HO VISTO UN POSTO CHE MI PIACE... SI CHIAMA MONDO

Mah, come potrà migliorare la situazione se vengono presi tali provvedimenti ? Di riflesso avremo sempre maggior repulsione

La Croce Rossa del Regno del Belgio ha ordinato: "Levate il crocifisso dai nostri uffici".

Il direttore dell’associazione della cittadina belga di Verviers ha rivelato al quotidiano belga francofono 7sur7
di aver ricevuto una circolare dal comitato centrale della Croce Rossa belga che ordinava di togliere i crocifissi
dalle pareti delle succursali per risultare "più imparziali e neutri".
Più precisamente la circolare esigeva di "rispettare i principi fondamentali della Croce Rossa quali il divieto di discriminare le persone per la propria religione, razza o colore della pelle".

Cosa ci sia di discriminatorio nell'avere un crocifisso alle pareti non ci è dato sapere
ma gli effetti sono già ben visibili nell'osservare le pareti spoglie e prive del crocifisso,
come mostra un servizio dell'emittente televisiva Rtl.

Molti volontari della Croce Rossa definiscono tale imposizione esagerata e senza senso:
Georges Gelard ironizza dicendo che ora bisognerà togliere anche le bandiere della stessa associazione
perché vi è raffigurata una grande croce rossa su sfondo bianco

mentre Marie-Claire Beuvens denuncia come in Belgio la situazione sia particolarmente grave
e i mercatini di Natale siano diventati i "Piaceri d'Inverno" e le vacanze di Natale le "vacanze invernali"
per non fare alcun riferimento alla religione e cancellare così la parola Natale dal nostro vocabolario"
 
L'Occidente laicista non è nuovo a questi estremi gesti e la croce sembra essere il bersaglio ideale per attaccare la religione cristiana e le nostre tradizioni.

La croce è stata tolta dalle chiese raffigurate su confezioni di alimentari destinate alla grande distribuzione o dalle pubblicità,
il crocifisso è stata tolto dalle aule scolastiche e in Francia la croce sopra la statua di Giovanni Paolo II deve essere rimossa perché violerebbe la laicità dello Stato.

Persino nell’arte la visione della crocifissione è stata censurata come nel caso della scolaresca fiorentina
che si è vista cancellare la visita alla mostra di arte sacra perché vi era esposta la "Crocifissione Bianca" del pittore Marc Chagall poiché non si "voleva urtare i sentimenti degli alunni non cristiani".

Nell’Europa dove si demoliscono le chiese, i presepi sono vietati e le croci rimosse,
le frontiere del perbenismo si allargano ancora di più ed è così che anche il semplice augurio di "Buon Natale"
rischia di subire la censura del politicamente corretto e trasformarsi in un grigio "Auguri per la stagione invernale", non sia mai che un non-cristiano si possa offendere.

L’Europa e gli europei non possono stare inermi a questo attacco senza precedenti alla nostra identità.
Bisogna riscoprire e rilanciare i valori della nostra cultura senza timore di offendere chi ha una cultura o religione differente.

Solo così potremo accettare le diversità della società moderna attuale senza perdere per sempre i caratteri costitutivi della nostra identità e soccombere alla dittatura del politicamente corretto.
 
L'ultima follia targata Cinque Stelle è il tentativo di sostituire i tradizionli abeti per fare gli alberi di Natale con i cedri.

"Se addobbato come si deve - spiegano i grillini - il cedro può sostituire al meglio il più comune e tradizionale abete di Natale".
Una scelta che, come riferisce il Messaggero, ha fatto infuriare il I Municipio.

L'idea di sostituire gli abeti con i cedri è stata pensata e, poi, proposta dall'assessorato all'Ambiente.
E subito ha creato parecchi malumori. "Ma dai? Quando mi è arrivata quella mail non ci volevo credere", spiega Anna Vincenzoni del I Municipio.
In un passaggio c'è, infatti, scritto: "Visivamente il cedro, una volta decorato, ha effetto simile all'abete". Sarà.

Ma alla Vincenzoni sembrerebbe di "prendere in giro".
Come ricorda il Messaggero, però, non sarebbe la prima volta che Roma manda in cantina il tradizionale albero di Natale.
L'anno scorso i cedri sono stati usati in ben cinque diversi Municipi.

Cosa ci sia dietro questa scelta è un mistero.
Di sicuro non ci sono ragioni di spending review. Perché, a quanto pare, i cedri costano almeno il doppio.

"Ma su questo si potrebbe anche replicare che magari il Comune ha trovato cedri a poco prezzo o che gli sono stati regalati - spiega la Vincenzoni al Messaggero -
è proprio il fatto in sé che a mio giudizio non regge, come se fosse una scelta di serie B per i cittadini di Roma".
 
Libertà di pensiero ed espressione ....sta diventando un miraggio ? Oppure sarà solo un ricordo.

Alla fine degli anni Ottanta, lo storico Renzo De Felice concesse un’intervista a Giuliano Ferrara per il Corriere della Sera.
In sintesi, l’autore della monumentale biografia di Mussolini destinata a cambiare per sempre la storiografia sugli anni della dittatura,
sosteneva l’abrogazione della legge Scelba, ritenendo ormai cessato il pericolo di ricostituzione del partito fascista.

Apriti cielo. La Sapienza di Roma divenne una bolgia, con una contestazione studentesca che andò avanti per mesi.
Nulla di nuovo, in verità, visto che già negli anni Settanta De Felice aveva subito le angherie degli studenti, anche se ai suoi colleghi “revisionisti” andò molto peggio.
Rosario Romeo, autore della fondamentale biografia su Cavour, fu aggredito, con pistola alla tempia, e rinchiuso nel suo studio nella facoltà di Lettere,
mentre il filosofo Lucio Colletti fu minacciato di morte e dovette trasferirsi all’ateneo di Losanna. Formidabili quegli anni.

Naturalmente, nessuno - tranne rare e coraggiose eccezioni - dei grandi pensatori dei grandi media
che grandeggiano sulle sorti della nostra grande nazione spese una parola su queste intimidazioni - in perfetto stile fascista -
e nessuno degli studenti organici della rivoluzione permanente si interrogò nemmeno un secondo
sulla costrizione del libero pensiero e della libertà personale - in perfetto stile fascista - di autorevoli studiosi
che condividevano il difetto di non accucciarsi sulla vulgata comunista-conformista-resistenziale.

E chi scrive questo pezzo ricorda ancora un allucinante servizio televisivo nel quale si vedeva un ragazzotto
con le stigmate del perfetto trozkista con villa in Sardegna - verboso, pulcioso, forforoso -
sbraitare in faccia all’attonito professore le contraddizioni del sistema capitalistico, il complotto demo-pluto-giudaico-massonico, le angherie del padronato e la rivolta del popolo in armi.

Ed eravamo alla vigilia della caduta del Muro. Grottesco.

Bene. Togliete la kefiah unta e bisunta e le espadrillas scalcagnate e infilate un bomber e gli anfibi e poi trovate la differenza.

Non c’è alcuna differenza. È la stessa fuffa. La stessa sbobba. La stessa fogna.

Solo che i docenti - e gli altri - che non la pensavano in sinistrese potevano essere insultati, contestati, zittiti e minacciati,
perché era - ed è - intollerabile che qualcuno esprimesse idee contrarie al mainstream, al pensiero unico boldriniano che dà la linea in questa repubblica delle banane.

Se invece le stesse istanze arrivano da una banda di poveracci analfabeti con la crapa rasata scatta l’allarme neonazista
e la mobilitazione delle masse, dei reduci, dei combattenti, dei sindacalisti, dei fuori corso in scienze politiche, dei contadini, dei kolchoz e pure dei sovkhoz.
 
Ora, che sia chiaro. Il blitz dei naziskin a Como è una roba che fa schifo.
Una evidente violenza psicologica, un’irruzione grezza, gretta e inaccettabile dentro un consesso di persone miti e perbene,
un’ingerenza autoritaria con tanto di lettura di un documento talmente straboccante di panzane, strafalcioni e cialtronate
da poter essere sommerso da una risata o da un ricovero coatto in fiaschetteria.

E comunque, nel caso il codice penale lo accerti, si proceda con processi, sentenze e condanne. Punto.

Ma da qui a scatenare il Circo Barnum è una cosa da matti.
Innanzitutto perché Como non è l’Alabama degli anni Cinquanta né tantomeno la Berlino degli anni Trenta,
come è stata invece dipinta da qualche giornalone e da qualche tg à la page.
E poi, soprattutto, perché si può accettare tutto in questo mondo di ciarlatani, ma davvero tutto, soprattutto in campagna elettorale, ma la doppia morale, per favore, no.

Se il codice etico condiviso prevede che non si censuri il pensiero di nessuno e non si imponga con la forza,
fisica o psicologica, la propria idea a nessuno, allora lo si fa rispettare in tutti i casi. Tutti.

E se è così, allora qualche cervellone benpensante dovrebbe spiegare perché non è lecito fare un’irruzione nella sede dell’associazione pro migranti
ed invece è lecito farla durante le lezioni del politologo liberale Angelo Panebianco,
perché non è lecito picchiare un giornalista a Ostia e invece è lecito che i centri sociali pestino i poliziotti e distruggano auto, vetrine, negozi,
perché non è lecito contestare un politico di sinistra e invece è lecito prendere a sassate uno di destra,
perché non è lecito che un bagnino ubriaco di Chioggia declami frasi del duce in spiaggia
e invece è lecito vezzeggiare Castro, il Che, Moretti (Mario) e la Faranda, con tanto di pugni chiusi e stracci rossi al seguito.

La doppia morale è un frutto marcio che sottende il più grave dei peccati, il peccato originale della sinistra:
la presunzione di superiorità antropologica dalla quale discende il potere assoluto di distinguere la verità dall’errore, il santo dall’empio, il lecito dall’illecito.

E secondo il quale ciò che è vietato agli altri è permesso a lei.
Un vero razzismo etico che alberga nel mondo di sopra e che non tiene in alcun conto le pulsioni del mondo reale.
È questo il nodo della vicenda. Anche perché il gioco politico è evidente.

In questo momento storico c’è bisogno per l’ennesima volta di impalcare il fronte popolare contro l’Uomo Nero
e quindi, invece di combatterlo con la buona politica e gli atti di governo, l’imperativo è screditare lui e i suoi supposti alleati da un punto di vista morale, antropologico, appunto.
La strategia perfetta per farlo rivincere. Statisti.

Ecco, la sinistra invece di perdersi in macchiettistici allarmi democratici, dovrebbe chiedersi come mai in questi anni di rivoluzione tecnologica e sociale
non abbia mai elaborato un’idea alternativa credibile ai modelli dominanti facendo così germinare negli esclusi, negli umiliati, negli offesi, negli ultimi
- che dovrebbero costituire il suo popolo, o no? - la sensazione che solo fuori dal sistema, di cui la sinistra fa parte a pieno titolo, si trovino le armi della contestazione.

Questo è il punto. Altro che i ducetti da strapazzo.
 
Ieri ho visto un servizio con le immagini - trascorso un anno - delle zone terremotate. Lo schifo assoluto.
Ieri sera ho cercato parecchio ed ho trovato questo articolo. E' lungo. Non vorrei tediarVi troppo.
Ma .......una volta ......ci si comportava così.

Era la notte del 16 novembre 1951, tra venerdì e sabato.
La telefonata che chiedeva soccorsi era arrivata all'allora Sindaco di Lecco, Ugo Bartesaghi, alle due della notte.
Dall'altro capo del telefono il capitano Zero della Compagnia Carabinieri su appello del Prefetto di Rovigo, Umberto Mondio.

Il Polesine, la sua popolazione, la sua comunità, avevano bisogno di tutta la solidarietà possibile,
di ogni altra comunità capace e volenterosa, le piogge intense che da settimane imperversavano in tutta quella regione avevano purtroppo rotto gli argini del Po.
Il dramma era imminente, aveva già invaso i campi, le strade, era già addosso alle case.

Il cuore e l'operosità di Lecco si misero subito in moto.
Nel giro di non più di sette ore in via Leonardo da Vinci, allora senza traffico perché il Ponte Nuovo era ancora al di là dall'essere costruito,
fu allineata una colonna di sei autocarri, di cui due provvisti di rimorchio, preceduti dalla Fiat 1100 del Comune di Lecco
che, alle 9.15 del mattino, con in testa il Sindaco, si metteva in moto alla volta di Rovigo.

Sugli autocarri erano stati caricati 15 "batej", le nostre larghe barche a fondo piatto, scortate da 17 pescatori di Pescarenico che le avrebbero condotte.
Oltre alle barche, la colonna aveva caricato quattro pontoni galleggianti in ferro, in dotazione alla Canottieri Lecco come zatteroni,
un grosso canotto messo a disposizione da Pietro Vassena, l'inventore del famoso batiscafo C3, e altro materiale di salvataggio.

"Sono circa le 18 del 17 novembre - scrive nel suo diario il Sindaco Bartesaghi - quando giungiamo a Cavarzere.
Nel municipio regna una grande confusione e il bisogno di soccorrere gli abitati e le case isolate che già sono divenuti preda della fiumana dilagante
si mescola e contrasta con la necessità insorgente di provvedere allo sgombero di Cavarzere stessa, che si dispera ormai possa salvarsi dall'alluvione".
 
Lecco salvò centinaia e centinaia di vite umane in quella terra che era diventata un lago, 70 km per 20, ma di dolore e sofferenza.
Basti un dato del dramma sociale ed economico che toccò quelle famiglie e quei territori - nella prima grande tragedia collettiva del dopoguerra - da lì per decenni a seguire:

Dal 1951 al 1961 lasciarono in modo definitivo il Polesine 80.183 abitanti, con un calo medio della popolazione del 22%.
Al 2001 abbandonarono il Polesine oltre 110.000 persone. In molti Comuni il calo superò, dal '51 all'81, il 50% della popolazione residente. Come una guerra.

La Colonna Lecchese di Soccorso che si mise in moto quella notte e partì con il primo cittadino Ugo Bartesaghi fu composta, per il Comune,
dall'ingegnere capo Massaro Pasquale, dai geom. Berti Lucesio e Aldeghi Franco, Mauri Carlo vigile autista e Giaroli Germano, vigile, con loro i tecnici volontari, Vassena Mario e De Capitani Renato
e i Pescatori di Pescarenico: Ghislanzoni Dante, Ermanno, Ferdinando, Pietro e Stefano; i Monti Ambrogio, Giovanni, i Polvara Francesco, Gaetano, Natale, Pasquale, Pierino
e i Riva Angelo, Giuseppe, Natale e Renato.
I mezzi furono forniti dalla Ditta Fiocchi, con gli autisti Galbusera Riccardo e Zanetti Emilio, dalla Sae con gli autisti Scola Carlo e Turati Angelo,
dalla ditta Tpl Giacomo Aldè, con gli autisti Alini Olinto e Lena Luigi; dalla Ditta Badoni, con Casati Giuseppe e Lazzari Domenico;
dalla ditta Comi Francesco, con Aleotti Giulio e Bravi Giulio, e dalla Moto Guzzi con gli autisti Rodolati Luigi e Nava Ferdinando.

Son passati esattamente 66 anni da quella notte, dove Lecco, tutta, "unita in un sol uomo", ossia dai ceti più modesti a quelli più ricchi,
dai sindacati agli industriali ai commercianti, dalle cooperative e dalle organizzazioni politiche fino alle maggiori industri, in uno sforzo che, forse, non è più stato eguagliato, l
egò indissolubilmente il suo nome a quelle genti dentro il volto della solidarietà. Dote e lineamenti che han sempre caratterizzato la nostra Città.

Lo abbiamo visto ancora in seguito due decenni più tardi con il terremoto del Friuli e anche in questi mesi recenti con il dramma di Amatrice,
che tragicamente sta segnando il nostro Paese, e poi ancora con l'Esodo umano e biblico dei migranti, profughi anch'essi dalle loro terre,
il più delle volte, qui, per responsabilità di altri uomini e non anche della Natura.

Rifacendoci ancora alle parole che il Sindaco Bartesaghi scrisse nel suo Diario che tenne in quei giorni, direttamente da Cavarzere,
dove l'acqua era salita più che altrove, fino a 4 metri, si può riannodare tutto il valore della solidarietà, della corresponsabilità civile,
e dell'umanità che già allora correva nelle vene, come l'acqua del lago nei nostri occhi.

"Ci resterai in cuore per sempre, terra di Polesine martoriata, che abbiamo amato e amiamo come la nostra terra natìa, perché ti abbiamo conosciuto nell'immenso dolore.
Vorremmo rimanere ancora, per essere con i tuoi figli ad attendere il giorno in cui lo splendore del sole brillerà sui tuoi solchi ritornati fecondi,
ribenedetti dal sudore dell'uomo nella invocata pietà di Dio, sulle tue case riaperte alla vita, sui tuoi bambini tornati giocondi fra gli alberi in fiore.
Solo quel giorno, davanti alla prora delle barche che i pescatori nostri tornano a spingere sul loro fiume e sul loro lago, l'acqua ritornerà limpida e chiara. E rifletterà ancora l'azzurro".
 
La solidarietà delle prime ore continuò, da subito, con la disponibilità di moltissime famiglie, a Lecco e a Cassina, ad ospitare, bambini, famiglie di quelle terre.
A Cassina furono ospitati, "una baraonda di bambini", per riprendere le parole di Monsignor Teresio Ferraroni nella Colonia che la parrocchia di Lecco aveva in affitto dalla Pontificia Opera di Assistenza, sezione di Lecco. "Le suore hanno detto subito si, sono state bravissime. Nessuna difficoltà, quando vien un'alluvione si apre la porta a chi bussa, senza chiedere nulla".
Furono ospitate ben 138 persone, oltre ai famigliari che arrivavano a trovare gli ospiti e vi si aggiungevano. Da fine novembre alla primavera inoltrata del 1952.

Cosi fece anche la cooperativa "La Moderna" di Cortenova per altri 50 posti, l'Asilo di Maggio per una ventina, l'Asilo Stoppani di Lecco si offrì di accogliere 30 bambini.

Il "Comitato pro alluvionati", che coordinò tutte le azioni del territorio si dimostrò efficacissimo e ben rodato, una delle ragioni era che,
il Comitato era già in funzione dall'inizio di agosto per far fronte all'Alluvione che colpì prepotentemente il Comasco, alluvione che l'8 agosto aveva ucciso 30 persone e procurato danni ingentissimi.
Il Comitato poi si attivò ancora per l'alluvione del 8 novembre 1951, dove il Torrente Cosia, in quel di Tavernerio, sopra Erba, provocò una frana che uccise altre 16 persone.

Il cronista del settimanale cattolico "Il Resegone" del 16 novembre successivo concludeva il suo commento alla tragedia con una nuova preoccupazione
"...il Po, in piena come mai visto, minaccia di allagare l'entroterra del basso delta..".
Come si è visto, così avvenne.

Lecco si dimostrò generosa non solo con l'invio di uomini e mezzi e con l'ospitalità diffusa, ma anche con la raccolta di indumenti, denari e viveri.
Il Centro raccolta fu aperto nella sede municipale, coordinato da Maria Panzeri ved. Pozzoli e dal geom. Vincenzo Patris, funzionario comunale responsabile formalmente e nei fatti.
I furgoni del Comitato e quelli dell'Unione Commercianti fecero il giro dei rioni, già alla sera del lunedì la sede non era più in grado di contenere tutto.
Fu così necessario, almeno per gli indumenti adibire a centro il salone sottostante la Chiesa della Vittoria, coordinato da Maria Airoldi in Galli.
Già a mercoledì erano state confezionate 564 casse contenenti 22.000 capi di vestiario, tutti in ottimo stato, in larga parte anche nuovi.

Da una vasta documentazione rinvenuta nel "dossier" conservato in Archivio Comunale, utilizzato da Carlo Panzeri,
(figlio di uno dei fondatori del Partito Popolare a Lecco nel 1919, impegnato nel direttivo della Dc fino all'abbandono dopo l'espulsione dello stesso Bartesaghi,
e nel Corpo Musicale G. Verdi, nel CAI di Belledo, nell'Uoei, è stato anche, per cinque anni, Presidente del CdZ2), per il numero monografico di "Archivi di Lecco" del dicembre 1996,
"1951 Lecco per il Polesine allagato -la colonna lecchese di soccorso", lavoro preziosissimo e toccante, che è possibile consultare
presso la Biblioteca Civica di Lecco, si può sentire, respirare, quell'afflato civico e di Comunità che Lecco è, quando vuole e non solo quando può.
Da questo dossier si evincono, pezze giustificative, ricevute, appunti, che ci permettono di farci un'idea della generosità e dell'operosità della cittadinanza lecchese.
Del senso positivo di una comunità coesa e solidale di cui troppo spesso si parla solo a braccia conserte.
Una comunità che allora non aveva certamente ancora perso o affievolito almeno, il senso e il valore della responsabilità collettiva,
di quella responsabilità che ci chiama a essere cittadini attivi che concorrono alla costruzione e al benessere di una collettività.

Dall'elenco emerge che già al mercoledì 21 le offerte in denaro superavano gli 8 milioni di lire, tra queste le 811.000 raccolte la domenica dagli studenti,
un milione consegnate al Prevosto di Lecco mons. Borsieri da un cittadino che ha voluto mantenere l'anonimato,
le 84.000 raccolte la domenica al Campo sportivo, decine e decine di bambini con i loro salvadanai,
i musicanti della banda Manzoni rinunciando al tradizionale pranzo per la festa di Santa Cecilia offrirono 50.000 lire, così il corpo musicale di Castello 25.000,
uguale avvenne il mercoledì al Cinema Impero dove il gestore, il sig. Volpato, destinò l'intero incasso, 90.000 lire, uguale fece il cinema Marconi.
La cooperativa "la Popolare", con viveri di prima necessità per 100.000 lire L'Istituto Airoldi e Muzzi 70.000; la S.E.L. 20.000, il Circolo Avvenire 50.000;
l'Ente Consumi 50.000; l'Aazienda di Soggiorno e Turismo anch'essa 50.000; la Casa degli Angeli del Belvedere 30.000; i Ferrovieri 575.000;
il Cda della Banca Popolare di Lecco offrì un contributo di un milione; e i dirigenti e impiegati il controvalore di una giornata di lavoro pari a 500.000.

Così da raggiungere, nel complessivo la somma di 11.995.407 lire come comunicato dal Sindaco Bartesaghi nel Consiglio Comunale del 22 dicembre.

Questi riportati sono solo alcuni esempi tra i tanti, non per fare a gara, ma per dimostrare l'unità e la coesione di una Comunità, intera.
"Se il bisogno urge, il popolo si ritrova", ci ricorda, nella sua testimonianza, mons. Ferraroni, raccolta, nel 1996 a 45 anni dai fatti, Sempre nel numero monografico degli "Archivi di Lecco".

Oggi per tutto questo dobbiamo ricordare a 66 anni di distanza, quella tragedia e quella bontà d'animo ed insegnamento civico così esteso e diffuso della nostra città.
Come riconoscenza delle nostre genti e come insegnamento. Ne abbiamo bisogno.

Mons. Ferraroni nel ricordare il sindaco Ugo Bartesaghi, sempre nel bellissimo numero di "Archivi di Lecco" scatta anche una fotografa,
il suo profilo, un ritratto d'amore e di stima, di modello che senza santità tutti, politici e cittadini dovrebbero tendere a non dimenticare:
Lo ricorda infatti cosi: "Un uomo prestato totalmente agli altri, al servizio degli altri: non era più l'intellettuale degli anni '40,
il più intelligente e colto della FUCI (Federazione Universitaria cattolica italiana) era stato ormai consigliere comunale, di minoranza,
poi sindaco, era sindaco, ma solo in questa esperienza ha dormito per la prima volta sulla paglia accanto agli operai, aia barcaioli, ai pescatori.
Non aveva mai conosciuto la fatica fisica, soltanto quella intellettuale.
Ma in quel momento qualcosa è esploso dentro di lui, un sussulto di solidarietà nel concreto lo ha risucchiato
ed egli si è sentito uno di loro, è andato con loro, li ha organizzati e diretti, ma come un primo fra gli altri. Con maggiore responsabilità ma accanto a loro.
E forse se lo avessimo interrogato in quei giorni, lo avremmo trovato disarmato a spiegarci una scelta così totale"
 
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Il pedaggio per l’Aosta-Courmayeur aumenterà del 14%, l’ira di Viérin: “Stop a un ritocco indegno”
La Regione vuole fermare l’aumento previsto dalla Rav, oggi è in programma il Consiglio di amministrazione
Il 2018 porterà con sé vigorosi aumenti dei pedaggi autostradali che lo stesso presidente della Regione ha definito stamattina «indegni». Laurent Viérin ha annunciato oggi in Consiglio Valle che la Rav, la società che gestisce la tratta Aosta-Courmayeur della A5, ha intenzione di aumentare nel nuovo anno il pedaggio del 14 per cento: «Oggi - ha spiegato Viérin - è prevista la convocazione del consiglio di amministrazione della Rav. Facendoci interpreti come governo delle istanze emerse in quest’aula, abbiamo indirizzato ieri una nota ai rappresentanti regionali che siedono nel cda Rav per rappresentare la nostra contrarietà agli aumenti che si prospettano fissati sul 14 per cento. Un ritocco indegno e da fermare. Così - ha commentato il presidente - si penalizza una tratta utilizzata non solo da residenti ma anche da turisti. Si tanto parla di accessibilità della regione e poi bisogna affrontare questi costi esosi...».
 

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