kuelo
C'e' grosssa crise...
Strutturalmente sono più interessanti rispetto ai titoli a tasso fisso ma il mercato non sembra volerne apprezzare più di tanto le caratteristiche: si tratta dei Btp€i, ovvero dei governativi italiani indicizzati all’inflazione europea. Vanno innanzi tutto catalogati in base alle quotazioni in corso, perché è su questo fronte che si determina una prima decisiva distinzione.
Degli undici presenti sul secondario sette prezzano sopra 100 e quattro sotto la parità. Al culmine della crisi italiana dello scorso anno il rapporto di forza appariva meno favorevole per i primi, sebbene sostanzialmente allora come oggi il fattore di suddivisione fosse determinato dalla cedola base e non dall’indicizzazione all’inflazione.
Percepiti un po’ come dei tassi fissi
La valutazione dei prezzi continua infatti a vedere nella cedola semestrale a valore fisso, pur rivalutata in base all’andamento dell’inflazione europea, la discriminante che colloca i Btp€i su fasce diverse di quotazione in rapporto logicamente alla scadenza.
In altre parole privilegia la certezza della cedola base rispetto all’incertezza del costo della vita in area euro. A determinare la situazione è la struttura stessa di questi titoli, per i quali però diventa decisiva agli occhi degli investitori la rivalutazione del capitale.
Considerando l’Ipca - Indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell'Unione Europea – i rendimenti netti, cioè depurati dal fattore fiscale – si aggirano dallo 0,43% al 3,08% in base alla vita residua. Meglio o peggio rispetto ai tassi fissi? Due esempi: al 2026 un Btp€i assicura il 2,15% netto contro il 2,02% riscontrabile sulla curva dei rendimenti per la stessa vita residua dei Btp.
Quasi pareggio invece sulla scadenza più lunga dei Btp€i: un 2041 – sempre al netto dell’impatto fiscale – apporta il 3,08% contro il 3,11% di un settembre 2040 a tasso fisso.
I quattro che restano sotto
Il quartetto “under 100” è rappresentato dall’1,25% 2032 (Isin IT0005138828), ieri a 89,10 euro, dall’1,30% 2028 (Isin IT0005246134) ieri a 94,88, dallo 0,1% 2023 (Isin IT0005329344) ieri a 96,26 ieri e dallo 0,1% 2022 (Isin IT0005188120), ieri a 98,38 euro.
Di tutti quello che assicura un rendimento netto maggiore è logicamente il 2032, l’unico rimasto sotto quota 90, nemmeno troppo sopra il minimo assoluto in intraday di novembre a 84,16. Da allora un rimbalzo l’ha riportato sui 92 per poi registrare ulteriore debolezza. C’è chi lo vede come un termometro di sentiment futuro rispetto ai nostri titoli di Stato ma un simile giudizio non è corretto, dati i troppi fattori in gioco.
Ora all’interno di un triangolo
Graficamente il più debole dei Btp€i evidenzia un posizionamento simile a quello di altri titoli della stessa categoria, ovvero in fase di compressione all’interno di un triangolo determinato dallo schiacciamento di volatilità nelle ultime 14 sedute.
E’ un anticipo di esplosione di variabilità delle quotazioni con forti movimenti di tendenza? I Btp€i ne sono stati spesso oggetto in passato ma questa volta la figura corrisponde all’approssimarsi della media mobile a 200, da cui dista in percentuale solo il 2,7% contro valori nettamente maggiori degli ultimi sei mesi.
Di tutti i governativi italiani appare quindi – assieme ai lunghissimi a tasso fisso – come uno dei più dimenticati a livello di quotazione e perciò di valore intrinseco. Il mercato non sembra volersene accorgere ma forse la speculazione potrebbe farlo prima o poi.
Degli undici presenti sul secondario sette prezzano sopra 100 e quattro sotto la parità. Al culmine della crisi italiana dello scorso anno il rapporto di forza appariva meno favorevole per i primi, sebbene sostanzialmente allora come oggi il fattore di suddivisione fosse determinato dalla cedola base e non dall’indicizzazione all’inflazione.
Percepiti un po’ come dei tassi fissi
La valutazione dei prezzi continua infatti a vedere nella cedola semestrale a valore fisso, pur rivalutata in base all’andamento dell’inflazione europea, la discriminante che colloca i Btp€i su fasce diverse di quotazione in rapporto logicamente alla scadenza.
In altre parole privilegia la certezza della cedola base rispetto all’incertezza del costo della vita in area euro. A determinare la situazione è la struttura stessa di questi titoli, per i quali però diventa decisiva agli occhi degli investitori la rivalutazione del capitale.
Considerando l’Ipca - Indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell'Unione Europea – i rendimenti netti, cioè depurati dal fattore fiscale – si aggirano dallo 0,43% al 3,08% in base alla vita residua. Meglio o peggio rispetto ai tassi fissi? Due esempi: al 2026 un Btp€i assicura il 2,15% netto contro il 2,02% riscontrabile sulla curva dei rendimenti per la stessa vita residua dei Btp.
Quasi pareggio invece sulla scadenza più lunga dei Btp€i: un 2041 – sempre al netto dell’impatto fiscale – apporta il 3,08% contro il 3,11% di un settembre 2040 a tasso fisso.
I quattro che restano sotto
Il quartetto “under 100” è rappresentato dall’1,25% 2032 (Isin IT0005138828), ieri a 89,10 euro, dall’1,30% 2028 (Isin IT0005246134) ieri a 94,88, dallo 0,1% 2023 (Isin IT0005329344) ieri a 96,26 ieri e dallo 0,1% 2022 (Isin IT0005188120), ieri a 98,38 euro.
Di tutti quello che assicura un rendimento netto maggiore è logicamente il 2032, l’unico rimasto sotto quota 90, nemmeno troppo sopra il minimo assoluto in intraday di novembre a 84,16. Da allora un rimbalzo l’ha riportato sui 92 per poi registrare ulteriore debolezza. C’è chi lo vede come un termometro di sentiment futuro rispetto ai nostri titoli di Stato ma un simile giudizio non è corretto, dati i troppi fattori in gioco.
Ora all’interno di un triangolo
Graficamente il più debole dei Btp€i evidenzia un posizionamento simile a quello di altri titoli della stessa categoria, ovvero in fase di compressione all’interno di un triangolo determinato dallo schiacciamento di volatilità nelle ultime 14 sedute.
E’ un anticipo di esplosione di variabilità delle quotazioni con forti movimenti di tendenza? I Btp€i ne sono stati spesso oggetto in passato ma questa volta la figura corrisponde all’approssimarsi della media mobile a 200, da cui dista in percentuale solo il 2,7% contro valori nettamente maggiori degli ultimi sei mesi.
Di tutti i governativi italiani appare quindi – assieme ai lunghissimi a tasso fisso – come uno dei più dimenticati a livello di quotazione e perciò di valore intrinseco. Il mercato non sembra volersene accorgere ma forse la speculazione potrebbe farlo prima o poi.