baleng
Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Mi scuso se riporto inizialmente alcuni piccoli testi del 2015 resi pubblici ... altrove. Ma Hopper mi interessa troppo. E ultimamente l'aver visto su questo forum alcune sue splendide incisioni mi ha spinto a riproporlo qui.
Osservandone le molte immagini - assai belle - mi sono chiesto da dove derivasse la forza di queste opere (vidi una mostra alcuni anni fa a Francoforte: fantastica, e per questo motivo NON comprai il catalogo, che nella memoria tende a sostituire le impressioni dal vivo con le riproduzioni).
Ho avuto la sensazione che quasi sempre, o sempre, questi quadri potrebbero riferirsi ad un momento decisivo di un film, magari la scena finale oppure l'attimo che precede lo scatenarsi di un qualcosa (un'aggressione, un pianto improvviso, una svolta del destino ...).
Come il cinema americano sa raccontare (a parte l'odierna scelta infantile di molti soggetti), mentre il cinema italiano tende a rappresentare un po' il proprio ombelico, così la pittura del ventennio, o un Saetti, un Gentilini, ovvero un Radice, un Reggiani ecc. si concentrano sulla rappresentazione, magari statica, sul suo trattamento estetico, mentre Hopper pare invece attento al destino dei suoi personaggi.
Così l'alienazione propostaci dalla pubblicità, dove l'oggetto da vendere risulta l'unico vero soggetto, e l'uomo viene per così dire raso a zero, si trasforma in Hopper in una riflessione su quella stessa alienazione, dove però l'uomo torna protagonista, pur se gravemente o mortalmente ferito nell'anima. (chiedo scusa per queste affermazioni che non rispettano molto i parametri che tendo ad impormi, cioè che ogni frase sia comprensibile anche per chi non abbia mai visto un'opera in questione: diciamo che me la permetto come una nota personale
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Questo è possibile proprio perché Hopper non ci propone il "bello" come riscatto dal brutto, ma si ferma ad osservare con una certa apprensione che cosa mai stia succedendo, e trova appunto il riscatto nell'interesse verso questi destini umani.
Che sono presenti persino quando il soggetto sia un semplice edificio, poiché sempre viene accennata la presenza umana, seppur non visibile.
In pratica, è per questo che Hopper ci appare sempre preoccupato per quanto possa accadere ai suoi soggetti.
(Holly Fabius ha scritto: Un artista straordinario.Come questo possa accadere sulla tela, so di non averlo detto ancora. Me ne scuso e chiedo tempo.
Sono due le cose che mi colpiscono del suo stile, la prima è un uso magistrale del colore, nelle sue opere non ci sono tonalità privilegiate, riesce a miscelare gli ambienti che propone con un equilibrio di luminosità e tonalità che non saprei con chi comparare. La seconda è la poesia delle sue opere, ogni particolare dell'opera è funzionale ad un suo aspetto osservativo melanconico, le stesse figure umane potrebbero venire sostituite da -per esempio- un vaso o un albero senza alterare l'equilibrio estetico o poetico dell'opera.)
Per almeno un aspetto Hopper può essere avvicinato anche a Morandi![]()
(ma come, uno che semplifica le pennellate nei colori quasi come un dilettante [v. gli alberi qui sotto e nel precedente post] a fianco del - forse - massimo maestro del "tocco posato"??)
Ma si guardi anche all'immagine qui sotto, così come alla precedente postata da Alex. Le case: appaiono in certo modo come esseri animati. Viventi. Vale ancor di più per quei tre distributori. Che ci "guardano" ...
Proprio come le viventi bottiglie di Morandi.
In quale modo il pittore ottenga ciò è un altro dei segreti che sarebbe bello squadernare qui.
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Sentiamo tutti il senso di isolamento nei quadri di Hopper. Solo che lo intendiamo riferito alle persone. Invece anche gli oggetti sono isolati, isolati anche quando appaiono in serie (come pali, finestre, distributori ecc). Hopper dipinge un soggetto alla volta. Ecco perché gli alberi non hanno foglie curate. Non sono alberi, sono il bosco. Dettagliare le foglie, curarne l'aspetto una per una, distoglierebbe da questo sentimento. In tale ambiente fatto di cose isolate, separate, sole, l'uomo si adegua, anch'egli si isola. Ma quel sentimento era già nelle cose, non nasce da lui.
Talora cerca il dialogo con una o più finestre, o con il sole, che è lontano, e di cui si vede solo la luce, come fosse la sua voce, la quale, però, ne rimarca l'assenza. In qualche modo, nulla gli risponde.
Naturalmente tutto quanto ho scritto non è critica d'arte, è descrizione, magari accurata, è soprattutto "letteratura" (con la sola eccezione, credo, di quanto posto in grassetto). Per ora non riesco a dire di più. Ma sono convinto che la critica, per essere efficace, deve comunicare validamente tutto anche a chi l'opera non l'ha vista. Sennò non è scienza, è solo letteratura, con rischi di solipsismo, di faciloneria o di autocompiacimento.
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