GENOVA: poliziotti INFILTRATI TRA I BLACK BLOC? (1 Viewer)

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tontolina

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«Condotta illegale come nei peggiori regimi»: condanna di cassazione x ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi x la vicenda della scuola diaz a genova


Diaz, respinti i servizi sociali per Caldarozzi
«Condotta illegale come nei peggiori regimi»

Il superpoliziotto condannato a 3 anni e 8 mesi per le violenze al G8 di Genova del 2001. Le motivazioni della Cassazione

Nessuna «revisione critica» del proprio comportamento e delle proprie responsabilità.
«Indifferenza» per un «atteggiamento riparatorio e risarcitorio in favore delle vittime».
«Rifiuto di una pubblica dichiarazione autocritica».
Sono queste le condotte per cui, secondo la Cassazione, non è possibile concedere l’affidamento in prova all’ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza con cui la Suprema Corte ha condannato in via definitiva il super poliziotto a 3 anni e 8 mesi per le violenze avvenute alla scuola Diaz nei giorni del G8 di Genova. La Cassazione torna anche a sottolineare la «gravità estrema dei fatti contestati», ricordando i «comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici»,
e il «conseguente discredito internazionale caduto sul nostro Paese».

«PESTAGGIO FORSENNATO E DI INAUDITA VIOLENZA» - La Cassazione, l’11 dicembre scorso, ha confermato l’ordinanza con cui il tribunale di sorveglianza di Genova aveva respinto l’istanza del condannato di beneficiare dell’affidamento in prova, e disposto invece che Caldarozzi scontasse gli 8 mesi di pena residua (tre anni sono coperti da indulto) ai domiciliari per effetto della legge «svuotacarceri» del 2010 e non per «meritevolezza».

FONTE:l'articolo continua qui http://edizionisicollanaexoterica.b...i-peggiori.html#sthash.riJRAW51.XN5RFg7n.dpuf
 

tontolina

Forumer storico
Arrestato Scajola, il ministro che a Genova ordinò di sparare

Scritto il 12/5/14 • nella Categoria: segnalazioni

Claudio Scajola e Gianni De Gennaro condividono il poco lodevole primato d’essere stati responsabili del caso di peggiore gestione dell’ordine pubblico che sia avvenuto in Italia, anzi in Europa, negli ultimi decenni. A Genova durante il G8 del 2001 fu ucciso un cittadino (non accadeva dal ‘77), furono violati numerosi articoli della Costituzione, del codice penale e di quello civile, migliaia di persone uscirono scioccate da un episodio di repressione di massa inimmaginabile. Scajola era all’epoca il ministro dell’interno, De Gennaro il capo della polizia e responsabile operativo dell’ordine pubblico. Nelle torride giornate genovesi rimasero entrambi a Roma: a presidiare il ministero, com’è tradizione, spiegò Scajola, che si fece tuttavia beffare e scavalcare dal collega Gianfranco Fini, all’epoca vicepresidente del Consiglio, protagonista di una famosa, irrituale e ancora misteriosa lunghissima sosta nella centrale operativa dei carabinieri a Genova.
Sia Scajola sia De Gennaro riuscirono a mantenere i loro posti nonostante il disastro e l’enorme discredito che colpì il nostro paese sul piano internazionale. Un discredito, quanto ad affidabilità democratica delle forze dell’ordine, tutt’altro che superato, anche per le scelte che furono compiute nell’immediato, quindi sotto la gestione Scajola, che lasciò il ministero un anno dopo il G8 genovese, nel luglio 2002, a causa di una terribile gaffe a proposito di Marco Biagi, il professore ucciso un mese prima dalle Brigate Rosse e da lui definito, davanti ad alcuni giornalisti, «un rompiscatole». Di fronte allo scandalo di tanta indelicata affermazione, il premier Berlusconi si vide costretto ad escludere Scajola dal governo (salvo ripescarlo qualche anno dopo). Fu comunque Scajola a gestire l’immediato dopo-Genova, a compiere e legittimare quelle scelte che sono state il preludio per il disastro successivo, con le clamorose condanne di altissimi dirigenti nel processo Diaz e quelle di decine di agenti e funzionati per le torture nella caserma-carcere di Bolzaneto.
Condanne giunte al termine di un durissimo contrasto fra i magistrati inquirenti da un lato, e la polizia di Stato e il ministero dell’interno dall’altro. Fu sotto la gestione Scajola che prese forma questa velenosa e pericolosa contrapposizione. Gianni De Gennaro fu mantenuto al suo posto e si decise di non ammettere pubblicamente le responsabilità dei vertici di polizia nelle innumerevoli violazioni dei diritti umani compiute in particolare alla Diaz e a Bolzaneto. I funzionari finiti sotto inchiesta furono mantenuti al loro posto e ci si limitò a trasferire ad altri ruoli il debole questore di Genova Francesco Colucci (condannato poi in primo e secondo grado per falsa testimonianza nel processo Diaz), il potente ma isolato Arnaldo La Barbera (scomparso nel settembre 2002) e Ansoino Andreassi, il vicecapo della polizia che si oppose invano alla perquisizione alla Diaz e che sarebbe stato in seguito l’unico alto dirigente a testimoniare in tribunale.
Gianni De Gennaro e il ministro Scajola, in quelle giornate in cui era in gioco la credibilità democratica del nostro paese, scelsero di ignorare i suggerimenti contenuti nel rapporto stilato a caldo da Pippo Micalizio, il dirigente spedito a Genova dal capo della polizia per una prima indagine interna sull’operazione Diaz, il caso che aveva esposto l’Italia a un moto di indignazione internazionale. Il rapporto Micalizio consigliava la sospensione degli alti dirigenti impegnati nell’operazione (i vari Gratteri, Caldarozzi, Luperi, lo stesso La Barbera); la destituzione di Vincenzo Canterini, capo del reparto mobile che per primo entrò nella scuola; l’introduzione di codici di riconoscimento sulle divise degli agenti. Il rapporto restò chiuso in un cassetto, ma la storia ha dimostrato che Micalizio si comportò con lealtà e obiettività, fornendo buoni consigli: i dirigenti dei quali consigliava la sospensione sono stati processati e condannati in via definitiva e sono attualmente agli arresti domiciliari; la necessità dei codici di riconoscimento, resa evidente dal fatto che tutti i picchiatori della scuola Diaz sono sfuggiti sia alla legge sia a eventuali provvedimenti disciplinari, ha trovato negli anni successivi numerose conferme.
Il ministro Scajola porta dunque la responsabilità politica del corso preso dal “dopo Diaz” della polizia: una strada che ha gettato ulteriore discredito sulla polizia di Stato e sulle istituzioni. E dire che il suo mentore Silvio Berlusconi lo aveva salvato, prima del caso Biagi, dagli effetti di un’altra clamorosa gaffe. Nel febbraio 2012, conversando con i giornalisti durante un viaggio in aereo, Scajola era tornato a parlare delle vicende del G8, rivelando di aver dato l’ordine di sparare se sabato 21 luglio, durante la manifestazione conclusiva del Genoa Social Forum, fosse stata violata la zona rossa. Disse testualmente: «Durante il G8, la notte del morto, fui costretto a dare ordine di sparare se avessero sfondato la zona rossa».
Era un’affermazione sconcertante e quasi eversiva, specie se si considera che durante le giornate di Genova furono sparati almeno una decina di colpi di pistola, oltre a quelli che costarono la vita a Carlo Giuliani. Un ministro, in un ordinamento democratico, non può ordinare agli agenti di sparare, poiché l’uso legittimo delle armi è disciplinato dalla legge e non dai capricci e o dai desideri di un membro del governo. Scajola, in quel febbraio 2002, diceva il vero, cioè diede davvero quell’indicazione, o la sua affermazione fu una smargiassata frutto di un’incredibile superficialità? Nessuna delle due ipotesi gli è favorevole. Ma ci sarebbe voluto il caso Biagi quattro mesi dopo per allontanarlo, finalmente, dal Viminale.
(Lorenzo Guadagnucci, “Scajola e il dopo-Diaz della polizia”, da “Micromega” del 9 maggio 2014. Guadagnucci è un esponente del Comitato Verità e Giustizia per Genova).




Claudio Scajola e Gianni De Gennaro condividono il poco lodevole primato d’essere stati responsabili del caso di peggiore gestione dell’ordine pubblico che sia avvenuto in Italia, anzi in Europa, negli ultimi decenni. A Genova durante il G8 del 2001 fu ucciso un cittadino (non accadeva dal ‘77), furono violati numerosi articoli della Costituzione, del codice penale e di quello civile, migliaia di persone uscirono scioccate da un episodio di repressione di massa inimmaginabile. Scajola era all’epoca il ministro dell’interno, De Gennaro il capo della polizia e responsabile operativo dell’ordine pubblico. Nelle torride giornate genovesi rimasero entrambi a Roma: a presidiare il ministero, com’è tradizione, spiegò Scajola, che si fece tuttavia beffare e scavalcare dal collega Gianfranco Fini, all’epoca vicepresidente del Consiglio, protagonista di una famosa, irrituale e ancora misteriosa lunghissima sosta nella centrale operativa dei carabinieri a Genova.


Sia Scajola sia De Gennaro riuscirono a mantenere i loro posti nonostante il disastro e l’enorme discredito che colpì il nostro paese sul piano internazionale. Un discredito, quanto ad affidabilità democratica delle forze dell’ordine, tutt’altro che superato, anche per le scelte che furono compiute nell’immediato, quindi sotto la gestione Scajola, che lasciò il ministero un anno dopo il G8 genovese, nel luglio 2002, a causa di una terribile gaffe a proposito di Marco Biagi, il professore ucciso un mese prima dalle Brigate Rosse e da lui definito, davanti ad alcuni giornalisti, «un rompiscatole». Di fronte allo scandalo di tanta indelicata affermazione, il premier Berlusconi si vide costretto ad escludere Scajola dal governo (salvo ripescarlo qualche anno dopo). Fu comunque Scajola a gestire l’immediato dopo-Genova, a compiere e legittimare quelle scelte che sono state il preludio per il disastro successivo, con le clamorose condanne di altissimi dirigenti nel processo Diaz e quelle di decine di agenti e funzionati per le torture nella caserma-carcere di Bolzaneto.
Condanne giunte al termine di un durissimo contrasto fra i magistrati inquirenti da un lato, e la polizia di Stato e il ministero dell’interno dall’altro. Fu sotto la gestione Scajola che prese forma questa velenosa e pericolosa contrapposizione. Gianni De Gennaro fu mantenuto al suo posto e si decise di non ammettere pubblicamente le responsabilità dei vertici di polizia nelle innumerevoli violazioni dei diritti umani compiute in particolare alla Diaz e a Bolzaneto.

I funzionari finiti sotto inchiesta furono mantenuti al loro posto e ci si limitò a trasferire ad altri ruoli il debole questore di Genova Francesco Colucci (condannato poi in primo e secondo grado per falsa testimonianza nel processo Diaz), il potente ma isolato Arnaldo La Barbera (scomparso nel settembre 2002) e Ansoino Andreassi, il vicecapo della polizia che si oppose invano alla perquisizione alla Diaz e che sarebbe stato in seguito l’unico alto dirigente a testimoniare in tribunale.
Gianni De Gennaro e il ministro Scajola, in quelle giornate in cui era in gioco la credibilità democratica del nostro paese, scelsero di ignorare i suggerimenti contenuti nel rapporto stilato a caldo da Pippo Micalizio, il dirigente spedito a Genova dal capo della polizia per una prima indagine interna sull’operazione Diaz, il caso che aveva esposto l’Italia a un moto di indignazione internazionale.
Il rapporto Micalizio consigliava la sospensione degli alti dirigenti impegnati nell’operazione (i vari Gratteri, Caldarozzi, Luperi, lo stesso La Barbera); la destituzione di Vincenzo Canterini, capo del reparto mobile che per primo entrò nella scuola; l’introduzione di codici di riconoscimento sulle divise degli agenti. Il rapporto restò chiuso in un cassetto, ma la storia ha dimostrato che Micalizio si comportò con lealtà e obiettività, fornendo buoni consigli: i dirigenti dei quali consigliava la sospensione sono stati processati e condannati in via definitiva e sono attualmente agli arresti domiciliari; la necessità dei codici di riconoscimento, resa evidente dal fatto che tutti i picchiatori della scuola Diaz sono sfuggiti sia alla legge sia a eventuali provvedimenti disciplinari, ha trovato negli anni successivi numerose conferme.
Il ministro Scajola porta dunque la responsabilità politica del corso preso dal “dopo Diaz” della polizia: una strada che ha gettato ulteriore discredito sulla polizia di Stato e sulle istituzioni. E dire che il suo mentore Silvio Berlusconi lo aveva salvato, prima del caso Biagi, dagli effetti di un’altra clamorosa gaffe. Nel febbraio 2012, conversando con i giornalisti durante un viaggio in aereo, Scajola era tornato a parlare delle vicende del G8, rivelando di aver dato l’ordine di sparare se sabato 21 luglio, durante la manifestazione conclusiva del Genoa Social Forum, fosse stata violata la zona rossa.


Disse testualmente: «Durante il G8, la notte del morto, fui costretto a dare ordine di sparare se avessero sfondato la zona rossa».
Era un’affermazione sconcertante e quasi eversiva, specie se si considera che durante le giornate di Genova furono sparati almeno una decina di colpi di pistola, oltre a quelli che costarono la vita a Carlo Giuliani. Un ministro, in un ordinamento democratico, non può ordinare agli agenti di sparare, poiché l’uso legittimo delle armi è disciplinato dalla legge e non dai capricci e o dai desideri di un membro del governo. Scajola, in quel febbraio 2002, diceva il vero, cioè diede davvero quell’indicazione, o la sua affermazione fu una smargiassata frutto di un’incredibile superficialità? Nessuna delle due ipotesi gli è favorevole. Ma ci sarebbe voluto il caso Biagi quattro mesi dopo per allontanarlo, finalmente, dal Viminale.
(Lorenzo Guadagnucci, “Scajola e il dopo-Diaz della polizia”, da “Micromega” del 9 maggio 2014. Guadagnucci è un esponente del Comitato Verità e Giustizia per Genova).
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Arrestato
 

tontolina

Forumer storico
G8, disciplinare sospende 30 poliziotti ANSA, 01/08 18:44 CET

G8, disciplinare sospende 30 poliziotti


ANSA, 01/08 18:44 CET
(ANSA) – GENOVA, 1 AGO – Una trentina di sospensioni dai sei ai tre mesi per gli ufficiali e i vice delle forze dell’ordine accusati dei fatti del G8 di Genova del 2001. Lo ha deciso lacommissione disciplinare della corte d’appello di Genova che ha concluso i procedimenti disciplinari. La sanzione più alta è stata comminata a chi aveva le responsabilità più gravi. A subire il procedimento disciplinare chi durante il G8 ha svolto funzioni di polizia giudiziaria.
 

tontolina

Forumer storico
27 febbraio 2015 G8, “graziato” il medico-torturatore

Guido Filippi


G8, ?graziato? il medico-torturatore | Liguria | Genova | Il Secolo XIX



87.2%Indignato
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1.7% Allibito
1.1% Indifferente

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Una scena del film “Diaz - non lavate questo sangue”

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Il medico Toccafondi: «Non sono Mengele»



Genova - Graziato. Si aspettavano tutti la radiazione, se l’è cavata con sei mesi di sospensione e a fine estate il “dottor mimetica” potrà tornare a fare il medico, in Italia e all’estero. L’Ordine dei medici di Genova ha salvato Giacomo Toccafondi, il medico che durante i giorni del G8 gestiva l’infermeria della caserma di Bolzaneto. E picchiava, anzi era «il seviziatore» come hanno raccontato i tanti ragazzi che sono ancora segnati e che speravano in un provvedimento esemplare. Se non bastasse, le immagini di violenza e di insulti ai manifestanti arrestati hanno fatto il giro di mezzo mondo anche grazie al film “Diaz, non lavate questo sangue” e anche questa sentenza è destinata a scatenare polemiche e reazioni indignate.



Toccafondi, 61 anni da compiere, ha temuto di essere radiato dal suo Ordine e quindi di non poter più fare il medico, ma alla fine, i suoi colleghi lo hanno salvato con una condanna lieve, sei mesi di sospensione (la pena più pesante prima della radiazione), se messa ai confronti con i tre mesi a una dottoressa che lavorava con lui nella caserma delle torture di Bolzaneto.
Il processo al “dottor mimetica” è durato almeno otto mesi e si è concluso l’altra settimana con la sentenza che è stata firmata dal presidente dei medici genovesi Enrico Bartolini: non potrà essere impugnata e diventerà esecutiva da lunedì prossimo, più o meno nello stesso periodo in cui è prevista l’udienza sul suo licenziamento. Da marzo non è più un chirurgo dell’ospedale Gallino di Pontedecimo.


Toccafondi, assistito dall’avvocato Alessandro Vaccaro, era già stato salvato dalla prescrizione - assieme ad altri trentadue imputati (poliziotti e personale sanitario) - ed era uscito indenne dal processo d’Appello sulle violenze all’interno del mattatoio di Bolzaneto, ma era stato condannato a risarcire le vittime e anche la Corte dei conti è pronta a chiedergli i danni.
I reati che erano stati contestati- a lui e ad altri quatto medici arruolati per il G8 dalla polizia penitenziaria andavano dall’omissione di referto alla violenza privata, dalle lesioni all’abuso d’ufficio.

Aveva evitato una condanna ma, secondo i giudici, agì «con particolare crudeltà» e la caserma di Bolzaneto era un carcere improvvisato e a tempo dove «furono portate vittime in balia dei capricci di aguzzini, trascinate, umiliate, percosse, spesso già ferite, atterrite, infreddolite, affamate, assetate, sfinite dalla mancanza di sonno, preda dell’arbitrio aggressivo e violento.... sostanzialmente già seviziate, venivano in loro presenza».


Violenze a catena perpetrate «pacificamente e gratuitamente sugli individui, come stare in piedi contro il muro, la sottoposizione a rumore, privazione del sonno, del cibo e delle bevande», nei confronti di ragazzi «picchiati, insultati, denudati e derisi, feriti e abbandonati in pozze di piscio, vomito e sangue... Alcune ragazze furono costrette a stazionare nude in presenza di uomini, oltre il tempo necessario, sottoposte a umiliazione fisica e morale».



La caserma di Bolzaneto viene descritta come un inferno e le sentenze (di assoluzione o di prescrizione) hanno contribuito a lasciare aperta una ferita.



«Lo shock di questa esperienza fu tale che a molte donne iniziò il ciclo mestruale prima del ritmo naturale».
Il “dottor mimetica” non ha mai voluto rilasciare dichiarazioni e, dopo il licenziamento, aveva commentato, attraverso il suo avvocato: «I fatti di quei giorni sono stati sovradimensionati in tutte le sedi e letti in maniera vessatoria». Tra 6 mesi potrà nuovamente fare il medico.


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MA CHI DIEDE L?ORDINE PER QUELLA CARNEFICINA?



23/11/2011 - CADONO ANCHE LE ACCUSE A CARICO DI MORTOLA
G8, assolto De Gennaro
per l’irruzione alla Diaz


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Nel 2001 il prefetto Gianni De Gennaro era il capo della polizia




La Cassazione: "Non spinse
il questore a mentire


GUIDO RUOTOLO

roma
«Finalmente assolto». Tira un sospiro di sollievo il prefetto Gianni De Gennaro. Quattro ore di camera di Consiglio sono state sufficienti perché la VI sezione penale della Cassazione archiviasse la posizione dell'ex capo della polizia, oggi ai vertici dei servizi segreti, in uno dei processi per il G8 di Genova. Istigazione alla falsa testimonianza, era il capo di imputazione contestato a De Gennaro in concorso con l'ex dirigente della Digos di Genova, Spartaco Mortola.

Un sempre silenzioso «servitore dello Stato» questa volta, da imputato, si è lasciato andare a un commento soddisfatto: «La Cassazione ha finalmente ristabilito la verità confermando quanto avevano già stabilito i giudici di primo grado che mi avevano assolto». E ancora più netto il suo legale, il professore Franco Coppi: «Non ho mai dubitato sulla sentenza di assoluzione dei giudici di primo grado, giudizio non condiviso dai giudici dell'Appello che hanno fatto una rilettura critica e polemica dell'assoluzione».

Ci sono voluti dieci anni perchè si chiudesse per l'allora Capo della Polizia, il prefetto De Gennaro, la pagina del G8 di Genova. Una pagina di polemiche accese, di momenti drammatici, come la morte del giovane Carlo Giuliani, di processi contro le violenze subite dai giovani fermati in quelle ore nella caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz.

Sul banco degli imputati nei fatti è finita la gestione dell'ordine pubblico da parte del governo, delle forze di polizia. Silvio Berlusconi era stato da poco nominato presidente del Consiglio ed erano forti le polemiche per una presunta gestione autoritaria dell'ordine pubblico.

Per gli episodi di violenza alla caserma Bolzaneto e alla scuola Diaz sono stati processati funzionari, dirigenti, semplici poliziotti che ancora oggi, in parte, aspettano il terzo grado di giudizio, la Cassazione.

Gianni De Gennaro è stato portato in un'aula di Tribunale perchè', come ha detto l'avvocato Coppi intervenendo in Cassazione, «avrebbe istigato il questore Colucci a commettere una falsa testimonianza solo per prendere le distanze dalla perquisizione alla Diaz». Ha sostenuto Coppi che si tratta di una «tesi molto azzardata».

In sostanza, il capo della Polizia avrebbe fatto pressione perchè il questore Colucci modificasse, ritrattasse certe sue dichiarazioni nelle quali lasciava intendere che la responsibilità reale sull'ordine pubblico in città nei fatti non era stata sua, semmai la catena di comando degli ordini durante il G8 arrivava al Viminale. Il prefetto De Gennaro e l'ex capo della Digos di Genova, Spartaco Mortola, anche lui finito sotto processo, dunque sono stati definitivamente assolti, «perchè i fatti non sussistono». Lo erano stati anche in primo grado ma in Appello furono condannati a un anno e quattro mesi. Secondo le parti civili, come l'Associazione dei giuristi democratici, i due imputati andavano condannati. La sentenza lascerà alle spalle uno strascico di polemiche perchè nel movimento e in una parte della sinistra, i fatti di Genova sono una ferita ancora aperta.

Scuola Diaz: “Blitz della polizia fu tortura”. Corte europea condanna l’Italia

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Giustizia & Impunità
La decisione dopo il ricorso di Arnaldo Cestaro, 62enne all'epoca del pestaggio avvenuto il 21 luglio 2001 al termine del G8 di Genova.
I giudici: "Legislazione inadeguata rispetto agli atti di tortura e assenza di misure dissuasive". Nel mirino anche prescrizione e indulto di cui hanno beneficiato agenti e dirigenti di Ps imputati.
Riconosciuto risarcimento di 45mila euro. L'accusa del pm Zucca: "Governi furono sordi"

Scuola Diaz: "Blitz della polizia fu tortura". Corte europea condanna l'Italia - Il Fatto Quotidiano
 

tontolina

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[FONT=&quot] [FONT=&quot]Ciao lina,[/FONT]
[FONT=&quot]durante il G8 di Genova del 2001 Marco Giusti, Carlo Freccero e Roberto Torelli girarono in tempo reale un documentario, che racconta con immagini vere gli scontri e le violenze di quei giorni. La Rai, nonostante lo abbia prodotto e realizzato, non ha mai voluto trasmetterlo su un canale generalista.[/FONT]
[/FONT]
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Rai, trasmetti in prima serata il tuo documentario sul G8 di Genova

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[FONT=&quot] Federico Thoman [/FONT]
[FONT=&quot] Italy [/FONT]
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[FONT=&quot]Il giornalismo in una democrazia è il cane da guardia del potere. Quando quel potere compie abusi, soprusi e violenze, i mezzi d'informazione, specialmente quelli del servizio pubblico, dovrebbero documentare tutto questo e informarne i cittadini.[/FONT]
[FONT=&quot]Del G8 di Genova, nel luglio del 2001, si è detto spesso che sia stata la "più grave sospensione dei diritti umani in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale". Dopo che la Corte di giustizia europea di Strasburgo ha condannato lo Stato italiano a risarcire un suo cittadino per le torture subite, e in attesa che il reato stesso di tortura entri finalmente nel nostro codice penale, è giunto il momento che anche il servizio pubblico d'informazione del nostro Paese faccia la sua parte.E che trasmetta finalmente in prima serata e su Rai 1 il documentario girato all'epoca dei fatti di Genova da Marco Giusti, Roberto Torelli e Carlo Freccero, realizzato e prodotto dalla stessa Rai.[/FONT]
[FONT=&quot]In 15 anni costellati da diversi Cda aziendali, emanazione di diversi governi e parlamenti, la Rai non ha mai voluto mandarlo in onda su un proprio canale generalista e in prima serata. Non perché non fosse un prodotto di qualità (altrimenti non sarebbe diventato un film presentato a Cannes nel 2002 e non sarebbe stato richiesto in tutto il mondo), ma perché, semplicemente, mostra senza filtri e con l'inappellabile forza delle immagini i soprusi che sono stati commessi con gratuità e inaudita violenza su persone che nella stragrande maggioranza dei casi erano a Genova per manifestare pacificamente.[/FONT]
[FONT=&quot]Per questo chiediamo che la Rai svolga appieno le sue funzioni di servizio pubblico, rivolto davvero ai cittadini, e che il giornalismo di cui si fa portatrice sia davvero il cane da guardia del potere e non il suo cagnolino da compagnia.[/FONT]
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Firma la petizione
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tontolina

Forumer storico
1 maggio 2015 Black Block all'assalto


Come detto più volte, quando lo stato, invece di proteggere e tutelare le tue proprietà e i tuoi patrimoni, è il primo ad attaccarli e depredarli, non c'è dunque da meravigliarsi che lo facciano senza temere alcuna ritorsione anche gli altri, inclusi ovviamente questi animali che dovrebbero marcire in galera chiamati black bloc. Tanto la macchina, i negozi, gli immobili, non sono certo di mr bean de noartri, di Re Giorgio, della Boldrini e compagnia bella no???? http://www.ilfattoquotidiano.it/…/no-expo-un-agent…/1648396/




No Expo, un agente: "Potevamo fermare black bloc ma ordine era evitare contatti" - Il Fatto...
Il motivo per cui i black bloc, che hanno messo a ferro e fuoco alcune vie di Milano, non sono stati attaccati lo ha spiegato già due giorni fa il capo del
ilfattoquotidiano.it
 

tontolina

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Tortura per chiunque osi ribellarsi, Genova fu solo l’inizio

Scritto il 13/4/15 • nella Categoria: idee

La folla che riempie lo stadio di La Spezia, un silenzio livido e uno spettro sul palco, Bob Dylan, alle prese con uno strano concerto segnato dal lutto per la morte di Carlo Giuliani poche ore prima, a una manciata di chilometri di distanza, in mezzo alla follia criminale esplosa a Genova dopo un’accurata preparazione logistica e militare. Lo ha detto un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen, intervistato da Franco Fracassi nel libro “G8 Gate”: i colossi finanziari e le multinazionali che avevano portato Bush al potere temevano i No-Global più di ogni altra cosa, inclusa Al-Qaeda. Per questo furono ben 1.500 gli agenti della National Security Agency impegnati nell’operazione-Genova, insieme a 700 operatori dell’Fbi. Missione: organizzare (e far eseguire alla polizia italiana) la più feroce punizione collettiva della storia occidentale contemporanea. Lo conferma il generale Fabio Mini, già comandante della missione Nato in Kosovo: esistono “strutture” abilitate a smistare falsi militanti, facendoli passare indenni attraverso più frontiere. Loro, i black bloc, incaricati di devastare Genova in modo da creare un alibi per la repressione indiscriminata dei manifestanti pacifici. Fino al reato di tortura, ora contestato all’Italia, 14 anni dopo.
A Genova nel 2001 accadde qualcosa di irreparabile e sinistramente profetico, scrive “Come Don Chisciotte”: «Nell’arco di una manciata di giornate ci accorgemmo di essere stati proiettati e letteralmente catapultati nel nuovo millennio». Di colpo, ci siamo scoperti «ingenui figli di un tempo già antico, quel ventesimo secolo che, nonostante l’atomica e i lager, non aveva completamente scalfito le speranze in un mondo migliore». Il funerale delle illusioni: «La nostra Italietta – così piccola e così gracile – sarà pure stata anche la Repubblica delle stragi impunite, delle molte mafie e della corruzione dilagante, ma, ai nostri occhi, rimaneva l’imperfetta democrazia che i padri costituenti ci avevano consegnato per attuare concretamente i principi di uguaglianza e libertà. Invece – scrive “HS” – quello che accadde superò la nostra immaginazione». Sepolta, a Genova, anche l’ingenuità fisiologica del movimentismo, che in fondo «non abbandona l’illusione che si possa dialogare con l’avversario per riformare il sistema in senso migliorativo». Il movimento No-Global bisognava «domarlo, criminalizzarlo e reprimerlo in nome del neoliberismo “neomercantile”», togliendo ai giovani l’arma della politica e della giustizia.
Hanno vinto loro, conclude il blog: i ragazzi di oggi non hanno idea di cosa accadde davvero a Genova, perché ormai «appartengono a un altro mondo», nel senso che «sono cresciuti in un contesto in cui la digitalizzazione dei segni, dei simboli e pure dei comportamenti ha quasi oscurato il senso concreto e tangibile delle cose», con la sua spietata durezza. All’epoca della mattanza genovese, Google e YouTube «appartenevano ancora al regno del “futuribile” e del realizzabile». Ora, il paesaggio antropologico è irriconoscibile: «In un certo qual modo smartphone, blueberry, iPod, Whatsapp, Twitter, Facebook e compagnia cantante sono diventati parte integrante delle nostre vite, e per i nostri figli o nipoti non è quasi concepibile un mondo senza la tecnologie digitali. Nel nostro nuovo mondo postmoderno digitalizzato e “virtualizzato” il tempo scorre via veloce come lo scoccare di una scintilla nel buio, si scompone in fantastiliardi di millisecondi, frazionati e separati, insinuando un senso di comprensibile vuoto e di assenza di memoria».
Oggi la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo condanna l’Italia per gli atti di tortura inflitti ai manifestanti dalle forze dell’ordine nell’Istituto Pascoli? Confinare le giornate di Genova in quelle aule, dove raggiunse il culmine l’ultimo atto di feroce violenza repressiva, «significa smarrire il senso di quelle ore». Perché nel capoluogo ligure «era accaduto qualcosa di definitivo e irreparabile, qualcosa che non avrebbe potuto essere cancellato lavando quei muri imbrattati di sangue». In realtà, continua il blog, «non abbiamo mai compreso fino in fondo quanto possano contare le parole e i consigli degli “ingegneri sociali”, degli esperti di sociologia, psicologia, antropologia, di questioni militari, geopolitiche, strategiche, di sicurezza e ordine pubblico», perché in fondo siamo rimasti «ragionevoli uomini democratici e perbene». Per questo non ci siamo accorti di essere diventati «altro che le cavie di uno dei più arditi esperimenti mai tentati fino ad allora in un paese dell’Occidente civile e avanzato». Come se in quella torrida estate del 2001 il capoluogo ligure «si fosse trasformato in un enorme laboratorio per applicare i nuovi modelli militarizzati e tecnologicamente avanzati di gestione dell’ordine pubblico». Di lì a poco, «Ground Zero avrebbe cancellato tutte le residue speranze per un “altro mondo possibile”, e dalla guerriglia e controguerriglia urbane artificiosamente costruite, si passava alla guerra permanente e globale», con tanti saluti alle belle speranze del movimento No-Global, che pretendeva pari opportunità e diritti per l’intera umanità.
Nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi illumina le pagine più oscure e confuse della nostra storia recente, rivelando il ruolo spesso decisivo delle “Ur-Lodges”, le superlogge latomistiche dell’élite cosmopolita che sovrintende alle grandi decisioni, anche attraverso istituzioni transnazionali e “paramassoniche” come la Commissione Trilaterale, il Bilderberg, i grandi think-tank che orientano la dirigenza finanziaria, industriale, bancaria, editoriale, culturale, politica, giornalistica. Magaldi, a sua volta massone e associato alla prestigiosa superloggia “Thomas Paine”, nonché animatore del “Movimento Roosevelt” che si propone di scuotere la politica italiana ed europea liberandola dal dogma neoliberista che impone il taglio dello Stato, accusa anche l’ambiente massonico internazionale più progressista, colpevole di aver aderito a cuor leggero già nel 1981 allo storico patto “United Freemasons for Globalization”. Una stretta di mano con i più pericolosi oligarchi che, di lì a poco, avrebbero precipitato il pianeta nella privatizzazione universale. Genocidio di popoli, guerre, rapina delle risorse, delocalizzazioni criminose e scomparsa del lavoro e dei diritti sindacali, fino all’agonia inconcepibile del sistema industriale più evoluto del mondo, l’Europa, messa in ginocchio dall’austerity finanziaria pianificata a tavolino dai supremi globalizzatori.
Paolo Franceschetti, ex avvocato e indagatore di strani delitti rituali, riletti come cerimonie del massimo potere oligarchico, si sforza di vedere il bicchiere mezzo pieno: la storia dell’umanità è lastricata di abusi abominevoli, se oggi li si denuncia significa che sta crescendo una consapevolezza diffusa che, prima o poi, cambierà l’orizzonte. Inutile stupirsi della ferocia del supremo potere: lo sostengono voci diversissime tra loro, per formazione e provenienza. Per esempio Paolo Ferraro, prestigioso magistrato allontanato dalla magistratura. O un ex dirigente dei servizi segreti come Fausto Carotenuto. O Paolo Barnard, il primo a denunciare la brutale restaurazione europea, col saggio “Il più grande crimine”. O, ancora, un massone come Gianfranco Carpeoro, allievo di Francesco Saba Sardi e grande studioso del linguaggio simbolico. Dal canto suo, Magaldi esprime un’indignazione lucida e pacata: lo Stato laico, moderno e democratico, fatto di cittadini e non più di sudditi, «non è stato un regalo della cicogna», ma dall’intellighenzia massonica occidentale, impegnata in una lotta plurisecolare contro l’oscurantismo e l’assolutismo. Per questo, insiste, è necessario che insorga il vertice massonico progressista, il solo in grado di contrastare – a livello elitario – la deriva neo-feudale del nuovo potere che, col pretesto di una crisi artificiale costruita a tavolino, sta smantellando la democrazia in tutto l’Occidente.
I ragazzi di Genova, che nel 2001 volevano diritti estesi a tutti i popoli del mondo, mai si sarebbero aspettati che quegli stessi diritti considerati inviolabili – a cominciare dall’accesso al lavoro – sarebbero stati presto perduti anche qui, nel cuore di un’Europa devastata dalle leggi speciali imposte dall’élite tecnocratica attraverso il braccio secolare di una moneta unica non sovrana. La scomparsa dell’orizzonte cominciò proprio nelle piazze genovesi trasformate in campo di battaglia: «Genova per noi è stato solo il primo dei tanti esperimenti di ingegneria sociale volti a spezzare qualsiasi volontà di resistenza nei confronti di un sistema iniquo e ingiusto», osserva “Come Don Chisciotte”. «Deposte l’immaginazione e la volontà di cambiamento siamo solo diventati più gretti, cinici ed egoici». Per questo, i globalizzatori dell’abuso «hanno vinto su tutta la linea». De Gennaro resta al suo posto, alla presidenza di Finmeccanica? Ovvio. Lo difende Renzi, l’uomo che in nome delle riforme strutturali dettate dalla Troika e da Wall Street abolisce Senato e Province, introduce il licenziamento facile con il Jobs Act e costruisce una legge elettorale monarchica. La differenza, rispetto al 2001, è che nessuno scende più in piazza. Pochi si accorgono di quello che sta realmente accadendo, nell’area-test chiamata Europa. Al pessimismo universale dei blogger si oppone la voce di Magaldi: insieme alla Francia, sostiene, l’Italia è il solo paese in cui è possibile far partire qualcosa che assomigli a un risveglio. Non a caso, la “punizione” dell’infame G8 del 2001 fu progettata proprio in Italia. Ed era solo l’inizio: la “tortura” continua.




La folla che riempie lo stadio di La Spezia, un silenzio livido e uno spettro sul palco, Bob Dylan, alle prese con uno strano concerto segnato dal lutto per la morte di Carlo Giuliani poche ore prima, a una manciata di chilometri di distanza, in mezzo alla follia criminale esplosa a Genova dopo un’accurata preparazione logistica e militare. Lo ha detto un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen, intervistato da Franco Fracassi nel libro “G8 Gate”: i colossi finanziari e le multinazionali che avevano portato Bush al potere temevano i No-Global più di ogni altra cosa. Per questo furono ben 1.500 gli agenti della National Security Agency impegnati nell’operazione-Genova, insieme a 700 operatori dell’Fbi. Missione: organizzare (e far eseguire alla polizia italiana) la più feroce punizione collettiva della storia occidentale contemporanea. Lo conferma il generale Fabio Mini, già comandante della missione Nato in Kosovo: esistono “strutture” abilitate a smistare falsi militanti, facendoli passare indenni attraverso più frontiere. Loro, i black bloc, incaricati di devastare Genova in modo da creare un alibi per la repressione indiscriminata dei manifestanti pacifici. Fino al reato di tortura, ora contestato all’Italia, 14 anni dopo.
A Genova nel 2001 accadde qualcosa di irreparabile e sinistramente profetico, scrive “Come Don Chisciotte”: «Nell’arco di una manciata di giornate ci accorgemmo di essere stati proiettati e letteralmente catapultati nel nuovo millennio».


Di colpo, ci siamo scoperti «ingenui figli di un tempo già antico, quel ventesimo secolo che, nonostante l’atomica e i lager, non aveva completamente scalfito le speranze in un mondo migliore». Il funerale delle illusioni: «La nostra Italietta – così piccola e così gracile – sarà pure stata anche la Repubblica delle stragi impunite, delle molte mafie e della corruzione dilagante, ma, ai nostri occhi, rimaneva l’imperfetta democrazia che i padri costituenti ci avevano consegnato per attuare concretamente i principi di uguaglianza e libertà.


Invece – scrive “HS” – quello che accadde superò la nostra immaginazione». Sepolta, a Genova, anche l’ingenuità fisiologica del movimentismo, che in fondo «non abbandona l’illusione che si possa dialogare con l’avversario per riformare il sistema in senso migliorativo».

Il movimento No-Global bisognava «domarlo, criminalizzarlo e reprimerlo in nome del neoliberismo “neomercantile”», togliendo ai giovani l’arma della politica e della giustizia.
Hanno vinto loro, conclude il blog: i ragazzi di oggi non hanno idea di cosa accadde davvero a Genova, perché ormai «appartengono a un altro mondo», nel senso che «sono cresciuti in un contesto in cui la digitalizzazione dei segni, dei simboli e pure dei comportamenti ha quasi oscurato il senso concreto e tangibile delle cose», con la sua spietata durezza. All’epoca della mattanza genovese, Google e YouTube «appartenevano ancora al regno del “futuribile” e del realizzabile». Ora, il paesaggio antropologico è irriconoscibile: «In un certo qual modo smartphone, blueberry, iPod, Whatsapp, Twitter, Facebook e compagnia cantante sono diventati parte integrante delle nostre vite, e per i nostri figli o nipoti non è quasi concepibile un mondo senza la tecnologie digitali.




Nel nostro nuovo mondo postmoderno digitalizzato e “virtualizzato” il tempo scorre via veloce come lo scoccare di una scintilla nel buio, si scompone in fantastiliardi di millisecondi, frazionati e separati, insinuando un senso di comprensibile vuoto e di assenza di memoria».
Oggi la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo condanna l’Italia per gli atti di tortura inflitti ai manifestanti dalle forze dell’ordine nell’Istituto Pascoli? Confinare le giornate di Genova in quelle aule, dove raggiunse il culmine l’ultimo atto di feroce violenza repressiva, «significa smarrire il senso di quelle ore».
Perché nel capoluogo ligure «era accaduto qualcosa di definitivo e irreparabile, qualcosa che non avrebbe potuto essere cancellato lavando quei muri imbrattati di sangue».

In realtà, continua il blog, «non abbiamo mai compreso fino in fondo quanto possano contare le parole e i consigli degli “ingegneri sociali”, degli esperti di sociologia, psicologia, antropologia, di questioni militari, geopolitiche, strategiche, di sicurezza e ordine pubblico», perché in fondo siamo rimasti «ragionevoli uomini democratici e perbene». Per questo non ci siamo accorti di essere diventati «altro che le cavie di uno dei più arditi esperimenti mai tentati fino ad allora in un paese dell’Occidente civile e avanzato». Come se in quella torrida estate del 2001 il capoluogo ligure «si fosse trasformato in un enorme laboratorio per applicare i nuovi modelli militarizzati e tecnologicamente avanzati di gestione dell’ordine pubblico».
Di lì a poco, «Ground Zero avrebbe cancellato tutte le residue speranze per un “altro mondo possibile”, e dalla guerriglia e controguerriglia urbane artificiosamente costruite, si passava alla guerra permanente e globale», con tanti saluti alle belle speranze del movimento No-Global, che pretendeva pari opportunità e diritti per l’intera umanità.





Nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi illumina le pagine più oscure e confuse della nostra storia recente, rivelando il ruolo spesso decisivo delle “Ur-Lodges”, le superlogge latomistiche dell’élite cosmopolita che sovrintende alle grandi decisioni, anche attraverso istituzioni transnazionali e “paramassoniche” come la Commissione Trilaterale, il Bilderberg, i grandi think-tank che orientano la dirigenza finanziaria, industriale, bancaria, editoriale, culturale, politica, giornalistica.
Magaldi, a sua volta massone e associato alla prestigiosa superloggia “Thomas Paine”, nonché animatore del “Movimento Roosevelt” che si propone di scuotere la politica italiana ed europea liberandola dal dogma neoliberista che impone il taglio dello Stato, accusa anche l’ambiente massonico internazionale più progressista, colpevole di aver aderito a cuor leggero già nel 1981 allo storico patto “United Freemasons for Globalization”.
Una stretta di mano con i più pericolosi oligarchi che, di lì a poco, avrebbero precipitato il pianeta nella privatizzazione universale.
Genocidio di popoli, guerre, rapina delle risorse, delocalizzazioni criminose e scomparsa del lavoro e dei diritti sindacali, fino all’agonia inconcepibile del sistema industriale più evoluto del mondo, l’Europa, messa in ginocchio dall’austerity finanziaria pianificata a tavolino dai supremi globalizzatori.


Paolo Franceschetti, ex avvocato e indagatore di strani delitti rituali, riletti come cerimonie del massimo potere oligarchico, si sforza di vedere il bicchiere mezzo pieno: la storia dell’umanità è lastricata di abusi abominevoli, se oggi li si denuncia significa che sta crescendo una consapevolezza diffusa che, prima o poi, cambierà l’orizzonte. Inutile stupirsi della ferocia del supremo potere: lo sostengono voci diversissime tra loro, per formazione e provenienza. Per esempio Paolo Ferraro, prestigioso magistrato allontanato dalla magistratura. O un ex dirigente dei servizi segreti come Fausto Carotenuto.
O Paolo Barnard, il primo a denunciare la brutale restaurazione europea, col saggio “Il più grande crimine”.
Dal canto suo, Magaldi esprime un’indignazione lucida e pacata: lo Stato laico, moderno e democratico, fatto di cittadini e non più di sudditi, «non è stato un regalo della cicogna», ma dall’intellighenzia massonica occidentale, impegnata in una lotta plurisecolare contro l’oscurantismo e l’assolutismo. Per questo, insiste, è necessario che insorga il vertice massonico progressista, il solo in grado di contrastare – a livello elitario – la deriva neo-feudale del nuovo potere che, col pretesto di una crisi artificiale costruita a tavolino, sta smantellando la democrazia in tutto l’Occidente.
I ragazzi di Genova, che nel 2001 volevano diritti estesi a tutti i popoli del mondo, mai si sarebbero aspettati che quegli stessi diritti considerati inviolabili – a cominciare dall’accesso al lavoro – sarebbero stati presto perduti anche qui, nel cuore di un’Europa devastata dalle leggi speciali imposte dall’élite tecnocratica attraverso il braccio secolare di una moneta unica non sovrana. La scomparsa dell’orizzonte cominciò proprio nelle piazze genovesi trasformate in campo di battaglia: «Genova per noi è stato solo il primo dei tanti esperimenti di ingegneria sociale volti a spezzare qualsiasi volontà di resistenza nei confronti di un sistema iniquo e ingiusto», osserva “Come Don Chisciotte”. «Deposte l’immaginazione e la volontà di cambiamento siamo solo diventati più gretti, cinici ed egoici». Per questo, i globalizzatori dell’abuso «hanno vinto su tutta la linea».
De Gennaro resta al suo posto, alla presidenza di Finmeccanica? Ovvio. Lo difende Renzi, l’uomo che in nome delle riforme strutturali dettate dalla Troika e da Wall Street abolisce Senato e Province, introduce il licenziamento facile con il Jobs Act e costruisce una legge elettorale monarchica. La differenza, rispetto al 2001, è che nessuno scende più in piazza. Pochi si accorgono di quello che sta realmente accadendo, nell’area-test chiamata Europa. Al pessimismo universale dei blogger si oppone la voce di Magaldi: insieme alla Francia, sostiene, l’Italia è il solo paese in cui è possibile far partire qualcosa che assomigli a un risveglio. Non a caso, la “punizione” dell’infame G8 del 2001 fu progettata proprio in Italia. E la “tortura” continua: Genova era solo l’inizio.
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Io, testimone del G8 vi racconto che i Black Bloc non esistono: sono agenti di polizia

0 By mora on 21 agosto 2015 · Italia, Politica
Al G8 di Genova Polizia e black bloc hanno lavorato in simbiosi. Ero inviato «addetto alle botte» e sono stato testimone diretto dell’incoffessabile legame.
«Se vuoi mangiare devi fare la fila. Qui è tutto chiuso. I ristoranti aperti sono pochi. Vanno tutti lì a mangiare. Ti siedi solo se sei fortunato».
Assolata e desolata. Così si presentava Genova nel luglio 2001. Non era desolata a causa del caldo e delle vacanze. Era desolata per paura. Di lì a pochi giorni si sarebbe svolto il G8, il vertice internazionale che racchiude gli otto Stati più potenti economicamente dell’Occidente. Si sarebbe discusso di molti temi, e di globalizzazione. Ma soprattutto la città sarebbe stata teatro delle proteste anti globalizzazione. Di questo avevano paura i genovesi. Da settimane i giornali e le televisioni annunciavano la violenza dei manifestanti. Si era arrivati a scrivere che i dimostranti avrebbero lanciato sacche di sangue infetto alle forze dell’ordine. Per questo i genovesi avevano paura e la città appariva desolata.
Allora lavoravo per l’agenzia di stampa Ap.Biscom (oggi TMNews). Facevo parte della nutrita squadra inviata a Genova per coprire l’evento. «Dovrai occuparti delle botte, degli scontri», mi dissero.

. Ero contento della missione assegnatami. Come tutti i vertici internazionali, anche questo si annunciava come l’ennesima noiosa sequela di strette di mano, di party, conferenze stampa e frasi di rito. L’azione, il divertimento per un giornalista curioso, stavano altrove, per le strade.





Io, testimone del G8 vi racconto che i Black Bloc non esistono: sono agenti di polizia










Non usciranno vive da Genova!».
«Sta parlando sul serio? Non le sembra di esagerare?».
«Tu c’eri a Napoli? No? E allora che ne sai. Che ne sai cos’è successo. Sono bestie. E come bestie verranno trattate. Sono quattro mesi che aspettiamo questo momento».
La sera successiva al ristorante incontrai lo stesso poliziotto. Mi riconobbe subito. Mi sorrise e mi mostrò la foto del Maschio Angioino. Non disse nulla. Non ce n’era bisogno.









Poliziotti davanti all’entrata di una caserma. Alcuni di loro, al posto della divisa, indossano abiti da manifestanti. Sono tante le prove fotografiche, filmate e testimoniali che dimostrano come tra i black bloc e i manifestanti più facinorosi ci fossero molti agenti delle forze dell’ordine, sia italiani, sia stranieri.
 
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