prezzo di un litro di super, all’industria, costa 55 centesimi, il resto per arrivare a 1,7 euro sono TASSE che un quasi-Stato che non può più EMETTERE moneta è COSTRETTO ad AUMENTARE COSTANTEMENTE. Uno Stato che NON può emettere moneta NON può fare politica monetaria, ergo NON può fare politica economica, ergo Non può fare politica industriale, ergo NON può fare politica del lavoro. Uno Stato che NON bette più moneta può ESCLUSIVAMENTE TAGLIARE le SPESE.

6) L’Italia, non avendo materie prime, dai tempi di Marco Polo, Le importa, le trasforma in loco e poi le rivende a 20 volte tanto, lasciando gran parte dei margini nella filiera italiana (in salari, tasse, dividenti ecc). Questo lo si faceva molto meglio con una valuta debole piuttosto che con una forte (Giappone e Corea del sud sono lì a farcelo capire l’ennesima volta). L’interesse franco-tedesco di realizzare la moneta unica e di costringere l’Italia a farne parte scaturiva dalla paura di avere un concorrente così temibile, padrone della propria politica monetaria che veniva usata per il bene della collettività. L’Italia, nel 1985 era la QUINTA economia del mondo, ora fatichiamo enormemente a rimanere nei primi 10 posti. Nonostante la bil commerciale continua ad essere ampiamente positiva. Ovvero, oggi in euro, come domani in Lire, continueremmo a pagare le bollette energetiche con la valuta pregiata derivante dalla bilancia commerciale: della moneta forte NON ce ne può fregare di meno. Anzi, più svaluti la moneta nazionale e più aumenterà l’export (legge di Marshall-Lerner: ad ogni punto % di svalutazione monetaria corrisponde un incremento dell’export pari a +1,7%) e più attirerai turisti con valuta pregiata, invogliati a visitare l’unicità italiana, e/o a comperare prodotti italiani, con sconti come ci fossero i saldi tutto l’anno. Nello stesso tempo, ragionando all’inverso, minori saranno le tue importazioni di prodotti realizzati dove il tuo cambio è penalizzato.

7) A quali italiani fa comodo l’euro? Alle multinazionali, alla grande industria, che approfitta della deregulation per abbassare i salari e le pretese sindacali dei dipendenti, alle industrie che hanno delocalizzato, al sistema bancario e a tutti coloro che spaventa il rischio-cambio. Compreso gli idioti che vogliono fare viaggi a eurodisney senza dover cambiare moneta.

8) Negli ultimi 35 anni siamo stati governati da una banda di criminali che ha pensato alle proprie carriere ed interessi privati. Siamo stati traditi! Traditi e svenduti al nemico. 9) Se ho dimenticato qualcosa di importante aggiungete pure. Rimanendo in UE ed euro, anche se in un sol COLPO avessimo la MIGLIORE classe politica di sempre, in 10 anni avremo il DESERTO INDUSTRIALE e sociale. La Grecia è lì a ricordarcelo.

Roberto Nardella
 
non vuole che si sappia. Il resto è propaganda" Horacio Verbitzky

















































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martedì 15 aprile 2014

Banchieri alieni (cfr. dall'inglese "stranieri") e triangolo delle Bermuda in Europa



Scrive Marco Saba sul suo facebook:

La Banca d'Inghilterra ha appena confermato nel bollettino n.1 del 2014 che le banche non sono intermediari finanziari, come popolarmente si crede, ma creano tutto ii denaro che prestano all'istante. Questo vuol dire che la voce CREDITI VERSO CLIENTELA, che appare nello Stato Patrimoniale, dovrebbe apparire nel conto economico come NUOVO DENARO CREATO, dalla quale, tolte le spese di gestione, si ottiene un bilancio più preciso dello stato della banca. La pretesa della banca di NON indicare quella voce, facendo apparire i prestiti come derivanti dalla refurtiva precedente, disegna un bilancio falso che mostra utili ridicoli ed irrealistici. In questo modo, ad esempio, dal bilancio BPER sono spariti 46 miliardi nel 2013. La circolare 262 bankitalia parla chiaro sostenendo che se le regole contabili seguite non danno il risultato reale dell'esercizio, NON DEVONO ESSERE SEGUITE !(pag.14). Ma chi se ne accorge ?
La seconda domanda è: ma dove finisce allora tutta questa massa di denaro fantasma ? Nel Triangolo delle Bermuda europeo delle società di compensazione interbancaria: ECS (Euroclear - Clearstream - SWIFT) dove le banche hanno oltre 17.000 conti neri, oltre a quelli ufficiali....
La terza domanda è: chi ha inventato questo sistema di occultamento attraverso questi conti ? La risposta è... Roberto Calvi. La Deloitte&Touche quando si chiamava ancora TOUCHE & ROSS fece la perizia contabile del Banco Ambrosiano e venne fuori che la banca non era per niente in perdita, anzi.. Ma la perizia contabile venne messa sotto segreto di Stato in Inghilterra dalla Regina stessa (Crown Secret). Il funzionario contabile da me all'epoca intervistato, si nascose dietro questo segreto... Ma oramai potevate anche arrivarci da soli...
"La signora Margret Thatcher ha messo sotto segreto di Stato la polizia contabile generale sulle attività estere del Banco Ambrosiano. Brian Smouha, il revisore dei conti della Touche & Ross che curò la liquidazione, segretata, dell'Ambrosiano, è lo stesso che poi ha gestito la liquidazione della BCCI."
I magistrati italiani liquidarono il Banco Ambrosiano senza farsi troppe domande, a quanto pare... Il Banco chiuse di domenica, per riaprire il lunedì successivo col nome NUOVO BANCO AMBROSIANO.
La segretaria di Calvi venne suicidata-defenestrata duranta un CDA della banca: http://www.girodivite.it/GRAZIELLA-CORROCHER
 
Formidabile Le Pen!!!

"L'euro è diventato vantaggioso per le potenze finanziarie, per le multinazionali, per le banche e questa moneta sta schiacciando i popoli e le aziende, sta uccidendo la nostra occupazione, sta asfissiando le nostre ...esportazioni. Abbiamo vissuto per millenni con le nostre monete nazionali e adesso dopo 12 anni ci dicono che non possiamo tornare alle nostre monete...molti paesi in passato sono tornati alle loro monete, è una menzogna il fatto che non si possa tornare indietro, una menzogna raccontata per impedire che possiamo recuperare uno strumento che ci riporti alla prosperità. (...) I contribuenti e i popoli vengono utilizzati per pagare le banche"
https://www.youtube.com/watch?v=cldcEUjNTYQ Altro...



Marine Le Pen DISTRUGGE la Bilderberghina Lili Gruber
www.youtube.com

Otto&mezzo LA7 15/04/2014 . TAGS: Marine Le Pen, Bilderberg, Corporation

 
Pubblicato da Nicoletta Forcheri a 01:23 Reazioni: Link a questo post ShareThis Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest






lunedì 14 aprile 2014

Irlanda 1970, Chiusura delle Banche.



Articolo di Pasquino Orsini

“Cos’è il denaro?”
Il 4 maggio apparve sull’ “Irish Independent”, il miglior quotidiano d’Irlanda, un avviso a tutto pagina, dal titolo semplice ma allarmante: “CHIUSURA DELLE BANCHE”. L’annuncio, pubblicato dalla Commissione Permanente delle Banche d’Irlanda, gruppo che rappresentava tutte le principali banche irlandesi, informava il pubblico che a causa del grave deterioramento dei rapporti industriali fra le banche e i loro impiegati, . L’annuncio proseguiva: . Potrà sconvolgere l’idea che il sistema bancario di una economia avanzata potesse chiudere pressochè in blocco da un giorno all’altro, in tempi così recenti. All’epoca, tuttavia, questo esito era ampiamente previsto, non fosse altro perché si era già verificato una volta, nel 1966. L’oggetto del contenzioso fra le banche e i loro impiegati era ben noto all’ Europa della fine degli anni sessanta: l’aumento degli stipendi rispetto a quello dei prezzi. L’inflazione alta per tutto il 1969 (in autunno il costo della vita era salito più del 10% rispetto ai quindici mesi precedenti) aveva spinto il sindacato dei dipendenti a esigere un nuovo accordo sui pagamenti. Le banche si erano rifiutate, e l’Associazione irlandese dei funzionari di banca aveva decretato lo sciopero.
Fin dall’inizio, ci si aspettava che la chiusura delle banche non sarebbe stata breve, dunque ci si preparò all’eventualità. La prima reazione delle aziende fu quella di fare incetta di monete e banconote. Scrisse l’”Irish Independet”:
Ci furono prelievi massicci di contante in tutto il paese: le aziende accumulavano scorte in previsione di una chiusura. Si preannunciano ottimi affari per le compagnie di assicurazione, rivenditori di casseforti e società di sicurezza durante tutto il periodo di “shut down”. Fabbriche e altre attività dagli organici numerosi si sono attivate per ricevere denaro contante da grosse rivendite come supermercati e grandi magazzini per far fronte ai pagamenti degli stipendi.
Ma nel primo mese della crisi divenne evidente che la situazione non era poi così nera. Ad aprile la Banca Centrale d’Irlanda aveva soddisfatto deliberatamente il surplus di richieste di contante, dunque a maggio circolavano circa 10 milioni di sterline in più del solito in monete e banconote. I flussi di pagamento diedero inevitabilmente origine a un eccesso di piccoli tagli in alcuni luoghi (in genere nei negozi e altre attività al dettaglio) e una mancanza di altri, di solito grossisti e pubbliche istituzioni che non avevano motivo di ricercare contanti nel corso degli affari della giornata. La Banca Centrale fece persino un vano appello alla società statale di autobus affinchè distribuisse contanti ai passeggeri. Ma questi ingorghi nella circolazione di monete e banconote si rivelarono un inconveniente da poco. Il motivo era che la stragrande maggioranza dei pagamenti continuava a essere effettuata tramite assegno; in altre parole trasferendo denaro dal conto corrente di un individuo o di una azienda a quello di un altro, nonostante le banche dove i conti erano tenuti fossero chiuse. Nella sua relazione sull’intera faccenda, la Banca Centrale d’Irlanda osservò che prima della chiusura .
La domanda cruciale, dunque, era se questo “denaro bancario” avrebbe continuato a circolare. Soprattutto per i privati non c’era davvero scelta: per ogni spesa eccedente il contante che possedevano quando le banche avevano chiuso il primo maggio, l’unica possibilità era quella di scrivere delle cambiali sotto forma di assegno e sperare che fossero accettate.
La cosa degna di nota fu che, durante quella lunga estate, le transazioni proseguirono e gli assegni vennero scambiati quasi esattamente come al solito. L’unica ovvia differenza fu che nessuno degli assegni poteva essere presentato in banca. Di norma è questa la struttura che perlopiù solleva i venditori dal rischi insito nell’accettare pagamenti a credito: gli assegni possono essere incassati alla fine di ogni giornata lavorativa. Con l’arresto del sistema bancario, però, gli assegni erano temporaneamente soltanto delle cambiali private o aziendali. I venditori che li accettavano si affidavano soltanto al proprio giudizio personale sul credito dei compratori. Il rischio maggiore, dunque, era che si abusasse di quel sistema improvvisato. Date che gli assegni non venivano riscossi, in linea di principio nulla impediva di scrivere assegni per importi che non si possedevano. Affinchè il sistema funzionasse i pagati dovevano confidare che gli assegni dei paganti non fossero scoperti, e tutto questo senza avere idea di quando le banche avrebbero riaperto, per poterlo verificare. Il “Times” di Londra seguiva gli eventi al di là del mare d’Irlanda con grande interesse, e a luglio notava sia il fatto straordinario che nulla sembrava essere cambiato granchè, sia la fragilità apparente della situazione. , scriveva il suo corrispondente. . Ma quell’equilibri precario poteva durare? < Esiste però oggi il rischio psicologico che, se il contenzioso si trascinerà, la cautela venga abbandonata, soprattutto dalle piccole imprese>. Qua e la iniziavano effettivamente ad apparire delle crepe. A un mese dalla chiusura ci fu un momento di panico quando alcuni mercati di bestiame annunciarono che non avrebbero più accettato assegni da privati. A luglio un agricoltore di Omagh che era stato condannato per aver introdotto illegalmente nella Repubblica sette maiali non potè pagare la multa comminatagli di 309 sterline, per mancanza di liquidità. E nel corso dell’estate la lobby delle aziende, incoraggiata dalle banche ed esasperata dalle spese sostenute per aggirare la loro chiusura, iniziò a disseminare nei giornali dichiarazioni allarmistiche, affermando per esempio che < A causa del contenzioso delle banche si sta diffondendo nell’economia una paralisi in rapido aumento>. Ma le prove raccolte dalla Banca Centrale d’Irlanda alla risoluzione della crisi nel novembre 1970 dimostrano l’esatto contrario. La sua relazione sulla chiusura concludeva non soltanto che < l’economia Irlandese ha continuato a funzionare per un periodo ragionevolmente lungo pur con le principali banche di compensazione chiuse al pubblico>, ma che in quel periodo. Per quanto sembrasse incredibile subito prima e subito dopo, in qualche modo aveva funzionato: per sei mesi e mezzo, in una delle 30 economie più ricche del mondo all’epoca, .
Alla fine, il maggior impedimento causato da questo sistema tanto riuscito si rivelò di natura logistica. Quando le banche e i loro dipendenti raggiunsero finalmente un accordo sui pagamenti, e fu annunciato che le banche avrebbero riaperto il 17 novembre 1970, privati e aziende avevano accumulato una mole enorme di assegni non riscossi. Sui giornali apparvero annunci che invitavano i clienti a non presentarli tutti insieme, e avvertivano che difficilmente i saldi dei conti si sarebbero riallineati prima di parecchie settimane. Ci vollero altri tre mesi, da novembre a metà febbraio del 1971, prima che tutto tornasse alla normalità. A quel punto erano stati presentati per la riscossione cinque milioni di sterline in assegni compilati durante il periodo di chiusura. Era il denaro che il popolo irlandese si era prodotto da sé mentre le banche erano in sciopero.
Come si era potuto realizzare questo apparente miracolo di cooperazione economica spontanea? L’opinione diffusa dopo il fatto era che a questo esito positivo avevano contribuito vari elementi della vita sociale irlandese, non ultimo il più famoso: il pub. La difficoltà principale era stabilire l’affidabilità creditizia di chi pagava con assegni non riscuotibili. L’Irlanda era avvantaggiata in questo senso, dato che le comunità, sia nelle città sia in campagna, erano molto compatte. Ognuno conosceva di persona quasi tutti quelli con cui trattava, e dunque poteva farsi facilmente un’idea della loro affidabilità. Ma nel 1970 l’Irlanda aveva comunque una economia sviluppata e diversificata, per cui le cose non stavano sempre così. Fu qui che i pub e le botteghe si rivelarono preziosi, fungendo da nodi del sistema, raccogliendo, garantendo e riscuotendo assegni come un sistema bancario sostitutivo. L’economista irlandese Antoin Murphy concludeva, con ammirevole circospezione: < Pare che i gestori di queste rivendite e pubblici esercizi disponessero di molte informazioni sui propri clienti; dopotutto non si serve da bere a qualcuno per anni senza venire a sapere qualcosa circa la sua liquidità>.

La chiusura delle banche irlandesi dimostra che l’armamentario ufficiale di banche, carte di credito e banconote solennemente decorate con emblemi impossibili da contraffare, non è una componente essenziale del denaro. Tutto ciò può scomparire e il danaro rimarrà comunque: un sistema di credito e di debito, che si espande e contrae senza sosta come un cuore pulsante, mantenendo in vita la circolazione dei commerci. Quel che importa è soltanto che esistano emittenti che il pubblico considera affidabili dal punto di vista creditizio, e una convinzione sufficientemente condivisa che le loro obbligazioni saranno accettate da terzi. In genere è facile soddisfare questi criteri per i governi e le banche: mentre per le società, e ancor più i privati, è in genere difficile. Ma come dimostra l’esempio irlandese, queste regole indicative non hanno validità universale. Quando si disintegrano gli ordinamenti monetari ufficiali, è sorprendente l’efficacia con cui la società improvvisa delle alternative.

Tratto da: Denaro, di Felix Martin, 2013



Pubblicato da Nicoletta Forcheri a 19:59 Reazioni: Link a questo post ShareThis Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest










domenica 13 aprile 2014

Bilans des banques centrales pour les nuls !



10 Bilans des banques centrales pour les nuls !

Rédigé par jp-chevallier dans la rubrique Banques La banque centrale helvète (la BNS) peut être considérée comme le modèle des banques centrales : c’est une banque qui présente des aspects de banque ordinaire dans la mesure où elle est constituée sous la forme d’une société anonyme cotée en bourse ayant des actionnaires privés mais aussi publics, les cantons et les banques cantonales qui sont majoritaires,
Document 1 :

Elle présente donc des bilans comme toutes les autres entreprises, avec des capitaux propres constitués d’un capital apporté par les actionnaires initiaux (100 000 actions à 250 francs, soit 25 millions) et surtout de réserves accumulées, dont 48 milliards de francs sous la dénomination de provisions pour réserves monétaires constituées pour l’essentiel de bénéfices accumulés
Document 2 :

qui peuvent être aussi des déficits ! … comme par exemple quand les cours de l’or baissent, ce qui s’est passé en 2013 (15 milliards de pertes sur ce poste !).
Tous les 8 millions de petits Suisses en ont compris les conséquences : les cantons actionnaires ne recevront pas de dividendes cette année, ce qui sera automatiquement compensé par des hausses d’impôts, ce qui les rend furieux, dans la mesure où ils peuvent l’être…
Le problème est qu’ils sont cernés par 330 millions de barbares ignares qui ont adopté une monnaie unique contre nature dépendant de la BCE qui n’est pas une banque ordinaire.
En effet, pour éviter de faire apparaitre leurs erreurs de gestion, en particulier des déficits, les Marioles de la BCE ne publient pas le montant des capitaux propres, mais le capital (poste 12) d’une part et des comptes de réévaluation (poste 11) qui sont en fait constitués des réserves accumulées provenant pour l’essentiel des bénéfices accumulés (et éventuellement de déficits !) comme pour la BNS…
Document 3 :

407 milliards d’euros au 31 décembre 2012 qui sont tombés à… 262 milliards au 31 décembre 2013
Document 4 :

… ce qui signifie que ces Marioles de la BCE ont fait perdre… 145 milliards d’euros aux malheureux Euro-zonards qui n’ont rien compris à la manip ! … et non pas 42 milliards comme je l’ai écrit précédemment par erreur.
Ces pertes gigantesques proviennent pour l’essentiel de la chute des cours de l’or dont la valeur détenue par la BCE est tombée de 438 milliards d’euros fin 2012
Document 5 :

à 302 milliards fin 2013
Document 6 :

… soit une perte gigantesque de 135 milliards sur ce seul poste !
Ces exemples de bilans de banques centrales montrent une fois de plus l’incompréhensible folie qui s’est emparée de ces 330 millions d’Euro-zonards alors que les 8 millions d’heureux petits Suisses continuent à raisonner et à réagir normalement, correctement.
Une telle absurdité (qu’est l’euro) ne peut que produire un gigantesque cataclysme. Seule la date est inconnue.
Une remarque pour terminer : les banques centrales ne devraient pas détenir d’or car il s’agit d’un actif dont le cours peut varier de façon inattendue, ce qui peut avoir de graves conséquences.
La richesse des nations et de leurs habitants ne dépend pas de la détention d’or, mais de leur aptitude à créer des richesses.
Les banques centrales ont pour fonction de gérer le système monétaire de leur nation afin que cetterichesse des nations soit optimisée.
Tout est simple.
P.S. : pour les flemmards du mulot, cliquer ici pour voir la page de la BNS donnant les informations sur sa cotation en bourse :
Document 7 :

Et il y en a qui osent encore douter de ce que


 

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