IL MIO CORPO DICE "DIETA", MA IL MIO CUORE CANTA "A NATALE PUOI"

Questo è il clima di violenza che sembra creato ad hoc per fomentare la PAURA.

"Giacomo Zamperini è stato aggredito in città senza motivo ed è in PS; dobbiamo esprimere vicinanza a Zampe,
dire che qua non c'è posto per la violenza, perché è un lecchese come noi, la cui unica colpa è quella di essere appassionato di politica"
così in consiglio comunale Filippo Boscagli (pd) ha reso pubblica l'atto di violenza subito nel pomeriggio odierno dal responsabile regionale di Fratelli d'Italia, già "collega" in assise a Lecco.

"Oggi alle 2, stavo tranquillamente prendendo un caffè in un locale di Lecco. Non stavo nemmeno parlando di politica ma del Natale.
Un soggetto - che mi è stato poi detto essere uno dei "capi" degli anarchici del territorio - è andato prima alla macchina a posare un compurer poi mi si è avvicinato.
Mi ha chiesto "sei Zamperini?" e alla mia risposta mi ha detto "le tue azioni avranno delle conseguenze" sputandomi in faccia prima di colpirmi"
ci ha raccontato il diretto interessato, ancora in attesa di essere visitato all'ospedale Manzoni.

"Quando me lo sono levato di dosso si è allontanato. Sono riuscito a far prendere il numero di targa registrando un video".

"Considero quello che è successo un atto grave: se pensano così di intimidirci sbagliano di grosso.
Noi continueremo la nostra campagna elettorale a testa alta. Da domani saremo ancor più determinati.
Se pensano però di trascinarci in una spirale di violenza, non ci riusciranno."
 
"In Italia siamo abituati a intonare i ritornelli senza pensare".


“Abbiamo il dovere di comprendere i testi che cantiamo . Non ha senso cantare Bella ciao per contestare Matteo Salvini.
Il testo recita: "Una mattina mi son svegliato, e ho trovato l'invasor". L'invasore non è Salvini. Anzi, Salvini semmai combatte le nuove invasioni".

Già in quell'occasione aveva criticato il popolo di "Bella Ciao":

"Assistiamo a un'invasione culturale ai nostri danni, di quelli che considerano il crocifisso nelle scuole come un'offesa alle sensibilità altrui.
Siamo vittime di un'invasione economica, quando lasciamo che poteri stranieri comprino a mani basse aziende italiane.
Un'invasione alimentare, quando ci vengono imposti cibi che arrivano dall' altra parte del mondo, fuori dalle regole.
Questi sono i veri invasori. Quando poi sento cantare Bella ciao dai commissari europei, allora lì mi metto direttamente a ridere".

Ha confessato di rimanere un anarchico, il cui "manifesto politico è Imagine di John Lennon",
ha proseguito l'intervista difendendo Matteo Salvini, rilanciando il paragone con Vasco Rossi:

"Sembra che ogni azione politica venga compiuta in funzione di combatterlo. Lo stesso governo è nato con l'obiettivo di impedire le elezioni,
che con buona probabilità sarebbero state vinte dalla Lega. O sbaglio? Condannare Salvini perché è andato a torso nudo al Papeete, non va bene.
È lo stesso atteggiamento di chi all' inizio attaccava Vasco Rossi, definendolo "un animale"".

E sul tema caldo delle Sardine, non si trattiene:

"Sono già anziani. Mi danno l'impressione, questi ragazzi, di essere strumentalizzati. Gestiti da altri, sopra di loro.
Patti Smith li appoggia? Io la Smith la conosco bene. Questi artisti stranieri si lasciano spesso irretire da ciò che leggono sul nostro Paese.
Non approfondiscono, peccano di superficialità".

"Con una gigantesca operazione di marketing, hanno sostituito gli eroi del passato con Paris Hilton
e i trapper, quelli che parlano solo di stronzate, lusso e macchinoni. Tutto per addormentare le coscienze.
Questo vale anche per l'Italia, che ha smarrito i suoi storici cantautori".
 
Cosa ha rivelato l’ultimo voto nel Regno Unito?

Quanta falsità e malafede regnino nella comunicazione e nella politica italiana.

Sono mesi che bombardano con i messaggi per cui “La Brexit è fallita”,”Gli Inglesi vogliono tornare indietro”,
“Gli Inglesi vogliono un secondo referendum”, ed alla PRIMA votazione libera danno un appoggio schiacciante,
come mai da decenni, al governo che vuole l’uscita dall’Unione Europea e la vuole in modo deciso, totale ed irrevocabile.

Noi sappiamo bene il perchè ci propinino queste PALLE: per il timore che, alla prima occasione, ci comporteremmo esattamente allo stesso modo.

Ecco il terrore, il puro terrore, di far votare gli Italiani stringe il cuore di tutta la politica italiana e di tutti i mass media,
perchè c’è la consapevolezza che gli italiani sanno benissimo cosa vogliono,ma questo non coincide per nulla con quello che vogliono lor signori.

Comunque ecco una raccolta delle migliori perle.

Avvenire, giornale dei vescovi italiani:



Certo, restiamo nella UE, come no, Infatti…..

Naturalmente tutti ad elogiare le manifestazioni per il secondo referendum

Brexit, a Londra manifestazione per chiedere secondo referendum



Poi i grandi esperti di politica. Iniziamo con FASSINO:



“Corrispondente ai sentimenti di tanti inglesi”, che infatti hanno votato in massa per il governo dei Conservatori e per Boris Johnson, mica per Corbyn.
Il buon Fassino ha capito, come sempre, tutto, ed è stato un veggente perfetto.

Poi abbiamo il guru del giornalismo italiano, sempre pronto a dare previsioni e giudizi taglienti a comando, il buon Federico Fubini del Corriere



E si Boris Johnson non sarà mai leader dei Tories, dei Conservatori, e non ci sarà mai la Brexit. Che dire, questo è un sottile senso politico.

Questi sono anche i politici ed i giornalisti che conoscono alla perfezione cosa vogliono gli italiani e qual è il loro bene.

Per confermarlo, perchè non ci fanno votare su un referendum come quello fatto dagli Inglesi? Tanto per confermare le loro idee….
 
1. Il voto nel Regno Unito è di grande interesse e non tanto (o non solo) perché indica un sintomo della crisi dell’Unione europea:
da questo punto di vista si tratta di una conseguenza quasi naturale della peculiarità della Gran Bretagna all’interno dei paesi-membri, tra i più (relativamente) “antichi” ed importanti.

Basti al riguardo un’osservazione oggettiva: il Regno Unito è l’unico paese non appartenente all’eurozona che sia anche un (notevole) contributore netto al bilancio Ue
(
si pensi che invece, dentro l’eurozona, ad es; Spagna, Portogallo e Grecia permangono come percettori netti, avendo quindi un interesse strutturale alla “permanenza”
del tutto opposto a quello del Regno Unito..e dell’Italia).

E questo pur avendo la Gran Bretagna fruito (a seguito di precedenti negoziati condotti dai governi britannici a tutela degli interessi nazionali)
di un regime speciale di deroga, più favorevole (c.d. rebate), nel calcolo della sua contribuzione complessiva.

2. Quella sotto riportata, dunque, era la situazione complessiva di contributori e percettori netti al 2015 (stimata dunque alla vigilia del referendum sulla Brexit),
calcolando che il contributo è agganciato al reddito nazionale lordo (parte del Pil effettivamente consumabile nel territorio nazionale) ed alla sua dinamica.
E questo spiega perché, con la sua prolungata recessione e stagnazione, l’Italia abbia visto leggermente scendere, ma non troppo (se correttamente calcolato),
il suo contributo complessivo e quindi quello netto
(cioè somma versata strutturalmente in eccesso rispetto a quanto programmaticamente si possa ricevere dall’Ue.
Anche se la Brexit, eliminando la contribuzione britannica, porterà a una riespansione della contribuzione italiana):
soldi_a_europa.jpg

3. In altri termini, quale secondo contribuente netto, il Regno Unito, a seguito della mera Brexit,
si ritrova a ad avere uno spazio di manovra di bilancio accresciuto di circa 10 miliardi di euro, pari a poco meno 0,4 punti di Pil
,
che può, senza alcun imposta o taglio di spesa aggiuntivi, risparmiare (per raggiungere un disavanzo di bilancio inferiore)
o, appunto, convertire immediatamente in sgravi tributari o maggior spesa pubblica.
Inoltre, per il resto della contribuzione, diciamo la parte a “prestazione corrispettiva”, il Regno Unito disporrà di circa 0,7 punti di Pil di spazio fiscale,
che potrà comunque destinare diversamente da quanto gli imponeva l’adesione ai programmi di spesa vincolati al bilancio Ue:
potrà così, – e con l’aggiunta di 10 miliardi di risparmi “certi”, scegliere di incentivare maggiormente la ricerca scientifica,
in finanziamento di start-up, o di imprese già esistenti, nei settori, come quello energetico e della mobilità, ritenuti strategici,
o potenziare il proprio sistema sanitario pubblico o quello infrastrutturale, combattendo la povertà mediante la creazione pubblica di posti di lavoro.

Ed infatti, Boris Johnson, nella sua campagna elettorale ha molto enfatizzato questi temiin particolare quello del rafforzamento della sanità pubblica-,
relativi alla maggior capacità, derivante dall’uscita dall’Ue, di svolgere politiche fiscali e industriali più estese e più mirate alle esigenze del Paese.
Ed ha pure elaborato un piano di rilancio industriale in settori privilegiati ritenuti strategici (appunto, mobilità, fonti alternative connesse, ITC, risanamento urbanistico):
più o meno criticabile, ma pur sempre indubitabile circa le…”coperture”, fornite automaticamente dalla Brexit.

Ed è questo, un aspetto di non secondaria importanza nella vittoria elettorale di Johnson, che non ha registrato alcuna eco, o traccia, in Italia,
dove, come abbiamo visto, si tende in radice, nella comunicazione mediatica e “ufficiale“, a sottacere (o “rimuovere”)
sia la realtà del nostro essere contribuenti netti all’Ue, sia l’aspetto della libertà di scegliere le specifiche priorità nelle politiche anticicliche
e di rilancio della crescita che deriverebbero dal non essere più astretti dai programmi “one size fits for all” elaborati dal Consiglio Ue.

4. Di minor rilevanza è invece il voto britannico, – pacificamente interpretato appunto come una sonora sconfitta dei remainers –, sulla situazione italiana.
Uscire dall’Ue, non essendo membro dell’Unione monetaria, è un processo che, a stretto “diritto europeo”
(se pure questa locuzione ponga capo a un quid sistematico, nonché comprensibile per i cittadini comuni),
risulta ben più semplice e incontra meno resistenze (per lo meno “di facciata” o “per presa di posizione”) negli altri partners.

Le difficoltà triennali incontrate dalla Brexit, infatti, sono imputabili essenzialmente al “fronte interno”,
cioè al predisporsi delle forze politiche presenti al governo (con la May), e complessivamente in parlamento,
ad una posizione ambigua e ondivaga sulla volontà di arrivare comunque ad attuare il risultato emerso dal referendum.

Abbiamo anche già visto come, per motivi istituzionali, sociologici e soprattutto storico-politici, riflessi nelle differenze profonde delle fonti costituzionali tra Italia e Uk,
la riaffermazione di sovranità assuma un senso ben differente in ciascuno dei due ordinamenti
:
quello che differisce è il rispettivo concetto sostanziale di sovranità (profilo che, appunto, deriva da un’evidente diversità
nella collocazione di Italia e Gran Bretagna nella “comunità delle Nazioni”, se considerata in termini secolari, cioè a partire,
indicativamente, dal XVII secolo, allorché si hanno le prime elaborazioni del moderno diritto internazionale
, e quindi, del concetto formale di sovranità interna ed esterna).

5. Non di meno, – svolte queste osservazioni relative alla convenienza economica (per così dire fiscale), accomunante,
e ad alla tradizione storico-politica connessa alla diversa posizione interna alla stessa Ue, invece divergente –,
l’interpretazione delle elezioni britanniche come conferma quasi plebiscitaria della Brexit,
ci rammenta alcuni altri elementi di diritto circa la posizione di Stato appartenente all’eurozona
,
elementi direttamente derivanti da espresse disposizioni dei trattati o del diritto europeo e che è bene rammentare:

a) l’Unione europea non coincide con l’Unione monetaria e la condizione di Stato-membro della prima non obbliga ad aderire alla seconda
(si veda qui, e in particolare il punto 4, secondo una lettura confermata anche dal prof. Guarino, pagg. 4-10, e fondata sulla lettera univoca del paragrafo 4 dell’art.3 del TUE);

b) l’adesione all’eurozona è invece il presupposto vincolante del c.d. fiscal compact, per gli Stati della sola eurozona
(art.14, par.5, del trattato stesso,
v. qui, p.5): il fiscal compact, infatti, non vincola pleno jure gli Stati-membri Ue che non appartengano all’EZ,
fino a quando non aderiscano formalmente alla stessa (quindi, prima dell’adesione, non gli si applica la procedura di infrazione ex art.126 TFUE,
ove gli stessi, pur essendo eventuali parti dell’accordo intergovernativo del fiscal compact, violino la regola del deficit e/o del debito pubblico,
rimanendo solo soggetti a un processo di monitoraggio non sanzionatorio da parte della Commissione; v.art. 139 TFUE che denomina tali paesi “con deroga”);

c) la non obbligatorietà dell’adesione all’eurozona, per i paesi membri dell’Ue, è confermata anche dal noto discorso di “commiato” di Barroso,
assunto nelle sue basi giuridiche e non nel suo “wishful thinking” politico
(ovvero, palesemente, de iure condendo, ancora inesistente);

d) la stessa Unione bancaria, con la sua interminabile regulation e soft law, attuativa e sanzionatoria, è geneticamente applicabile ai soli paesi dell’eurozona;

e) infine, anche l’ESM si applica ai soli paesi dell’eurozona e, cosa più importante, nella sua versione attuale,
conferma come l’adesione all’euro non sia un obbligo gravante sugli Stati-membri che non vi abbiano aderito, e, inoltre,
che la stessa adesione all’ESM non sia affatto obbligatoria, ma condizionalmente ritenuta auspicabile, per gli stessi membri dell’eurozona.

e1) In tal senso milita anzitutto il fatto che, per poter istituire l’ESM sia stata adottata una decisione unanime modificativa del trattato
(aggiungendovi l’art.136, par.3), e che il Fondo, e la sua riforma, siano frutto di un accordo intergovernativo:
cioè di un (ulteriore) consenso unanime di cui non ci sarebbe stato bisogno se l’istituzione del Fondo fosse stata prevista come obbligatoria
anzi che, com’è nell’art.136, par.3, come “facoltativa” (“possono istituire“).

e2) E un’indicazione di grande attualità, confermativa di questa (evidente) interpretazione letterale,
la si ritrae dallo stesso testo della riforma ESM (specialmente se visto nella sua originaria versione in inglese), nello stesso originario “considerando (7)“:

(7) Tutti gli Stati membri della zona euro diventeranno membri del MES. Per effetto dell’adesione alla zona euro,
lo Stato membro dell’Unione europea dovrebbe diventare membro del MES con gli stessi diritti e obblighi delle parti contraenti.

5.1. Risulta evidente che gli Stati membri della zona euro “diventeranno” membri del MES, perché gli hanno dato vita trovando l’accordo unanime originario del 2 febbraio 2012,
e quindi il testo dell’accordo non può che prendere atto della sua base di volontà costitutiva degli Stati stessi;
tuttavia, qualora uno Stato-membro dell’Ue aderisse alla zona euro (per sua scelta facoltativa e comunque non sanzionata dai trattati),
dovrebbe e non “dovrà” diventare membro del MES: proprio perché anche entrando nell’eurozona non si è vincolati,
in virtù dell’art.136, par.3, a essere parte di un distinto accordo intergovernativo previsto come facoltà (e non obbligo) dallo stesso art.136.
Il che riguarda a pieno titolo l’Italia nella sua eventuale volontà di prestare il suo consenso alla riforma: nessuno la può obbligare.
 
Ecco un po’ di titoli (cubitali) sparsi della “grande” stampa nazionale il giorno appresso l’epocale vittoria
dei conservatori alle elezioni d’oltremanica e la conseguente, sicurissima, uscita del Regno Unito dalla UE:

“Facciatosta, nuova fuga di notizie dalla procura”;
“Il Governo impone in Europa la linea italiana sul MES”;
“Carige, missione compiuta”;
“Banche e giustizia, grane per Conte”;
“Banche rotte, governo in panne”;
“Sardina day”;
“Atalanta, ti ricordi di me?”.

Un po’ come se, dopo il crollo del muro, ci avessero informato dei saldi di fine stagione.

Eppure, la vittoria di Johnson è precisamente questo: il crollo di un muro. Significa che c’è vita sulla terra, oltre che su Marte. Ed è vita intelligente.

Significa che dall’Unione non si può solo “desiderare” di uscire (con un referendum). Si può anche uscire davvero (con libere elezioni).

La notizia è enorme proprio perché i giornaloni ci avevano quasi persuaso del contrario: dall’Unione non si esce, la UE è irreversibile,
in Gran Bretagna mancano già le scorte di medicinali, e a breve pure di biscotti.

Diciamo pure che la notizia dovrebbe sconvolgere ogni redazione: il classico caso dell’uomo che morde il cane.

E allora perché i titoli dei quotidiani italiani del giorno dopo sono così scollegati dalla realtà?

Perché il nostro sistema di informazione è profondamente infantile.

Così come infantili sono tutti i movimenti oggi allineati con l’agenda dell’establishment.

Così puerili da scegliere come guru di riferimento una bambina (Greta Thunberg) e come icona dei pesci di carta (le sardine).

Non è un caso che il mainstream vada pazzo per l’una e per le altre.

Esse rispondono a un ossessivo bisogno di semplificazione estrema, tipico della mentalità fanciullesca:
di qui il bene, di là il male; viva la pace, abbasso la guerra; salviamo il pianeta terra; l’unione (europea) fa la forza.

Tutto quanto non collima con tali schemi primitivi di ragionamento basico va combattuto a suon di slogan; o fabbricando un mondo immaginario.

Per esempio, un mondo dove gli inglesi si sono pentiti, vogliono un nuovo referendum,
sognano di tornare nel grembo dell’Europa, hanno capito l’errore commesso dal popolo bue.

Poi arriva il giorno delle elezioni e il popolo bue ti fa sbattere contro le sue irrimediabili corna.

Ergo, un bambino che fa? Nega la realtà. O non se ne accorge proprio, o la minimizza.

Nota bene: ci sono poteri e strutture assolutamente interessati a coltivarci e mantenerci in uno stato di incoscienza larvale, proprio come bachi in barattolo.
O come pupi nell’aula ricreativa di una scuola materna.

Sono gli stessi poteri, e le stesse strutture, da cui ha origini e trae linfa vitale l’intera impalcatura del sogno europeista.

E anche gli stessi da cui si abbevera – per poi abbeverarci – gran parte del circuito mediatico.

Ma la storia, e anche gli uomini, per fortuna, vanno per i fatti loro e non mancano mai di sorprenderci.

E proprio per questo non dobbiamo mai smettere di sperare.

Per ora godiamoci il momento. Dio esiste. E ha salvato la Regina.
 
Uno dei motti del gretinismo mondiale è il rifiuto della plastica per diminuire la famosa “Impronta carbonica”,
cioè la traccia che la persona lascia sull’ambiente, calcolata un po’ come a ciascuno gli pare.

Per diminuire questa impronta si è imposta la moda di usare le borraccia al posto della bottiglia di plastica.

In realtà la traccia della plastica può essere un perfetto zero: basta riciclarla.

Di per se la materia prima, trattata in modo adeguato, è eterna, basterebbe prendere qualche piccola precauzione in più:
ad esempio invece che incollare l’etichetta, rendendo complessa la divisione fra carta e plastica, attaccare il cartellino al collo.

Però volete che un massimalista dell’ambiente, un gretino puro, si accontenti di così poco? No, bisogna usare la borraccia.

Le borracce possono essere di plastica, prodotto maledetto, di vetro, perfetto, ma fragile e pesante, di acciaio inossidabile, anch’esso pesante, o di alluminio.

L’alluminio è leggero, riciclabile, ci fanno pure le lattine.

Quasi l’optimum, se non fosse che per estrarlo dalla Bauxite ci voglia un bel po’ di calore e quindi di impronta carbonica….

Però, alla fine, chi va a vedere un impianto siderurgico dell’alluminio? Occhio non vede, cuore ecologista non duole.

La tossicità dell’alluminio è ben nota, Riprendendo un buon testo del Ministero della Salute:

L’alluminio è tossico per il sistema nervoso centrale, come altri metalli pesanti,
nel caso in cui l’organismo non sia in grado di espellerlo, ad esempio in caso di gravi malattie renali.
È meno dannoso, ma altrettanto e (nei soggetti più vulnerabili) anche più persistente dei più noti mercurio, cadmio, piombo.
Secondo un dossier dell’Istituto superiore di sanità e di altri Istituti di ricerca internazionali, in merito alla sua tossicità,
l’alluminio e le sue leghe, utilizzati per contatto con alimenti, costituiscono una potenziale fonte di esposizione umana a questo metallo attraverso l’alimentazione.


Ma i gretini, anche quando governano il comune di Milano, se ne infischiano di questi dati e , come apprendiamo da un altro sito,
vengono a regalare borracce di alluminio, la cui sicurezza è dubbia, ma il cui impatto ambientale è certo, perchè importate dalla Cina.

Ovviamente per spendere meno, perchè il comune deve essere “Austero” e non far lavorare una fonderia italiana……

La maggior parte di queste importazioni, tuttavia, proviene dalla Cina e dall’Arabia Saudita, che alimentano le produzioni a energia elettrica e carbone.
Provengono dalla Cina, ad esempio, le borracce d’alluminio recentemente donate dal Comune di Milano agli studenti:
una mossa per molti in odore di green washing, per una area, quella della Pianura Padana, affetta da ben più gravi questioni ambientali.


Se poi all’impatto ambientale aggiungiamo l’impatto sulla salute il mix perfetto del gretinismo è composto.

Infatti, come ci informa il Fatto Alimentare, lotti di borracce in alluminio di produzione cinese sono state bloccate alla frontiera perchè la dispersione di alluminio nell’acqua era troppo alta, tossica.

Tra i lotti respinti alle frontiere od oggetto di informazione, l’Italia segnala: livello troppo alto di migrazione globale da bottiglie di alluminio con tappi di plastica provenienti dalla Cina.

Quindi le borracce di alluminio prodotte in Cina possono rilasciare troppo alluminio ed avvelenare le persone, non male come risultato ambientale.

Quindi abbiamo il mix perfetto dell’ecologista estremista, il gretino italico:

  • agisce in modo banale e superficiale sulla base di slogan, ma senza approfondire per non appesantire la propria RAM intellettiva limitata;
  • agisce senza considerare i danni alla salute propria e di terzi.
Del resto quale miglior modo per ridurre l’impronta carbonica che avvelenarsi e morire?
 
Fatto unico nel dopoguerra, la manovra verrà approvata solo dal senato e non passerà alla camera.

Vediamo cosa avrà da dire il nostro amato presidente.

Però, fossi in loro, contento non sarei. La maggioranza è a 161 voti.

Approvata e blindata. La manovra del governo incassa la fiducia al Senato e ottiene la maggioranza assoluta di 166 sì.
 
Interessante articolo, ma utopia allo stato puro. Per come siamo strutturati oggi.
Con i giovani che vivono di videogiochi e telefonino. Ignoranti come pochi al mondo.

Gli italiani che hanno scarse competenze scientifiche

Non passa mese in cui su qualche giornale famoso o in qualche programma televisivo in prima serata
ci venga ricordata la necessità di aumentare la cultura scientifica in Italia, intesa come mezzo fondamentale
per “essere competitivi sui mercati internazionali”, per esportare merci e “vincere la sfida della globalizzazione”.
Non si perde occasione di ricordare come gli italiani abbiano meno “competenze scientifiche” rispetto agli altri paesi “concorrenti”.

Per “cultura scientifica”, quindi, probabilmente non si intende neppure la conoscenza del metodo scientifico
o dei principi della termodinamica, ma solo il fatto di possedere le “competenze tecniche” richieste dalle aziende che devono esportare merci.

Peraltro pare che negli ultimi 10 anni i mandati pubblici per consulenze di ingegneria siano calati del 70% e quelli privati di oltre il 50%,
tanto per dimostrare che una economia depressa non sa cosa farsene delle competenze tecniche.

E’ evidente che le competenze tecniche sono importanti e fondamentali in una società avanzata, in quanto permettono di realizzare molte cose utili.
In fin dei conti ogni “mestiere” richiede le sue competenze tecniche e queste competenze, messe a buon frutto, generano ricchezza reale per la società.

Tuttavia noi siamo persone, siamo cittadini, non siamo solo degli efficienti mezzi di produzione a servizio del “mercato”.
Non viviamo solo per produrre merci da esportare!


A cosa servono le conoscenze

Nel Canto XXVI dell’Inferno della Divina Commedia, Dante mette in bocca ad Ulisse le famose parole
Considerata la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”

Siamo esseri sociali e intelligenti, abbiamo una coscienza; viviamo in una società complessa; viviamo in un pianeta pieno di risorse, ma anche con i suoi limiti.
Abbiamo bisogno di conoscere il mondo in cui viviamo, di capire, per quanto possibile, tutto ciò che può condizionare la nostra esistenza e quella dei nostri posteri.

Se non conosciamo i fattori che influenzano, ad esempio, la nostra salute, la nostra situazione lavorativa, le nostre convinzioni,
il nostro benessere, non abbiamo la possibilità di reagire. Un po’ come gli animali, che subiscono il mondo in cui vivono.

Se non comprendiamo come funziona il mondo in cui viviamo, molto difficilmente sapremo dare una delega politica
a chi ci dovrà governare o sapremo sottrarci a dei meccanismi, magari subdoli, che colpiscono negativamente la nostra vita.


Di quali conoscenze abbiamo bisogno?

Quando in televisione e sui giornali si parla di “cultura” ci si riferisce generalmente al mondo della letteratura (magari non troppo impegnata), alle arti figurative, alla musica, al teatro…

Effettivamente assistere ad un concerto di Stefano Bollani è qualcosa di impagabile, per gli appassionati di jazz.
Ma il contributo di questa “cultura soft” alla nostra comprensione del mondo è molto limitato.

In realtà il sistema scolastico italiano, erede della riforma di Giovanni Gentile, ci propone una serie di nozioni culturali di base che, in qualche modo,
sono diventate patrimonio comune degli italiani: italiano (conoscenza della nostra lingua), lettere, storia, geografia, un po’ di biologia, un po’ di fisica,
un po’ di chimica, matematica, religione cattolica (facoltativo). Una lingua straniera.
E di questo ringraziamo Giovanni Gentile, in quanto in altri paesi del mondo, come ad esempio gli USA, le nozioni culturali di base sono molto più limitate.

La formazione umanistica “classica” prevede l’approfondimento di materie come lo studio delle lingue antiche (latino, greco) e della loro letteratura, la storia della filosofia, la filologia, ecc.
Si tratta certamente di conoscenze utili, che “liberano la mente”, ma si tratta di un “bagaglio di conoscenze umane” che sono state definite quando il mondo funzionava in modo più semplice di oggi.

Vi sono altre conoscenze fondamentali per comprendere il mondo di oggi, che in Italia vengono insegnate solo a chi frequenta certe scuole di indirizzo, a livello di scuola media superiore e di università.

Provo ad elencarne alcune che personalmente ritengo fondamentali (senza la pretesa di essere esaustivo):

* la filosofia (almeno certi concetti fondamentali, come la logica di Aristotele, la critica alla ragion pura di Kant o l’epistemologia della scienza di Popper, ma soprattutto il pensiero del XX secolo)
* la storia contemporanea, in modo più approfondito
* aspetti della fisica rilevanti per la nostra vita quotidiana, come l’energia (che costa ed inquina), l’entropia, l’elettromagnetismo
* la Costituzione e conoscenze di base del diritto, in particolare per quanto riguarda i diritti democratici
* la macroeconomia, come funziona l’economia di una nazione, cos’è il denaro, la speculazione finanziaria, come funzionano le multinazionali
* la psicologia di massa, le tecniche di comunicazione e di condizionamento dell’opinione pubblica, la pubblicità
* la conoscenza della cultura islamica, con la quale dobbiamo necessariamente confrontarci
* la conoscenza della cultura cristiana, che è la radice dei valori della cultura italiana, oggi troppo spesso ignorata per ragioni di anticlericalismo, che non possono giustificare l’ignoranza culturale
* etica individuale, sociale, ambientale
* fondamenti di geologia, per comprendere l’ambiente in cui viviamo e gli impatti delle attività umane
* alimentazione, conoscenze di base dell’agricoltura biologica
* utilizzo consapevole di internet e dei moderni mezzi di comunicazione

Il tutto potrebbe essere completato da almeno 6 mesi di esperienza vissuta di volontariato in favore di persone povere e bisognose, per formare il proprio animo allo spirito di servizio e di solidarietà verso gli altri.



Il ruolo della scuola e dei mass media
Nella scuola di oggi si dà probabilmente troppo spazio ad un nozionismo fine a se stesso
(ricordo ancora al liceo la professoressa che ci chiedeva di ricordare la fondamentale battaglia del Lago Regillo dei Romani contro i Latini del 496 a.C.),
mentre si trascurano totalmente delle questioni essenziali per il nostro vivere democratico,
come il funzionamento dei mass-media nel plasmare l’opinione pubblica o come il concetto macroeconomico dei saldi settoriali.

E’ certamente vero che la scuola non ha materialmente il tempo di fornire tutte queste conoscenze.
La realtà è che oggi gran parte delle conoscenze provengono dalla stratificazione di anni di “ricezione” di programmi televisivi, radiofonici, lettura di giornali, di libri, video su internet, ecc.

Ovvero la diffusione della cultura non deve restare limitata al percorso scolastico, ma dovrebbe essere parte di un servizio pubblico,
sui vari mezzi di comunicazione, finalizzato a formare la coscienza e le conoscenze dei cittadini, in modo da renderli membri attivi e consapevoli della società in cui viviamo.

Solo possedendo queste conoscenze diffuse, generali, non limitate a specifiche competenze tecniche, possiamo vivere pienamente come esseri umani e non come “mezzi” del sistema produttivo.



Cosa fare per cambiare?
Oggi ci ritroviamo con una classe dirigente italiana sempre meno formata a livello “umanistico” e molto poco formata alle “conoscenze diffuse” sopra proposte.

Molto improbabile che persone del genere propongano di inserire queste “materie” nei programmi scolastici e fra gli obiettivi del servizio pubblico di informazione.

Ancora meno probabile che una iniziativa del genere parta da imprese private.

L’unica cosa possibile sarebbe chiamare a raccolta gli intellettuali che credono nella funzione fondamentale della conoscenza diffusa
per dare pieno compimento alla nostra umanità e, a livello politico, per dare piena attuazione alla Democrazia nel paese.

Queste persone potrebbero dare vita insieme ad un polo universitario, ovvero ciò che per secoli sono state le università in Italia e in Europa: i
l luogo in cui si raccoglievano le conoscenze e da cui le conoscenze venivano diffuse.

Questo polo universitario potrebbe attuare delle iniziative di diffusione della conoscenza diffusa ed alimentare, culturalmente parlando, i mezzi di comunicazione di massa.

Solo quando la consapevolezza dell’importanza di una formazione culturale ampia sarà diffusa nel paese si potrà pensare che questo venga fatto attivamente anche dalle autorità pubbliche.

Potremo così arrivare alla meta, all’amata Itaca di una società “veramente umana” come tutti desideriamo.
 
Mattia Santori, il leader delle Sardine, ha detto che l’obbiettivo del Movimento è di arrivare sopra il 25 per cento dei consensi.

Si tratta di un programma molto ambizioso, ma che potrebbe anche essere raggiunto. Ad una sola condizione. Che venga realizzato il più presto possibile.

Perché a Piazza San Giovanni c’erano :
i vecchi partigiani,
i vecchi sessantottini,
i vecchi girotondisti,
i vecchi militanti della sinistra dura e pura.
C’era Isabella Ferrari, quella che faceva girare la testa nei vecchi film dei fratelli Vanzina;
Susanna Camusso
, che era le vecchia segretaria della Cgil;
Michele Santoro
, il vecchio conduttore;
Erri De Luca, il vecchio capo del servizio d’ordine di Lotta Continua
ed una serie di altre vecchione ed altri vecchioni reduci da tutte le battaglie piazzaiole degli ultimi settant’anni.

Insomma, o Santori si spiccia o si ritrova con un esercito di fantasmi!

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