FACEBOOK e La subdola dittatura della Rete che censura i NON politicamente corretti

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La subdola dittatura della Rete
Facebook banna i politicamnte scorretti
La subdola dittatura della Rete

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di Paolo Becchi su Libero, 24/09/2019. Qui di seguito la versione integrale dell’articolo, leggermente abbreviato nell’edizione cartacea per motivi di spazio


Cosa è la Rete? Il luogo in cui il pensiero libero, quello fuori dal coro, riusciva ancora ad esprimersi, e a volte come è successo a me nel mese di agosto diventare per qualche giorno virale, battendo con le notizie sulla crisi di governo tutti i vecchi mezzi di informazione. È nella Rete che era nato per volontà di Gianroberto Casaleggio il M5s, ora sepolto da Beppe Grillo nel Palazzo.
Ma oggi anche quello spazio aereo di libertà ci viene sottratto. E se per caso non è la Rete a censurare ci pensano le istituzioni accademiche a farlo. È quello che è accaduto di recente a Marco Gervasoni, docente di Storia comparata dei sistemi politici, allontanato dalla Luiss per aver rilanciato con commento un tweet di Giorgia Meloni sul tema della immigrazione clandestina.
Una vergogna, per non dire di peggio.

Ma vorrei anzitutto raccontarvi quello è successo a me, a dire il vero non me ne sarei neppure accorto se non fosse che chi cura gratis, per amicizia, la mia pagina Facebook è un giovane studente di ingegneria molto esperto. Dal 30 agosto al 6 settembre la mia pagina Facebook, circa 20mila seguaci, è stata sottoposta a quello che tecnicamente viene chiamato “shadow-ban”, una delle tante misure censorie adoperare dal social network più diffuso al mondo per oscurare i post degli utenti che non rispettano gli “standard della community”, ovvero per coloro che diffondono ciò che viene definito “linguaggio d’odio”. Una misura a cui molti sono sottoposti.
Di recente, ad esempio, è successo a “Sentinelle In Piedi”, una Associazione che si batte per la difesa della famiglia tradizionale e del diritto alla vita.

Nel mio caso specifico, per non meglio precisate ragioni, l’algoritmo di Facebook ha deciso di rendere i miei post “invisibili” ai lettori. La mia pagina non è stata disabilitata, né i miei post pregressi eliminati. Potevo continuare a scrivere ciò che volevo, ma per una settimana i miei messaggi sono rimasti confinati alla mia bacheca senza che potessero raggiungere il centro dell’agorà, vale a dire la “home di Facebook”. Così, le visualizzazioni dei singoli post sono di colpo crollate da 50mila utenti in media raggiunti da un singolo post in un giorno, con picchi di 200.000 visualizzazioni per alcuni post scritti sulla crisi di governo, a poche decine di utenti (i lettori più fidelizzati che di loro sponte hanno cercato la mia bacheca nel mare magnum dei flussi digitali).

Vi sono vari livelli di censura. Il più grave è l’eliminazione della pagina tout court, come è avvenuto di recente a CasaPound e Forza Nuova, evidentemente per motivi politici, oppure cancellando, senza alcuna motivazione, pagine molto seguite di satira politica, come, ad esempio, ArsenaleKappa (con 120.000 followers) e successivamente TankDifferent. E la stessa sorte è toccata alle vignette di Alfio Krancic. Neppure la satira, se non è mainstream, ha diritto di esprimersi. In questi giorni la pagina di Vox Italia, il nuovo partito sovranista ispirato da Diego Fusaro, è stata “temporaneamente” nascosta, perché violava non si sa bene quali standard della community, o solo perché stava crescendo troppo rapidamente? Basta poi, come è successo a Paolo Borgognone, un giovane ricercatore autore di valide pubblicazioni, presentare i propri libri anche in CasaPound per essere schedati da Facebook e sottoposti a censura per “incitamento all’odio”. Di tutti questi casi e di altri ancora si occuperà prossimamente “byoblu”, uno dei siti di controinformazione più importanti in Italia, diretto da Claudio Messora.

Vi sono poi casi in cui l’algoritmo decide di eliminare un post perché sono presenti in esso parole “d’odio” come “culo”. Non so bene il “culo” (o il “cazzo”) cosa possono avere a che fare con l’odio, credevo avessero che fare con l’amore. Forse per il via del “vaffan”, bisognerebbe chiederlo all’algoritmo. Per il “culo” se la sono presa persino con Vittorio Sgarbi.

Vi sono altri casi in cui l’algoritmo interdice un utente impedendogli di scrivere per un determinato lasso di tempo. È successo alla caporedattrice di Sputnik Margarita Simonyan e a Marcello Veneziani, a cui è stato interdetto di pubblicare per tre giorni, a causa della parola “negro” nel titolo di un articolo. Ci auguriamo che Vittorio Feltri non sia su Facebook perché lo avrebbero “bannato” a vita.

Poi c’è la censura meno invasiva, ma forse per questo più subdola, che è quella che ho subito io. Impossibile rendersene conto per chi non è pratico e non sa consultare gli strumenti di analitica messi a disposizione dall’app di Facebook. Questo social mette a disposizione di ciascun utente una bacheca, da cui far partire un messaggio verso l’agorà pubblica costituita dai propri amici (nel caso di profilo privato) o seguaci (nel caso di profilo pubblico). Più il messaggio è efficace, più viene rilanciato dagli utenti nell’agorà, più diventa virale. Ma ad un certo punto, se stai avendo successo, arriva l’algoritmo che, autonomamente, dispone le indagini su ciò che pubblichi (“linguaggio d’odio”), redige i capi d’accusa (“hater”, “odiatore”, diffusore di odio o di fake news), ed emette la sentenza (censura): i messaggi rimangono sulla bacheca della tua pagina personale, ma non vanno più nell’agorà. Puoi ancora parlare, ma nessuno può più sentirti. Ti hanno messo il silenziatore e neppure senza informarti perché lo hanno fatto. Ma poi chi ha veramente deciso?
Questo è inquietante.
Noi pensiamo che a decidere sia la carne, la carne umana e ci sbagliamo; oggi le decisioni le prendono autonomamente le macchine con i loro algoritmi. È l’intelligenza artificiale che supera quella umana, una intelligenza costruita però – mi scuserà l’algoritmo che leggerà questo articolo quando andrà on line – per mettertelo nel culo.

Dicono: Facebook è una azienda privata, può fare quello che vuole. Piattaforme private che hanno un grosso potere nella comunicazione e costituiscono di fatto un monopolio in effetti fanno quello che vogliono: chiudono canali di partiti o bloccano, come è successo qualche settimana fa, gli account dell’ex Presidente della Repubblica cubana. Piattaforme che offrono un servizio pubblico, e Facebook è la maggiore “agorà mondiale”, se vogliono operare in Italia dovrebbero però rispettare le nostre leggi e la nostra Costituzione, la quale garantisce a tutti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e “ogni altro mezzo di diffusione”. E questo dovrebbe valere, a maggior ragione, anche per le università, pubbliche o private che siano. Accusano i sostenitori del “sovranismo” di essere a favore di una democrazia illiberale, ma a quanto pare è piuttosto il neoliberalismo ancora imperante ad essere diventato totalitario.
 
ultimamente mi veniva spesso di considerare come la "sinistra" si comportasse in modo fascistoide... e subivo una specie di dissonanza cognitiva

ora ho sentito in un video questa dichiarazione:"Tutti coloro che parlano di fascismo in assenza dello stesso, lo fanno per giustificare il loro comportamento squadrista"

e allora mi sono detta:"non è solo la mia impressione; anche altri se ne sono accorti"

in sintesi:
questa pseurosinistra ha comportamenti fascisti!

e la conferma l'abbiamo nella censura su FB; nessuno è più libero di manifestare il proprio pensiero
siamo ritornati al tempo dei lanzichenecchi
 
Raid su Facebook di pagine politicamente non allineate. Dall'estrema destra all'estrema sinistra, scompaiono pagine di meme e controinformazione. Può Facebook decidere cosa si può e non si può dire?

Nelle scorse settimane la mannaia censoria dei social network si è abbattatuta su quanti si fanno voce di un pensiero non allineato e di contenuti che non hanno spazio nella stampa mainstream.

Con la scusa dell'hate speach, delle fake news, sono state disattivate da un giorno all'altro e senza alcun preavviso pagine di informazione su Siria, Palestina, Venezuela, Yemen, che mostravano un punto di vista alternativo, magari filorusso o semplicemente critico nei confronti di USA e UE..

In un giorno solo, pagine come Premio Goebbels per la Disinformazione, Fronte dei Popoli, Lo zio di Cristian de Sica, Perestrojka e Pastorizia, Polpo di Stato, Donald Trump Italian fan club, Socialisti Gaudenti, sono state "spente" per sempre.
La ragione della censura, spiega Facebook, è la violazione degli "standard della comunità". Standard che si elevano al di sopra della legge e consentono a un social di mettere il bavaglio a un pensiero che è invece ha legittimità di esistere.



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© FOTO : CLARA STATELLO - Premio Goebbels per la Disinformazione -


Omar Minniti, giornalista e amministratore del Premio Goebbels per la disinformazione, pagina di controinformazione con 30mila followes, con coperture di un milione di visualizzazioni a settimana, pone l'accento sulla simultaneità del raid:
"La repressione che ha colpito la pagina del Premio Goebbels non è un fatto isolato. E' stata un'azione simultanea tenuta nelle stesse 24 ore contro altre decine di pagine con la stessa impostazione politica. Si tratta di pagine della cosiddetta sinistra marxista, sovranista o non allineate nei confronti del politicamente corretto, che sono state tutte colpite dalla medesima canea. - ha riferito Minniti a Sputnik Italia - Questo fa capire che si tratta di una manovra ben pianificata, di un disegno che mira a mettere il bavaglio a delle pagine che hanno espresso posizioni critiche nei confronti dell'Unione Europea, della Nato dell'imperialismo americano, delle guerre degli Usa in Siria e in altri paesi del Medio Oriente, delle rivoluzioni colorate, come ad Hong Kong e come ciò che si è tentato di fare in Venezuela e in altri paesi latino americani"
"Un accanimento contro le voci che dissentono" ha commentato Omar Minniti, che ha ricordato come, in passato, Facebook abbia arbitrariamente bloccato anche "Telesur, con altri media arabi che mostrano una voce diversa rispetto al conflitto in Siria e in Medio Oriente. C'è una politica di accanimento nei confronti dei media, dei redattori sociali, dei blogger e di ogni account, che in generale esprimono una visione del mondo contrastante con quella del liberismo imperante, del politicamente corretto".

Il tribunale di Facebook contro il sovranismo
Facebook non si ferma all'accanimento, ma ha annunciato l'istituzione di un tribunale virtuale del social, che deciderà sulle controversie tra utenti e dell'ammissibilità dei contenuti pubblicati. Un tribunale privato, al di sopra degli ordinamenti giuridici statali, potrà dichiarare illegittimo ciò che è legittimo nella realtà e viceversa. Può un tribunale privato decidere in maniera arbitraria e senza legittimazione democratica, cosa è lecito dire e cosa no?
"Facebook istituisce un tribunale privato ideologico, una sorta di moderno tribunale dell'Inquisizione in salsa politicamente corretta, - ha osservato Minniti - per giudicare l'ammissibilità o meno dei contenuti caricati dai propri utenti. Dopo aver lanciato una propria moneta, ora Facebook vuole sostituirsi agli stati anche con una propria giustizia e leggi parallele.
È un passaggio ulteriore verso la privatizzazione della sicurezza pubblica e della repressione.

L'oscuramento di alcune pagine di estrema destra aveva preceduto di qualche giorno il raid contro le pagine di controinformazione. Per alcuni si tratta delle prove generali, prima del debutto del primo tribunale privato e virtuale della storia. Il provvedimento è stato criticato anche a sinistra. Prima si colpiscono i neofascisti per poi legittimare la persecuzione di qualsiasi pensiero scomodo.

A pensarla così anche Minniti, che mette in rilievo l'evidenza come la scure su destra e sinistra sia arrivata proprio mentre a Bruxelles veniva votata una risoluzione che equipara comunismo e fascismo.

"Un disegno preciso da parte degli amministratori di Facebook, che poi va a combaciare con l'obiettivo che si è dato il Parlamento Europeo, con l'approvazione della mozione che mette sullo stesso piano il comunismo e nazismo. E guarda caso Facebook prima va a spazzare via decine di pagine dell'estrema destra italiana e non, come quelle di Casa Pound e Forza Nuova, e poi immediatamente dopo, ponendole sullo stesso piano, va a fare tabula rasa di pagine della sinistra antimperialista e anticapitalista. Fa parte dello stesso disegno del politicamente corretto, del totalitarismo liberale, che cerca di mettere sullo stesso piano tutte le forze che esprimono un'opinione critica nei confronti del sistema".

A pensare che ci sia un drastico cambiamento di tendenza sui social è Dario Giovetti, amministratore di Fronte dei Popoli, che ritiene che Facebook abbia passato il punto di non ritorno. A Sputnik Italia spiega:
"I centri decisionali sono sempre più lontani dal popolo. I movimenti che hanno fra le loro istanze quelle di maggior richiesta di sovranità e capacità di decisione politica, sono riusciti attraverso i social network, a stabilire un maggiore legame sentimentale con il popolo, diventando egemoni. Le elite globaliste si sono viste sfuggire di mano un loro strumento e sono passate al contrattacco. Per passare al contrattacco hanno dovuto esercitare una svolta di tipo autoritario, una svolta storica nel controllo dell'informazione sui social network. Credo che l'intenzione sia quella di far fuori tutti gli account, pagine di movimenti sovranisti, che sinora hanno egemonizzato il dibattito politico almeno su internet".

Il totalitarismo liberale
Il pensiero liberale, non legittimando ideologie alternative, diventa paradossalmente un pensiero unico, totalizzante e totalitario.
Alessandro Pascale, storico e autore del saggio "Il totalitarismo liberale", vede la censura di Facebook, che ha colpito anche lui per la sua attività di divulgatore politico, come un riallineamento dei social all'interno del pensiero unico totalizzante, che non ammette critiche.
"Il popolo ormai cresce in un contesto culturale tale da fare fatica a concepire un modello diverso da quello vigente. - commenta Pascale a Sputnik Italia - I conflitti politici sono tutti interni al campo imperialista e borghese, che resta unito solo di fronte ai nemici comuni, riuscendo a imporre il proprio pensiero unico fondato sulla libertà di commercio e sulla proprietà privata delle strutture economiche della società. Il sistema si regge però su grandi falle che, come nel film Matrix, possono essere scoperte solo svincolandosi dalle narrazioni di regime".

I social erano rimasti l'unico spazio di libertà in cui i pensieri "indicibili" potevano trovare uno spazio di esistenza e diffusione. Ma poco a poco il campo di libertà si restringe anche nella dimensione virtuale. Contro l'informazione alternativa si è attivata una vera e propria caccia alle streghe. Siti di debunkers si arrogano l'autorità di stabilire quali notizie siano vere e quali no. Con la scusa delle fake news si cerca di mettere il bavaglio alla critica o all'informazione scomoda. A tutte quelle pagine, siti e riviste on line che non si rassegnano ad essere una semplice cassa di risonanza del pensiero dominante.

"Il web è uno degli ultimi grandi bastioni potenziali della resistenza culturale e ideologica (vd il ruolo di WikiLeaks), ma può diventare (e lo è già in una certa misura) anche lo strumento con cui il controllo sociale si fa totale, a vantaggio delle classi dominanti. - conclude Pascale - Facebook, Google, Netflix, ecc. sono armi egemoniche in mano ad un pugno di persone che dispongono oggi di poteri superiori ad interi Stati".
 
il problema è arrivato in parlamento Europeo
Censura Social, la UE risponde a Rinaldi: nessun Ministero della Verità. Ma...
 
Anche YOUTUBE si allinea al politicamente corretto e CENSURA la libera infoirmazione

Cari amici, addio! Hanno vinto le diaboliche élite globaliste, hanno perso i popoli!
 
Ecco perché Facebook (e la Silicon Valley) sono rischiosi per la democrazia
Con “Zucked” Roger McNamee - investitore e ex consigliere di Zuckerberg - ricostruisce le tappe fondamentali che hanno portato il social network a essere un luogo dove i nostri comportamenti sono un pericolo per il vivere sociale
Ecco perché Facebook (e la Silicon Valley) sono rischiosi per la democrazia - Linkiesta.it

Due dei momenti chiave degli ultimi anni sono le audizioni di Mark Zuckerberg davanti alle commissioni del Congresso degli Stati Uniti.
La prima volta, quella a suo modo storica tra il 10 e l’11 aprile 2018, in relazione all’enorme scandalo relativo allo sfruttamento dei dati da parte di Cambridge Analytica (un vero momento di passaggio tra il prima e il dopo per la reputazione del più importante social network del pianeta);
la seconda volta il 24 ottobre 2019, quando il fondatore di Facebook è stato pungolato non da un manipolo di deputati boomer su questioni che conoscono in modo sommario, ma da Alexandria Ocasio-Cortez, parlamentare millennial che fonda su un uso consapevole dei social una buona fetta del dialogo con il suo elettorato di riferimento (e non).
In quei momenti Facebook entra veramente nell’agenda pubblica della politica e costringe tutti — sia chi lo usa, ma soprattutto chi lo gestisce — a fare i conti con i problemi e i rischi che negli ultimi anni ne hanno minato la credibilità e hanno generato tonnellate di analisi sui rischi a lungo termine che un uso disinvolto dei dati, della privacy e dell’emozione come motore della costruzione del consenso dentro la cornice del capitalismo delle piattaforme (secondo la definizione di Nick Scrncek) e la logica del capitalismo della sorveglianza (per riprendere Shoshanna Zuboff) comporta per la democrazia e per la vita delle persone.

Alla ormai considerevole bibliografia su come i social network (e in particolare Facebook, anche se fra poco immaginiamo sarà il momento di Instagram e di tiktok) ci stanno fottendo il cervello si aggiunge Zucked. Come aprire gli occhi sulla catastrofe di Facebook (Nutrimenti, traduzione di Ilaria Oddenino), una sorta di indagine/memoir scritta da Roger McNamee. L’elemento interessante di questo libro, però, non sta tanto nelle cose che si scrivono — niente che chi abbia seguito un minimo il dibattito non sappia già — bensì nella natura dell’autore. McNamee non è un giornalista; non è un data scientist; non è un politico. È, anzi, un investitore, un capitalista che di mestiere genera soldi dai soldi. Quel tipo di personaggio che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni che da un lato ti dice quanto è stato hippie nella sua gioventù con la chitarra e i concerti dei Grateful Dead (e infatti ad un certo punto finisce a valorizzare il catalogo della band di Jerry Garcia ed è talmente rock’n’roll che crea una società di investimenti di nome Elevation con Bono degli U2) e quanto sia lontano dall’ideologia libertaria aynrandiana dei cattivi come Peter Thiel; dall’altro, invece, rispetta in tutto e per tutto quella sorta di slancio vitale rappresentato dall’Ideologia Californiana (in sintesi: come la controcultura e la Summer of Love sono diventati i motori della nuova evoluzione del capitalismo) pur con uno sguardo critico e una riflessione sulla tendenze monopolistiche dei nuovi giganti del digitale. Roger McNamee in Facebook ci ha creduto, ci ha investito e ci tiene a farci sapere quanto abbia fatto per impedire che la piattaforma prendesse la deriva degli ultimi anni cercando di consigliare Mark Zuckerberg in varie fasi della sua carriera.

McNamee racconta dalla stanza dei bottoni come le dinamiche politiche ed economiche si intreccino per discutere di un problema fondamentale del nostro tempo: ovvero come si è costruito il nuovo capitalismo e il nuovo monopolio che gira attorno ai dati, alla vendita dell’attenzione e della nostra quotidianità, il nostro trasformaci in prodotto e fascio di numeri da interpretare e vendere

Ed è in effetti grazie a questa posizione privilegiata che McNamee offre un racconto interessante di una vicenda che influenza quotidianamente miliardi di persone, cerca di prevederne il comportamento, di svilupparne le pratiche future e influisce sugli orientamenti di voto e la formazione del pensiero complesso. McNamee racconta dalla stanza dei bottoni come le dinamiche politiche ed economiche si intreccino per discutere di un problema fondamentale del nostro tempo. Forse il problema fondamentale del nostro tempo dopo quello della disuguaglianza economica (tema che non c’entra ma c’entra anche con l’argomento di questo libro): ovvero come si è costruito il nuovo capitalismo e il nuovo monopolio che gira attorno ai dati, alla vendita dell’attenzione e della nostra quotidianità, il nostro trasformaci in prodotto e fascio di numeri da interpretare e vendere. E lo fa mettendo insieme testimonianze di prima mano, dialoghi con gente che vive la faccenda dall’interno (il suo sparring partner, ad esempio, è Tristan Harris, che ha lavorato per anni alla costruzione di un modello ‘etico’ per Google e poi ha deciso di rivelare i segreti della scatola nera di internet), e fa vedere anche come sia stato possibile cercare di invertire la rotta cercando di influenzare i processi decisionale e chiedendo un’operatività diversa che Facebook, a quanto pare, semplicemente non vede come prioritaria.

La lettura di Zucked infine conferma due cose.
La prima, indirettamente, dà ragione a quanto scrivevamo qualche mese fa su queste pagine a proposti di F8: la conferenza come tentativo mal fatto di girare la frittata con le public relations;
la seconda, è che la soluzione al problema dei social network e delle piattaforme come monopolisti economici in grado di influenzare e manomettere l’andamento della democrazia liberale deve essere di natura politica e redistributiva, con una regolamentazione adatta ai tempi, una legislazione sulla privacy adatta al terzo millennio e una maggiore trasparenza dei flussi economici e finanziari e le loro capacità di influenzare le bolle e i nostri bias di conferma.
Pensare di tornare indietro, lo abbiamo detto più volte, è inutile, ma correggere la rotta è ancora possibile.
 
FURTO DI DATI PERSONALI SU SU FACEBOOK E TWITTER. Qualcuno le sanzionerà?



Facebook e Twitter, le due note piattaforma social, hanno annunciato martedì scorso un furto di dati personali per centinaia, se non migliaia di utenti dalle loro piattaforme. Si tratta di dati sensibili perchè contengono i dati anagrafici personali, le email, il sesso e, in alcuni casi, anche i dati relativi agli ultimi post e tweet. Il tutto è stato reso noto alle piattaforme da ricercatori esterni che hanno notato la possibile fuga dei dati attraverso un SDK, software development kit, di oneAudience, che veniva applicato ad alcune App normalmente disponibili sulla piattaforma PLay di Google.

Quindi una App malevola è riuscita , per l’ennesima volta a rubare dei dati personali, privati, di persone. Chiaramente sia FB sia Twitter affermano che non è stata violata la loro piattaforma, che tutto è avvenuto in modo esterno, che in realtà i loro database sono sicuri e non c’è stata nessuna violazione , ma una penetrazione da un agente esterno identificato. Questo è vero, ma, nel frattempo, comunque si è stati in grado di di penetrare un database, attraverso un elemento esterno che, comunque ,è stato approvato da Google, che certifica le applicazioni scaricate dalla propria piattaforma.

Insomma le piattaforme sono sicure, ma FB nello stesso tempo permette a certe applicazioni di superare questi vincoli e di impossessarsi dei dati, ma, ovviamente, i dati sono sempre sicuri.
Basta crederci.
 

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