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La crisi morde: rosso da un miliardo per le grandi banche italiane
di Marco Ferrando con un'analisi di Fabio PavesiCronologia articolo24 marzo 2013
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Il tono è (decisamente) meno intenso dell'anno scorso, ma anche nel 2012 il bilancio del sistema bancario italiano resta tinto di rosso. Non tutte le banche hanno chiuso in perdita, è vero, ma se si guarda all'aggregato delle prime dieci, il responso è inequivocabile: un miliardo di euro di perdite nette lo scorso anno in base ai bilanci presentati in questi giorni (all'appello manca solo il Monte dei Paschi, per il quale si fa riferimento al consensus degli analisti).
È vero che nel 2011 ci fu un buco gigantesco da26,2 miliardi, ma tutto da imputare alle rettifiche sugli avviamenti, che da sole avevano pesato sull'ultima riga dei bilanci per più di 28 miliardi, portandoli inesorabilmente verso il rosso. La zavorra del 2012, invece, è stata quella dei crediti deteriorati, che hanno costretto le prime dieci banche a rettifiche per 20,8 miliardi: il 49,9% in più dell'anno precedente, quando avevano sfiorato i 14 miliardi.
grafici
Il peso delle perdite sui crediti e il risultato netto
Il peso dell'economia reale
Rettifiche ieri e rettifiche oggi, dunque. Tuttavia, se quelle legate agli avviamenti potevano essere considerate un effetto contabile di natura straordinaria, «una tantum» difficilmente ripetibili, sui crediti deteriorati il futuro è molto più incerto. La qualità del credito, infatti, è strettamente legata alla salute dell'economia reale e finché non ci sarà una ripresa difficilmente si potrà confidare in un allentamento della tensione sugli impieghi.
Il circolo vizioso è tutto qui: l'economia peggiora, i privati non rimborsano le banche, le banche erogano meno credito, la ripresa si allontana.
A ben guardare, gli ultimi dati resi noti in settimana dal l'Abi rivelano che a gennaio lo stock complessivo delle sofferenze nette si è leggermente ridimensionato, scendendo dai 64,6 miliardi di dicembre ai 63,9 di gennaio, tuttavia l'inversione di tendenza sul Pil non si avvertirà prima di metà 2013 e per registrare le prime ricadute sulla qualità del credito si dovrà attendere il terzo-quarto trimestre.
Un contesto problematico per tutti – non a caso Bankitalia continua a chiedere a massima attenzione – in cui però le situazioni sono abbastanza diversificate da banca a banca: cambiano i volumi delle rettifiche, i tassi di copertura dei crediti a rischio e anche la profittabilità. Perché, inevitabilmente, la prudenza si paga in termini di utili e dividendi per gli azionisti.
È così che per alcune banche che sono riuscite a dare qualche soddisfazione, seppur contenuta, ai soci (Intesa, UniCredit, Ubi, Credem), altre hanno chiuso in rosso (Banco Popolare, Creval), altre ancora si sono viste costrette a varare nuovi aumenti di capitale: Carige, previa cessione di asset, e Bpm, che tuttavia intanto ha rimborsato un miliardo e mezzo di prestiti Ltro.
L'effetto trading
Altro elemento del mosaico, i ricavi da trading. Un'altra voce straordinaria, che accomuna più o meno tutte le banche, che però questa volta ha avuto effetti benefici: dai buy back di obbligazioni proprie e dalla negoziazione dei titoli – per lo più BTp – le prime dieci banche hanno potuto contare su 4,9 miliardi di ricavi nel 2012, più del doppio dei 2,2 miliardi incassati nel 2011. Un effetto positivo che difficilmente concederà il bis, per lo meno nella stessa misura dell'anno scorso: i maxi ricavi, infatti, sono legati alla vendita dei titoli acquistati a fine 2011 a prezzi di saldo e rivenduti quando il mercato era tornato in una situazione di normalità. Una discontinuità che difficilmente potrà verificarsi nuovamente nel 2013. In realtà, c'è chi fa notare che con il ritorno alla normalità non solo cesseranno i ricavi straordinari da trading ma si rialzerà anche il margine d'interesse, che – non a caso – per le prime dieci banche nel 2012 si è ridotto proprio di 2 miliardi. Almeno sulla carta i conti tornano, ma bisognerà attendere la prova dei fatti. Anche perché, come ha ricordato ancora l'altro ieri il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, uno dei limiti strutturali del sistema sta nel funding gap degli istituti, ovvero quei 158,1 miliardi di differenza tra i prestiti erogati e la raccolta da clientela: «Le banche prestano il 120% di quello che raccolgono», ha ricordato Patuelli, e proprio qui sta il filo doppio che le lega all'economia reale. Facendole attendere con ansia quella ripresa che ancora non si vede all'orizzonte.