‘Rivolta di palazzo’ in seno alla Bce per la fuga in avanti di Draghi sul nuovo Qe? Si preannuncia un 25 luglio rovente
Mario Draghi a Sintra. Il suo discorso post-riunione della Bce del 19 giugno avrebbe, secondo le indiscrezioni, creato più di un malumore interno. Carlos Costa/AFP/Getty Images
Apparentemente. il “placebo Draghi” continua a funzionare a meraviglia. Nonostante i toni in continuo inasprimento sulla questione economica, addirittura con lo scontro aperto fra alleati rispetto a tempistiche e coperture del Def e l’eutanasia dei mini-Botpietosamente ancorché brutalmente posta in essere dal sottosegretario Giorgetti, il rendimento dei decennali italiani a inizio settimana ha toccato il minimo da un anno. Anche sulla scorta di
un’indiscrezione del Financial Times in base alla quale la Commissione Europea sarebbe pronta a una nuova apertura di credito nei confronti del nostro Paese, evitando così la procedura di infrazione in caso di revisione dei conti e delle voci di spesa. Insomma, l’effetto
Whatever it takes2.0 sortito dal discorso di Sintra da parte del numero uno della Bce sembra aver fatto presa su mercati sempre più orientati al timore di una recessione prossima e, forse, in parte anche distratti dal vero catalizzatore, ovvero il vertice fra Donald Trump e Xi Jinping al G20 di Osaka del fine settimana.
Ma qualcuno fa notare che, sottotraccia, l’intera impalcatura della
pax da Qe instaurata da Mario Draghi potrebbe essere più fragile e dipendente proprio dagli sviluppi Usa-Cina di quanto non sembri. E lo fa portando a supporto della tesi un
retroscena pubblicato la scorsa settimana dalla Reuters e passato sotto silenzio, forse a causa del clamore dello scontro fra Casa Bianca ed Eurotower sulla svalutazione sleale dell’euro.
Non solo infatti il board della Banca centrale europea sarebbe ben più diviso di quanto appaia riguardo le nuove manovre di stimolo ma, per usare una terminologia britannica molto diffusa in ambito finanziario, a Sintra il governatore avrebbe dato vita al più classico e fastidioso caso di
jump the gun, ovvero promesso cose non solo non concordate con il Consiglio ma nemmeno discusse. Tanto che nella sua ricostruzione, basata sulle dichiarazioni anonime di sei fonti interne e non smentita dalla Bce, trinceratasi dietro un “no comment”, la
Reuters parla apertamente di “rivolta di palazzo” dopo l’indicazione di taglio dei tassi e nuovi acquisti obbligazionari.
I motivi della mossa? Tutt’altro che tranquillizzanti, se il retroscena si rivelasse reale.
Primo, Mario Draghi sarebbe rimasto colpito dalla reazione del mercato dopo la sua conferenza stampa seguita al board del 6 giugno: di fatto, delusione pressoché assoluta. Sintomo che gli operatori si attendessero qualcosa di più. Anzi, che addirittura quel
plus fosse già prezzato nei corsi, sia azionari che obbligazionari. Non si poteva deludere quel sentiment, tanto più che il contemporaneo rialzo dell’euro sul dollaro cominciava a preoccupare davvero, in vista di tempi già duri per l’export e con la prospettiva di ulteriori peggioramenti. Donald Trump era infatti in pressing sulla Fed e puntava a indebolire il biglietto verde, mentre la predisposizione manipolatoria della Pboc cinese rispetto allo yuan appare proverbiale ormai da un decennio.
Bloomberg
Occorreva quindi intervenire. Non a caso, nel corso della conferenza stampa, Mario Draghi era apparso stranamente generoso di particolari rispetto alla riunione del board appena conclusa, tanto da dichiarare pubblicamente come una parte del Consiglio fosse favorevole a un taglio immediato dei tassi e qualche membro addirittura alla riattivazione del Qe
in toto. Nessuno fece particolarmente caso alla dinamica, tanto più che a breve giro di posta, nientemeno che il capofila dei falchi, il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, si esibiva in un clamoroso voltafaccia, promuovendo il programma espansivo posto in essere dal 2015 in poi dalla Bce. Lo stesso cui aveva mosso guerra fino allo scorso inverno, pressoché con ogni mezzo.
Qualcosa, però, già era in atto. Perché il retroscena della
Reuters era datato 18 giugno, quindi nasceva da indiscrezioni raccolte il giorno prima, esattamente quando Mario Draghi stupiva il simposio di Sintra e i mercati con le sue aperture a nuovi stimoli.
Secondo punto, strettamente correlato a quest’ultima particolarità temporale. Più di una fonte, infatti, fa notare come probabilmente Mario Draghi abbia voluto porre il Consiglio in una condizione di
fait accompli, di fatto compiuto, in vista del board – a questo punto decisivo, anche perché l’ultimo prima della sempre pericolosa pausa estiva – del 25 luglio. Quando all’annuncio fatto in Portogallo dovranno seguire i fatti. O, quantomeno, i dettagli. E qui potrebbe appunto cascare, oltre al proverbiale asino, anche l’intera impalcatura di quello che, stando al retroscena, sarebbe di fatto il più grande bluff messo in campo da Mario Draghi nel corso della sua presidenza, ormai agli sgoccioli. Le fonti anonime, infatti, parlano chiaramente di ipotesi come il taglio dei tassi o addirittura la riattivazione degli acquisti obbligazionari come un mero e un po’ disperato
wishful thinking del governatore, di fatto quasi nemmeno discusso a livello ufficiale in seno all’ultimo board. Tanto più che, si fa notare, “l’ipotesi di taglio dei tassi andrebbe a sovrapporsi con le aste di rifinanziamento bancario in programma dal prossimo settembre, un combinato che potrebbe dar vita a opportunità di arbitraggio per il sistema creditizio che vanno discusse e sviscerate nella loro complessità. Così come il tema, sempre legato a questa dinamica, del cosiddetto
tiered system, ovvero l’abbassamento del tasso da pagare da parte delle banche su una porzione delle loro riserve in eccesso, al fine di mitigare gli effetti punitivi dei tassi in negativo sui depositi”.
Jefferies/Reuters
Insomma, in base al retroscena, Mario Draghi avrebbe creato unilateralmente – e quasi
manu militari – i presupposti per mettere il prossimo board con le spalle al muro, alzando talmente tanto e pubblicamente le aspettative dei mercati da tramutare ogni possibile scostamento al ribasso nelle risposte concrete in un rischio di destabilizzazione. Di fatto, un ricatto. Che qualcuno, probabilmente già non ben predisposto verso il governatore e il suo atteggiamento giudicato troppo filo-italiano, giustifica con la logica del non aver più nulla da perdere, visto che a novembre avrà abbandonato l’Eurotower.
Conoscendo Draghi e quanto l’ambito finanziario ritenga dirimente il profilo reputazionale delle persone, un’accusa decisamente grave. Ma che potrebbe tradire la volontà di qualcuno di mettere in difficoltà il governatore proprio al meeting del 25 luglio, visto che il prolungamento della nuova
forward guidance di tassi ai minimi almeno fino a metà del 2020 ha già ipotecato almeno due trimestri di politica monetaria del successore di Draghi e offerto uno spazio di tregua fiscale all’Italia, leggi uno scudo anti-spread grazie al reinvestimento titoli, che le componente nordica del board ritiene fin troppo esorbitante.
Bloomberg
Oltretutto se, come faceva notare il
Financial Times, anche la Commissione Ue sarebbe pronta a porgere un nuovo ramoscello d’ulivo al nostro Paese.
Pericoloso muro contro muro in vista, fra un mese esatto a Francoforte? I presupposti, stando a questo retroscena, paiono davvero esserci tutti. Con la variabile, spesso impazzita e poco preventivabile, dello scontro fra Usa e Cina ad aggravare il quadro di instabilità generale.
Se davvero il 25 luglio Mario Draghi deludesse i mercati, schiacciato dalla pressione di una parte del board in cerca di “vendetta” dopo lo sgarbo di Sintra, immediatamente sarebbero i nostri conti a finire nel mirino. E proprio alla vigilia di agosto: il mese dei bermuda, delle vacanze, dei palazzi del potere vuoti e dei volumi di trading così bassi da tramutare ogni scostamento dello spread in uno tsunami.
Il 2011 dovrebbe averci insegnato qualcosa. E, forse, questa accelerazione verso la crisi di governo su materie economiche non nasce a caso. Losanna e Francoforte, in fondo, non sono così lontane.