In realtà prima un comitato per un’analisi scientifica e politica dei fatti di studiosi e combattenti si propose nel 1917 come
“un’esame di coscienza nazionale” per cui la sconfitta andava attribuita a una più generale disfatta nazionale.
I promotori facevano risalire le “responsabilità mediate e profonde” di Caporetto,
“a cinquant’anni di mal governo, di corruzione politica, di dittature parlamentari, di menzogne elettorali,
di assenza della scuola popolare, di voluto e sistematicamente procurato servilismo in tutti i rami di funzionari,
di assenza di dignità, di forza, di volontà nei rappresentanti dello Stato”. (
Emilio Gentile, Il Sole 24 Ore)
Più significativi da un punto di vista politico furono i risultati della Commissione d’Inchiesta parlamentare istituita nel 1919.
“La Relazione aveva messo in luce le grandi responsabilità dei comandi militari e, soprattutto quelle del comandante supremo Cadorna,
rispetto alla gestione strategica del conflitto […] basata quasi esclusivamente sulla repressione e sulla grave sottovalutazione di un elemento invece fondamentale:
la conquista del consenso dei soldati come potente fattore di motivazione individuale e collettiva” (Luca Falsini, Processo a Caporetto, Donzelli).
Questa lettura parlamentare non poteva essere compatibile con il nazionalismo montante, quello della “vittoria mutilata”
e della guerra patriottica e anche con la giustificata paura che tutto crollasse, sotto la spinta della propaganda comunista
e della rivoluzione dei soviet realizzata in Russia: gli accenti critici verso la nazione furono espunti dal dibattito
e della scena politica che di lì a poco avrebbe aperto fatto strada a Mussolini.
Bisognerà attendere il secondo guerra per mettere in discussione il mito fondante della “guerra di popolo”, grazie anche alla riscoperta della Relazione.
Inutile strage: le decimazioni sommarie.
Nel 1964 esce il Diario di guerra di Angelo Gatti (lo pubblica Il Mulino), ufficiale di Stato Maggiore
che non risparmia al lettore il doloroso capitolo, per l’onore dell’Esercito, delle decimazioni, dei processi sommari, delle fucilazioni di disertori.
Significativa, a questo proposito, la testimonianza di Silvio D’Amico in Caporetto:
Presso un reggimento di fanteria avviene un’insurrezione. Si tirano colpi di fucile, si grida: Non vogliamo andare in trincea.
Il colonnello ordina un’inchiesta, ma i colpevoli non sono scoperti. Allora comanda che siano estratti a sorte dieci uomini e siano fucilati.
Senonché i fatti erano avvenuti il 28 del mese e il giudizio era pronunciato il 30.
Il 29 del mese erano arrivati i complementi, inviati a colmare i vuoti prodotti dalle battaglie già sostenute: 30 uomini per ciascuna compagnia.
Si domanda al colonnello: Dobbiamo imbussolare anche i nome dei complementi?
Essi non possono aver preso parte al tumulto del 28: sono arrivati il 29.
Il colonnello risponde: imbussolate tutti i nomi.
Così avviene che, su dieci uomini da fucilare, due degli estratti sono complementi arrivati il 29.
All’ora della fucilazione la scena è feroce. Uno dei due complementi – entrambe di classi anziane – è svenuto.
Ma l’altro, bendato, cerca col viso da che parte sia il comandante del reggimento, chiamando a gran voce: Signor colonnello! Signor colonnello!
Si fa un silenzio di tomba. Il colonnello deve rispondere. Risponde: che c’è figliuolo?
Signor colonnello! – Grida l’uomo bendato. Io sono della classe 75. Io sono padre di famiglia. Io il giorno 28 non c’ero. In nome di Dio!
Figliuolo, risponde paterno il colonnello, io non posso cercare tutti quelli che c’erano e che non c’erano,
La nostra giustizia fa quello che può. Se tu sei innocente, Dio ne terrà conto. Confida in Dio (
Silvio D’Amico, Caporetto)