HO VISTO UN POSTO CHE MI PIACE... SI CHIAMA MONDO

Dall’altra parte, l’appello di Nardini è stato già respinto da alcuni comuni toscani, seppur per motivi diversi.
A Cascina, dove da un anno e mezzo governa il centrodestra con la sindaca leghista Susanna Ceccardi,
il consiglio comunale ha bocciato una proposta analoga proprio la scorsa settimana
(“siamo rimasti a 70 anni fa”, ha spiegato su facebook la prima cittadina)
mentre a Livorno il sindaco M5S Filippo Nogarin dichiara che mai si impegnerà ad approvare un regolamento di questo tipo:
“I livornesi sono talmente antifascisti nel dna che non abbiamo alcun bisogno di chiedere autocertificazioni
o rilasciare patentini prima di concedere uno spazio pubblico. In questo senso, la storia recente della città parla per noi”.

Tra chi invece vorrebbe manifestare occupando uno spazio pubblico senza firmare alcun documento che certifichi il riconoscimento nei valori antifascisti,
c’è ovviamente Forza Nuova: “L’idea dei certificati è assolutamente ridicola – commenta al fattoquotidiano.it il coordinatore toscano di Fn, Leonardo Cabras
non firmeremo niente di tutto ciò, questi signori hanno una concezione della democrazia a senso unico: o ti dichiari antifascista o sei fuori.
Noi continueremo a fare gazebo e a manifestare pubblicamente: se ci arriveranno multe faremo ricorso e siamo pronti a fare dei blitz ad hoc per ribellarci a questa assurdità”.
 
Dalla Treccani

xenofobìa
(o senofobìa) s. f. [comp. di xeno- e -fobia, sul modello del fr. xénophobie]. – Sentimento di avversione generica e indiscriminata per gli stranieri e per ciò che è straniero, che si manifesta in atteggiamenti e azioni di insofferenza e ostilità verso le usanze, la cultura e gli abitanti stessi di altri paesi, senza peraltro comportare una valutazione positiva della propria cultura, come è invece proprio dell’etnocentrismo; si accompagna tuttavia spesso a un atteggiamento di tipo nazionalistico, con la funzione di rafforzare il consenso verso i modelli sociali, politici e culturali del proprio paese attraverso il disprezzo per quelli dei paesi nemici, ed è perciò incoraggiata soprattutto dai regimi totalitarî. Il termine è usato, per estens., anche in etologia, per indicare l’avversione di popolazioni animali legate a un territorio verso le popolazioni esterne.

Ma io non disprezzo i modelli sociali di altri paesi. E non sono miei nemici.
Come non ho un'avversione indiscriminata per gli stranieri.

Dico solo che - quando vado all'estero - mi allineo agli usi e costumi dei paesi che sto visitando
e pretendo lo stesso rispetto per gli stranieri che vengono in Italia.

Può darsi io sia etnocentrico. E allora ? Dove è il problema ?
 
Buongiorno.
Negli ultimi otto anni aumento del 773% dell’uso delle parole anglosassoni. “Tu vuò fa’ l’americano”:
e
ra il 1956 quando Renato Carosone irrideva il processo di americanizzazione che si stava diffondendo nell’Italia del dopoguerra, attraverso, appunto, gli anglicismi.
Sembrava una provocazione cantata, ma a sessant’anni di distanza, è diventata realtà.
Innumerevoli parole anglosassoni sono entrate a far parte del nostro vocabolario

Negli ultimi otto anni c’è stato l’aumento del 773% dell’uso delle parole anglosassoni.
I nostri politici, che dovrebbero essere difensori irriducibili nella difesa della lingua, sono i primi a snobbarla.

Esempi lampanti sono “Jobs Act” e la “Stepchild Adoption” di Matteo Renzi.
A primo acchito potrebbero sembrare riforme attribuibili al congresso Americano o al Parlamento inglese.
Nel 2015, il Ministero dei Beni Culturali creò il portale turistico di Expo Italia, chiamandolo “verybello.it”.
Il logo relazionale del sindaco Marino per Roma Capitale fu “Rome and you” al posto dello storico “Spqr”.
 
Curiosa e differente è stata la resistenza francese all’invasore idioma americano nel dopoguerra.

La Costituzione francese del 1958 sancì la difesa della lingua francese quale lingua della repubblica.

Nel 1975 la legge Bas-Lauriol stabilì il divieto di utilizzare qualsiasi termine inglese nei documenti ufficiali, nella pubblica amministrazione, nella pubblicità.

Venne istituita la “Commisione terminologica” per vigilare sulla corretta attuazione con il compito di sostituire parole inglesi con termini francesi.
Cosi’ “computer” divenne “ordinateur”, “weekend” cambiato con “fin de semaine” , “e-mail” in “dialogue en ligne”.

Nessun autoritarismo, nessuna dittatura. E’ accaduto nella democratica Francia.

“Tu vuò fa’ l’Americano”, che sembrava una canzonetta sarcastica si è rivelata profetica.
Difendere la nostra identità e l’autodeterminazione della lingua italiana è un dovere.
L’uomo si è sempre definito facendo riferimento alle cose che per lui hanno maggior significato.

Si autodefinisce in termini di progenie, religione, lingua, storia, valori e istituzioni.
 
Invece che imparare l'uso della lingua italiana, noi abbiamo questi

«C’è una bomba a scuola». Ma era solo uno stratagemma per evitare l’interrogazione.
«Avevo paura di prendere un brutto voto», è stata la giustificazione che un ventenne romano
ha fornito agli agenti della polizia per aver annunciato l’esplosione di una bomba a scuola e scatenato il panico tra studenti e insegnanti.

Come riporta il Messaggero, è accaduto in un liceo romano dell’Eur,
il giovane è stato denunciato per procurato allarme ed interruzione di pubblico servizio.

Scattate le immediate verifiche, infatti, dopo la segnalazione al 112 di un docente, è partita la bonifica dell’intero istituto;
tutto l’edificio è stato setacciato dagli artificieri e dalle unità cinofile della Polizia di Stato, senza il ritrovamento di nessun ordigno.
Grazie al numero di telefono comparso sul display della segreteria scolastica, gli agenti del Reparto Volanti,
insieme a personale del commissariato Esposizione, hanno in breve individuato l’autore della telefonata.

Indagini e accertamenti da parte degli investigatori proseguono inoltre, in merito ad altre due precedenti segnalazioni di ordigni, arrivate allo stesso istituto nello scorso mese.
 
Pensiamo a queste persone, prima di pensare ad altro.

Un padre della provincia di Milano era finito a vivere in una roulotte e quando i suoi figli andavano a trovarlo dormivano senza riscaldamento.
In molti casi, invece, dormire per mesi in automobile è la norma, quando i soldi non bastano a pagare mutuo, mantenimento e affitto della nuova casa.
Poi, la mattina, si nasconde la vergogna e ci si infila la cravatta per andare a lavoro, per chi ce l’ha.

Le storie dei padri coinvolti in divorzi conflittuali si assomigliano.

La normalità per un papà separato in grave disagio economico è fatta di perdita di lavoro, isolamento e panico.
Nei casi più gravi si arriva anche a “tentativi di suicidio”.
“Ricordo un giovane ragazzo che si è tolto la vita subito dopo il suo divorzio: era figlio di genitori separati e non ha avuto la forza di affrontare quello che aveva visto passare a suo padre”.

Quando il padre separato torna a vivere da mamma e papà
Secondo gli ultimi dati Istat del 2015, nel 94% dei divorzi viene stabilito che sia il padre a corrispondere l’assegno di mantenimento (che in media si attesta attorno ai 485 euro al mese).
“Circa l’80% delle separazioni sono chieste dalle donne – racconta Tiziana Franchi, presidente di Associazione padri separati -.
Ma se le mogli non fossero certe di mantenere la casa di famiglia e di non essere allontanate dai loro figli sono sicura che ci penserebbero due volte prima di chiedere il divorzio”.

Un meccanismo che, secondo le organizzazioni del settore, porta a un impoverimento esponenziale di molti padri.
“Prendiamo uno stipendio di 1.400 euro al mese – si legge sul sito di Padri separati – a cui, per ipotesi,
sottraiamo 300 euro di mutuo della casa dove restano a vivere i figli, un mantenimento dai 300 ai 500 euro
e dai 300 ai 600 euro per una nuova casa in affitto. Le spese per l’uomo diventano insostenibili”.

A questo si deve aggiungere che “gli assegni di mantenimento non si possono scaricare dalla dichiarazione dei redditi
e la nuova abitazione del divorziato ha utenze maggiorate perché è spesso registrata come seconda casa – continua Tiziana Franchi
Ecco come inizia un turbine di impoverimento totale”.

Tanto che non è raro per i padri separati chiedere aiuto a mamma e papà se non addirittura tornare a vivere nella stanza dove si è cresciuti da ragazzi.
 
2 pesi 2 misure.

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E così nemmeno a un sindaco, fosse anche quello di Milano, è concesso di far girare impunemente una sua foto
mentre insieme a un consigliere comunale del Pd alza la mano sinistra con il pugno chiuso.

Perché quello è il simbolo della più nefasta ideologia che l'umanità abbia mai partorito.
Un mostro a cui le stime più benevole attribuiscono 20 milioni di morti in Russia, 65 milioni in Cina, 2 in Cambogia,
uno in Vietnam, un altro milione nell'Europa dell'Est e qualche altro centinaio di migliaia in altri disgraziati Paesi.

Gente torturata e straziata nelle segrete del Kgb o nei gulag in cui venivano imprigionati e torturati dissidenti (anche comunisti e anche italiani),
omosessuali, ebrei e semplici cittadini invisi all'intellighentia di partito.
Gente schiacciata sotto i carri armati perché osava ribellarsi a un orrore a cui vanno aggiunti una politica economica
e internazionale assolutamente fallimentari che hanno costretto a decenni di fame e stenti centinaia di milioni di sudditi trattati peggio che schiavi in ogni parte del mondo.

Ecco, questo è il comunismo evocato dal pugno chiuso esibito con tanto orgoglio dal sindaco Giuseppe Sala.
E dal compare Carlo Monguzzi, eletto con quel Pd pronto a crocifiggere il carabiniere ventenne e studente universitario di Storia
che aveva appeso nella sua camera la bandiera del Secondo Reich (non del Terzo hitleriano) con aquila prussiana e croce nordica.
 

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