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Mauro Camisani Calzolari: La Situazione Europea
La situazione europea, venuta emergendo in queste settimane è preoccupante, non solo per la serietà della situazione, quanto per la cocciutaggine dei politici europei e della corte di economisti che l’appoggia, nel prescrivere ulteriori dosi di una medicina sbagliata. Gli economisti possono far poco, ma una denuncia intellettuale degli errori che si continuano a compiere sarebbe utile. E’ curioso come gli economisti americani praticamente di ogni orientamento siano consapevoli di dove giacciano i problemi europei. Che l’Unione monetaria europea (UME) sia alla base dei presenti squilibri è assodato, persino negli studi ufficiali della Commissione Europea. Possiamo individuare due assi attorno ai quali tali squilibri si generano.
La Germania ha perseguito una deliberata strategia di deflazione competitiva, in altri termini ha fatto crescere attraverso la moderazione salariale (non tanto attraverso aumenti di produttività) la propria competitività a discapito dei concorrenti. era un patto implicito nell’Emu, un obiettivo di inflazione del 2%. La Germania si è tuttavia tenuta costantemente sotto l’obiettivo spiazzando i partner, i quali non potevano più svalutare. E’ una vecchia politica per la Germania, teorizzata e perseguita dai governanti tedeschi già nell’immediato dopoguerra (quello che è stato definito, da uno dei più importanti storici economici tedeschi, come “mercantilismo monetario”. Tuttavia da aggiungere che gli altri paesi membri dell’UME hanno deliberatamente accettato di entrare in una logica di deflazione competitiva allo scopo di importare la disciplina tedesca. La moneta unica ha consentito ai paesi periferici un più facile accesso a consistenti flussi internazionali di credito a bassi tassi di interesse. Ciò ha generato una bolla immobiliare in particolare in Spagna, una espansione della spesa pubblica in altri paesi come la Grecia. Crescita drogata in questi paesi, non v’è dubbio – accentuata dalla sofferenza subita dal settore esportatore che soffriva di perdita di competitività. Crescita tale, tuttavia da far accrescere il differenziale di inflazione con la Germania. E’ stata la Germania ad approfittare di questa crescita drogata potendo esportare massicciamente in tali mercati. Peraltro, in assenza di una crescita del proprio mercato interno, le esportazioni verso l’Europa periferica hanno permesso alla Germania solo di galleggiare, non di crescere.
Doppio bonus per i tedeschi, dunque: più competitività di prezzo e accesso a mercati europei periferici in crescita. Il sistema finanziario tedesco anticipava capitali a questi paesi che li utilizzavano per importare prodotti tedeschi consentendo ai capitalisti germanici di realizzare i propri profitti. Il debito degli uni cresceva e così il credito degli altri. Nei guai ora, naturalmente, sono ora sia i debitori che i creditori (e per il solito effetto domino, tutto il sistema finanziario globale) ecco così, lo stanziamento di quasi un trilione di dollari deciso dall’UE (col concorso del FMI) al principio di maggio.
La storia assomiglia drammaticamente a quelle a cui abbiamo assistito due decenni fa in Argentina: cambi fissi (lì sotto forma di currency board), perdita di competitività delle esportazioni, bolla dei consumi. In misura combinata i disavanzi interni, pubblico e privato, si sommano sì che nessuno dei due può, per così dire, soccorrere l’altro in caso di insolvenza. L’esistenza di un crescente disavanzo delle partite correnti è l’indicatore della possibile insolvenza dei due settori. Il pericolo di insolvenza è emerso in maniera drammatica per l’Argentina con la svalutazione del Real brasiliano alla fine degli anni novanta. La crisi di Dubai alla fine del 2009 (un’altra bolla immobiliare) e l’emergere degli artifici contabili hanno segnalato il pericolo di insolvenza della Grecia. Nel caso della Spagna lo scoppio della bolla immobiliare nel quadro della montante crisi globale ha segnalato il pericolo di insolvenza del settore privato spagnolo mentre le finanze pubbliche, sino ad allora considerate sane, hanno cominciato a peggiorare non potendo così più da fare da ciambella di salvataggio. La differenza fra il caso Argentino e quello della periferia europea è che l’Argentina possedeva ancora una propria moneta.
È opinione condivisa che anche adottando misure ancor più restrittive la Grecia non ce la farà mai a riaggiustare il propri conti, dato anche il carattere punitivo dei prestiti concessi dall’Europa (il FMI è apparso un esempio di generosità al confronto). Dopo il default del 2001 l’Argentina ce la fece ripudiando parte del debito e dilazionando la restituzione del resto. I costi dell’aggiustamento interno furono compensati da una forte svalutazione che rilanciò le esportazioni. La Grecia non lo può fare. La Polonia è l’unico paese periferico a crescita positiva negli ultimi due anni avendo potuto svalutare massicciamente la propria moneta. Naturalmente svalutazioni competitive non sono la soluzione, ma attenzione, questo è quanto viene proposto nei fatti dall’UE attraverso un processo di deflazioni competitive. Queste ultime, tuttavia, determinano un crollo delle produzioni nazionali in un gioco a somma zero come nelle più classiche svalutazioni competitive, e un aumento del valore reale dei debiti portando a un arrotolamento verso il basso il complesso delle economie europee.
L’unico aspetto positivo della situazione attuale è che alla BCE è stato riassegnato un compito essenziale per una banca centrale, quello di sostenere la stabilizzazione del mercato dei titoli pubblici. E’ la fine, per ora, di quella sciagurata indipendenza insegnata sui libri di testo che solo nascondeva il ruolo di cane da guardia dell’inflazione, ovvero delle richieste salariali, in particolare quelle dei sindacati tedeschi.
Il menzionato pacchetto di aiuti finanziari mobilizzato da UME e FMI – con criteri poco trasparenti per servire la cocciuta volontà tedesca di non prefigurare un governo economico europeo – non va alla soluzione dei problemi sopra individuati, anzi prescrivendo restrizioni fiscali (che i tedeschi vorrebbero ancora più rigide) bloccherà ogni timido segnale di ripresa economica. In coerenza con queste linee di politica economica europea, il governo italiano ha annunciato un pacchetto di tagli alla spesa pubblica dell’ordine di qualche decina di miliardi di euro basato sul posticipo di alcune finestre pensionistiche, il mancato rinnovo dei contratti pubblici, qualche sforbiciata agli stipendi pubblici più elevati. E’ sull’evasione fiscale che si deve tuttavia agire. Misure concrete dovrebbero essere subito varate, ripristinando ad esempio quelle introdotte da Visco. Questo terrebbe fuori il paese dalle turbolenze, in particolare da un aumento dello spread rispetto ai bund tedeschi.
Si tratta poi di intraprendere una azione di politica internazionale, coordinata con Francia e Spagna, per mettere alle corde il governo tedesco. Non è sostenibile un’area valutaria comune con il paese centrale con un sistematico surplus commerciale. C’è una responsabilità storica tedesca in questo momento. Il progetto europeo, di un’Europa sociale, ecologica e in crescita può essere rilanciato, con un serio ritorno alle idee keynesiane. Al riguardo l’autocritica sinora effettuata dalla parte un più aperta degli economisti, come Stiglitz e Krugman, è stata insufficiente. I loro manuali si discostano in nulla nelle interpretazioni di fondo del funzionamento dell’economia dall’ala più conservatrice.
In conclusione, in Europa si è ritenuto che il mercato, coadiuvato da una banca centrale “indipendente”, potesse sostituire lo Stato nel tener assieme nazioni assai diverse, politicamente ed economicamente. Una follia.
La situazione europea, venuta emergendo in queste settimane è preoccupante, non solo per la serietà della situazione, quanto per la cocciutaggine dei politici europei e della corte di economisti che l’appoggia, nel prescrivere ulteriori dosi di una medicina sbagliata. Gli economisti possono far poco, ma una denuncia intellettuale degli errori che si continuano a compiere sarebbe utile. E’ curioso come gli economisti americani praticamente di ogni orientamento siano consapevoli di dove giacciano i problemi europei. Che l’Unione monetaria europea (UME) sia alla base dei presenti squilibri è assodato, persino negli studi ufficiali della Commissione Europea. Possiamo individuare due assi attorno ai quali tali squilibri si generano.
La Germania ha perseguito una deliberata strategia di deflazione competitiva, in altri termini ha fatto crescere attraverso la moderazione salariale (non tanto attraverso aumenti di produttività) la propria competitività a discapito dei concorrenti. era un patto implicito nell’Emu, un obiettivo di inflazione del 2%. La Germania si è tuttavia tenuta costantemente sotto l’obiettivo spiazzando i partner, i quali non potevano più svalutare. E’ una vecchia politica per la Germania, teorizzata e perseguita dai governanti tedeschi già nell’immediato dopoguerra (quello che è stato definito, da uno dei più importanti storici economici tedeschi, come “mercantilismo monetario”. Tuttavia da aggiungere che gli altri paesi membri dell’UME hanno deliberatamente accettato di entrare in una logica di deflazione competitiva allo scopo di importare la disciplina tedesca. La moneta unica ha consentito ai paesi periferici un più facile accesso a consistenti flussi internazionali di credito a bassi tassi di interesse. Ciò ha generato una bolla immobiliare in particolare in Spagna, una espansione della spesa pubblica in altri paesi come la Grecia. Crescita drogata in questi paesi, non v’è dubbio – accentuata dalla sofferenza subita dal settore esportatore che soffriva di perdita di competitività. Crescita tale, tuttavia da far accrescere il differenziale di inflazione con la Germania. E’ stata la Germania ad approfittare di questa crescita drogata potendo esportare massicciamente in tali mercati. Peraltro, in assenza di una crescita del proprio mercato interno, le esportazioni verso l’Europa periferica hanno permesso alla Germania solo di galleggiare, non di crescere.
Doppio bonus per i tedeschi, dunque: più competitività di prezzo e accesso a mercati europei periferici in crescita. Il sistema finanziario tedesco anticipava capitali a questi paesi che li utilizzavano per importare prodotti tedeschi consentendo ai capitalisti germanici di realizzare i propri profitti. Il debito degli uni cresceva e così il credito degli altri. Nei guai ora, naturalmente, sono ora sia i debitori che i creditori (e per il solito effetto domino, tutto il sistema finanziario globale) ecco così, lo stanziamento di quasi un trilione di dollari deciso dall’UE (col concorso del FMI) al principio di maggio.
La storia assomiglia drammaticamente a quelle a cui abbiamo assistito due decenni fa in Argentina: cambi fissi (lì sotto forma di currency board), perdita di competitività delle esportazioni, bolla dei consumi. In misura combinata i disavanzi interni, pubblico e privato, si sommano sì che nessuno dei due può, per così dire, soccorrere l’altro in caso di insolvenza. L’esistenza di un crescente disavanzo delle partite correnti è l’indicatore della possibile insolvenza dei due settori. Il pericolo di insolvenza è emerso in maniera drammatica per l’Argentina con la svalutazione del Real brasiliano alla fine degli anni novanta. La crisi di Dubai alla fine del 2009 (un’altra bolla immobiliare) e l’emergere degli artifici contabili hanno segnalato il pericolo di insolvenza della Grecia. Nel caso della Spagna lo scoppio della bolla immobiliare nel quadro della montante crisi globale ha segnalato il pericolo di insolvenza del settore privato spagnolo mentre le finanze pubbliche, sino ad allora considerate sane, hanno cominciato a peggiorare non potendo così più da fare da ciambella di salvataggio. La differenza fra il caso Argentino e quello della periferia europea è che l’Argentina possedeva ancora una propria moneta.
È opinione condivisa che anche adottando misure ancor più restrittive la Grecia non ce la farà mai a riaggiustare il propri conti, dato anche il carattere punitivo dei prestiti concessi dall’Europa (il FMI è apparso un esempio di generosità al confronto). Dopo il default del 2001 l’Argentina ce la fece ripudiando parte del debito e dilazionando la restituzione del resto. I costi dell’aggiustamento interno furono compensati da una forte svalutazione che rilanciò le esportazioni. La Grecia non lo può fare. La Polonia è l’unico paese periferico a crescita positiva negli ultimi due anni avendo potuto svalutare massicciamente la propria moneta. Naturalmente svalutazioni competitive non sono la soluzione, ma attenzione, questo è quanto viene proposto nei fatti dall’UE attraverso un processo di deflazioni competitive. Queste ultime, tuttavia, determinano un crollo delle produzioni nazionali in un gioco a somma zero come nelle più classiche svalutazioni competitive, e un aumento del valore reale dei debiti portando a un arrotolamento verso il basso il complesso delle economie europee.
L’unico aspetto positivo della situazione attuale è che alla BCE è stato riassegnato un compito essenziale per una banca centrale, quello di sostenere la stabilizzazione del mercato dei titoli pubblici. E’ la fine, per ora, di quella sciagurata indipendenza insegnata sui libri di testo che solo nascondeva il ruolo di cane da guardia dell’inflazione, ovvero delle richieste salariali, in particolare quelle dei sindacati tedeschi.
Il menzionato pacchetto di aiuti finanziari mobilizzato da UME e FMI – con criteri poco trasparenti per servire la cocciuta volontà tedesca di non prefigurare un governo economico europeo – non va alla soluzione dei problemi sopra individuati, anzi prescrivendo restrizioni fiscali (che i tedeschi vorrebbero ancora più rigide) bloccherà ogni timido segnale di ripresa economica. In coerenza con queste linee di politica economica europea, il governo italiano ha annunciato un pacchetto di tagli alla spesa pubblica dell’ordine di qualche decina di miliardi di euro basato sul posticipo di alcune finestre pensionistiche, il mancato rinnovo dei contratti pubblici, qualche sforbiciata agli stipendi pubblici più elevati. E’ sull’evasione fiscale che si deve tuttavia agire. Misure concrete dovrebbero essere subito varate, ripristinando ad esempio quelle introdotte da Visco. Questo terrebbe fuori il paese dalle turbolenze, in particolare da un aumento dello spread rispetto ai bund tedeschi.
Si tratta poi di intraprendere una azione di politica internazionale, coordinata con Francia e Spagna, per mettere alle corde il governo tedesco. Non è sostenibile un’area valutaria comune con il paese centrale con un sistematico surplus commerciale. C’è una responsabilità storica tedesca in questo momento. Il progetto europeo, di un’Europa sociale, ecologica e in crescita può essere rilanciato, con un serio ritorno alle idee keynesiane. Al riguardo l’autocritica sinora effettuata dalla parte un più aperta degli economisti, come Stiglitz e Krugman, è stata insufficiente. I loro manuali si discostano in nulla nelle interpretazioni di fondo del funzionamento dell’economia dall’ala più conservatrice.
In conclusione, in Europa si è ritenuto che il mercato, coadiuvato da una banca centrale “indipendente”, potesse sostituire lo Stato nel tener assieme nazioni assai diverse, politicamente ed economicamente. Una follia.