E DEL RESTO L'OROSCOPO L'AVEVA DETTO, I PRIMI 83 ANNI SARANNO UN PO' COSI'

Per capire in che paese viviamo, basta vedere come sono messi oggi i 5 Stelle:

secondo il tribunale di Cagliari, il loro legale rappresentante non è Crimi
o qualche altro parlamentare, men che meno “Giggino” Di Maio
(ospite di Boris Johnson agli esclusivi tavoli di Annabelle’s a Mayfair, alla faccia degli italiani)
ma è il simpatico avvocato Silvio Demurtas, che ironicamente dice di essere uno che alleva “trenta pecore e qualche maiale”.


In qualità di legale rappresentante del movimento fondato da Grillo e Casaleggio,
vedremo mai l’avvocato Demurtas ospite del Quirinale o della signora Gruber,
vera rappresentante del pluralismo giornalistico di questo paese insieme a Scanzi,
alla signora Berlinguer e all’eroe nazionale Floris?

Cosa pensa, l’avvocato Demurtas?

Come parla, cosa dice?

Faccio una scommessa: sono pronto ad amputarmi il braccio destro,
se qualcuno dei nostri anchorman lo inviterà in qualche talkshow, ora che tecnicamente è il nuovo capo dei grillini.


Come funziona il sistema mediatico lo capii anni fa, quando a Napoli fui invitato da un editore
che intendeva affidarmi la direzione del quotidiano “L’Indipendente”, qualora fosse stato fatto rinascere.

Avrei dovuto coabitare con l’allora giovane Gennaro Sangiuliano, ora direttore del Tg2.

Con Sangiuliano ebbi un cordiale incontro, al bar.

Mi mostrò le prove di un vero e proprio scoop, le foto di Pier Ferdinando Casini
– al tempo, non ancora presidente della Camera ma già tra i leader del centrodestra –
in compagnia dell’allora fidanzata “clandestina”, la ventenne Azzurra Caltagirone.

Sangiuliano scriveva sul “Roma”, storico quotidiano partenopeo.

«Cosa aspetti a pubblicare quelle foto?», gli domandai.

E lui: «Ma che, sei matto? Io quelle foto non le pubblico: anzi, le ho mandate all’onorevole Casini, per conquistare la sua perenne gratitudine».

Al che, finito l’incontro con Sangiuliano, tornai dall’editore, gli raccontai tutto
e gli dissi che non avrei mai potuto avere Sangiuliano come vicedirettore.

L’editore si mise a ridere: «Ha ragione, Moncalvo».


Siamo il paese dei Ferragnez, della professoressa D’Urso e di Enrico Letta,
che tace sulla Superlega ma in compenso si inventa una nuova formula per la Coppa Italia.

Cioè: non pago delle proposte appena formulate su temi cruciali e irrinunciabili, per gli italiani
– dallo ius soli al voto ai sedicenni – ora si mette a parlare anche di calcio, anziché occuparsi di politica.

E a proposito: avete sentito Letta dire una parola contro Andrea Agnelli, quando gli è venuta la sciagurata idea della Superlega?

Quella semmai sarebbe stata una battaglia da fare: tutelare il calcio povero, contro le squadre ricche.

Macché: non c’è pericolo che un politico italiano osi criticare un Agnelli, giammai.

Quanto al Pd, ormai è un partito esclusivamente romano, dominato da figure come Letta e Bettini.

Mettersi a parlare di Coppa Italia?

Ma questi sono da trattamento sanitario obbligatorio.


Ora siamo alle prese con una curiosissima gara, che vede schierato il fior fiore del giornalismo italiano: “Repubblica”, il “Fatto”, Mentana.

Qualcuno – la segretaria di Piercamillo Davigo al Csm, si dice – ha trovato sul tavolo un dossier sulla presunta Loggia Ungheria
(entità massonica con magistrati, prefetti, comandanti dei carabinieri) e lo avrebbe spedito ad alcuni giornali.

E cos’hanno scritto?

Niente.

E questo, nonostante il plico contenesse le dichiarazioni messe a verbale dall’avvocato Piero Amara, a lungo legale dell’Eni.


Di fronte a notizie simili, il giornalista italiano – specie se di alto livello – non fa un tubo.

Eppure, era facile verificare: bastava chiedere conferma ad Amara di esser stato effettivamente interrogato, dai magistrati.

E invece no: silenzio, dai direttori “tromboni”, che poi magari si vantano di dire “tutta la verità” sulla mafia.

Stavolta si sono fatti bagnare il naso da Emiliano Fittipaldi, del quotidiano “Domani” (di De Benedetti)
che invece il suo dovere l’ha fatto e la notizia l’ha data.



Bella figura, per i presunti depositari della verità: i Mentana, i Travaglio.

Mentana ha ammesso: sì, a febbraio gli erano arrivati elementi di questa storia
(Amara, i legami tra Acqua Marcia e Conte) ma non vi diede alcun seguito.

Capito, come gira il mondo?


Tanti anni fa, quando “La7″ era di proprietà di Telecom, quindi di Marco Tronchetti Provera,
Gad Lerner – allora in forza alla rete – ricevette un dossier, con anche una videocassetta,
che dimostrava un presunto caso di spionaggio, un lavoro commissionato da Telecom a un’agenzia di investigazioni contro un loro concorrente brasiliano.


E Gad Lerner cosa ha fatto, di quella busta?

Ha verificato se le informazioni del dossier fossero vere?

Nossignore: ha richiuso la busta e l’ha consegnata a Tronchetti Provera.


Se vi chiedete come mai sono stati liquidati con miliardi di lire

– lui, Fabio Fazio e altri, che allora erano a “La7″ al tempo di Tronchetti Provera – ora la risposta ce l’avete.



Come chiamare, questo?

La presa per i fondelli dei lettori, del popolo bue.


Quando nacque l’Auditel, per truccare gli ascolti a scopo pubblicitario,
il patto era tra Gianni Letta (per Mediaset) e Biagio Agnes (direttore generale della Rai).

Adesso, a trent’anni di distanza, sempre lui – lo zio di Enrico Letta –
ha proposto come nuovo presidente della Rai la figlia di Biagio Agnes, Simona: e questa è la quadratura del cerchio.


Siamo il paese in cui Matteo Renzi spiega di aver incontrato a febbraio, in un autogrill,
un uomo dei servizi segreti come Marco Mancini, “chiarendo” che Mancini doveva consegnargli i “babbi al cioccolato”
(meravigliosi wafer di Cesena) che non era riuscito a recapitagli per Natale.


Siamo il paese in cui l’editore deve ritirare dalle librerie “Il sistema”, libro-intervista di Sallusti e Palamara,
perché un magistrato – Armando Spataro – ha trovato inappropriati alcuni passaggi che lo riguardano:
così si scopre che anche Palamara è un quaquaraquà.


Io sono stato vittima di un tentativo di censura preventiva da parte di Jacaranda Falck Caracciolo di Melito,
figlia adottiva di Carlo Caracciolo, mentre stavo per dare alle stampe il mio libro “I Caracciolo”.

Prima ancora che il libro uscisse, per l’editore Rubbettino, lei e l’avvocato mi scrissero chiedendomi di non farlo uscire, quel libro.

Io risposi con un pernacchione, l’editore si rifiutò di pubblicarmi ma il libro uscì lo stesso, da me pubblicato su Amazon.

Curioso, poi, scoprire che Jacaranda Falck Caracciolo oggi figura tra i primi azionisti di “Repubblica” e dell’intero gruppo Gedi:
posso immaginare quale concezione abbia, del giornalismo, questa “signora della censura preventiva”,
di fronte a cui i suoi giornalisti si sono appecoronati.


Qualcosa del genere deve avvenire a Mediaset: dalla pagina web delle “Iene”
è letteralmente sparita un’intera parte che riguardava i voli di Stato della presidente del Senato, Elisabetta Casellati.


Un altro libro ormai famoso, quello di Roberto Speranza (”Perché guariremo”),
benché sia stato ritirato dalle librerie italiane è però regolarmente acquistabile sul sito francese di Amazon.

Possibile che ci dobbiamo pensare noi, ad acquistare il libro facendolo arrivare dalla Francia, per poterlo divulgare?

Speranza è al centro delle cronache: possibile che i giornaloni non ne parlino?

Lo ha fatto solo il sito “Linkiesta”.

E i grandi giornali?

La notizia è doppia: il libro lo ha scritto il ministro, ed è stato ritirato dal commercio.


Forse ormai si è perso il concetto stesso, di notizia:
secondo i giornalisti italiani, la notizia è una cosa che non esiste più, così come la curiosità.

Sono tutti lì con la D’Urso e con il capo della cupola, cioè Maria De Filippi, che è “il marito” di Maurizio Costanzo.


Tornando alla Loggia Ungheria, mi torna in mente una frase di Gianfranco Funari:

«Se andiamo a cena noi due, con le nostre mogli e quattro amici, passiamo una bella serata in allegria.

Se invece vanno a cena un magistrato, un ufficiale dei carabinieri, un notaio, un commercialista e un avvocato,

non è per fare quattro risate: è per inchiappettare qualcuno, o per fare qualche affare».
 
L’American Medical Association (AMA), la più grande organizzazione nazionale
che rappresenta medici e studenti di medicina negli Stati Uniti,
afferma che metterà da parte il concetto di meritocrazia di a favore della “giustizia razziale” e dell ‘”equità sanitaria”.


In un piano d’azione di 86 pagine pubblicato l’11 maggio,
l’AMA ha definito una road map triennale che descrive in dettaglio come il gruppo di difesa utilizzerà la sua influenza
per smantellare il “razzismo strutturale e istituzionale” e promuovere la “giustizia sociale e razziale” nell’assistenza sanitaria americana.


Secondo il suo piano, l’AMA seguirà una serie di strategie, inclusa l’implementazione della “giustizia sociale e razziale” in tutta la cultura,
i sistemi, le politiche e le pratiche aziendali dell’AMA; espandere l’educazione medica per includere la teoria critica della razza;
e spingendo verso “la guarigione, la riconciliazione e la trasformazione razziale” riguardo al passato “razzialmente discriminatorio” dell’organizzazione.


L’AMA inoltre chiarisce anche che ora rifiuta i concetti di “uguaglianza” e “meritocrazia”,
che sono stati obiettivi nei campi della scienza medica e dell’assistenza medica.



“L’uguaglianza come processo significa fornire la stessa quantità e tipologia di risorse tra le popolazioni”, ha affermato l’associazione.
“Cercare di trattare tutti allo stesso modo, ignora l’eredità storica del disinvestimento e della privazione
attraverso la politica storica e la pratica di emarginare e minorizzare le comunità”.


Sebbene l’AMA non gestisca il sistema sanitario americano, esercita un’enorme influenza
sulle scuole di medicina e sugli ospedali universitari che formano medici e altri professionisti sanitari.

Quegli istituti, dice l’AMA, devono rifiutare la meritocrazia,
che descrive come una narrativa dannosa che
“ignora le risorse sociali, strutturali e politiche ingiustamente distribuite”.


“La narrativa comunemente sostenuta della meritocrazia è l’idea che le persone abbiano successo
semplicemente grazie al loro sforzo individuale”, afferma.

“L’educazione medica si è basata in gran parte su ideali meritocratici così viziati,
e ci vorrà una concentrazione e uno sforzo intenzionali per riconoscere e rivedere questa interpretazione profondamente imperfetta”.


Insomma maledette le facoltà di medicina che bocciano i somari, indipendentemente dalla razza.


In una dichiarazione che accompagnava il piano, il presidente dell’AMA Gerald Harmon ha affermato di essere
“pienamente impegnato in questa causa” e ha invitato la comunità medica a unirsi allo sforzo.

“Crediamo che sfruttando il potere dei nostri membri, la nostra influenza e la nostra portata
possiamo contribuire a portare un cambiamento reale e duraturo alla medicina”.

Se il cambiamento sarà in meglio, questo è tutto da vedere.


Quindi la conseguenza di questa scelta è semplice:
  1. il giuramento di Ippocrate, che regge la scienza medica da millenni con il suo
  2. di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica
  3. viene stracciato e buttato nell’immondizia;

  4. I medici non forniranno il proprio servizio negli USA in modo uguale, indipendentemente dal paziente , ma potranno discriminare;

  5. I medici non saranno formati in base alla loro capacità, ma in base alla loro “Razza” per compensare “Il mancato investimento”.
  6. Quindi un medico mediocre, ma di una minoranza, potrà fare più carriera e studiare di più di uno asiatico e bianco, ma molto bravo.

La conseguenza sarà l’esatto opposto di quanto desiderato dall’AMA.

I medici razzialmente colpevolizzati (bianchi ed asiatici) saranno selezionati più duramente,
e quindi più preparati rispetto a quelli delle minoranze.

Dato che nel bisogno uno ricerca il medico per la sua bravura e non per la sua razza
avranno quindi ancor più facile possibilità di emergere nel settore.

Potremo dire che si è vero, ci sono medici più bravi su base razziale.


Un distorsione portata dalla stupidità delle teorie razziste moderne.

l'idiozia prodotta dalla ideologia del razzismo al contrario (ovvero sei discriminato perchè sei bianco o asiatico a prescindere per risolvere la discriminazione dei neri) è un idea che anche un deficiente capisce che è contraddittoria, sbagliata e ingiusta come lo era quella precedente. Ovviamente produrrà danni in ogni caso
 
la stessa cosa vale per la questione femminile, ovvero sia stabilire a priori quote di personale necessariamente femminile in tutti i ruoli a prescindere dal merito o dalla valutazione neutra o neutrale dei candidati. La cosa ridicola è che ormai nella ipocrisia generale dilagante negli statuti delle aziende si afferma che ripudiano OGNI TIPO DI DISCRIMINAZIONE PER RAZZA REGLIGIONE O SESSO, e poi fanno l'opposto. Il punto è che non ci dovrebbero essere restrizioni e quote. Il nmero dovrebbe essere tra 0 e 100% sulla base di criteri oggettivi e di merito e non aprioristici. Ma è chiaro che la verità è solo che si vuole fare un po di fiction per alimentare ideologie demenziali e forzare cambiamenti culturali che in relatà lasciano lo status quo, passando da discriminazioni ad altre
 
Caso più unico che raro nei mass media, e soprattutto alla Rai,
un programma dice per due minuti (120 secondi) alcune verità sull’Europa e tutti lo vogliono chiudere.



Anni 20 per due minuti ha detto una serie di verità che conoscete già o che sono nei fatti:



  • la Commissione Europea ha autorizzato per l’alimentazione umana la farina di vermi gialli della farina
  • (quelli che si chiamano nel Nord “Le camole”), con la scusa che “Bisogna nutrirsi d’insetti perchè potrebbe venire meno il supporto per la popolazione”,
  • in una zona del mondo dove il cibo è buttato;

  • quindi si è parlato del “Vino annacquato” di cui abbiamo già parlato, dove la Commissione, per abbassare il grado alcolico,
  • vuole autorizzare l’introduzione dell’acqua nel vino, mandando a quel paese tutto il sistema DOC e DOCG;

  • poi lo scandalo dei vaccini, su cui speriamo non sia necessario ritornare.

Scandalo alla RAI, perché si è violato il TABU‘ e si è detta la verità:

la Commissione fa errori, molti errori, e gli organi europei la seguono.

Però questa è Violata Maestà alla Rai, ed il programma è stato minacciato di chiusura
dopo che la rappresentanza italiana presso la Commissione e presso la UE ha protestato.


Che cosa protestano, contro la propria completa impotenza perché permettono questa grandissime porcate?


Una vera democrazia matura vuole le critiche, perché permettono una politica migliore.



La Commissione non è democratica, quindi non può accettare le critiche,

esattamente come esisteva il reato di Lesa Maestà nelle monarchie assolute.


Sicuramente ci saranno delle ricadute politiche perché non c’è democrazia senza libertà di parola

e la RAI non può essere il feudo di una parte politica o di un potere non democratico.


A questo punto è ora che qualcuno abbia il coraggio di dirlo.

 
È un Francesco Vaia straripante nell’intervista con Mara Venier nelle puntata del 16 maggio di Domenica In, programma in onda su Rai 1.

Il direttore sanitario dell'Istituto di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani
ha spazzato via i tanti virologi catastrofisti, disegnando un quadro roseo della situazione Covid:

“Allo Spallanzani la situazione ora è ottima.
Il numero dei ricoverati nei reparti ordinari è di poco superiore ai 100,
in intensiva i ricoverati sono di poco superiori ai 20.
Sono soddisfatto che le cose stiano andando molto bene a dispetto dei gufi”.



Vaia ha poi parlato della questione vaccini:

“Non esiste una classifica di vaccini di serie A e B. Sono tutti validi ed efficaci.
La classifica è stata creata da una cattiva comunicazione, dai balbettii e da improvvidi interventi
anche in sede europea dove qualcuno ha detto ‘non compreremo più questo vaccino’.
Ma non ha spiegato perché non lo compra”.

“Se si dicono queste cose - ha aggiunto il direttore sanitario - aumenta il disorientamento.
Ormai è provato che i vaccini coprono le varianti e ce lo dicono gli studi avanzati e la campagna vaccinale di alcuni Paesi come Israele e Inghilterra.
Chi dovesse essere di nuovo contagiato, è asintomatico, non andrà in ospedale, non rischia nulla.
Ecco perché è fondamentale vaccinarsi. I cittadini devono andare in vacanza e per questo,
bisogna organizzare la sanità pubblica di prossimità per vaccinarsi, arrivare anche magari a fare il vaccino in aeroporto.
I vaccini ora arriveranno nelle farmacie, probabilmente quello scelto sarà il Johnson & Johnson.
Figliuolo e Draghi stanno lavorando molto bene, nella direzione giusta.
Quando si dice che occorre aiutare il turismo, bisogna farlo.
Prima il tampone, oggi, invece diamo la possibilità di fare il vaccino in aeroporto.
Lo faremo, per esempio a Fiumicino con il quale abbiamo uno stretto accordo".


Si discute poi delle varianti del Covid e anche qui Vaia è un fiume in piena:

"Abbiamo trovato molte varianti benigne perché infatti, non è detto che il virus muta sempre in peggio.
Qualsiasi virus muta perché cerca di adeguarsi all’ambiente.
Qualche volta lo fa in modo più pericoloso, con maggiore contagiosità o pericolosità.
A volte invece fa venire la malattia in forma meno grave. Anche la variante indiana che tanto spaventa.
Nell’esperienza concreta, nell’empirismo suffragato da dati certi,
dico che abbiamo trovato tante varianti che sono benigne
e non hanno dato aumento della contagiosità o della malattia in modo grave.
Il vaccino ci salva dalle varianti? I vaccini che abbiamo in campo - ha sottolineato - ora sono tutti sufficienti
per non sviluppare la malattia in forma grave o arrivare alla mortalità o ospedalizzazione. Tutti.
Di converso dall’altra parte non è che esistono vaccini che ti proteggono al cento per cento,
può essere che ci sia una percentuale di un 6 o 7 % che non protegga
e poi ci sono i ’non responder’ quelli che non rispondono proprio al vaccino".


“Al momento è allo studio, allo Spallanzani, la possibilità di utilizzare i monoclonali come immunità passiva,
cioè do direttamente gli anticorpi a chi non li ha prodotti con il vaccino.
Sarebbe - conclude Vaia nello studio della Venier - il matrimonio perfetto, due strumenti che si possono integrare”.
 
Continua l’inchiesta di Massimo Giletti sul dossier dell’Oms scomparso a poche ore dalla sua pubblicazione.

A Non è l’Arena, la puntata di domenica 16 maggio ospita Francesco Zambon,
l’ex funzionario dell’Oms che ha stilato il report incriminato
nel quale si criticava la gestione dell’emergenza sanitaria italiana definendola “caotica e creativa”.

L’oggetto delle critiche è il mancato aggiornamento del piano pandemico
che avrebbe dovuto consentire al paese una risposta più reattiva alla crisi sanitaria.

L’ultimo aggiornamento da quanto sembra emergere risalirebbe al 2006.

Nello studio di La 7 si cerca di indagare sulle responsabilità di chi aveva il compito di aggiornare il documento
e gli intrighi politici che hanno ostacolato la pubblicazione dell’ormai celebre report.


Già nelle puntate precedenti, Zambon era intervenuto raccontando la sua versione dei fatti
smascherando i numerosi sollecitamenti sulla stesura del documento da parte dei piani alti dell’Oms.

Una visione dettagliatamente riportata nel suo libro intitolato “Il pesce piccolo. Una storia di virus e segreti”
in cui di fatto ha rivelato i retroscena del piano pandemico italiano
raccontando tutti gli errori e le coperture che sono avvenute nel nostro Paese.

Il libro è la storia di un uomo solo contro un grande sistema, come sottolinea il conduttore, che lotta per far emergere la verità.


Zambon ha più volte dichiarato che non si saprà mai la vera natura del virus nato in Cina:

“difficilmente sapremo la verità sulla Cina, l’Oms non è un organismo indipendente.
Non ha potere investigativo non può andare in un paese in cui c’è una nuova epidemia.
Quindi al momento l’Oms non può proteggerci da future epidemie catastrofiche.
La Cina ha un peso geopolitico notevole e ha avuto anche delle influenze,
il caso del report italiano prova, infatti, che non si tratta di un’organizzazione indipendente.
Se non lo è con l’Italia come possiamo pensarlo che lo sia con un paese come la Cina?”


chiede retorico Zambon.


Dichiarazioni che non sono state ben accolte dalla stessa organizzazione che da quanto emerge in puntata,
ha esplicitamente chiesto a Zambon di eliminare tutti i riferimenti sull’Oms sulla copertina e all’interno del libro.


Al termine dell’intervista Giletti commenta così:

“la Feltrinelli - casa editrice del libro di Zambon - ci dice che non molla.
Anche se l’Oms chiede di togliere tutti gli acronimi che riguardano l’organizzazione,
noi non lo ritiriamo, non lo sospendiamo. Si può trovare ovunque.
Il pesce piccolo continua ad aver voce e con noi l’avrà sempre”.
 
Ho calcolato che negli “spettacoli parlati” delle reti nazionali
girano non più di venticinque parlatori professionali.

Però non tutti con la stessa frequenza.

Esistono quelli che, come i fuoriclasse del calcio giocano ogni partita, stanno dappertutto tutti i giorni,
e quelli che, come le riserve, subentrano qui e là quando le “star” non possono o sono già impegnate altrove contemporaneamente.


Mi capita spesso, e penso che succeda anche a voi, di vedere lo stesso campione giocare il primo pomeriggio, in prima serata, a notte fonda.


E non parlo dei medici in tempo di Covid, divenuti virali pur senz’essere talvolta virologi davvero,
ai quali i famelici intervistatori non lasciano neppure il tempo di cambiare cravatta, o ravvivare la pettinatura alle signore.

Quando tante teste scientifiche parlano non è inevitabile la discordanza di opinioni,
a meno che gli scienziati non insistano sulle loro differenze per sembrare originali.

A me ha fatto tristezza constatare che accademici di vaglia hanno gareggiato a dissentire
in modi che ricordano “i medici più famosi” chiamati dalla Fata Turchina al capezzale di Pinocchio:

un Corvo, una Civetta, un Grillo parlante.

Ve li ricordate?

“Il burattino è bell’e morto. Ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro ch’è sempre vivo”, disse il Corvo.

“Mi dispiace di dover contraddire il mio illustre amico e collega: per me, invece, il burattino è sempre vivo;
ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero”, osservò la Civetta.

Incalzato dalla Fata, il Grillo ruppe il silenzio e sentenziò: “Io dico che il medico prudente, quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare è quella di stare zitto”.


Per inciso, l’asserzione filosofica è di Carlo Collodi prima di Ludwig Wittgenstein!


Gli “spettacoli parlanti” al tempo del Covid risentono della scienza parlata.

Eccome.

I parlatori professionali ne traggono linfa per la loro tuttologia.

Alla presunta onniscienza sulla varia umanità hanno potuto aggiungere la branca mancante al loro sapere.


Jacques Monod, un premio Nobel per la Medicina, quando gli chiesero cosa fosse un virus, rispose che “un virus è un virus”.

Ma i parlatori professionali ne hanno imparato quasi tutto in lezioncine televisive,
magari sfogliando con lettura veloce le decine di libri che i “virofili” hanno trovato modo di pubblicare negli intervalli delle trasmissioni.


Quando sono costretto a sintonizzarmi su di uno “spettacolo parlante”
per schivare gli spot inzeppati nei miei programmi preferiti, debbo sorbirmi sempre le stesse facce.

Anche quando cambiano le facce, non cambiano gli argomenti e men che meno le opinioni.

Mi agita un’invettiva che, grazie al nostro giornale libero e liberale, posso finalmente lanciare.


I direttori delle reti e i responsabili degli “spettacoli parlanti” ospitano le facce a prescindere
oppure gliele propongono (impongono, forse) gli agenti televisivi che le hanno in scuderia per i vari ruoli,
da protagonista a comparsa, di spettacoli veri e propri?


Difficile credere all’utilità del confronto di opinioni se gli opinionisti sono gli stessi,
a meno che non cambino opinione di ora in ora e di giorno in giorno,
nel qual caso sarebbero opinionisti da quattro soldi, da non esibire in televisione,
per giunta con la millanteria del “servizio pubblico” (sic!).


Ancor più difficile credere che questo sleale gioco abbia a che fare con la democrazia liberale
e con l’onesta e trasparente competizione delle idee che ne è l’imprescindibile presupposto.


Che almeno ci facciano il piacere di risparmiarci la morale sul pluralismo dell’informazione.


Con tutte le vantate variazioni sul tono, lo spartito non cambia.
 
Quando afferma che questo Governo non può fare le riforme di giustizia e fisco, Matteo Salvini dice una cosa sensata.

Quando afferma che la Lega, se non le vuole, deve uscire dal Governo, Enrico Letta sbaglia.



Come sbagliano Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Partito Democratico, e Roberto Gualtieri, già ministro dell’Economia,
scesi in campo in queste ore per dare manforte al loro segretario.


Intendiamoci, può darsi che Salvini stia scaldando i motori in vista delle elezioni amministrative di ottobre
e stia provando ad intestarsi anzitempo l’ascesa di Mario Draghi al Quirinale, così da spianare la strada
allo scioglimento delle Camere all’inizio del prossimo anno.

Può darsi che il “fantasma” di Giorgia Meloni lo inquieti assai e che le schermaglie di questi giorni siano strumentali,
proprio, a una manovra interna alla destra.

Non si può neppure escludere, d’altra parte, che nella mente di Salvini vi sia la volontà di rovesciare le proposte
su giustizia e fisco che saranno presentate da Mario Draghi, così e in questo modo da marcare il terreno e distanziarsi nettamente dalla sinistra.


Può darsi che tutto questo sia vero e stia nell’azione del leader del Carroccio, come sostengono i democratici.
Anche fosse così, però, la ragione continua a stare dalla sua parte.


Prima del divampare della polemica, quel che bolle in pentola non pare in grado di soddisfare le vere esigenze del paese.

Mario Draghi guida uno strano governo, politico e tecnico al tempo stesso, con dentro sinistra, centro e destra,
e quindi non è seriamente pensabile che riesca a proporre riforme
in grado di scuotere le fondamenta di fisco, giustizia, ma anche di mercato, economia, Pubblica amministrazione.

Né è pensabile che la scossa arrivi dal parlamento, mancando tra le forze che lo compongono la coesione necessaria per abbracciare cambiamenti epocali.

Sostenere, allora, come fa il segretario della Lega, che nessuna vera riforma può essere partorita da questo governo
e da questo Parlamento costituisce, puramente e semplicemente, la narrazione della realtà.


C’è poi un altro motivo che dà ragione a Matteo Salvini.

Per quanto è dato conoscere, le proposte su giustizia e fisco riprendono progetti della sinistra e del Movimento 5 Stelle,
mentre non contengono, se non marginalmente, quelli del centrodestra.

Sul fisco, ad esempio, pare si intenda conservare, sostanzialmente, il sistema attuale,
con qualche modifica al meccanismo di progressività dell’Irpef e con qualche diversa ripartizione delle aliquote dell’Iva,
con marginali modifiche al sistema di accertamento e del processo tributario.

Sulla giustizia, poi, sembra che non si voglia superare completamente la regola, scritta da Alfonso Bonafede e da alcuni magistrati, della “prescrizione del reato mai”.
D’altra parte, sembra non s’intenda affrontare neppure la questione della separazione delle carriere,
la riforma dell’accesso alla magistratura, quella della responsabilità dei pubblici ministeri e dei giudici, compresa la responsabilità erariale.

Così come pare dimenticata la riforma dell’ordinamento giuridico, l’altro grande, vero nodo delle difficoltà della giustizia.

Tutto questo, per quello che finora si è appreso, non c’è, mentre ci sono molte idee raccolte nel campo della sinistra e dei grillini.


È evidente che, di fronte a possibili proposte segnate da un così evidente sbilanciamento ideologico,
la destra, anche se di Governo, non possa ingoiare il rospo.



Ma il motivo non sta, come sostiene Letta, nel fatto che Salvini vuole far saltare i finanziamenti europei
o trasformare il “semestre bianco” in un Vietnam parlamentare, ma sta nel fatto che,
se accettasse di mangiare quella minestra, rinnegherebbe alcune delle fondamenta ideali della sua linea politica e del suo schieramento.

Questo non si può pretendere, non sta nelle cose e non sta nella politica.


Il resto, sempre per adesso, è fumo o cabaret.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto