Errori di valutazione nella crisi greca
L'incredibile mea culpa sull'austerity del Capo Economista dell'FMI
Può considerarsi un mea culpa, anche se celato dietro una marea di calcoli e di analisi della regressione: l’economista di punta dell'FMI ha affermato in uno studio che il Fondo ha sbagliato le sue previsioni riguardo l’economia della Grecia e di altri paesi europei, non comprendendo a pieno che gli sforzi fatti dai governi, in termini di austerità, avrebbero minato la crescita economica.
Questo
studio, innovativo ed estremamente tecnico, analizza nuovamente il tema dei moltiplicatori fiscali e l’impatto che l’aumento e la riduzione della spesa pubblica o delle tasse hanno sulla produzione economica di un paese.
Le ricerche condotte dal Fondo sono sempre state pubblicate con l’ammonimento a considerarle il frutto del punto di vista del ricercatore che le ha condotte e non dell’istituzione stessa, ma il fatto che le affermazioni contenute in questo studio provengano da un consulente economico che è anche il direttore della ricerca, Olivier Blanchard, e quindi da una persona che opera ai vertici dell’istituzione, è significativo.
Lo studio tenta di porre fine al dibattito sorto intorno alla questione relativa a come i paesi più veloci dovrebbero indirizzare i loro sforzi a tenere sotto controllo i grandi debiti e decifit.
Se i moltiplicatori fiscali sono piccoli, i paesi possono tagliare le spese più velocemente o aumentare le tasse senza che ciò produca molti danni a breve termine.
Se i moltiplicatori fiscali sono grandi , allora il processo può rivelarsi auto-distruttivo, almeno nel breve periodo, in quanto per ogni dollaro che il governo taglia, si osserva una perdita di più di un dollaro nella produzione economica e di conseguenza un incremento degli indici di indebitamento.
Questo è ciò che si è verificato in Grecia , dove le previsioni del Fondo, relative al primo programma del piano di salvataggio risalente al 2010, prevedevano che lo Stato, tagliando profondamente le spese del Governo, sarebbe riuscito a risollevare l’economia e il mondo del lavoro. Due anni più tardi, l’economia della Grecia sta ancora arretrando ed il tasso di disoccupazione si è attestato al 25 per cento.
Ovviamente due circostanze non potranno mai essere identiche ed ormai fuori dal mercato delle obbligazioni internazionali la Grecia, non potendo neanche contare sul sostegno della finanza, non aveva altra scelta se non quella di iniziare a mettere in sesto i propri conti pubblici o dover affrontare un default catastrofico. Però, per un’economia che ha annaspato per anni, un miliardo o due extra da stanziare per i programmi del Governo o per investimenti avrebbero potuto contribuire a tenere aperte alcune piccole attività e permesso a qualche famiglia in più di continuare a lavorare e spendere.
In questo studio, Blanchard ed il co-autore Daniel Leigh, un economista del Fondo, hanno dichiarato che “chi ha fatto previsioni ha sottovalutato in maniera significativa l’incremento del tasso di disoccupazione ed il declino nella domanda interna associati al consolidamento fiscale”. Il fondo è stato accusato di aver intenzionalmente sottovalutato gli effetti sortiti dalla politica di austerità adottata in Grecia allo scopo di rendere i suoi programmi appetibili, almeno sulla carta.
Fonti ufficiali provenienti dal Fondo hanno insinuato che siano stati i loro partner europei, in particolare la Germania , ad aver insistito affinché i tagli fossero più profondi ed effettuati più velocemente.
Gli sviluppi della ricerca sui moltiplicatori avrebbero potuto aiutare a spostare il tono del dibattito in paesi come la Spagna e il Portogallo, dove è stato sostenuto un ritmo più lento del controllo del deficit.
Questo studio include anche un approfondimento sottile e potenzialmente problematico su come funziona il Fondo. Blanchard, uno dei massimi esperti del Fondo in materia di scienze economiche, nella sua ricerca afferma che non avrebbe potuto determinare con certezza quali moltiplicatori sarebbero stati utilizzati dagli economisti , a livello nazionale, per fare le loro previsioni. Il numero era implicito nei loro modelli di previsione, ed è stato dato per scontato piuttosto che essere considerato una variabile da adattare alle singole circostanze e alle peculiarità nazionali.
Tutto ciò ha portato ad una crisi che ha quasi devastato l’Eurozona, in altre parole, né Blanchard, né altri componenti del numeroso esercito di tecnici del fondo, hanno pensato a valutare se tali considerazioni sarebbero state ancora valide in tempi di crisi.
Ciò si è rivelato essere un grande errore. I moltiplicatori variano con il tempo: possono essere bassi in un paese dove l’economia è in crescita, i tassi di interesse normali ed il sistema bancario solido. Come ha mostrato questa ricerca , essi diventano più grandi se i tassi di interesse sono bassi, il livello di produzione sta precipitando ed il sistema bancario scricchiola, condizioni che rendono tutti, dalle famiglie agli investitori, meno inclini a spendere, e di conseguenza fanno sì che la domanda generata dal governo sia molto più importante.
Dallo studio di Blanchard e Leigh si deduce che coloro che hanno effettuato le previsioni per il Fondo Monetario Internazionale hanno utilizzato un unico moltiplicatore pari allo 0,5, quando invece le circostanze relative all’economia europea avrebbero richiesto l’utilizzo di un moltiplicatore diverso pari a 1,5; ciò significa che ogni dollaro tagliato alle spese del governo ha comportato una perdita di 1 dollaro e mezzo nel livello di produzione.
Quali sono le implicazioni per il futuro?
Questo studio potrebbe non rappresentare una posizione ufficiale del Fondo Monetario Internazionale , ma provenendo da uno degli economisti più importanti dell’agenzia, è destinato a cambiare il modo in cui l’agenzia genera le previsioni.
Per ciò che riguarda la politica fiscale, un argomento di grande interesse, considerato il fatto che il dibattito statunitense si sta orientando verso una politica di austerità, Blanchard e Leigh hanno sostenuto che una migliore comprensione dei moltiplicatori non produce alcuna conclusione definitiva.
Molti paesi devono ancora ridurre i loro deficit, alcuni più velocemente, altri più lentamente, tenendo conto di un molteplicità di fattori.
“I risultati non implicano che il consolidamento fiscale non sia auspicabile”, scrivono i due. “Virtualmente tutte le economie avanzate affrontano la sfida del risanamento del bilancio come risposta agli elevati livelli di indebitamento dei governi e delle future pressioni sulle finanze pubbliche dovute al cambiamento demografico. Gli effetti a breve termine della politica fiscale sull’attività economica sono solo uno dei molti fattori di cui si deve necessariamente tenere conto nel determinare il ritmo del consolidamento fiscale in ogni singolo paese”.
Articolo pubblicato sul Washington Post il 3 gennaio 2013.