Ddl Boschi, ecco come cambia il Senato. Via il ping pong, ma manca il limite anagrafico: senatori anche a 18 anni
08 agosto 2014
Commenti
N. commenti 1
More Sharing ServicesShare on google_plusone_shareShare on twitterShare on facebook
Allegro
0
arrabiato
3
Stupito
0
Triste
0
Share on printShare on email
A
A
A
Articoli correlati
Secondo voi la riforma del Senato è...
"Osceno", "patetico", "dici s...": rissa al Senato e su Twitter tra Minzo, Gasparri e Feltri jr.
In Senato a 18 anni? Da oggi si può, merito della riforma a tappe forzate voluta dal governo. Nel
ddl Boschi, che verrà approvato entro oggi pomeriggio, 8 agosto, come promesso a fine luglio da
Matteo Renzi e dal suo ministro delle Riforme, manca infatti ogni limite anagrafico per i futuri senatori: più che una svolta, pare una dimenticanza. Anzi, una gaffe clamorosa.
Il pasticcio: senatori con le braghe corte - Nel testo della riforma del Senato infatti non sono contemplati i limiti in vigore sia per l'elettorato attivo (si può votare a partire dai 25 anni) sia per quello passivo (si può essere eletti a partire da 40 anni compiuti). Il motivo è semplice: la norma era stabilita nell'articolo 58 che verrà eliminato del tutto. "Serviva più tempo per approfondire la questione e invece hanno voluto accelerare", ha spiegato a
La Stampa il senatore dei 5 Stelle
Stefano Battista, che è entrato a Palazzo Madama quando aveva superato i 40 da un mese e che è il senatore più giovane di questa legislatura. Dunque, passata la riforma, al Senato siederanno consiglieri regionali e sindaci che possono, loro sì, essere eletti non appena maggiorenni. Il pasticcio di questi giorni di bagarre ha fatto dimenticare ai senatori di tarare la norma anagrafica con quella della Camera, dove rimane invece il limite dei 25 anni. Un paradosso che molti, soprattutto tra i grillini vorrebbero "riequilibrare" abbassando la soglia anche a Montecitorio.
Addio ping pong - Per il resto, il Senato che verrà è già delineato. Sarà composto da
100 senatori: 95, come detto, saranno consiglieri regionali, mentre 5 verranno scelti dal presidente della Repubblica. La Camera Alta (ex?) non dovrà più votare la
fiducia al governo ma avrà il compito di votare le
leggi regionali, alcuni provvedimenti di garanzia, il capo dello Stato insieme alla Camera e alcuni giudici costituzionali. Soprattutto, il ddl Boschi segna la fine del cosiddetto
"ping pong", il rimpallo di una legge tra Camera e Senato per la doppia approvazione. Palazzo Madama conserverà infatti la facoltà di proporre modifiche (su richiesta di un terzo dei senatori) ma gli emendamenti dovranno essere votati entro 30 giorni, per evitare l'effetto-palude. Sulla legge di bilancio, i tempi di intervento per i senatori sono ancora più limitati: 15 giorni. Come nel caso precedente, sarà la Camera ad esprimersi in maniera definitiva, anche negativa.
Taglio agli stipendi - Sul fronte stipendi e indennità, verranno aboliti da subito i contributi ai gruppi consiliari e i consiglieri regionali non potranno guadagnare di più del sindaco del capoluogo di Regione. Oggi un Senatore senza cariche particolari arriva a percepire
14mila euro al mese: tagliando questi emolumenti, il governo risparmierà
50 milioni di euro l'anno.
Novità per i referendum - In attesa del
referendum propositivo di indirizzo (per averlo servirà una legge costituzionale con doppia lettura di Camera e Senato, quindi con tempi lunghi), la riforma introduce un doppio quorum per i
referendum abrogativi: con
500mila firme servirà la metà più uno dei votanti aventi diritto per farlo passare, mentre con
800mila firme basterà la maggioranza dei votanti alle ultime politiche. Per le
leggi popolari serviranno invece 150mila firme, il triplo dello "sbarramento" attuale. In cambio, però, il Parlamento dovrà procedere con l'esame della proposta di legge in "tempi certi".
Province, Cnel e Quirinale - Il ddl Boschi sancisce anche la cancellazione delle
province e del
Cnel. Cambiano, infine, anche le regole per l'elezione del presidente della Repubblica. Il
quorum dei
due terzi sarà necessario per le prime quattro votazioni (oggi vale per i primi tre scrutini), quindi i
tre quinti nei successivi quattro voti e
maggioranza semplice al nono scrutinio.