I mercati finanziari ballano sul Titanic, la Fed si precipita a evitare un nuovo “Lehman moment”
La Federal Reserve ha riattivato d'urgenza il "quantitative easing" da 60 miliardi di dollari al mese fino a giugno prossimo, terrorizzata dai segnali preoccupanti sul mercato monetario e forse anche per salvare la tedesca Deutsche Bank dal rischio crac.
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Giuseppe Timpone , pubblicato il 15 Ottobre 2019 alle ore 07:09
Senza nemmeno attendere la riunione del Comitato di politica monetaria a fine mese, la Federal Reserve ha annunciato la riattivazione urgente del “quantitative easing” venerdì scorso e a decorrere dalla giornata di ieri “almeno fino al secondo trimestre del 2020” per 60 miliardi di dollari al mese.
L’obiettivo dichiarato è di “riportare il bilancio delle riserve su un livello ampio o comunque pari almeno a quello precedente al settembre 2019”. Che cos’è successo di così grave? Nelle ultime settimane, le banche americane si trovano a corto di liquidità, non trovando sul mercato fondi immediatamente disponibili a sufficienza. Insomma, si prestano molto meno denaro, tant’è che la Fed è dovuta intervenire più volte a settembre per impedire l’esplosione dei tassi, passati dal 2% al 10%.
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A cosa è dovuta questa carenza di liquidità? Svariate cause concomitanti, come scadenze fiscali, emissioni abbondanti di titoli di stato USA e certamente l’iper-regolamentazione finanziaria dell’era Obama, successiva al fallimento di Lehman Brothers. Tuttavia, su tutto regna un dato: i mercati finanziari non riescono più a fare a meno delle banche centrali, che nell’arco di quest’anno hanno ridotto gli assets a bilancio di quasi l’1,5%, a fronte di un +3% nel 2018. In sintesi, non appena la Fed ha cercato di uscire dall’era del denaro facile e la BCE ha smesso di iniettarlo sono arrivati i guai. E magicamente Francoforte tornerà ad acquistare assets dal prossimo mese, mentre la Fed lo sta già facendo.
Che la situazione sia più grave di come la vogliano far passare ce lo confermerebbe la stessa Fed, da cui è trapelata l’intenzione di ammorbidire la regolamentazione a carico delle banche straniere operanti negli USA, alle quali si starebbe pensando di richiedere criteri di liquidità meno stringenti, ovvero concordati con le autorità dei paesi di origine, così da evitare conflitti normativi e di competenza. Come mai tanto buon cuore verso gli istituti stranieri? Ebbene, un grafico del
Financial Times ci segnala che al 30 giugno scorso la banca non americana maggiormente esposta negli USA per assets fosse Deutsche Bank, seguita dalla giapponese Sumitomo.
E che la tedesca abbia più di un problema lo sanno anche le pietre, tant’è che sta per mandare a casa circa un quinto del suo personale, tra cui 9.000 dipendenti nella stessa Germania, la metà dei 18.000 in tutto.
Corsa Fed contro un “Lehman moment”
Chiaramente, alla Fed interesserebbe nel caso di salvare Deutsche Bank non per fare un favore ai tedeschi, bensì per non generare un clima di allarme e diffondere la sensazione di essere dinnanzi a un secondo “Lehman moment”, perché se il panico sui mercati finanziari si propagasse a macchia d’olio come nel 2008, difficile poi distinguere tra buoni e cattivi, tra banche americane e tedesche, etc. La crisi travolgerebbe tutti e tutto e le banche centrali, che già pompano liquidità come se non vi fosse un domani, non è detto che disporrebbero più di strumenti adeguati per reagire alla violenta onda d’urto.
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Se da un lato dovremmo essere tutti un po’ rassicurati dall’intervento tempestivo e persino improvvisato della Fed, dall’altro dovremmo essere allarmati per la sua necessità. La banca centrale americana, che appena un anno fa sbandierava al vento che avrebbe alzato i tassi fin sopra il 3%, nel giro di pochi mesi li ha dovuti già tagliare 2 volte, si accinge a farlo una terza a fine mese e, anziché continuare a tagliare il suo bilancio al ritmo di 50 miliardi al mese, ha prima cessato la riduzione e adesso è tornata agli acquisti netti per 60 miliardi al mese. La celerità di questi passi che segnano un’inversione a U della politica monetaria a stelle e strisce non è normale, così come anomalo è che la BCE passi dal cessare il QE e paventare il rialzo imminente dei tassi, al riattivare il primo e allontanare di almeno un anno il secondo, nel frattempo tagliando ancora i tassi overnight a carico delle banche.
Dovremmo essere tutti concordi nell’affermare che le banche centrali non abbiano alcuna credibilità nel cercare di rasserenare i mercati, proprio per l’incapacità ampiamente esibita di non comprendere a tempo l’evoluzione dei fatti. Un po’ come quando il ministro iracheno nel 2003 smentiva in diretta televisiva la presenza degli americani nell’area, mentre alle sue spalle scorrevano le immagini degli aerei nemici. Dovremmo auspicare che l’America, epicentro mondiale dei mercati finanziari, riesca ad allontanare anche solo le avvisaglie di un qualche terremoto bancario, avendo dalla sua margini di manovra sui tassi ignoti a una BCE ancora ultra-espansiva e al contempo divisa come non mai sul da farsi nei prossimi mesi. I tweet di Trump, che indignano molti, potrebbero avere impedito il peggio, spingendo il governatore Jerome Powell a muoversi in anticipo e su un mercato monetario più liquido di quanto non sarebbe stato senza le pressioni della Casa Bianca nell’ultimo anno.
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