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27/05/2013 12:02
Bruxelles ci perdona e Piazza Affari ringrazia
Rossana Prezioso
La si interpreta come una buona notizia, o almeno così l'ha definita il premier Enrico Letta. Si tratta della richiesta ufficiale inoltrata dalla Commissione europea, per far uscir l'Italia dal procedimento per deficit eccessivo. Un provvedimento giunto alla fine di un iter particolarmente burrascoso che ha visto l'Italia al centro non solo ella polemica internazionale ma soprattutto di una politica interna fatta di misure rigorosissime (e spesso squilibrate) che hanno portato a gravissimi contraccolpi sull'economia interna. Con oltre 1,8milioni di disoccupati in poco più di 2 anni, Roma ha dovuto ignorare l'emergenza sociale per concentrarsi su quella strettamente finanziaria. E si spera che da questa notizia arrivino conseguenze anche sull'altro fronte, quello più penalizzato dalle misure restrittive finora intraprese, cioè la crescita dell'economia. Dopo i ripetuti allarmi di Confindustria, per lo stato delle Pmi, in arrivo potrebbero arrivare i primi sblocchi di finanziamenti strutturali dei fondi europei oltre a tassi di interesse più bassi. E questo deriverebbe anche dall'uscita di Roma dal club dei "reietti" ossia gli inaffidabili, cosa che permetterebbe di aumentare il potere contrattuale della penisola nell'avanzamento di richieste per progetti su infrastrutture e occupazione soprattutto giovanile. In particolare, la partita si giocherà a luglio quando saranno fissate da Bruxellles, quelle nuove regole di tolleranza su eventuali sforamenti dai conti, ma solo in casi ritenuti assolutamente necessari per lo stimolo dell'economia. Capire quali, quante e in che modo potranno essere fatte, permetterà al governo Letta di ridisegnare nuovamente l'agenda per eventuali interventi futuri, sapendo in maniera particolareggiata le potenziali aree d'azione e i margini di lavoro. Questo potrebbe permettere un'altra conseguenza, positiva ma dall'impatto non immediato come in effetti tutto il resto di questa storia, sarà un margine operativo dello 0,5% del Pil. In altre parole uno "sforamento" minimo, tollerato in nome del tentativo di Roma di crescere e ritenuto accettabile grazie proprio ala dimostrazione che l'Italia ha dato sull'impegno e la serietà. Il tutto anche in virtù di quei 40 miliardi di euro dati come primo saldo per il debito con le imprese fornitrici della PA. Un gesto che si è rivelato un'arma a doppio taglio: se da un lato è stato interpretato come un impegno per favorire la ripresa (per quanto una goccia nell'oceano), ha avvicinato oltremodo la stima del deficit a quel 2,9% limite massimo consentito e target raggiunto grazie al quale possiamo, non superandolo, uscire dalla querelle con l'Europa. Questo stanziamento ha di fatto bloccato i margini di spesa per l'anno in corso e quindi, per il 2013, tutti i prossimi provvedimenti saranno presumibilmente attuabili con tagli alla spesa pubblica. Prima di tutto quell'aumento dell'Iva che si vorrebbe scongiurare all'ultimo momento. Non potendo aumentare le tasse (a meno di una rivolta sociale), il governo sarà costretto a rivolgersi ai tagli alla spesa pubblica, cosa che sempre già essere in agenda. Non da escludere, come incentivo all'occupazione, anche eventuali sgravi fiscali sulle assunzioni a tempo indeterminato. MA a preoccupare sono ancora quei numeri del debito pubblico ormai saldamente ancorato a quel 130% del Pil e che pone Bruxelles in allarme, tanto da chiedere certezze su 6 punti cardine della politica economica futura. 1) risanamento dei conti pubblici con promozione della crescita tenendo cotto controllo deficit e margini di spesa, sempre ricordando di mantenere l'avanzo primario in linea con i target fissati 2) controllo della spesa e dei costi di amministrazioni e politica in generale, favorendo l'iter per le norme anticorruzione 3) controllo sul sistema bancario eliminando la zavorra del blocco dei prestiti 4) lavoro ancora più flessibile, meno contratti collettivi e più occupazione giovanile e femminile. 5) penalizzare le attività produttive più inquinanti favorendo invece con agevolazioni fiscali le altre più produttive. 6) aumentare le liberalizzazioni e la concorrenza di mercato in generale. Fonte: News
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