Le perdite record della Bank of Japan sono un monito alla Fed e alla Bce. Kuroda: “Così evitiamo l’aumento dei premi di rischio”
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Se esiste al mondo un laboratorio dei programmi di stimolo monetario, questo è il Giappone della cosiddetta
Abenomics. Quindi, in regime emergenziale di ritorno in massa al Qe per contrastare gli effetti della pandemie sulle economie e sui sistemi finanziari, guardare all’esempio che arriva da Tokyo può offrire una sorta di utile
spoiler di quanto ci potrebbe attendere, se le mosse già estreme messe in campo – ad esempio da Bce, Fed e Bank of England – non dovessero sortire in tempi rapidi effetti quantomeno di stabilizzazione.
Non è un mistero per nessuno, infatti, che il Rubicone non ancora varcato dalle Banche centrali occidentali sia quello dell‘acquisto diretto di titoli azionari, pratica che invece vede la Bank of Japan decisamente avanti con il lavoro.
Questi due grafici ci mostrano quale sia la progressione dell’acquisto di Etf da parte dell’istituzione guidata da Haruhiko Kuroda, la quale non più tardi del 10 marzo scorso – al netto della detenzione di già il 73% di tutti gli Etf del mercato nipponico – annunciò un acquisto giornaliero record da 121,6 miliardi di yen e il raddoppio netto del massimo di controvalore acquistabile in titoli, qualcosa come 12 trilioni di yen.
Bloomberg
Il secondo grafico mette in prospettiva il trend dal 2013 ad oggi: praticamente, una nazionalizzazione del mercato azionario.
Nikkei
Un qualcosa che, comunque, andava appunto avanti da anni, senza che nessuno avesse da ridire. Tantomeno nella madrepatria. D’altronde, fino a quando i mercati conoscono solo corsi rialzisti, formalmente non esistono problemi (a parte quelli con il concetto stesso di
libero mercato).
Il problema è quando, come accaduto tre settimane fa, qualcosa si rompe e l’intero meccanismo comincia brechtianamente a grippare a causa del proverbiale granello di sabbia, in questo rappresentato da una
margin call globale per mancanza di liquidità in dollari quantificabile a detta di JP Morgan su dati Bis in 12 trilioni.
Ed ecco che questi altri due grafici mostrano la dura realtà, così come
rappresentata dallo stesso Haruhiko Kuroda lo scorso 18 marzo nel corso di un’audizione di fronte al Comitato per gli Affari finanziari della Camera Alta del Parlamento nipponico: ad oggi, la Bank of Japan è incorsa in perdite fra 2 e 3 trilioni di yen sulle sue detenzioni di Etf azionari, cifra che – basata sui valori attuali del Nikkei 225 – nella peggiore delle ipotesi equivale a circa 27 miliardi di dollari in meno di due settimane.
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Ed ecco il grande punto interrogativo, se letto attraverso la lente d’ingrandimento del sempre più probabile processo emulativo da parte delle altre banche centrali, come ad esempio
ventilato in maniera chiara dal potente capo della Fed di Boston, Eric Rosengren, a inizio mese.
Il secondo grafico, infatti, mostra come la decisione di raddoppiare potenzialmente il tetto massimo di acquisti di Etf fino a 12 trilioni di yen – definita da Kuroda “una mossa che garantisce effetti assicurati di allentamento monetario” – potrebbe in realtà essere frutto di una condizione molto meno strategica e molto più emergenziale: riuscire in questo modo a tamponare le perdite in cui la Bank of Japan è già incorsa da inizio delle turbolenze di mercato, sperando in una reazione globale degli indici grazie agli interventi contemporanei e quasi sincronizzati delle altre Banche centrali.
Bloomberg/Zerohedge
E a tradire questo snodo quasi politico, culturale e ontologico per l’intera
Abenomics ci pensano ancora le stesse parole di Kuroda, a detta del quale gli acquisti di Etf non servono a mantenere alte le quotazioni dei titoli, “bensì a evitare l’aumento dei premi di rischio”.
Ovvero, compressione totale di due dei concetti base di un mercato azionario sano, quelli di
price discovery e
fair value. Di fatto, una sorta di imposizione per decreto legislativo di cieli sempre azzurri. E se anche si arrivasse al paradosso di un mondo che ritenesse quei 3 trilioni di yen di perdite su posizioni equity qualcosa di accettabile nel quadro generale, non fosse altro perché generati da una stamperia a ciclo continuo come la Bank of Japan, più di un analista comincia a correlare l’ammissione di Kuroda di fronte al Parlamento con la pervicace scelta del Giappone di non sospendere o spostare i Giochi olimpici di quest’anno, quasi quell’evento rappresentasse una dinamo irrinunciabile, una
last resort dell’universo macro cui fare affidamento in qualsiasi modo.
Qualcosa,
dopo la rottura traumatica della storica correlazione fra yen e oro come beni rifugio, pare essere andato fuori controllo all’interno del meccanismo fabbrica-soldi della Bank of Japan.
Il tutto, giova ricordarlo, a fronte di un mercato obbligazionario sovrano – il più grande e liquido del mondo fino al 2016 – che non ha più alcun tipo di reale dinamica fra domanda e offerta, come mostra il grafico, essendo la Banca centrale l’acquirente di
unica istanza e il controllore aprioristico della curva dei tassi attraverso interventi automatici.
Bloomberg
La mitica Miss Watanabe, ovvero l’investitrice tipo giapponese che compra debito pubblico certa e orgogliosa del suo investimento, potrebbe quindi cominciare a farsi qualche domanda. A quel punto, l’intero castello dell’
Abenomics potrebbe davvero vacillare, stante una ratio debito/Pil del 250,40%. E nel momento storico peggiore possibile.