Gramellescion

Hai qualcuno in mente? :mmmm:


quasi

a scrivere è stato di sicuro qualcuno: uno, per la precisione ( su una tastiera si scrive uno per volta)
ed è stato qualcuno pratico del meccanismo di redazione e correzione della norma
possibile quindi che sia un impiegato del parlamento


e non sarebbe la prima volta
 
Che gogna che fa



massimo gramellini



Dopo ben più illustri colleghi, ieri è toccato persino a me. II sito di Grillo mi ha inquadrato come giornalista del giorno, scatenandomi addosso i consueti cinque minuti d’odio. Vaffa qui, vaffa là, servo su, verme giù. Sono rimasto sconvolto. Non dagli insulti, ma dagli attestati di solidarietà. Un collega francese mi ha scritto: «E’ come ricevere la Légion d’honneur. Ti invidio!». Ma cosa ho mai fatto per meritarmi questa medaglia? Poco, purtroppo. Nel raccontare a «Che tempo che fa» lo svarione del Pd sul folle emendamento che puniva gli enti locali ostili al gioco d’azzardo, ho ricordato la parata di Renzi per sventare l’autogol. Secondo Grillo avrei invece dovuto sottolineare che l’emendamento era stato osteggiato dai Cinquestelle. Verissimo. Però è Renzi, non Grillo, che ha costretto il Pd a cambiare idea. Ed era quello il tema del mio intervento, tutt’altro che elogiativo nei confronti dei democratici.

L’Italia naviga intorno al cinquantasettesimo posto nella classifica della libertà di stampa, ma se i politici continueranno a mettere i giornalisti alla gogna rischiamo di farla scendere ancora più in basso, meritandoci così una severa reprimenda da parte dello stesso Grillo. Sempre a «Che tempo che fa» ho parlato delle famiglie italiane intrappolate in Congo con i bambini appena adottati. Avrei preferito che Grillo si occupasse di loro e non di me. Se gli riuscisse di riportarli in Italia, garantisco che canterò in diretta l’inno dei Cinquestelle, ai quali estendo con piacere i miei auguri per un Natale senza più vaffa.
 
Caterina è viva



massimo gramellini



Per avere affermato di essere ancora viva grazie alla ricerca scientifica, che include purtroppo la sperimentazione sugli animali, una ragazza padovana affetta da malattie rarissime è stata lapidata virtualmente in Rete dagli integralisti. Giovanna: «Puoi morire pure domani, per te non sacrificherei il mio pesce rosso». Valentina: «Se crepavi da bambina non fregava niente a nessuno». Perry: «Magari tu fossi già morta: un essere vivente (forse voleva dire “umano”, ndr) di meno e più animali su questo pianeta».

La lapidata, che si chiama Caterina e per ironia della storia studia veterinaria, ha risposto ai messaggi di morte con un video pacato e commovente - commovente perché pacato - in cui parla da dietro una maschera, seduta accanto alle medicine che le consentono di sopravvivere. Caterina spiega come il suo animalismo convinto (è contraria a caccia, macelli e pellicce) si fermi davanti alla sperimentazione, finché non esisteranno alternative altrettanto efficaci.
Non entro nel merito di una querelle che sembra fatta apposta per animare una di quelle discussioni tra sordi in cui eccelle il nostro dibattito pubblico, dove ciascuno agita in faccia alla controparte le sue certezze senza mai lasciarsi sfiorare dal dubbio, dall’ascolto, dall’autoironia. Ma non accetto che per difendere gli animali si debba diventare disumani. L’amore che si nutre d’odio avvilisce sempre le proprie ragioni. I sentimenti, come l’architettura, sono una questione di prospettiva. Se Giovanna, Valentina e Perry guardassero per un attimo la vita con gli occhi di Caterina, le chiederebbero scusa.
 
Il criminale nazista responsabile dello sterminio di milioni di Ebrei era stato catturato l’anno prima a Buenos Aires dove aveva vissuto indisturbato per anni. Il "reportage" della Arendt si sviluppava in una serie preziosa di considerazioni morali, che furono poi raccolte e ampliate nel libro. La tesi che emerge dalle straordinarie pagine di questo testo è per molti aspetti sconcertante: «Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme» (282). Il messaggio che scaturiva dal caso Eichmann, quello «che il suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato», era per la Arendt «la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male» (259). Su questa lezione mi sembra importante ritornare perché, fatte salve le ovvie differenze fra quello che fu "il male assoluto" e quelli che sono i mali del nostro presente, non c’è dubbio che molti di essi derivino dalla mentalità del "così fan tutti", giustificata dai cattivi maestri della scena pubblica, in particolare di quella politica. Provo ad articolare questa riflessione sull’insinuante presenza della "banalità del male" su tre fronti, che convergono nel male endemico e distruttivo della corruzione: la perdita diffusa del senso del dovere; il rimando alle altrui responsabilità per scaricare le proprie; la disaffezione nei confronti del bene comune, a favore di quello personale o della propria "lobby". Il senso del dovere è a fondamento della coscienza morale e del comportamento che ad essa si ispira. Nella sua essenza esso consiste nella disposizione ferma a compiere il bene perché è bene e a fuggire il male per l’unica ragione che è male. Applicato all’etica del lavoro questo principio comporta la cura rigorosa da mantenere nell’assolvimento dei propri compiti, a prescindere dal riconoscimento altrui e dalla ricerca pur così naturale di gratificazioni. Fare bene ciò di cui si è incaricati - purché ovviamente non contrasti con la legge morale inscritta in ciascuno di noi, com’è riassunta nei precetti del Decalogo - vuol dire contribuire alla qualità della vita di tutti, fino a poter avvertire il senso del giusto orgoglio di aver fatto la propria parte per migliorare l’esistenza collettiva. Essere paghi del bene compiuto non è egoismo: esattamente al contrario è uno dei volti dell’amore per gli altri, che è alla base della legge morale. Un servitore dello Stato che rimandasse colpevolmente a domani ciò che può fare oggi nel dare risposte a chi richiede i suoi servizi, specialmente nell’ambito delle necessità dello stato sociale, cadrebbe in una mancanza etica, che dovrebbe pesargli a prescindere da qualsivoglia sanzione (peraltro spesso inesistente o ignorata). Si pensi, per fare due esempi ben noti, ai tanti casi di esasperante lentezza della giustizia o ai continui rimandi della politica nell’affrontare questioni urgenti e necessarie, come la riforma dell’attuale, pessima legge elettorale. Se questa sensibilità morale è richiesta specialmente a chi deve assolvere a un servizio pubblico, essa mi sembra sia doverosa per tutti, perché indispensabile al bene di tutti.
La perdita del senso del dovere viene per lo più giustificata dal rimando alle responsabilità altrui: se sono i capi a dare il cattivo esempio, si comprende come il meccanismo di deresponsabilizzazione si diffonda a macchia d’olio. I cattivi maestri si possono trovare tuttavia in molti ambiti della scena pubblica: si tenga conto dell’influenza che hanno specialmente sui giovani alcuni comportamenti o stili di vita immorali di protagonisti dello spettacolo e dello sport; o si pensi alle autogiustificazioni o addirittura alla semplice negazione della responsabilità giuridica o morale che figure di rilievo della politica danno di propri comportamenti scorretti, perfino quando essi siano stati accertati e condannati a più livelli di azione giudiziaria. Questo modo di fare corrompe le scelte e le motivazioni di tanti: i corrotti diventano a loro volta corruttori, e questi si giustificano con la logica perversa del "così fan tutti". È un veleno che dilaga facilmente: «Si comincia con una piccola bustarella, ed è come una droga», afferma Papa Francesco, stigmatizzando una prassi che porta tanti a dar da mangiare ai loro figli "pane sporco". In tal senso, la corruzione è peggio del peccato, perché erode in profondità la coscienza morale e induce a sguazzare nella "banalità del male".
La diffusione di comportamenti corrotti va poi di pari passo con la crescita della disaffezione al bene comune, che è forse oggi la malattia dell’anima più insidiosa per la nostra società: la sola logica che sembra debba giustificare le scelte diventa quella del "che me ne viene?". La preoccupazione del benessere proprio e della propria lobby prevale su ogni considerazione che finalizzi l’agire al maggior bene di tutti. Si perde così il senso dell’impresa collettiva, del sogno e della speranza di una giustizia più grande; si spegne nei cuori la passione per ciò che è possibile, da fare al servizio degli altri per la costruzione di un domani migliore per tutti. Non sorprende in questo clima avvelenato che i giovani provino disgusto per l’impegno sociale e politico e preferiscano rintanarsi nel privato della propria ricerca di vantaggi e di sicurezze per il futuro. A questa mentalità che riduce il male a banalità si può reagire in un solo modo, ritrovando il senso della serietà della vita, del suo spessore morale, della dignità unica e irripetibile dell’esistenza personale.
 
Posso riassumere in un concetto unico e generale? la competizione dell'animale lo spingerebbe a pensare solo al proprio interesse ed e' questo che lo fa diventare meglio nelle ere (il piu' scaltro vince e ha piu possibilita' di sopravvivere), ma la cooperazione all'interno della specie e con l'ecosistema e' l'altra faccia delle sue chance di sopravvivere.... :rolleyes::rolleyes:
 
Posso riassumere in un concetto unico e generale? la competizione dell'animale lo spingerebbe a pensare solo al proprio interesse ed e' questo che lo fa diventare meglio nelle ere (il piu' scaltro vince e ha piu possibilita' di sopravvivere), ma la cooperazione all'interno della specie e con l'ecosistema e' l'altra faccia delle sue chance di sopravvivere.... :rolleyes::rolleyes:


:up:

l'Essere Umano è tipicamente un animale sociale: senza il gruppo è assai meno efficace: da cui lo sviluppo del linguaggio e delle emozioni

ovvio che sfruttare il gruppo è efficacissimo, ma sbagliato
anche se pare una pratica in forte diffusione, dato il tramonto dell'etica
si legga a questo proposito il thread degli assholes
 
:up:

l'Essere Umano è tipicamente un animale sociale: senza il gruppo è assai meno efficace: da cui lo sviluppo del linguaggio e delle emozioni

ovvio che sfruttare il gruppo è efficacissimo, ma sbagliato
anche se pare una pratica in forte diffusione, dato il tramonto dell'etica
si legga a questo proposito il thread degli assholes

Basti osservare che le societa' in cui l'individuo vive mediamente meglio (vale a dire in cui riceve dalla comunita' servizi migliori e piu' efficaci a facilitargli e rendergli piu' piacevole l'esistenza) sono quelle in cui e' piu' radicato negli individui stessi il senso del rispetto della proprieta', del bene e delle regole comuni. Non e' mica un caso se i paese del noerdeuropa esprimono tradizionalmente una classe politica (ora di destra, ora di sinistra) mediamente decente e noi, dovunque attingiamo i nostri rappresentanti, in qualunque direzione orientiamo il nostro voto prima o poi scopriamo di avere eletto dei malfattori. E' una questione di mentalita' diffusa: in altri paesi cio' che e' pubblico e' anche mio e come tale devo difenderlo, in Italia da sempre cio' che e' pubblico e' un bene incustodito che mi basta allungare una mano per fare mio e come tale devo fregarmelo prima che lo faccia un altro. Come possiamo lamentarci che la nostra classe politica ci somigli?
 
Basti osservare che le societa' in cui l'individuo vive mediamente meglio (vale a dire in cui riceve dalla comunita' servizi migliori e piu' efficaci a facilitargli e rendergli piu' piacevole l'esistenza) sono quelle in cui e' piu' radicato negli individui stessi il senso del rispetto della proprieta', del bene e delle regole comuni. Non e' mica un caso se i paese del noerdeuropa esprimono tradizionalmente una classe politica (ora di destra, ora di sinistra) mediamente decente e noi, dovunque attingiamo i nostri rappresentanti, in qualunque direzione orientiamo il nostro voto prima o poi scopriamo di avere eletto dei malfattori. E' una questione di mentalita' diffusa: in altri paesi cio' che e' pubblico e' anche mio e come tale devo difenderlo, in Italia da sempre cio' che e' pubblico e' un bene incustodito che mi basta allungare una mano per fare mio e come tale devo fregarmelo prima che lo faccia un altro. Come possiamo lamentarci che la nostra classe politica ci somigli?


ben detto :):)


ot: ho visto un Van Eick e, inevitabilmente, ti ho rivolto un saluto

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.. i piedi sono fuori posto ... :wall::wall:
 

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