Sharnin 2
Forumer storico
Hedge funds, un successo effimero?
Alfonso Tuor
Negli ultimi anni si sono imposti non solo al centro della scena del mondo finanziario, ma anche di quello economico e politico, nuovi soggetti ed in particolare gli hedge funds ed i fondi Private Equity. Il loro incontestabile successo è salutato da alcuni come un fattore positivo, che aiuta a rendere l’economia più efficiente e a «lubrificare» il funzionamento dei mercati finanziari, mentre da altri è invece temuto non solo a causa delle possibili conseguenze sull’intero sistema di un crack di una certa rilevanza (basti pensare a quanto successe nel 1999 con la Long Term Capital Management), ma anche per la forza dirompente che la loro attività determina sull’economia, in generale, e quindi anche sugli assetti politici. Ma procediamo con ordine.
Il successo degli hedge funds, che si stima gestiscano oggi più di 1.600 miliardi di dollari, è dovuto alle limitazioni imposte dalla regolamentazione ai tradizionali fondi di investimento, i cui gestori sono appunto obbligati a tenere una quota consistente investita anche se ritengono che gli strumenti finanziari acquistati siano destinati a perdere valore. Invece, gli hedge funds, che sono un mondo molto vasto che opera in diversi mercati e con diversi strumenti finanziari, non hanno alcuna limitazione nelle loro scelte di investimento e, inoltre, possono fare uso del credito bancario per moltiplicare le proprie «scommesse» e quindi i propri guadagni. Alcuni hedge funds sono attivi anche nelle acquisizioni e spesso affiancano alcune società nelle scalate di altre società (si veda il caso della banca olandese Abn Amro) o affiancano i fondi di Private Equity che sono specializzati in questo campo di attività. Questi ultimi, si stima, gestiscano oggi più di 400 miliardi di dollari.
Il primo punto controverso riguarda proprio la spiegazione dell’affermazione di questi nuovi soggetti finanziari. In altri termini, il loro splendore è dovuto ai meriti dei loro «superpagati» gestori oppure è dovuto a una particolare costellazione favorevole? Il dubbio, anche se non può essere ancora sciolto, è più che legittimo. In primo luogo, è ancora da dimostrare che siano un vero strumento di diversificazione. Quando i mercati scendono, anche gli hedge funds scendono (magari un po’ meno). Inoltre le loro performances, di solito migliori del mercato, sono strettamente connesse con il ricorso al credito che in questi ultimi anni non ha rappresentato il benché minimo problema a causa dell’enorme quantità di moneta in circolazione, a causa dei tassi di interesse a livelli storicamente molto bassi e a causa di una percezione del rischio molto bassa. In questo contesto, usando un linguaggio calcistico, ogni tiro diventava una rete. Nelle ultime settimane il rialzo dei tassi di interesse sta cambiando il quadro idilliaco all’interno del quale questi gestori operano. E non è casuale che subito comincino ad emergere le prime gravi crisi che naturalmente le grandi banche di investimento cercano di risolvere prima che diventino argomento di discussione dell’opinione pubblica. L’ultima crisi, in ordine di tempo, che è venuta alla luce riguarda due hedge funds della nota banca di investimento statunitense Bear Stearns che hanno «giocato» circa 20 miliardi di dollari su derivati rappresentativi dei mutui immobiliari più a rischio. L’operazione di salvataggio si è subito messa in moto: Bear Stearns ha iniettato 1,5 miliardi di dollari, mentre Bank of America e Goldman Sachs hanno raggiunto un accordo per liquidare le loro quote e altri istituti (tra cui il Credit Suisse) che avevano concesso crediti stanno ancora trattando con Bear Stearns. Merrill Lynch ha invece deciso di indire un’asta per vendere la sua quota di 850 milioni di dollari con il concreto rischio di deprimere il prezzo di questi strumenti e di provocare una reazione a catena. Come andrà a finire lo si capirà nei prossimi giorni, ora è invece interessante usare questo esempio per sottolineare alcuni aspetti. In primo luogo, i principali attori su questo mercato sono le grandi banche di investimento, che agiscono o direttamente con propri hedge funds o con l’apertura di linee di credito e/o come controparte o come market makers. In secondo luogo, si dice che la capacità di calcolare e quindi di controllare il rischio è talmente elevata che sono da escludere cattive sorprese. L’esperienza della Long Term Capital Management e quella attuale mettono in dubbio queste presunte certezze. In terzo luogo, ed è l’aspetto più importante per capire il funzionamento di questi fondi, i capitali raccolti dai due fondi tra gli investitori ammontano a 600 milioni di dollari, di cui 40 milioni della stessa Bear Stearns. Ma questi due hedge funds hanno ottenuto 9 miliardi di dollari di crediti dalle altre banche di investimento e, avendo sbagliato la politica di investimento, hanno ora un’esposizione totale di 20 miliardi dollari. È utile ripeterlo: con 600 milioni, grazie alla leva, si giunge ad una esposizione di 20 miliardi. Per alcuni, e anche per il sottoscritto, questo è il più patente e chiaro sintomo di una grave malattia del sistema finanziario, per altri, queste cifre dimostrano invece l’efficienza dell’attuale sistema finanziario. Queste proporzioni valgono anche per i fondi Private Equity (che si stima ricorrano al credito per circa l’80% dei loro investimenti) che spesso scalano società grazie ai capitali investiti dai fondi pensione dei loro dipendenti e grazie a imponenti linee creditizie. Per onorare questi impegni si procede poi a vendite di parti delle società acquisite, a spezzettamenti e soprattutto ad una strategia industriale tesa non alla crescita o allo sviluppo di nuovi prodotti, ma a ridare i soldi ai nuovi proprietari per ripagare i loro debiti. Indubbiamente l’esplosione dei crediti, che ha riguardato anche mercati tradizionali, come quello immobiliare, ha sicuramentre favorito la crescita dell’economia mondiale. C’è però da domandarsi se, essendo prossimo alla fine il periodo di liquidità abbondante e di tassi bassi, i nodi del boom creditizio degli ultimi anni, che è stato veramente di dimensioni imponenti, non preluda, come sembrano indicare gli ultimi avvenimenti, ad una stretta creditizia dovuta all’aumento dei tassi, ad una minore quantità di moneta in circolazione e soprattutto ad un improvviso ritorno dell’avversione al rischio. In tal caso, da un canto, ci sarebbero grandi guai, ma, dall’altro, il mondo si ricorderebbe che la funzione del sistema finanziario è quella di cercare di allocare al meglio le risorse e che il mondo finanziario riesce a remunerare e a far aumentare il valore dei risparmi degli investitori solo se le società, cui i titoli finanziari sono collegati, crescono e aumentano la loro redditività. Inoltre servirebbe anche a ricordare che il sistema finanziario non ha ancora il potere divino di moltiplicare i soldi.
21/06/2007
CdT
Alfonso Tuor
Negli ultimi anni si sono imposti non solo al centro della scena del mondo finanziario, ma anche di quello economico e politico, nuovi soggetti ed in particolare gli hedge funds ed i fondi Private Equity. Il loro incontestabile successo è salutato da alcuni come un fattore positivo, che aiuta a rendere l’economia più efficiente e a «lubrificare» il funzionamento dei mercati finanziari, mentre da altri è invece temuto non solo a causa delle possibili conseguenze sull’intero sistema di un crack di una certa rilevanza (basti pensare a quanto successe nel 1999 con la Long Term Capital Management), ma anche per la forza dirompente che la loro attività determina sull’economia, in generale, e quindi anche sugli assetti politici. Ma procediamo con ordine.
Il successo degli hedge funds, che si stima gestiscano oggi più di 1.600 miliardi di dollari, è dovuto alle limitazioni imposte dalla regolamentazione ai tradizionali fondi di investimento, i cui gestori sono appunto obbligati a tenere una quota consistente investita anche se ritengono che gli strumenti finanziari acquistati siano destinati a perdere valore. Invece, gli hedge funds, che sono un mondo molto vasto che opera in diversi mercati e con diversi strumenti finanziari, non hanno alcuna limitazione nelle loro scelte di investimento e, inoltre, possono fare uso del credito bancario per moltiplicare le proprie «scommesse» e quindi i propri guadagni. Alcuni hedge funds sono attivi anche nelle acquisizioni e spesso affiancano alcune società nelle scalate di altre società (si veda il caso della banca olandese Abn Amro) o affiancano i fondi di Private Equity che sono specializzati in questo campo di attività. Questi ultimi, si stima, gestiscano oggi più di 400 miliardi di dollari.
Il primo punto controverso riguarda proprio la spiegazione dell’affermazione di questi nuovi soggetti finanziari. In altri termini, il loro splendore è dovuto ai meriti dei loro «superpagati» gestori oppure è dovuto a una particolare costellazione favorevole? Il dubbio, anche se non può essere ancora sciolto, è più che legittimo. In primo luogo, è ancora da dimostrare che siano un vero strumento di diversificazione. Quando i mercati scendono, anche gli hedge funds scendono (magari un po’ meno). Inoltre le loro performances, di solito migliori del mercato, sono strettamente connesse con il ricorso al credito che in questi ultimi anni non ha rappresentato il benché minimo problema a causa dell’enorme quantità di moneta in circolazione, a causa dei tassi di interesse a livelli storicamente molto bassi e a causa di una percezione del rischio molto bassa. In questo contesto, usando un linguaggio calcistico, ogni tiro diventava una rete. Nelle ultime settimane il rialzo dei tassi di interesse sta cambiando il quadro idilliaco all’interno del quale questi gestori operano. E non è casuale che subito comincino ad emergere le prime gravi crisi che naturalmente le grandi banche di investimento cercano di risolvere prima che diventino argomento di discussione dell’opinione pubblica. L’ultima crisi, in ordine di tempo, che è venuta alla luce riguarda due hedge funds della nota banca di investimento statunitense Bear Stearns che hanno «giocato» circa 20 miliardi di dollari su derivati rappresentativi dei mutui immobiliari più a rischio. L’operazione di salvataggio si è subito messa in moto: Bear Stearns ha iniettato 1,5 miliardi di dollari, mentre Bank of America e Goldman Sachs hanno raggiunto un accordo per liquidare le loro quote e altri istituti (tra cui il Credit Suisse) che avevano concesso crediti stanno ancora trattando con Bear Stearns. Merrill Lynch ha invece deciso di indire un’asta per vendere la sua quota di 850 milioni di dollari con il concreto rischio di deprimere il prezzo di questi strumenti e di provocare una reazione a catena. Come andrà a finire lo si capirà nei prossimi giorni, ora è invece interessante usare questo esempio per sottolineare alcuni aspetti. In primo luogo, i principali attori su questo mercato sono le grandi banche di investimento, che agiscono o direttamente con propri hedge funds o con l’apertura di linee di credito e/o come controparte o come market makers. In secondo luogo, si dice che la capacità di calcolare e quindi di controllare il rischio è talmente elevata che sono da escludere cattive sorprese. L’esperienza della Long Term Capital Management e quella attuale mettono in dubbio queste presunte certezze. In terzo luogo, ed è l’aspetto più importante per capire il funzionamento di questi fondi, i capitali raccolti dai due fondi tra gli investitori ammontano a 600 milioni di dollari, di cui 40 milioni della stessa Bear Stearns. Ma questi due hedge funds hanno ottenuto 9 miliardi di dollari di crediti dalle altre banche di investimento e, avendo sbagliato la politica di investimento, hanno ora un’esposizione totale di 20 miliardi dollari. È utile ripeterlo: con 600 milioni, grazie alla leva, si giunge ad una esposizione di 20 miliardi. Per alcuni, e anche per il sottoscritto, questo è il più patente e chiaro sintomo di una grave malattia del sistema finanziario, per altri, queste cifre dimostrano invece l’efficienza dell’attuale sistema finanziario. Queste proporzioni valgono anche per i fondi Private Equity (che si stima ricorrano al credito per circa l’80% dei loro investimenti) che spesso scalano società grazie ai capitali investiti dai fondi pensione dei loro dipendenti e grazie a imponenti linee creditizie. Per onorare questi impegni si procede poi a vendite di parti delle società acquisite, a spezzettamenti e soprattutto ad una strategia industriale tesa non alla crescita o allo sviluppo di nuovi prodotti, ma a ridare i soldi ai nuovi proprietari per ripagare i loro debiti. Indubbiamente l’esplosione dei crediti, che ha riguardato anche mercati tradizionali, come quello immobiliare, ha sicuramentre favorito la crescita dell’economia mondiale. C’è però da domandarsi se, essendo prossimo alla fine il periodo di liquidità abbondante e di tassi bassi, i nodi del boom creditizio degli ultimi anni, che è stato veramente di dimensioni imponenti, non preluda, come sembrano indicare gli ultimi avvenimenti, ad una stretta creditizia dovuta all’aumento dei tassi, ad una minore quantità di moneta in circolazione e soprattutto ad un improvviso ritorno dell’avversione al rischio. In tal caso, da un canto, ci sarebbero grandi guai, ma, dall’altro, il mondo si ricorderebbe che la funzione del sistema finanziario è quella di cercare di allocare al meglio le risorse e che il mondo finanziario riesce a remunerare e a far aumentare il valore dei risparmi degli investitori solo se le società, cui i titoli finanziari sono collegati, crescono e aumentano la loro redditività. Inoltre servirebbe anche a ricordare che il sistema finanziario non ha ancora il potere divino di moltiplicare i soldi.
21/06/2007
CdT