Ichino : con il PDL ? MAI NON PENSANO AL LAVORO

Albatros

Utente Spoglia Seniòrite
«I lavoratori italiani dovranno arrivare a non avere più paura del mercato»
«Con il Pdl mai, non pensano al lavoro»
Pietro Ichino, candidato del Pd, in videochat con i lettori
: «Il precariato? Non è colpa della legge Biagi»

MILANO - «Non avrei accettato l'offerta di Berlusconi. Lo ringrazio del pensiero, ma il programma del Pdl in tema di politiche del lavoro è di una povertà disarmante, non si trova nulla se non un incentivo solo al lavoro maschile come la detassazione degli straordinari che sono fatti per quattro quinti dagli uomini e non dalle donne. Quello schieramento ha inoltre una scarsa visione internazionale del lavoro, tesa a chiusure e dazi. Le imprese straniere portano energie, risorse, produttività. La chiusura nei confronti degli investimenti dall'estero nuoce in primo luogo ai lavoratori e il caso Alitalia ne è la prova evidente». Pietro Ichino, candidato del Pd in Lombardia, nella videochat con i lettori di Corriere.it, ha replicato alle affermazioni del leader del centrodestra che aveva detto: «Abbiamo sbagliato a non candidare uno come Ichino».Ma la risposta è stata netta e argomentata. Con una conclusione altrettanto precisa: «Nel Partito democratico - ha detto il professore - mi trovo più a mio agio».

FLESSIBILITA' DEL LAVORO - Si è poi parlato di flessibilità del lavoro e in questo contesto Ichino ha esaltato i modelli britannico e scandinavo: «Hanno una più elevata mobilità sociale, c'è più possibilità di far valere le proprie capacità e il proprio merito. Sono sistemi in cui le strutture produttive riescono a reagire meglio agli shock tecnologici e quindi riescono ad adattarsi meglio al sistema in continua evoluzione. Questo genera un mercato del lavoro più flessibile, che è la garanzia maggiore per i lavoratori, perchè non c’è garanzia maggiore che quella di poter sbattere la porta in faccia al proprio datore di lavoro quando si vuole passare ad un posto migliore. Servono elementi di sicurezza per il mercato del lavoro. Oggi non ci sono e questo fa sì che gli italiani ne abbiano paura, a differenza dei cittadini dei Paesi del nord Europa che sanno che il mercato del lavoro è proprio la loro forza».

LA LEGGE BIAGI - Ichino ha anche preso le difese della legge Biagi spiegando che non è stata quella la fonte della precarietà perché tutte le forme di contratto in essa previsti già esistevano in passato. Del resto, ha evidenziato, «Marco Biagi ha proseguito con il centrodestra una linea di lavoro che aveva già incominciato a perseguire collaborando con i ministri Treu e Bassolino, dei precedenti governi di centrosinistra». Per Ichino «vanno evitati i falsi bersagli» perché «il fenomeno del lavoro precario viene da molto lontano ed è l’altra faccia del processo di eccessiva ingessatura del lavoro standard e regolare». Tuttavia «occorre regolare e riequilibrare il mercato del lavoro». «La direzione in cui vogliamo muoverci - ha spiegato - è quella della migliore flexicurity europea, per conciliare e adattare strutture produttive con il massimo possibile della sicurezza e del benessere economico delle persone. Che non sempre si possono costruire su un singolo posto di lavoro, bensì su un mercato del lavoro efficiente e con sostegni ai lavoratori in mobilità o in attesa di una nuova occupazione».

«BASTA IDEOLOGIE» - Al lettore che gli chiedeva come possa candidarsi in uno schieramento che ha osteggiato apertamente la legge 30, ha spiegato che «non è il Partito democratico che ha fatto della lotta alla legge Biagi un suo cavallo di battaglia, ma una coalizione di governo che ha puntato contro un bersaglio errato perché lo richiedeva l’ala sinistra della coalizione. che su questo punto ha sbagliato clamorosamente. Il Pd è nato proprio per voltare pagina su errori come questi. La legge Biagi non è perfetta ma non ha favorito il precariato in Italia. Quello che è vero è che non ha combattuto e superato il dualismo del nostro diritto del lavoro, non ha favorito il nascere di un diritto del lavoro capace di svilupparsi in modo uniforme a tutta la forza lavoro dipendente italiana. Per questo credo sia giusto pensare di andare oltre la logica di questa legge». La ricetta è dunque quella del punto di equilibrio, per lasciarsi alle spalle «l'illusione di sicurezza» data da una «protezione estrema che in realtà indebolisce le imprese» mentre «sul versante opposto c’è un vero far west con 6 milioni di persone del tutto prive di protezione».

IL CASO ALITALIA - Del resto, ha evidenziato, le tutele previste dall'ordinamento oggi si applicano «solo alla metà della forza lavoro dell'Italia, mentre l'altra metà porta il peso di tutta la flessibilità di cui il sistema ha comunque bisogno». E questo, ha sottolineato, «è ingiusto e improduttivo, un sistema di apartheid del tutto inefficiente». E, secondo Ichino, lo dimostra bene il caso Alitalia, dove «nonostante le elevate protezioni sindacali di cui godono i suoi dipendenti, il loro posto di lavoro è a rischio». E sempre a proposito della compagnia di bandiera, il candidato del Pd è tornato a puntare il dito contro l'ostracismo mostrato dal centrodestra nei confronti di una cessione ad Air France-Klm, in nome della difesa dell'italianità: «Il lavoro dei dipendenti di Alitalia può essere valorizzato meglio dal massimo vettore europeo del settore aereo, piuttosto che da un cattivo imprenditore italiano».

IL PUBBLICO IMPIEGO - Ichino, che in passato ha denunciato la presenza di «fannulloni» nella pubblica amministrazione e la sostanziale l'impossibilità di rimuoverli dalle loro funzioni, ha anche risposto ad aclune domande di dipendenti statali, riconoscendo che «se l'Italia sta in piedi è perché c'è una maggioranza di dipendenti pubblici che fa il suo dovere, che lavora per due, facendo anche la parte di chi invece non lavora». Tuttavia, ha precisato, «se si vuole voltare pagina occorre introdurre anche nelle strutture pubbliche la cultura della valutazione e della misurazione, cioé la possibilità di premiare chi lavora meglio». Inoltre «bisogna poter spostare i lavoratori, che spesso sono sovrabbondanti in alcuni comparti e carenti in altri». Non essendioci il pungolo del mercato, la valutazione dovrebbe essere affidata, secondo Ichino, a organismi appositamente preposti e agli stessi cittadini attraverso strmenti simili alla «public revue» britannica.

I LAVORATORI AUTONOMI - Ichino ha infine parlato dei lavoratori autonomi, «sono un sesto abbondante della nostra forza lavoro e danno un contributo fondamentale all’economia del Paese», evidenziando la poca considerazione ricevuta negli ultimi vent'anni da sinistra. «Bisogna correggere questa stortura - ha detto - determinata dall’errore ideologico secondo cui il lavoro autonomo può essere maltrattato. Non deve es
 
ormai tutti , dai giornali stranieri, agli intellettuali, a molti imprenditori e professionisti, ai professori di diritto sul lavoro come ichino ( bestia nera di bertinotti e sotto scorta dalle br)

tutti pensano che il pdl sia un accozzaglia populistica disastrosa.

spero lo capisca anche la gente comune , che da loro qua non avranno nulla.
 
Cosa pensi che gli anglosassoni o la stampa straniera parli perche non ha alcun interesse? I giornalisti vengono foraggiati molto piu' che da noi te lo assicuro.
Quindi probabilmente se volessimo, sarebbe meglio legalizzare prostituzione, bustarelle e quant'altro, perlomeno verrebbero tassati.
 
bah, la teoria che siano foraggiati giornali come
wsj
guardian
economist
times
der spiegel


questi gli ultimi a dire che solo in italia puo' esistere uno cosi...

mi sembra alquanto campata in aria.

io penso che tutto il mondo ci osserva, come noi osserviamo loro, e penso anche che tutto il mondo rida di noi perche' abbiamo ancora uno cosi che dopo 15 anni e due mandati disastrosi vuole ancora tornare a governare
 
Come si fa ad eliminare la prostituzione? si legalizza....; addirittura in alcuni stati (olanda) rappresenta il 10% del pil.

Prova a vedere le campagne elettorali degli americani, da chi vengono finanziati... oppure strani articoli giornalistici apripista prima della diffusione dei dati ufficiali.

Da una parte è vietato e funziona sottobanco e dall'altro invece ti dicono "tutto ok basta che lo dichiari e ci paghi le tasse".

I subprime e tutte le porcate di tutte le banche d'affari americane ed inglesi che ci sono in giro nel mondo non mi sembra vengano dall'italia e neppure gli articoli "disinteressati" della stampa anglosassone.

Tempo fa avevo scritto qui un articolo che avevo preso su repubblica al riguardo; dopo vado a vedere se lo riesco a trovare.
 
L'articolo è questo.



Tratto da il sole 24 ore

Il 2007 si è chiuso non solo con la notizia del sorpasso spagnolo sull'Italia (notizia peraltro contestata ieri dal premier Romano Prodi), ma anche con un crescendo di stroncature del nostro Paese da parte della stampa anglosassone paragonabile a quello del 2005, quando l' Economist aveva raffigurato sulla sua copertina la Penisola sorretta dalle stampelle. Perché tanta insistenza?
Ci sono due fattori che spiegano questi giudizi. Il primo è la obiettiva debolezza del nostro sistema Paese generata dalla politica con le sue litigiose instabilità, dalla burocrazia che non funziona, dal perdurante divario tra il Nord e un Sud dove lo Stato non riesce ad imporsi alla malavita. Il secondo è la superficialità delle inchieste e delle opinioni della stampa anglosassone che non si sforza di distinguere stati d'animo generali riferiti al sistema Paese da dati di fatto specifici relativi al sistema economico.
Non serve imbarcarsi in ritorsioni verbali, magari richiamando i recenti disastri della Northern Rock e le incoerenti decisioni del Governatore della Banca d'Inghilterra Mervyn King. Né bisogna giudicare il Regno Unito come un Paese in panne sulla base del fatto che nel 2006 l'export sembra essere stato "gonfiato" di ben 23 miliardi di sterline (32 miliardi di euro) per un illecito meccanismo di partite di giro costruito da alcune società di trading per evadere l'Iva (soprattutto su telefonini e componenti per computer) con danni per il fisco inglese ed errori nei dati di contabilità nazionale.
Come economisti non condividiamo però le inchieste come quelle di Economist, Financial Times e Times (a cui si è recentemente aggiunto dall'America anche il New York Times), che negli ultimi due anni hanno ripetutamente preso di mira il nostro Paese ed in particolare la nostra economia, giudicandoci sommariamente come una nazione condannata al declino.
Il 22 dicembre, ad esempio, il Times ha citato tra i numeri "cattivi" dell'Italia due dati: che siamo solo ventesimi nella classifica dello Human Development Index delle Nazioni Unite, quattro posti dietro la Gran Bretagna; e che il nostro tasso di disoccupazione è del 7%, dunque più alto - viene fatto notare - di quello di ben 76 Paesi del mondo tra cui la Nigeria e la Cambogia. L'assurdità di quest'ultimo paragone non merita replica (anche perché l'Italia ha un tasso di disoccupazione più basso di Francia e Germania), mentre per la debolezza del primo basti ricordare che la stampa inglese contraddice anche se stessa. Infatti non più tardi del 5 settembre scorso l'Economist poneva l'Italia all'ottavo posto assoluto nella classifica del suo Quality of Life Index, dietro soltanto a Irlanda, Svizzera, Lussemburgo, a tre Paesi scandinavi e all'Australia, mentre la Gran Bretagna figurava solo al 29°.
Queste critiche si sono incrociate con l'arrembante entusiasmo del premier spagnolo Zapatero, che non ha nascosto nasconde la sua soddifsazione dopo che il Pil pro capite del suo Paese nel 2006 ha superato, secondo i dati Eurostat a parità di potere di acquisto, quello dell'Italia. Il Times è arrivato a prevedere che, in termini di reddito per abitante, finiremo presto superati anche dalla Grecia.
Pur non essendo affatto soddisfatti dell'andamento dell'economia italiana dobbiamo però rilevare che la forza delle nostre imprese del settore manifatturiero è ben più marcata di quella delle imprese spagnole e inglesi. Da ciò discende che le regioni industriali italiane godono di un livello di benessere molto alto che, purtroppo, declina nella media nazionale a causa delle regioni dove non c'è manifattura e dove la grande risorsa del turismo rimane un potenziale non utilizzato. Bastano a dimostralo alcuni dati.
Se consideriamo i Pil pro capite a parità di potere di acquisto di Italia, Regno Unito e Spagna, disaggregati anche a livello regionale, la situazione nel 2004 era la seguente:
- il Nord Ovest e il Nord Est dell'Italia hanno un valore pro capite nettamente superiore a quello della Gran Bretagna che eguaglia invece il Centro Italia;
- il Nord Italia presenta un Pil per abitante di circa mille euro superiore a quello dell'Inghilterra più "ricca" (cioè il Regno Unito meno Galles, Scozia e Irlanda del Nord) e addirittura di 6.350 euro più alto di quello della Spagna;
- lo stesso Centro Italia ha un Pil pro capite di 4.440 euro più elevato di quello della Spagna.
La media nazionale italiana si abbassa a causa del Mezzogiorno che purtroppo ha un prodotto interno per abitante inferiore di 860 euro a quello del Portogallo. C'è da chiedersi, comunque, se le cifre ufficiali riescano a catturare effettivamente il sommerso del Sud.
Consideriamo ora l'export, il più nitido indicatore di competitività. Nei primi nove mesi del 2007 la bilancia commerciale comparata dei tre Paesi analizzati è stata la seguente: Italia -7,7 miliardi di euro; Regno Unito -91; Spagna -67,2. Ma, se consideriamo il commercio estero al netto dei minerali energetici, nel periodo gennaio-settembre 2007 l'Italia ha presentato uno straordinario surplus di 28,8 miliardi, mentre la Gran Bretagna senza petrolio è risultata in "rosso" per più di 60 miliardi di sterline (circa 85 miliardi di euro).
Ma c'è di più: nei primi 9 mesi del 2007 il Nord-Centro ha esportato grosso modo quanto l'intero Regno Unito (230 miliardi di euro contro 232 miliardi), mentre il Nord da solo ha esportato 59 miliardi di euro in più della Spagna (189 miliardi contro 130).
Ciò detto, noi ammiriamo il Regno Unito per la snellezza della sua burocrazia, per il civismo della sua popolazione, per l'efficienza della sua giustizia, per la rilevanza di Londra nella finanza mondiale. Ma nel contempo ci piacerebbe che i giornali inglesi riconoscessero all'Italia una capacità imprenditoriale e innovativa che ha fatto scuola nel mondo in vari settori. Così ammiriamo la stabilità dei Governi spagnoli, la continuità delle politiche economiche pur nella alternanza dei Governi stessi, la capacità della Madrid di collocare sue personalità ai vertici di organismi europei ed internazionali. Ma non possiamo dimenticare che il differenziale di reddito totale tra Italia e Spagna è pari a oltre 560 miliardi di euro (dati del 2006 a prezzi correnti) e che la manifattura spagnola è ben poca cosa a fronte di quella italiana. Solo nel turismo siamo stati superati, ancorché non surclassati.
Se la politica-partitica trovasse in Italia una capacità innovativa almeno pari a quella che dimostrano le imprese, magari con un Governo bipolare che durasse cinque anni per fare vere riforme strutturali, per ridimensionare la spesa pubblica burocratica, per riportare alla legalità alcune regioni, allora il nostro Paese potrebbe ritornare ai vertici delle classifiche mondiali anche per livello complessivo di civiltà.
 
Per quanto riguarda Alitalia



Pubblichiamo un brano su Alitalia tratto dal libro di Stefano Livadiotti “L'altra casta”. L'inchiesta sul sindacato, in uscita per Bompiani mercoledì 9 aprile.



Piloti e hostess lavorano molto meno dei loro colleghi di altre compagnie. Però costano tanto di più. Grazie a una giungla di benefit, difesi con le unghie e con i denti e puntigliosamente elencati in un contratto degno di Harry Potter, dove tutti i mesi durano quanto febbraio e il giorno di riposo comprende due notti.



Un giorno è un giorno. Dal Circolo polare artico fino alle isole di Tonga, è uguale per tutti. Ma non per i piloti dell'Alitalia. È scritto nero su bianco a pagina 2 del Regolamento sui limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti di riposo per il personale navigante approvato, con la delibera n. 67 del 19 dicembre 2006, dal consiglio di amministrazione dell'Enac, l'Ente nazionale per l'aviazione civile. Il terzo comma dell'articolo 2 disciplina il «giorno singolo libero dal servizio».



Che viene così descritto: «Periodo libero da qualunque impiego che comprende due notti locali consecutive o, in alternativa, un periodo libero da qualunque impiego di durata non inferiore a 33 ore che comprende almeno una notte locale». Un giorno di 33 ore o con due notti? Quando si tratta del personale di volo della ex compagnia di bandiera italiana, e dei relativi regolamenti di lavoro, bisogna abbandonare ogni convenzione, dal sistema metrico decimale all'ora di Greenwich: per loro non valgono.

Vivono in un mondo a parte, dove tutto è dorato. Da sempre veri padroni dell'azienda, piloti e assistenti di volo si sono dati delle norme di lavoro consone al loro status (a proposito: i capintesta dei sindacati degli autisti dei cieli hanno una speciale indennità economica che percepiscono anche se se ne stanno incollati a terra tutto l'anno). Secondo il regolamento dell'Enac, dove è specificato che hanno diritto a riposare su poltrone con una reclinabilità superiore al 45% e munite di poggiapiedi regolabile in altezza, non devono volare più di cento ore nel corso del mese.

Anzi nei 28 giorni consecutivi, come hanno preferito scrivere: e si vede che per loro è sempre febbraio. Nell'intero anno, cioè nei dodici mesi (se non hanno modificato a loro uso e consumo pure il calendario) il tetto non è, come da calcolatrice, mille e 200 ore (100 per 12) ma 900, e vai a sapere perché. Nel contratto, che l'azienda si rifiuta di fornire ai giornalisti, come del resto qualunque altro dato sulla produttività dei dipendenti, l'orario però si riduce. Nel medio raggio, la barriera scende a 85 ore al mese. Che nel trimestre non diventano 255, ma 240. E nell'anno non arrivano, come l'aritmetica sembrerebbe suggerire, a mille e 20, ma a 900.

Ma non è neanche questo il punto: fosse vero che volano così tanto (tra gli assistenti di volo l'assenteismo è all'11%). I numeri tracciano un quadro un po' diverso e dicono che nel medio-corto raggio gli steward e le hostess (alla fine del 2007, 480 di queste ultime su 4300, cioè l'11%, erano praticamente fuori gioco perché in maternità o in permesso in base alla legge che consente di assistere familiari gravemente malati) restano tra le nuvole per non più di 595 ore l'anno. Vuol dire 98 minuti al giorno, il tempo che molti Cipputi impiegano per fare su e giù tra casa e fabbrica. A titolo di raffronto, un assistente di volo della Lufthansa vola 900 ore, uno della Iberia 850 e uno della portoghese Tap 810. Restando in Italia, una hostess di AirOne si fa le sue belle 680 ore.



I piloti, poi, alla cloche sembrano quasi allergici: la loro performance non va oltre le 566 ore, che significano 93 minuti al giorno. I loro pari grado riescono a pilotare per 720 ore all'Iberia, per 700 alla Lufthansa e all'AirOne, per 680 alla Tap e per 650 all'Air France. I nostri, insomma, non sono esattamente degli stakanovisti: in media fanno, tra nazionale e internazionale, 1,8 tratte al giorno, contro le 2,4-2,75 dei colleghi di AirOne. In compenso, sono molto più cari di tutti gli altri. Un assistente di volo con una certa anzianità può arrivare a costare ad Alitalia 86 mila e 533 euro, contro i 33 mila che deve mettere nel conto la compagnia di Toto (AirOne, ndr ).



Il comandante di un Md80 dell'azienda della Magliana ha un costo del lavoro annuo pari a 198 mila e 538 euro. Per la stessa figura professionale i concorrenti italiani non sborsano più di 145 mila euro. Sempre restando allo stesso tipo di aereo, per pagare il pilota Alitalia ha bisogno di 108 mila e 374 euro, tra i 28 e i 33 mila in più di AirOne o di un'altra azienda italiana. Il mix di orari da impiegati del catasto e stipendi da superprofessionisti crea un cocktail che risulterebbe micidiale per qualunque azienda: facendo due conti viene infatti fuori che alla fine dell'anno Alitalia spende per ogni ora volata da un suo comandante qualcosa come 350,8 euro. Contro i 207,1 di AirOne. Una differenza del 69,4% che manderebbe fuori mercato chiunque. Soprattutto se si considera anche che un aereo della ex compagnia di bandiera viaggia con un equipaggio superiore di un buon 30% rispetto alla media dei concorrenti.



Il risultato finale è che in Alitalia il tasso di efficienza per dipendente è pari, secondo i calcoli dell'Association of European Airlines, a poco più della metà di quello che può vantare la Lufthansa. Che i passeggeri trasportati sono 1.090 per dipendente, contro i 10 mila e 350 di Ryanair. E che nel 2004 il ricavo medio per ogni lavoratore impiegato non andava oltre i 199 mila euro, poco più di un terzo rispetto a quanto registrava ad esempio Ryanair (513 mila euro).

In Alitalia comandano i sindacati (che nel solo primo semestre del 2005 hanno proclamato scioperi per 496 ore: quasi 3 ore ogni 24). E si vede. Il contratto in vigore dal 1° gennaio 2004 dice che, nel medio raggio, una hostess o un pilota non possono essere utilizzati per più di 210 ore al mese (che, con il solito giochino, diventano 600 nel trimestre e 1.800 nell'anno). Ebbene, se uno di loro parte da Roma per andare a prendere servizio a Milano la metà della durata del viaggio che lo vedrà impegnato nelle parole crociate viene considerata servizio.

La tabella dell'Enac che stabilisce, a seconda dell'orario di inizio del turno, su quante tratte continuative può essere impiegato il personale navigante prevede cinque diverse ipotesi. Che salgono a diciassette nell'accordo sottoscritto da azienda e sindacato. Dove è stabilito per il personale navigante il diritto a 33 giorni di riposo a trimestre (ad AirOne sono 30), che aumentano fino a 35 per chi è impegnato nel lungo raggio. In base al contratto, al termine di ogni volo deve essere garantito un riposo fisiologico di 13 ore, che sul lungo raggio deve risultare invece pari al numero dei fusi geografici attraversati moltiplicato per otto, con un minimo però di 24 ore. Boh.

Semplicemente geniale è poi il nuovo sistema retributivo, in vigore dal 1° gennaio 2005. Sono rimasti, ovviamente, lo stipendio base (quattordici mensilità) e l'indennità di volo minimo garantito: quaranta ore, che uno le faccia o meno. Le dieci voci che componevano la parte variabile della retribuzione di un pilota (compreso il cosiddetto «premio Bin Laden» corrisposto, dopo l'attentato alle Torri gemelle di New York, a tutti quelli che viaggiano in Medio Oriente e dintorni) sono state tutte sostituite da un'unica indennità di volo giornaliera (per un comandante è pari a 177 euro se è impegnato sul lungo raggio e a 164 se vola sul medio, cifre alle quali va sommata la diaria, che sono altri 42 euro, per un totale che può quindi arrivare a 219 euro). Indennità che scatta tutta intera anche se il pilota sta alla cloche solo per mezz'ora o semplicemente si trasferisce all'aeroporto da dove prenderà servizio. E perfino se il suo volo viene cancellato dopo che lui ha già raggiunto quello che doveva essere lo scalo d'imbarco. Per di più, aumenta se c'è uno spostamento dei turni rispetto al calendario originale.



Siccome poi lavorare stanca, il contratto prevede l'istituzione di una Banca dei riposi individuali dove confluiscono i crediti che si ottengono per esempio quando l'aereo viaggia con personale ridotto (un riposo ogni due giorni) e dalla quale hostess e piloti possono attingere pure degli anticipi. Non è invece dato sapere se le parti hanno raggiunto un accordo su una nuova indennità graziosamente prevista nell'ultima intesa: il premio di puntualità, che per i passeggeri assume davvero il sapore della beffa. Mentre è alla direttiva dell'Enac che bisogna tornare se si vuole conoscere la dettagliatissima disciplina della cosiddetta «riserva», i periodi di tempo nei quali il personale navigante deve essere pronto a rispondere a un'improvvisa chiamata.



Premesso che si può essere messi in riserva solo dopo aver goduto di un riposo, si stabilisce che la metà del tempo trascorso a casa con le pantofole ai piedi va considerata come servizio. Bingo. Di più: che se l'attesa si consuma inutilmente perché il telefono non trilla, e dev'essere proprio per lo stress, scatta un successivo periodo di riposo di almeno otto ore, che in alcuni casi salgono a dodici. Ed è sempre il premuroso Enac a stabilire che a piloti e hostess, una volta a bordo, deve essere dato da mangiare una volta ogni sei ore, come ai pupi, e adeguatamente, «in modo da evitare decrementi nelle prestazioni».



Di alcuni privilegi o istituti incomprensibili nessuno ricorda neanche l'esatta origine. Ci sono e basta. Così, le hostess continuano ad avere una franchigia di ventiquattr'ore al mese, che in pura teoria dovrebbe coincidere con l'inizio del ciclo mestruale, ma si racconta del caso di una di loro che ha chiesto la giornata del 31 come permesso per il mese di dicembre e quella del 1° per il mese di gennaio: misteri del corpo femminile. Sempre le assistenti di volo, quando vanno in maternità vengono retribuite per tutto il tempo con lo stesso stipendio guadagnato nell'ultimo mese di servizio, che, guarda un po', svolgono regolarmente sul lungo raggio, per far salire l'importo della busta paga. I piloti, invece, non possono atterrare due volte nello stesso scalo in un solo giorno. La logica della regola, che pare non sia neanche scritta ma frutto della consuetudine, è imperscrutabile.



La conseguenza, però, è chiara: la crescita delle spese per le trasferte. A partire da quelle per gli alberghi, che in Alitalia vengono scelti da un'apposita commissione dopo attento esame dei loro requisiti: con il risultato che l'importo medio è superiore del 45% a quello sostenuto dagli altri vettori. Solo per le 300 stanze prenotate tutto l'anno per i dipendenti che, anziché essere trasferiti a Malpensa, vanno su e giù da Roma, la compagnia ha in bilancio 45 milioni. Nella babele dei benefit, per un certo periodo tutto il personale viaggiante ha poi goduto di una speciale indennità per l'assenza del lettino a bordo di alcuni 767-300: alcune centinaia di euro che venivano corrisposte anche a chi volava su aerei dotati delle cuccette in questione.



I lavoratori più coccolati d'Italia quando viaggiano per piacere godono di una politica di sconti davvero generosa. Argomento sul quale l'azienda ha di nuovo una tale coda di paglia da rifiutarsi di fornire chiarimenti. Ma è il segreto di Pulcinella: i dipendenti (e con loro i pensionati) hanno diritto ad acquistare (anche per i loro cari: figli e coniugi o conviventi) i biglietti con una riduzione del 90% sulla tariffa piena, se rinunciano al diritto alla prenotazione. Il taglio scende invece al 50% se vogliono il posto garantito, magari perché vanno a festeggiare l'ultima promozione, che in Alitalia non si nega davvero a nessuno. Nel 2007 la direzione per la finanza dell'azienda della Magliana poteva contare su 152 persone: 20 dirigenti, 52 quadri e 80 impiegati. In quella per il personale i soldati semplici (61) prevalevano di una sola unità sui graduati (60: 25 dirigenti e 35 quadri).



Dev'essere anche per questo che il consiglio di amministrazione dell'azienda ha sentito la necessità di garantirsi l'ombrello di una polizza assicurativa a copertura di possibili azioni di responsabilità nei confronti di chi ha guidato la baracca. E si è reso così complice dei sindacati. Ai quali invece nessuno potrà mai presentare il conto.
 
La spagna ha basato il suo successo sul turismo, l'immobiliare, i consumi interni (anche generati dal turismo) e un buon funzionamento dello stato.

COSE CHE POSSIAMO FARE ANCHE NOI E MEGLIO.

La Gran Bretagna si basa su un'economia falsa, gli stati uniti hanno risparmio negativo e sono indebitati fino al collo, la francia sta peggio di noi, la germania uguale, qui tutti pensano che nel mondo sia tutto felice tranne l'italia.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto