I 3 errori di Draghi che condanneranno l’Europa e i suoi mercati
News alert: BCE, Draghi Mario
La storia insegna. La storia sarà l’unica vincitrice nella lotta contro la crisi, anche perchè dalla sua parte non solo ha il tempo, ma anche la saggezza della logica. E la storia giudicherà in modo salomonico, la scelta di Draghi di intervenire sul costo del denaro forse troppo tardi.
Rossana Prezioso 10 ore fa
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AGENDA MACROECONIMICA - Il calendario degli aggiornamenti macroeconomici attesi sui principali mercati internazionali. Per ciascun evento sono indicati l’orario di diffusione, il grado di importanza, l’indicazione attuale, quella precedente e la previsione degli analisti. Apri l'Agenda.
La storia insegna. La storia sarà l’unica vincitrice nella lotta contro la crisi, anche perchè dalla sua parte non solo ha il tempo, ma anche la saggezza della logica. E la storia giudicherà in modo salomonico, la scelta di Draghi di intervenire sul costo del denaro forse troppo tardi. Con un’inflazione a meno della metà del target iniziale, con una disoccupazione a livelli record per moltissimi paesi (e destinata ad aumentare come in Italia con previsioni che parlano di n 12,7% ormai prossimo), non sembra proprio che Draghi abbia intenzione di occuparsi di questo, preferendo sistemare il settore bancario. Settore nevralgico, purtroppo, come nevralgico e urgente è anche quello del lavoro, in un’Europa che si trova sommersa dalle urgenze.
Ma partiamo da quella più subdola. Escludendo alimentari ed energetici, nel 2013 l’inflazione ha toccato una media preoccupante dello 0,7% resuscitando lo spettro della deflazione e creando il nuovo mito della “giapponesizzazione” ovvero dell’entrata in un circolo vizioso fatto di una moneta forte, ristagno di prezzi, salari e produzione, tutti sintomi che l’Europa accusa, come accaduto a Tokyo dagli anni novanta ad oggi, dal quale Tokyo sta tentando di uscire, a fase alterne ed alterne speranze, dopo aver creato l’Abenomics, la serie di stimoli monetari basati su un allargamento della base monetaria con svalutazione dello yen, e una serie di riforme unite anche al tentativo di attirare investitori esteri e rafforzare l’export. L’Europa non può farlo: troppi interessi di parte bloccano un politica unitaria, troppe indecisioni politiche legano le mani dei singoli governi. Di questo pericolo si è accorta sia Lagarde del FMI sia Jim Yong Kim, presidente della banca Mondiale: la prima teme la deflazione, il secondo il crollo del sud Europa come zavorra della ripresa, schiacciata da una disoccupazione che farà perdere un’intera generazione di giovani.
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E la pacatezza della Bce è ancora più sorprendente se si considera che lei stessa prevede una disoccupazione altissima e cioè al 12% circa, inaccettabile per sua stessa ammissione, fino al 2015. E si potrebbe pensare che l'elevata disoccupazione continuerà ad esercitare una pressione al ribasso sui salari europei e i prezzi in futuro più o meno allo stesso modo come ha fatto l'anno scorso, tagliando le gambe a tutte le previsioni degli analisti che volevano l'Europa come il primo grande vincitore.
Ma i margini di crescita sono sempre più deboli, sempre più asfittici e le minacce esterne sempre più gravi, tanto da rendere il Vecchio Continente il classico tallone d'Achille in un quadro già di per sè incerto e a macchia di leopardo. Non solo, ma proprio i PIIGS, ora osannati, potrebbero essere stati troppo sopravvalutati. Forse anche volontariamente.
A pensare male si fa peccato, ma la convinzione di molte società e di molti analisti nel voler rendere forzatamente appetibile un mercato che altrimenti non avrebbe nessuna effettiva base d'appoggio, sembra essere fin troppo strana: i mercati vanno oltre, si sa, ma il panorama temporale di cui i periferici avrebbero bisogno per riuscire a definirsi fuori pericolo, è anche superiore rispetto a quanto solitamente i mercati stessi guardano. La Spagna è in positivo (ma con uno 0,1% come ultimo dato concreto ottenuto da una disoccupazione al 25%), l'Italia nemmeno a parlarne: qui il marketing raggiunge vette a dir poco da imbonitore. Sulla Grecia il dramma è in corso da troppo tempo. L'Irlanda parrebbe dare buone notizie, ma resta sempre quella strana lettera che il governo aveva invitato ai cittadini chiedendogli di emigrare. Ma gari in Gran Bretagna, l'unica nazione che potrebbe presto invertire la rotta sull'accomodamento finanziario (Londra è ancora padrona della sua moneta) essendo anche uno dei pochi che è in pieno e incontestabile recupero (una voce s tutte: disoccupazione media al 7,4% con un target fissato dalla BoE al 7% per il rialzo dei tassi di interesse).
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Strano che Draghi non consideri le due variabili di inflazione e disoccupazione come troppo minacciose: inflazione troppo bassa unita a una disoccupazione troppo alta, un mix esplosivo che potrebbe bloccare gli influssi benefici delle già poche azioni in mano alla banca centrale al quale non può certo sostituirsi all’inerzia sempre più colpevole dei singoli governi. Inoltre tutte le politiche monetarie e le strategie correttive, dovendo agire su elementi profondi e radicati avranno bisogno di più tempo, come la Fed insegna. E il lavoro, sappiamo, è l’ultimo tassello dell’intero domino.
Concentrato sul settore del credito, e da questo distratto, Draghi punta a riformare questo snodo di primaria importanza al grido di “Muoia Sansone con tutti i Filistei”. Ovvero: le banche deboli chiudano, visto che negli Usa sono state dieci volte di più. Ma negli Usa il settore bancario non coinvolge il mercato e l’economia reale in maniera così incisiva come in Europa la cui economia si è sempre retta sul credito, sui mutui, sui fidi e sui finanziamenti chiesti (e ultimamente non ottenuti) negli istituti di credito. Eppure la paura non serpeggia solo tra gli uffici della Bce: S&P nei giorni scorsi ha puntato il dito contro le banche a causa di “utili bassi, modesta capitalizzazione e aumento delle sofferenze” aumentate a 150miliardi, oltre il 22%.
La seconda lezione che il signor Draghi sembra aver dimenticato è che le grandi lacune dei mercati del lavoro e dei prodotti sono generalmente associate con il calo dei prezzi, quindi non risolvendo l’una si peggiora anche l’altra: strano anche il fatto che, a un impennarsi della disoccupazione già presente da tempo, Draghi si sia meravigliato di un crollo dell’inflazione.
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Terzo punto, il costo della deflazione, soprattutto sui paesi particolarmente indebitati, è enorme, quindi più perdura questo stato (innegabile se non ai suoi occhi) più peggiora la situazione in generale, più sarà difficile risanarla se non con strategie al limite del suicidio (considerando iil rapporto rischi benefici) come sta facendo il Giappone. Questo perchè, come Irving Fisher ci ha insegnato, la deflazione aumenta il peso reale di un determinato livello di debito, il che aumenta in modo esponenziale il rischio della spirale deflazionistica.
Per Draghi, però, “le aspettative sono saldamente ancorate nel medio termine agli obiettivi della banca centrale”. Un ennesimo copia-incolla dai suoi discorsi...
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