Cronaca di un giorno di ordinaria follia sui mercati, nell’era di social e algoritmi. Dati macro e banche centrali ormai non contano più nulla
Michael duglas nel film 'Un giorno di ordinaria follia' (1993).
Un tempo erano i fondamentali macro a contare sui mercati. Pil, investimenti esteri diretti, manifattura, consumi interni, vendite al dettaglio. Roba da Jurassic Park, ormai. Il crollo Lehman e la crisi finanziaria post-2008 hanno dato vita a un nuovo mondo, quello del Qe globale e dell’onnipotenza delle Banche centrali.
Che si trattasse dell’appetito onnivoro, quasi da economia sovietica pianificata, della Bank of Japan o dell’intervento più chirurgico di Fed e Bce, poco importa: i manovratori erano impegnati alle presse per salvare il mondo.
Bloomberg/Zerohedge
Questo grafico, fresco di aggiornamento ai dati del 21 giugno scorso, parla più di mille parole, visto che il dato della liquidità globale in dollari è appunto un
proxy.Ovvero, incorpora sia le operazione di oggettivo intervento monetario (vedi quelle della Pboc cinese di gennaio e marzo), sia le aspettative già prezzate dai futures di intervento nell’immediato futuro (ad esempio, quanto promesso da Mario Draghi al meeting di Sintra o l’attesa per un taglio dei tassi da parte della Fed nel board di luglio).
Inutile dire che questo comporta un rischio enorme di disillusione: se poi i regolatori non danno seguito a quanto promesso o fatto intendere, la reazione del mercato può essere brutale.
Ora, però, anche la fase della primazia delle Banche centrali è terminata e siamo entrati in pieno nell’era dei social e degli algoritmi, un qualcosa che travalica anche l’incubo più distopico, trattandosi di operatività legate direttamente ai destini economici di Paesi, istituzioni finanziarie e cittadini.
In tal senso, le ultime 24 ore sono state un caso di scuola. Cominciato quando in Europa e negli Usa era notte, mentre in Nuova Zelanda già si operava a vario livello. Ad esempio, la Banca centrale decideva di mantenere inalterato il tasso di interesse principale all’1,75%.
Peccato che come mostrano queste immagini, è bastato che un’agenzia di stampa molto seguita a livello interno sbagliasse la sua comunicazione, parlando di un taglio del benchmark di un quarto di punto all’1,50%
Selerity
per far precipitare la divisa neozelandese dello 0,6% sul dollaro nel più classico dei flash-crash, guidato appunto da algoritmi buggerati.
Bloomberg
Tutto per un errore di comunicazione via social.
Il mondo, ovviamente, non ha perso il sonno per questo e nemmeno i mercati europeo e statunitense, placidi almeno fino al risveglio dei principali rappresentanti dell’amministrazione a stelle e strisce. I quali, appena bevuto il caffè, sono entrati in modalità operativa. E i primi a rendersi conto che sarebbe stata una giornata difficile, paradossalmente, sono stati proprio due campioni del mondo tech e social come Twitter e Facebook, i cui titoli sono brevemente precipitati nel pre-market
dopo che il presidente Donald Trump, intervistato da Maria Martiromo per Fox Business, si lasciava scappare questo auspicio-minaccia, interpellato riguardo la presunta caccia alle streghe in Rete contro le opinioni dei conservatori: “Dovremmo denunciare Google e Facebook per questo e forse lo faremo“.
Poi, l’esplosione notturna di Bitcoin (+20% sopra quota 13mila dollari) ha giocato a favore di un recupero del Nasdaq guidato proprio da Facebook, alla luce del lancio della criptovaluta di casa Zuckerberg.
Ma per un allarme passato, un altro – di portata ben più ampia e inquietante – era all’orizzonte. Intervistato da
Cnbc in vista del G20 di Osaka del fine settimana, il segretario al Tesoro Usa, Steven Mnuchin, rendeva noto che “l’accordo con la Cina è completo al 90%”, di fatto mettendo il turbo ai futures di Wall Street sull’attesa di un incontro dall’esito favorevole fra Donald Trump e Xi Jinping il 29 giugno in Giappone.
Ma ecco che, in un sequel dall’impatto decisamente più serio di quanto accaduto poche ore prima in Nuova Zelanda, tutto cambiava quando, dopo che
Bloombergaveva ripreso con enorme enfasi la dichiarazione, la stessa viene ridimensionata da un ascolto più attento dell’intervista. Mnuchin, infatti, aveva in realtà utilizzato il verbo al passato e non al presente, dicendo di fatto che Usa e Cina erano arrivate – ai colloqui del mese scorso a Washington – al completamento al 90% di un accordo e che ora “sono sulla buona strada per chiudere”. Di fatto,nulla che non si sapesse, almeno da fonte ufficiale. E, soprattutto, non la bomba comunicativa in grado di disinnescare il pessimismo fatto filtrare solo il giorno prima dalla
Reuters, la quale in un colloquio con funzionari anonimi della Casa Bianca aveva reso noto che gli americani ritengono pressoché impossibile un accordo a Osaka, visto che per raggiungerlo “potrebbero servire mesi o addirittura anni”.
Ecco la rappresentazione grafica dell’accaduto:immediato cambio di tempo verbale nel titolo dell’articolo, rispetto a quanto lanciato e ripreso in massa poco prima
Cnbc
e, soprattutto, futures che in un secondo bruciano la metà abbondante dei guadagni macinati grazie alle presunte parole del segretario al Tesoro.
Zerohedge/Bloomberg
Fake market jumps on fake news. Fitting, la corrosiva e sarcastica sintesi di un trader all’accaduto.
Ma anche il sempre più preoccupante specchio dei tempiche stiamo vivendo. Dove tutto è legato a quanto compare sui social network e all’elaborazione automatica, da cane di Pavlov ad alta frequenza, che gli algoritmi ne danno.
La manipolazione, in un mondo simile, è pressoché legge fondativa. Ben peggiore di quella che viene imputata al potere di “stamperia” allegra delle Banche centrali. Il quesito, serio, è uno solo: se i social avessero avuto lo stesso potere odierno, cosa sarebbe accaduto la notte fra il 14 e il 15 settembre del 2008, quando alla Fed di New York si decise il destino di Lehman Brothers (e del mondo, come abbiamo visto), in un turbinio di spifferi che attesero però le edizioni del giorno dopo dei quotidiani per divenire notizia? La speranza è di non doverlo scoprire.