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:prr::prr::prr::prr::prr::prr::prr::sorpresa::sorpresa::sorpresa::sorpresa::rasta::rasta::rasta::ciapet::ciapet::ciapet::ciapet:Eh sì perchè il diavolo fa le pentole ma non i coperchi: l'attuale quadro delle competenze che Bankitalia si è affrettato a introdurre in Statuto, la taglia fuori dal costituire la BC di emissione in caso di ripristino della sovranità monetaria. Irreversibile per irreversibile, visto che ci tengono tanto, tanto vale ricostituire una nuova banca e riappropriarsi, trasferendogliele, delle riserve afferenti alle funzioni cui bankitalia tiene tanto a rinunziare
 
BANKITALIA: colpo di Stato e alto tradimento in Italia su RAZ24 con Marco Della Luna

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L'ILLUSTRE ECONOMISTA GUIDO ORTONA: ''PERCHE' IL PD NON PROPONE UNA VERA VIA D'USCITA DALLA CRISI? CRETINI O COMPRATI?

sabato 8 febbraio 2014
Mistero: ma perché quelli del Pd non propongono mai nessuna vera via d’uscita dalla crisi? Due ipotesi: sono semplicemente cretini, oppure sono stati comprati. Il professor Guido Ortona, che insegna all’università del Piemonte Orientale, propende per la seconda ipotesi: «E’ molto plausibile che il Pd si sia venduto ai padroni», sia pure «padroni di tipo nuovo, diversi dai loschi commendatori di un tempo». E la stessa Sel, ovvero «l’unico partito di sinistra che rimane», dimostra «una analoga mancanza di coraggio nel fare proposte chiare» per uscire dal tunnel. Un critico come Paolo Barnard invita a rileggere lo spietato “memorandum” dell’avvocato d’affari Lewis Powell, incaricato già all’inizio degli anni ‘70 – dalla destra americana – di risolvere il “problema” della sinistra. La ricetta di Powell? Semplicissima: “comprare” i generali nemici costa molto meno che sostenere una guerra contro i loro eserciti. Dunque: stroncare la sinistra radicale – politica e sindacale – e “addomesticare” la sinistra riformista, in modo che rinunci a difendere i diritti sociali.
«Nessuna componente del Pd sta mettendo al centro del suo programma politico delle proposte per uscire dalla crisi», premette Ortona in un articolo su Goofynomics”. «La cosa è tanto più strana», perché «nella cultura economica della sinistra queste proposte invece non solo esistono, ma sono ovvie». Come spiegare questo silenzio? «Non è sufficiente invocare la stupidità, la corruzione e l’ignoranza dei politici del Pd, che sono peraltro sotto gli occhi di tutti», perchè «essere ignoranti e stupidi può essere non tanto un caso quanto una scelta, come lo è ovviamente essere corrotti». Per Ortona, le conseguenze del massacro sociale in atto – per volere dell’élite oligarchica che regge l’Unione Europea – non sono che «ovvietà storiche ed economiche». La prima: non è mai esistita un’economia capitalistica basata solo sull’efficienza dei mercati. E’ sempre stato necessario un poderoso intervento dello Stato, declinabile in due modi: politica monetaria (espandere l’offerta di moneta e/o operare sui tassi di cambio) o politica fiscale (espandere il debito pubblico e/o trasferire redditi mediante politiche redistributive). Problema: una politica monetaria espansiva «è resa impossibile dalla partecipazione all’euro», mentre una politica fiscale espansiva è bloccata «dal livello del debito pubblico».
In queste condizioni, quindi, «non si può uscire dalla crisi». Anzi, «la crisi è destinata ad aggravarsi, perché ogni anno lo Stato sottrae alcune decine di miliardi al circuito economico per pagare gli interessi sul debito». “Sottrae”, perché la maggior parte del debito è sottoscritto dal sistema bancario internazionale; solo per un settimo circa è in mano alle famiglie italiane. «Ciò significa che gli interessi pagati non stimolano la domanda italiana se non in minima parte, a differenza per esempio del Giappone, dove il debito è quasi tutto in mano a cittadini giapponesi, e quindi il pagamento di interessi si traduce quasi solo nella trasformazione di domanda pubblica in domanda privata». Verità palesi, eppure negate – senza timore del ridicolo – da chi, come lo stesso Renzi, continua a sostenere che per uscire dal disastro basti tagliare la spesa pubblica (proprio come vogliono le super-lobby) senza fare alcuna politica monetaria, ovvero senza uscire dall’euro o trasformarlo in moneta sovrana. «Dato che nessuno può sostenere quanto sopra in buonafede, abbiamo un primo indizio per risolvere il mistero: in realtà il Pd non vuole uscire dalla crisi». Già, ma perché?
È evidente, continua Ortona, che chi avesse il coraggio di proporre delle soluzioni serie alla crisi avrebbe un cospicuo vantaggio elettorale; e tanto più se queste soluzioni implicassero una seria politica redistributiva ai danni di una minoranza e a favore di una maggioranza. «I ricchi in Italia non sono mai stati così ricchi: difficilmente una politica di perequazione sarebbe impopolare». Per esempio, «un’imposta dell’1% sulla ricchezza finanziaria dei ricchi basterebbe a risolvere il problema della povertà». Eppure, «non solo non lo si fa», ma «non lo si dice nemmeno». Peggio: «Non si vuole redistribuire il reddito mediante politiche fiscali. E poiché è ovvio che questa sarebbe una politica possibile e popolare, è evidente che il Pd come partito di governo è disposto a rinunciare a massimizzare il consenso. A riprova di ciò, il colossale trasferimento di voti ai “5 Stelle” non ha destato particolari preoccupazioni». Sicché, gli “indizi” cominciano ad assumere una direzione precisa. «È evidente che se un partito politico non ha più come obbiettivo quello di massimizzare i voti è perché ne ha qualche altro. Quale può essere?». Seguite i soldi, direbbe l’investigatore. E i soldi dei nuovi super-ricchi sono quelli della finanza, ormai svincolata dall’economia reale. Un vero, mostruoso apparato di dominio.
«I padroni del Monte dei Paschi hanno sperperato miliardi, ma ogni euro sperperato da qualcuno è un euro guadagnato da qualcun altro», continua Ortona. «E quei miliardi erano sicuramente abbastanza per creare un enorme sistema di potere. Non solo Mussari e compagni: un sacco di gente ha bisogno che i crediti del sistema bancario vengano pagati. È una lotta di classe. Da una parte i padroni della finanza, e i loro vassalli, vogliono che l’economia reale rimborsi i loro crediti e paghi i loro interessi; dall’altra l’economia reale, dato che è in crisi profonda (sopratutto in Italia) deve sottrarre queste cifre ad altri usi, come le pensioni, i salari e i servizi pubblici. Ciò naturalmente crea ulteriore depressione, e così via: come in Grecia, se vincono i primi ci si fermerà solo quando non ci saranno più ossa da spolpare». Quindi: ci sono delle lobby così ricche e potenti da imporre agli italiani di pagare «col sudore e col sangue i loro crediti». E un sacco di gente «vive dei profitti (meglio, delle rendite) di costoro». Eppure – altro indizio – il Pd non denuncia questa situazione.
Mettiamo allora insieme gli indizi, continua Ortona. Il Pd non vuole uscire dalla crisi; dalla crisi si esce solo contrastando il potere del capitale finanziario (per esempio uscendo dall’euro, il che svaluta il debito e rilancia le esportazioni, oppure congelando il debito o facendo default, il che riduce i pagamenti per interessi); il capitale finanziario è potentissimo; il Pd ha obbiettivi diversi dal massimizzare il consenso. «La conclusione sembra chiara: il Partito Democratico è stato comprato dal capitale finanziario». Attenzione: «Non è detto che questo sia sempre stato fatto con il vecchio metodo delle valigette piene di denaro. Fra questo estremo e la perfetta buona fede ci sono infinite gradazioni, e i dirigenti del Pd, a partire dal presidente delle Repubblica, hanno ampiamente dimostrato di sapere venire a patti molto bene con la loro coscienza. Se un dirigente del Pd vuole pagare fior di quattrini per degli inutili F-35 potrà essere perché è stato pagato, o perché è riuscito a convincersi che servono davvero. Sono affari suoi. La sostanza non cambia».
Purtroppo, aggiunge Ortona, gli “indizi contrari” non sono attendibili. «Il primo è risibile, ma viene spesso citato: e cioè che la base del Pd è composta perlopiù da persone per bene». L’ovvia obiezione è che «la base del Pd ha ben poco a che fare coi suoi vertici». La seconda obiezione: la crisi sta travolgendo anche gli stessi vertici. In effetti, «sembra difficile che un partito così pasticcione e pasticciato possa essere un buon strumento nelle mani di chi l’ha comprato». Eppure, la contraddizione è solo apparente: «La lotta fra satrapi di partito diventa violenta (nel caso del Pd la si potrebbe definire, con Karl Kraus, una lotta disperata ma non seria) quando la ricollocazione del partito stesso apre da una parte prospettive ricchissime per chi sa posizionarsi bene, e dall’altra una tragica fine per chi sbaglia scelta». Lo slogan del festival nazionale del Pd a Genova era “perché l’Italia vale”. «Non deve essere stato facile trovare una frase così stupida e soprattutto così priva di significato: ma questa mancanza indica appunto quanto sia grande la paura di spaventare qualcuno che domani potrebbe essere vincente».
Il terzo controindizio è anche quello a prima vista più convincente: molti esponenti intermedi del Pd sono seri professionisti che fanno il loro mestiere, non sono corrotti e non hanno tempo da perdere con tutte quelle beghe politiche. Ci sono Comuni da gestire, appalti da assegnare, concorsi da indire. Se il partito ha deciso di comprare gli F-35, al sindaco spetta il compito di amministrare i fondi che ne derivano alla sua istituzione. La decisione ormai è presa. Chi riceveva soldi dal Monte dei Paschi non aveva né tempo né interesse a chiedersi da dove venivano. «Ma supponiamo che invece se lo fosse chiesto. Cosa cambiava? Se avesse dato l’allarme avrebbe ottenuto solo di perdere il posto, senza in realtà produrre nessun cambiamento nel sistema. Meglio tacere. Ora, in realtà c’era, e c’è, una soluzione ancora migliore del tacere: non sapere. È molto più rapido e sicuro non porsi le domande piuttosto che dovere gestire delle risposte scomode. Essere ignoranti e apparentemente sciocchi non è quindi necessariamente una caratteristica Fassinoantropologica (anche se naturalmente in molti casi uno sciocco è più utile di un non sciocco): può benissimo essere una scelta».
Così, «l’ignoranza diventa buon senso, la limitatezza delle vedute diventa realismo». Anche il sistema di potere Craxi-Andreotti-Forlani era un sistema di potere “normale” per chi vi operava, «come ha coerentemente e nostalgicamente ricordato Fassino non molto tempo fa». Risultato finale: «La tragica scomparsa del livello reale dei problemi dal dibattito politico», ignorando sempre «il livello in cui la gente normale vive e soffre». Conclusioni: «Parafrasando Sherlock Holmes, “quando tutte le ipotesi assurde devono essere rifiutate, allora rimangono solo quelle plausibili”». Esatto: il Pd è stato “comprato” – secondo la ricetta di Lewis Powell – perché evitasse di disturbare i grandi manovratori del noeliberismo, che in Europa hanno trasformato Bruxelles in una capitale coloniale, mettendo al guinzaglio tutti i governi dell’Eurozona. Altrimenti non si spiega la condotta del Pd: che continua a non voler risolvere nulla e si rassegna persino a perdere voti, dal momento che rinuncia “misteriosamente” a difendere gli italiani. «Voglio sperare che si tratti solo di ignoranza e inadeguatezza», conclude Ortona, «ma non ne sono sicuro».
Fonte notizia: libreidee.org.

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giovedì 9 gennaio 2014

GLI INQUIRENTI BRANCOLANO NEL BUIO (la dolce EUchessina)





A questo punto titolare così appare persino ingiusto:
LETTA COME IL MAGO HOUDINI: FA SPARIRE POSTI DI LAVORO – SOLO A NOVEMBRE NE SONO SCOMPARSI 57MILA, IN UN ANNO 448MILA - DISOCCUPAZIONE MAI COSÌ ALTA DAL 1977

Se infatti si continua a insistere che il problema è il debito pubblico, causato dalla spesa pubblica (eccessiva in sè o per via di sprechi? Non è ben chiaro: nel dubbio, entrambi, what else?) che provoca un eccesso di pressione tributaria (chissà come mai, a partire dal "vincolo esterno"), e si pensa che questi problemi siano risolvibili senza riconquistare la flessibilità del cambio e la sovranità fiscale, e senza rimettere in discussione il ruolo della banca centrale, ma anzi insistendo su posizioni esattamente opposte, beh, sono gli stessi critici dell'attuale premier a promettere un fallimento peggiorativo, qualora si sostituissero a lui (sì caro Mauro, hai ragione mille volte, ma i voti e il PUD€ mediatico sono questi, ora come ora).

L'ossessione del recupero della "competitività" effettuato con le supply side (ammesso che si rendano conto di star facendo ciò), in regime di pareggio di bilancio (o anche solo in presenza di tetto al deficit) non è nemmeno scalfita e un problema di domanda non riescono a scorgerlo. Gold standard Uber Alles e via così!

Che ci volete fa'? Il PUD€ è sempre il PUD€ e si perpetua senza soluzione di continuità. Anche quando finge di voler risovere i problemi che esso stesso si è, con grande "serietà", autoimposto di provocare: il fatto è che non se ne rendono conto.

Nel frattempo, tra le infinite cose che potrei segnalarvi (ma avremmo già detto tutto da un pezzo), da Jack Lew non c'è molto da sperare. Almeno per ora. Almeno fino a quando non abbandoneranno l'idea del patto di libero scambio interatlantico come qualcosa di irrinunciabile. Non è più il tempo per simili facezie, che ignorano i problemucci istituzionali ordoliberisti (do ya get the drift? No big deal, as long as you do not face the truth) che affliggono l'Europa: è come sperare che uno zoppo sia curabile obbligandolo a fare scatti in salita (quegli stessi "scatti in salita" che gli USA non sono in grado di fare, andando anzi in discesa e con quella andatura caracollante di cui parla Krugman).

Persino ad Aspen se ne rendono conto!!!!...Sentite, uno spasso: "L'UE non può decidere di entrare in un'area di libero scambio con gli USA con una FED che può intervenire sui cambi e acquistare titoli di Stato e una BCE che non può farlo; né tenere divari nei tassi dell'interesse ufficiali che inducono il dollaro creato in eccesso a trasferirsi nell'area euro, apprezzandone il cambio (Oddio, e il surplus tedesco invece non c'entra nulla? ndr.). Occorre perciò coordinare le politiche monetarie affinché le parità monetarie tra le due monete non si discostino dalle ragioni di scambio per generare un habitat di fair competition. Né si può inoltre competere con un paese che non ha limiti nel rapporto deficit pubblico/PIL (cosa non del tutto esatta, come ben evidenziava Minsky: è solo che possono rifissarlo di anno in anno, in base ad un apposito emendamento, meno "fesso" del trattato UE, ndr.), mentre nell'UE vi sono limiti rigorosi che generano politiche deflazionistiche. Anche in questa materia è necessario uno stretto coordinamento". Insomma, vorrebbero politiche deflazioniste e "disoccupazionali" anche negli USA e magari un accordo di cambio fisso col dollaro!.

In Italia, che se ne rendano conto, non ci sperate: semmai il tram ci arriverà addosso in pieno frontale e senza neppure una frenatina.

Insomma, come dice un'antica saggezza (Pippo Franco d'antan): per i bambini buoni la dolce EUchessina, gli altri spingano...
 
Padova












IL PASTICCIACCIO BRUTTO DELLA BANCA D’ITALIA


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10 febbraio 2014 |
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Autore Redazione | Stampa articolo

Le opinioni eretiche

di Michele Rallo
Decreto Imu-Bankitalia: una cosetta da nulla, un trucchetto da baraccone per togliere dalle tasche di tutti noi 7 miliardi e mezzo di euro (più o meno equivalenti a 15.000 miliardi delle vecchie lire) e regalarli alle banche private che sono azioniste della Banca d’Italia. Più una sinecura annua di altri 400 milioni di euro (ossia 800 miliardi di lire). Ma questi sono dettagli, perché l’aspetto più grave della cosa è una sorta di ri-privatizzazione della Banca d’Italia, cancellando ogni residua parvenza di statualità e destinando definitivamente quello che era un bene pubblico (cioè di tutti noi) alle banche italiane e straniere. Rimandando per il dettaglio ad un precedente articolo («De Benedetti e le banche: beneficiati dal governo Letta» su “Social” del 20 dicembre scorso), vorrei ricordare alcuni antefatti della vicenda.

Nata nel 1893 come banca privata, nel 1926 la Banca d’Italia aveva attribuito l’incarico esclusivo dell’emissione monetaria e quello della vigilanza sulle altre banche. Successivamente, nel 1936, il governo fascista la trasformava in “istituto di diritto pubblico”, espropriava gli azionisti privati e trasferiva le loro quote alle banche d’interesse nazionale (che nel frattempo erano state nazionalizzate).


A partire dagli anni ’80 iniziava una manovra della Comunità Europea (progenitrice dell’attuale Unione Europea) per imporre agli Stati associati la “liberalizzazione” delle rispettive economie nazionali e segnatamente dei sistemi bancari. L’Italia aderiva con entusiasmo degno di miglior causa, e nel 1990 la Legge-delega Amato-Carli poneva le premesse per la privatizzazione del nostro sistema bancario, sancito poi dal Testo Unico Bancario del 1993.

Le grandi banche italiane, che erano state nazionalizzate dal fascismo, venivano adesso privatizzate e, conseguentemente, l’azionariato della Banca d’Italia passava dagli enti pubblici ad aziende private. Aziende che, messe “sul mercato”, venivano offerte alla partecipazione di tutti i potenziali investitori, anche stranieri, anche con interessi ipoteticamente contrari a quelli dello Stato italiano. E, infatti, nell’azionariato delle banche che detengono la maggioranza delle quote della Banca d’Italia troviamo soggetti quali: J.P. Morgan Chase & Co Corporation, Harbor International Fund, Aabar Luxembourg (emanazione dell’Aabar Investments di Abu Dhabi), PGFF Luxembourg (emanazione del Pamplona Global Financial Istitution), Delfin SARL, Central Bank of Libya, Libyan Arab Foreign Bank, Capital Research and Management Company, European Pacific Growth Fund, Carimonte Holding, Abn AmRo, Abn AmRo Holding, Abn AmRo Bank NV, Abn AmRo Bank Luxembourg, Algemene Bank Nederland BV. Piccole partecipazioni, naturalmente, ma che adesso – grazie ai meccanismi introdotti dalla legislazione lettiana – potrebbero ambire ad una più robusta e diretta partecipazione all’azionariato della Banca d’Italia.

A tale stato di cose aveva cercato di porre rimedio Silvio Berlusconi con la Legge 262 del 2005: pur senza mutare il quadro generale del sistema bancario, veniva stabilito che, entro tre anni, le quote di Bankitalia detenute da soggetti privati tornassero allo Stato. Ma le elezioni dell’anno seguente segnavano la vittoria di Mister Privatizzazioni – al secolo Romano Prodi – il quale si affrettava a varare una legge di segno opposto, che abrogava il vincolo del controllo pubblico sulla Banca d’Italia.

E adesso questo incredibile Decreto Imu-Bankitalia viene a fugare definitivamente ogni minaccia agli interessi di banche private e fondi speculativi internazionali, sancendo l’irreversibilità della privatizzazione della nostra banca centrale e la possibilità per le banche straniere di partecipare direttamente al suo azionariato. Oltre, naturalmente, alle regalìe in moneta sonante.
 

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