IL DISSENSO TRASVERSALE

FORTEBRACCIO

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[center:9fd16e41a2]INTERVISTA A PIERO RICCA[/center:9fd16e41a2]

Dice di avere “il vizio di interpellare i potenti richiamandoli alle proprie responsabilità, e il vanto di risponderne sempre in prima persona”.
Ha avuto faccia a faccia polemici con quasi tutti i potenti italiani, da berlusconi ad andreotti.

Ritratto di un contestatore che non guarda in faccia a nessuno.
Con l’associazione “Qui Milano Libera” documenta le sue iniziative di critica frontale con video che spopolano su YouTube.
E se lo definite antipolitico…

In Italia i giornalisti che non temono di esporsi si contano sulle dita di una mano. Perché, secondo te?

Credo che il ceto giornalistico sia parecchio svilito, per onestà, per deontologia, per competenza.
E questo perché giocare al ribasso rende, le aziende editoriali chiedono un’aurea mediocritas.
È un appiattimento che ha radici culturali, c’è più interesse a veicolare prodotti commerciali e favori ai politici che vera informazione.
La sudditanza dei contenuti alla logica pubblicitaria crea grossi problemi.
Come pure la concentrazione della proprietà dei media in poche mani, spesso di editori “impuri”, cioé con altri e più corposi interessi rispetto all’editoria.

L’operatore dell’informazione è spesso solo una pedina in un ingranaggio di interessi e di potere.
Ma ci sono molti che scelgono di fare i servi e i killer, per sete di guadagno e di potere. E poi c’è questa anomalia italiana che si chiama Berlusconi, che applica la logica del marketing all’impresa politica.
Tra i tanti danni che ha prodotto c’è l’imbarbarimento dell’informazione: per creare e mantenere il consenso risulta lecito ogni mezzo, anche utilizzare la componente giornalistica per fare propaganda e massacrare e ricattare avversari e alleati.

Non a caso appena nasce il partito-azienda un uomo libero come Montanelli se ne va sbattendo la porta.
Per prendere il suo posto c’è una fila di personaggiucoli, spesso ex sinistrorsi, pronti a tutto, che pagherebbero per vendersi.
La corruzione del giornalismo è parte integrante della crisi italiana.

Vedi qualche eccezione?

Coloro che fanno semplicemente il proprio mestiere.
Ce ne sono ancora.
Persone come Milena Gabanelli o Marco Travaglio, per esempio, sono diventati dei punti di riferimento.
Per loro meriti, ma anche perché c’è il deserto intorno.

Se Fede, Belpietro, Vespa, Liguori, Ferrara, Mimum, Mauro Mazza hanno ancora incarichi importanti, vuol dire che la priorità dei grandi media non è informare i cittadini, ma servire messa al potente di turno.

Eppure basta a soddisfare il pubblico...

L’informazione, così come la politica, riflette l’involuzione della società italiana.
Siamo sicuri che l’italiano medio sia affamato di grandi inchieste giornalistiche che costringono a pensare, a farsi un’opinione, a indignarsi?
La gran parte degli italiani vuole la partita, consuma reality, divora il gossip, ama guardare le barche a Porto Cervo, s’immagina un giorno a festeggiare con Briatore e le Veline.
E intanto siamo il fanalino di coda nelle classifiche di lettura di libri e quotidiani.
E ci battiamo con il terzo mondo in quanto a libertà di informazione.
C’è per fortuna anche una parte seria, intelligente e onesta del Paese, e guarda caso è quella che non si sente più rappresentata né dalla politica né dall’informazione ufficiali.

Ed è la parte che confluisce nel calderone dell’antipolitica, e che trova in internet una potente valvola di sfogo del dissenso.

Bisogna chiarire cosa si intende con il termine antipolitica.
Se significa disprezzare le istituzioni e pensare che si possa fare a meno della politica, sono contrario all’antipolitica, perché la democrazia è il miglior sistema possibile, ed è fatta di rappresentanza, di istituzioni, di procedure.

Il termine antipolitica viene però utilizzato per screditare una componente vivace, non stordita, dell’opinione pubblica.
Quella che vede Tangentopoli, Mafiopoli, Sanitopoli, e ritiene di meritare altro.
Quella non è antipolitica, è la parte sana del Paese, la più politica di tutte, che si dibatte nell’impotenza e che non si vede rappresentata perché il sistema è chiuso, impermeabile al ricambio generazionale e alla circolazione delle idee.

Riguardo a internet, ha aperto un mondo nuovo, interessante, ma caotico e pericoloso. Consente un’informazione più ampia, accresce la libertà di espressione e di interazione sociale.
E già sta cambiando la politica e l’informazione.
Il rischio è la confusione, l’insignificanza per eccesso di messaggi, la difficoltà di discernere il vero dal falso, l’essenziale dal superfluo, la moltiplicazione delle bufale e delle ossessioni virtuali.

I giovani che si affacciano alla politica attraverso internet spesso lo fanno senza mediazioni e senza basi culturali.
Se viene meno la cultura “cartacea", cioè i libri e i giornali, ci si trova soli davanti allo schermo e si può trovare tutto, e il contrario di tutto.
Il criterio selettivo individuale resta la risorsa fondamentale.

C’è chi, come Grillo, non la pensa così…

Beppe Grillo, che apprezzo come animale da palcoscenico e divulgatore di notizie scomode, a volte lancia messaggi che sono di una sconvolgente demagogia.

Dice per esempio che si può fare a meno della funzione giornalistica perché sul web si trovano tutte le informazioni che servono.
Sbagliato.
L’informazione richiede professionalità, competenza, investimento economico, mediazione.

Occorre battersi per un’informazione più onesta e veritiera, plurale e libera.
Non illudere gli ingenui che la funzione giornalistica sia tramontata.
Non sono d’accordo con lui nemmeno quando dice che i partiti sono ormai inutili, perché è giunta l’ora della democrazia diretta, in rete.

I partiti, e tutti i soggetti della rappresentanza, svolgono una funzione fondamentale. Vanno totalmente riformati, aperti alla società civile con le primarie di collegio, svecchiati con la temporaneità degli incarichi, resi più trasparenti con la responsabilità giuridica, morale e politica di ogni loro atto, e con la cosiddetta “sanzione reputazionale", che noi (col movimento Qui Milano Libera, NdR) esercitiamo in strada, a viva voce, prefigurando quel che dovrebbe essere il giusto rapporto fra cittadino e politico.
In nessun caso però i partiti possono essere sostituiti con la tastiera di un computer.

Daniele Luttazzi, Marco Travaglio, Piero Ricca: processati per diffamazione, tutti assolti.

L’uso massiccio delle querele è uno strumento ulteriore per zittire il dissenso.
C’è una frase di Berlusconi, ricordata in un recente libro, che dice: “L’importante è che siano costretti a difendersi”.
Credo che sia questa la finalità di certi processi.
Magari poi trovano il magistrato un po’ servile o il cavillo, e vincono.

Ma intanto fanno i prepotenti fanno le vittime e ti additano come un criminale.
Se poi c’è un’assoluzione, magari non viene pubblicata neanche nei trafiletti, come lamentava giustamente Luttazzi.

L’obiettivo è un avvertimento, un avviso pubblico: “Abbiamo querelato Luttazzi, abbiamo fatto fuori Enzo Biagi, non il praticante di un giornale di paese”.
A quel punto chi tiene famiglia ci pensa dieci volte, prima di alzare la testa.
Si chiama intimidazione.
In Italia funziona.
E non ce n’è molto bisogno.

Quali sono le tre cose più urgenti che un Governo dovrebbe fare per i problemi italiani?

Se parliamo di un governo serio e desideroso di occuparsi dell’interesse generale, quindi di Utopia, la prima cosa dovrebbe essere la questione ambientale. L’inquinamento, la salute, la qualità della vita, sono le priorità.
La seconda è l’emergenza economica, la precarietà della vita.

Stanno bruciando intere generazioni, togliendo loro la possibilità di una dignità sociale. Qualcuno ha fatto qualcosa di serio? Solo palliativi e slogan.
La terza priorità è culturale.
La scuola è stata devastata, il modello è la pubblicità.
Stiamo perdendo l’uso della parola scritta.
Servirebbe una pedagogia di massa, e questo dovrebbe essere compito della Rai. Bisognerebbe dare i mezzi di comunicazione pubblici in mano a gente onesta e capace. Utopia, appunto.

Gli schieramenti politici si trovano a preparare una campagna elettorale a tappe forzate. Come pensi si evolverà la situazione?

Penso che i giochi siano fatti, verranno inscenati duelli, si formuleranno slogan per entusiasmare i militanti, ma alla fine la spunterà la Banda Berlusconi.
Spero di sbagliarmi, ovviamente.
Vincerà alla Camera prendendo il premio di maggioranza.
E vincerà anche al Senato, sulla scia dell’effetto rovinoso del governo Prodi, parlo della percezione, perché a mio avviso - dato il punto di partenza - ha realizzato anche cose positive.

Quando c’è da intortare i gonzi con gli slogan e i soldi Berlusconi e i suoi sono i migliori. Veltroni e i suoi sanno di perdere, e di consegnare il Paese a Berlusconi.
Pensano al futuro, al loro futuro, intendono riposizionarsi sul mercato politico come una forza politica moderata, rassicurante e governativa, senza la zavorra della cosiddetta “sinistra radicale".

Dato poi che sono più giovani dell’avversario, contano che un giorno l’anomalia berlusconiana si dissolva naturaliter lasciando loro campo libero.
Nell’immediato sperano, se al Senato non ci sarà maggioranza netta, di fare un governo assieme al Pdl dopo l’elezioni, come auspica il sindaco di Torino Chiamparino.

Lo auspico pure io, così sarebbe tutto più chiaro e sapremmo con chi prendercela.
Quel che Veltroni sottovaluta è che Berlusconi non rispetta alcun patto e privilegia solo gli interessi personali.
Ha sempre fatto a pezzi gli avversari in questo modo, conscio di avere di fronte persone deboli.

Un giudizio severo su Veltroni, il tuo.

Meglio lui del nano inceronato, certo.
E tuttavia mi sembra un personaggio mediocre, preso per i capelli e buttato nella mischia di fronte all’urgenza di darsi un volto nuovo.
Che poi tanto nuovo non è.
Nella politica-spettacolo ha qualche talento.

E qualche punticino lo recupererà, perché all'italiano medio certa gente piace.
Non dimentico che da segretario dei Ds se ne fuggì a Roma prima della sfida decisiva con Berlusconi nel 2001, che sapeva di perdere.
In un Paese normale il suo livello sarebbe di assessore alla cultura e al tempo libero a Perugia.

In generale penso che questo ceto di potere di centrosinistra ha una responsabilità storica enorme: non aver impedito, in nome di una cultura alternativa, la deriva berlusconiana.

Gli ex ragazzi rossi hanno capito come gira il mondo e si sono fatti cambiare dall’avversario.
Per questo dovrebbero essere già tutti a casa.
Il guaio è che viviamo in un Paese ideale per chi ha interessi oligarchici.

Il sistema è refrattario al ricambio della classe dirigente.
La società civile sana non riesce a trasformare il dissenso in rappresentanza. L’informazione fa da palo.
La maggioranza degli italiani sono sudditi che borbottano al bar e inveiscono contro l’arbitro di calcio.
E pure io certi giorni mi dico: ma chi te lo fa fare.


di Michele Orti Manara
 

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