16 Febbraio 2010
Grecia: ma fallire è tragedia?
di Roberto Perotti
Tutti discutono di come salvare la Grecia; il se è dato per scontato. Ma non è così ovvio. Un salvataggio pubblico è legittimo se un default dovesse avere effetti sistemici rilevanti per il resto d'Europa. Quali possono essere questi effetti?
Il primo è sul sistema finanziario. Il debito pubblico greco è di 240 miliardi di euro; forse il 75% è in mani straniere. Poiché non si tratterà mai di default totale, stiamo parlando di tre o quattro decine di miliardi (e non tutti detenuti da banche). Noccioline rispetto agli accantonamenti che secondo il Fondo monetario il sistema bancario europeo deve ancora fare; poco anche rispetto ai bilanci di intermediari come Citigroup, Lehman Brothers e Aig, nell'occhio del ciclone durante la crisi.
Un secondo possibile effetto sistemico riguarda l'euro. Un default sul debito si fa essenzialmente in due modi. Il governo greco ripaga solo una parte del debito, magari chiamando l'operazione "ristrutturazione". Oppure esce dell'unione monetaria, converte il debito in dracme, e lascia deprezzare la dracma. Per la Grecia questo è più efficace, perché l'aggiustamento di cui ha bisogno sarebbe troppo pesante senza l'aiuto di un deprezzamento che renda l'economia più competitiva. Ma per l'Europa ha un costo: la fine dell'aura di successo della nuova moneta.
Questo aspetto di facciata è il meno preoccupante: forse l'euro si deprezzerà un po', ma non è esattamente quello che volevano tanti commentatori europei quando protestavano contro il deprezzamento del dollaro? E non si può nemmeno escludere che l'eurozona si rafforzi, perché dimostrerebbe di sapere rispettare i patti e di sapere eliminare le sue componenti più deboli: un indizio in questo senso è che la maggioranza dei tedeschi è favorevole all'uscita della Grecia dall'euro, ma non vuole la fine dell'euro.
L'aspetto sostanziale è che si semineranno dubbi su altri paesi. Per esempio il Portogallo, per cui vale però lo stesso discorso della Grecia. E poi la Spagna. Il vero problema qui però non è il debito pubblico, un modesto 65% del Pil, ma la bassa competitività: la crescita passata si è concentrata nel settore residenziale, oggi in crisi; la produttività non cresce, e il deficit commerciale è al 10 per cento.
La Spagna ha dunque bisogno di un deprezzamento reale, che può ottenere tagliando la spesa pubblica o uscendo dall'euro. Non ha bisogno di garanzie sul debito, che peraltro nessuno può offrire in quantità credibile, né tantomeno di aiuti.
Ma anche se vi fosse un piccolo rischio-Spagna, non si devono sottovalutare i costi di un salvataggio della Grecia. Quando Fed e Tesoro americani salvarono la maggior parte degli intermediari, Paulson pretese che due o tre venissero affondati (anche se tecnicamente solo Lehman Brothers fallì). Fu criticato, ma aveva ragione: ogni tanto bisogna dare un segnale, altrimenti che senso ha parlare di prevenzione di comportamenti irresponsabili? E contrariamente a quanto si dice, le vittime non furono casuali: Bear Stearns e Lehman Brothers erano da molti punti di vista le istituzioni peggio gestite. Lo stesso vale per la Grecia, dove per 15 anni le due coalizioni che si alternano al potere hanno giocato alla roulette russa con l'economia del proprio paese.
Il salvataggio del sistema finanziario statunitense coinvolse solo la Fed e il Tesoro, ciascuno con team molto piccoli e compatti. Eppure fallirono due volte prima di arrivare a una proposta convincente. Ci riuscirono grazie a due condizioni: esautorarono temporaneamente i board di decine di istituzioni finanziarie, e misero sul tavolo centinaia di miliardi di dollari del contribuente, con un forte rischio che risultassero a fondo perduto. Un bailout della Grecia coinvolgerebbe la Commissione, il presidente dell'Unione, decine di ministri nazionali, e la Bce. Non riusciranno a trovare soldi veri, con il 71% dei tedeschi contrari; e men che meno riusciranno a esautorare i politici greci che hanno condotto il paese sull'orlo del baratro. Anzi, il primo ministro Papandreou sta già usando la situazione per ergersi a difensore di uno stato sociale in bancarotta contro i malvagi stranieri.
È meglio lasciar perdere e lanciare un segnale a chi è ancora in tempo. Per la Grecia, un mancato bailout richiederà, oltre forse a un default parziale, una riduzione della spesa diciamo del 4 o 5%, e un aumento delle imposte (magari attaccando l'evasione) di altrettanto. Molto più della manovra di cui si parlava ancora ipocritamente nella riunione di ieri, ma non una tragedia: altri l'hanno fatta (come ha ricordato Alberto Alesina domenica) e sono sopravvissuti. Anzi, fare un default è spesso un affare. Nel 2001 l'Argentina si sganciò dal dollaro e di fatto svalutò i propri debiti, come sanno bene molti risparmiatori italiani. Il presidente fu letteralmente salvato da un elicottero, e tutti si aspettavano il disastro; invece, dopo poco l'Argentina cominciò ad attirare forti investimenti esteri e dal 2003 crebbe per qualche anno a ritmi cinesi. Il motivo è semplice, e si ripete da centinaia di anni: con un default un paese e le sue aziende si disfano dei debiti pre-esistenti e diventano di nuovo appetibili.
Tutto ciò non significa che in Grecia saranno rose e fiori, con o senza default. Ci saranno problemi economici: inizialmente la recessione si farà ancora più pesante. Ci saranno problemi geo-politici, perché la Grecia non può permettersi di essere declassata rispetto ai paesi balcanici e alla Turchia. Ci saranno problemi di ordine pubblico, perché i sindacati non hanno ancora capito niente e molti politici cavalcano la tigre.
Ma prima o poi si deve arrivare a una soluzione; mettere insieme un bailout inevitabilmente pasticciato prolunga soltanto l'agonia, e previene la guarigione di altri paesi.
16 Febbraio 2010