Riapre il ristorante del Senato
Il salmone? Sempre due euro
ROMA - Per le riforme, è noto, ci vuole tempo. Anche per quelle che l’indignazione popolare reclama a viva voce e sostiene se non sulla punta dei forconi almeno, come conviene alla circostanza, su quella delle forchette. Che poi sono quelle del ristorante del Senato, il cui menù ha spopolato una volta messo in rete per l’estrema modicità del costo, e che ieri ha riaperto i battenti a prezzi, manco a dirlo, invariati.
Regina dello scandalo, eccitato dalla marea montante contro i privilegi della Casta, la famosa spigola offerta a poco più di tre euro a porzione; si distinguevano poi nella classifica dello sdegno, che affollava la rete, alcuni primi piatti come gli spaghetti aglio, olio e peperoncino e le penne all’arrabiata a 1,60 euro; mentre il filetto con i suoi 5,23 euro stabiliva il primato dei costi, ma restando largamente al di sotto dei prezzi di mercato, anche di quello più popolare.
Ieri, essendo lunedì, giornata tradizionalmente poco vocata ai consumi ittici, la spigola era assente dal menù, rimpiazzabile però con salmone affumicato rucola e salsa al limone, a prezzo ancora più modico: 2,76 euro. Immancabile il filetto di bue, ordinabile anche nella versione di tournedos alla griglia, sempre allo stesso prezzo di 5,23 euro. Si aggiungevano alla scelta formaggi vari a 1,74, frutta a 0,76, dolci al carrello 1,74. Insomma il solito menù iperbolicamente economico che, in tempi di manovra lacrime e sangue, è costato alla classe politica in termini di immagine più di uno scandalo della Banca Romana.
D’altra parte va detto che per correggere i prezzi su più congrui livelli di mercato, come tutti a palazzo Madama dal presidente Schifani ai questori si erano affannati a promettere, ce n’è stato davvero poco. La riapertura del ristorante, assolutamente insolita in agosto, è stata comandata dalla convocazione delle commissioni che oggi inizieranno il lavoro sulla manovra. E’ mancata quindi la possibilità di una disposizione dell’Aula che - ha osservato il questore Paolo Franco - è necessaria all’applicazione dell’ordine del giorno G100 approvato in sede di discussione del bilancio interno del Senato e che - come annunciato dal presidente Schifani e dal collegio dei questori - porrà a totale carico degli utenti del ristorante del Senato il costo effettivo dei pasti consumati. Facendo cioè risparmiare all’amministrazione l’integrazione di circa trenta euro a pasto per coprirne il costo reale.
La stretta anti-casta è attesa da tutti nel Palazzo come - almeno a parole - sacrosanta e, semmai, tardiva. La sola voce preoccupata è quella di chi al ristorante non ci mangia ma serve: «Se faranno pagare 50 euro o giù di lì - dice uno dei camerieri - qui non ci viene più nessuno. Non so - aggiunge - se gli sprechi veri della politica siano veramente questi. Fatto è che per una misura magari giusta ad andarci di mezzo saremo noi che non siamo dipendenti del Senato, guadagniamo 800-1000 euro al mese, e se il ristorante chiude ci mettono in mezzo a una strada».
M. Sta.