IL MIO CORPO DICE "DIETA", MA IL MIO CUORE CANTA "A NATALE PUOI"

Traduco per la gente comune e/o illusa: la UE impedisce di fatto e di diritto l'esercizio della nostra pur criticabile democrazia e della nostra sovranità, sopratutto monetaria.
I nostri politici stanno ancora avallando questo sistema idiota e criminale che permette di drenare soldi prodotti dalla nostra economia (i nostri soldi)
per salvare banche franco-tedesche, le aziende multinazionali europee tripla aaa. Quindi le nostre sono escluse. Ed il sistema finanziario latu sensu.
Uscire prima dall'Eurozona e poi dalla UE come sta facendo la UK sarebbe l'unico modo per ritornare ad essere virtuosi.
Ricordo che nel 1992 eravamo la quarta potenza mondiale per PIL. Ora siamo al 12° posto.
Ricordo inoltre che nel 1979 avevamo il debito insignificante sotto il cd parametrio di Maastricht del 60%.
Dopo è iniziato il processo illusorio e ingannevole di creare i presupposti per far ritenere utile e giustificabile l'ingresso nella UE.
Lo capite che siamo stati ingannati?
Serve il disegnino o siete tutti un branco di "sardine" che hanno passato i tre giorni?

L'aumento dell IVA avrebbe fatto meno danni della grandine di tasse attuale.
Perchè le clausole di salvaguardia - e più pesanti - ce le tireremo dietro anche nel 2020 e 2021.

Avevamo la sovranità monetaria. Ora abbiamo le "regole europe" e una NON BANCA CENTRALE,
che fa da semplice intermediario come una normale BANCA PRIVATA,
che non può stampare moneta per sostenere la domanda aggregata come in un civile e normale Paese.

I nostri soldi sono serviti, stanno servendo e serviranno SEMPRE E SOLO per ripianare le "perdite"
del sistema fallace europeo, che parte dalla banche e si conclude con il mercato delle aziende tripla aaa.

Non si comprende questa goduria sullo stare meno peggio, ma con agonia più lenta e perversa che ci porta dritti alla capitolazione comunque.
Di infami vedo solo i politici che non prendono l'unica ed ultima opzione che abbiamo per evitare la nostra capitolazione. Ovvero l'Italexit.
 
Solo un comune retto da pidioti poteva fare un'operazione del genere.
Vendiamo un'area costruita da pochi anni, contro un'area vetusta che ha bisogno di
grandi lavori per poter essere utilizzata ed oltretutto paghiamo qualcosa come 482.000 Euro.
Ed ha il coraggio di dichiarare :

“È con immensa soddisfazione che proprio a poche ora dalla sottoscrizione del rogito notarile avvenuta questa mattina inoltrata,
vi comunico ufficialmente che il Comune di Lecco è divenuto il legittimo proprietario dell’area ex Piccola Velocità,
area strategica per la città, situata tra le vie Amendola e Ghislanzoni, tra il nuovo Politecnico e il sedime ferroviario”


L’area ex Piccola Velocità è appartenuta fino ad oggi, con quote differenti, a tre diversi proprietari: RFI S.p.a., Mercitalia Logistics S.p.a e FS S.p.a. e il suo valore complessivo ammonta a 5.612.000 euro.
Un 'operazione complessa, quella perfezionata oggi, che mescola acquisto e permuta nel modo seguente:
il Comune di Lecco ha acquisito la porzione di RFI S.p.a. in cambio dello scalo merci di Maggianico del valore di 4.030.000 euro,
per il quale la società ha corrisposto al Comune di Lecco aggiuntivi 3.288.000 euro (differenza di valore) nonché ulteriori 1.100.000 euro quale indennizzo per l’utilizzo pregresso dello scalo.
Per rimanenti porzioni di proprietà dell’area il Comune di Lecco ha versato 4.770.000 euro a Mercitalia Logistics S.p.a e 100.000 euro FS S.p.a.
 
La speaker della Camera Nancy Pelosi è uno dei personaggi che sinora ha più spinto per l’Impeachment del presidente repubblicano Trump
applicando anche una serie di misure al limite del legale per riuscire ad ottenere il procedimento giudiziario presidenziale, ma ora rischia di rovinare i propri sforzi con le proprie mani.

Il procedimento di Impeachment completo richiede un intervento di entrambe le Camere: quella dei Rappresentanti istruisce il caso ed il Senato lo giudica.

Ora il Senato ha una maggioranza repubblicana, quindi filo-Trump e la Pelosi teme che il suo costrutto giuridico venga fatto cadere in pochi minuti.
Per questo ha reciso di “Trattenere” le accuse fino a quando non avrà la certezza che il Presidente non riceverà “Un processo giusto”, questo rischia di essere un colossale boomerang

Come nota il senatore democratico Lyndsay Graham se la Pelosi non trasmetterà le accuse al Senato in modo ufficiale non si potrà neppure parlare di procedimento di Impeachment.

Sen. Lindsey Graham: "What they're proposing, to not send the articles for disposition to the Senate after being passed in the House, is incredibly dangerous." pic.twitter.com/EhgwIM7Omp

— The Hill (@theHill) December 19, 2019

La non presentazione degli argomenti sull’impeachment è un atto equivalente a quello di un pubblico ministero che non presenti le accuse davanti ad un giudice
e pretenda comunque un processo giusto: il procedimento semplicemente non esiste.

Del resto non potrebbe essere diversamente dal momento in cui non si può far partire un processo di diffida del giudice.

Un ulteriore capitolo ridicolo in una vicenda paradossale sotto molti aspetti e che terminerà presumibilmente con un nulla di fatto.
 
Io gli consiglio di pensare di più ai 1000 procedimenti di denuncia sull'abuso dei minori .......

Secondo Papa Francesco fermare le navi Ong non risolve il problema dell’immigrazione.

Con tutto il rispetto che si deve al Vicario di Cristo va rilevato che la sua è la classica scoperta dell’acqua calda.

Nessuno si è mai sognato di immaginare che per dare una soluzione alla questione dell’emigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente all’Europa
si debba procedere ad una impossibile blindatura dei porti e delle coste della penisola.

Il blocco delle navi Ong e la chiusura dei porti sono state misure contingenti e parziali rivolte a porre l’Europa di fronte alla ferma intenzione dell’Italia
di non continuare ad essere un Paese-cuscinetto dove fermare e ghettizzare i migranti diretti nelle aree settentrionali del Continente.

Il Pontefice, che non è affatto uno sprovveduto, conosce perfettamente questa realtà.

La sua sortita sull’argomento, però, non costituisce la logica continuazione del discorso sull’accoglienza e sull’immigrazione che è diventato il tratto caratteristico dell’attuale papato.
Perché è avvenuta in un momento particolare della vita pubblica italiana. Quello in cui l’ex ministro dell’Interno ed attuale leader dell’opposizione del centrodestra Matteo Salvini
ha subito la richiesta del Tribunale dei Ministri di Catania di essere portato a processo per aver ritardato lo sbarco dei migranti presenti sulla nave Gregoretti.

Si è trattato di una concomitanza fortuita o di un intervento rivolto a rendere noto al Parlamento italiano,
a cui spetta il compito di decidere se mandare o meno a processo Salvini, che la Santa Sede considera il blocco delle navi un male ed il processo al capo della Lega un bene?

Applicando la regola dei vecchi gesuiti i quali affermavano che il sospetto è l’anticamera della verità,
si deve necessariamente concludere che con la sua presa di posizione Papa Francesco non ha espresso un pensiero ispirato alla misericordia,
ma ha compiuto un atto di chiara e precisa rilevanza politica. Un atto teso a far sapere ai parlamentari italiani che il Vaticano è favorevole al processo a Salvini.

Cioè un atto che costituisce una indebita ed inaccettabile ingerenza nelle vicende politiche italiane e che, in nome della laicità dello Stato,
dovrebbe spingere parlamentari e cittadini non confessionali ad invitare il Papa gesuita a stare al posto suo!
 
Gianluigi Paragone ed altri dieci pentastellati sono pronti a lasciare il Movimento cinque stelle.

Ora il gruppo del Senato trema.

Alcuni dei senatori che sarebbero pronti a seguire l’ex conduttore tivù sono Emanuele Dessì, Dino Mininno e Luigi Di Marzio.
Paragone guiderebbe una frangia di eletti pronti a staccarsi dal partito di maggioranza relativa e costituire un gruppo autonomo sul modello della renziana Italia viva.

In pratica, il neonato gruppo grillino che civetta con la Lega sosterrebbe in una prima fase il governo giallorosso, salvo staccare la spina al momento opportuno.
Le ragioni della scissione avrebbero un nome e un cognome: Luigi Di Maio. L’insofferenza nei confronti del capo politico avrebbe segnato un punto di non ritorno.

“Mi scrivete per chiedermi cosa penso di Gianluigi Paragone – scrive su Facebook la senatrice M5s Barbara Lezzi – e vi rispondo pubblicamente.
Credo che il Movimento abbia iniziato un buon percorso per rendere più condivisa ed efficace la sua azione.
Diamoci del tempo per affinare i nostri nuovi strumenti e cerchiamo di pacificarci anziché darci addosso”.

Secondo l’ex ministra per il Sud del Governo Conte I, “possiamo legittimamente pensare che Gianluigi abbia dei modi un po’eccessivi.
Ma le istanze che porta sono assolutamente degne di ricevere risposte”.
 
La vicenda della Popolare di Bari esemplifica più vicende e comportamenti, fino alla storia del declino dell’impresa in quell’areale adriatico che va dal centro-sud al centro Italia,
con connessioni nelle vicine Basilicata e nord Calabria.

Una tela di rapporti personali ed aziendali intessuta in più di mezzo secolo da Marco Jacobini (73 anni), presidente del consiglio d’amministrazione della banca e vero amministratore di ogni aspetto del credito.

Che i tempi stessero mutando forse Jacobini lo aveva intuito nei primi anni Novanta, ma la banca continuava incurante nella politica creditizia che aveva connotato l’era pre Euro
e, soprattutto, nei rapporti interpersonali stile Prima Repubblica.

Eppure il campanellino della stretta creditizia, di quella morsa di Ue-Bce, suonava da anni e sempre più insistentemente.
I sistemi finanziari europei monitoravano da più d’un decennio le linee di credito, e tramite BankItalia spingevano le procure a “moralizzare” il settore del credito.

Ecco che a Bari, il procuratore aggiunto Roberto Rossi ed il sostituto Lanfranco Marazia indagavano sugli imprenditori che avrebbero ceduto alla Popolare di Bari
le partecipazioni societarie di aziende ammesse al “piano di concordato” (ovvero in situazione fallimentare), ed anche di altre società (anche scatole cinesi)
riconducibili agli stessi imprenditori e non interessate dalla procedura fallimentare.

Un gioco delle tre carte e con varie scatole cinesi: l’ingegneria finanziarie di queste manovre veniva tutta progettata ai piani alti della Popolare di Bari.
Una distrazione di beni per milioni di euro (miliardi se si va indietro nel tempo).

Il fenomeno emergeva perché Bankitalia aveva notato procedure poco consone con le nuove norme bancarie, quindi delegava la Guardia di Finanza d’effettuare indagini.

Da Bari partiva il blitz in due aziende del gruppo Fusillo (principale impresa accusata del giochetti) e le perquisizioni nella Popolare di Bari.

Emergeva che la banca aveva favorito la cessione di beni sotto fallimento, cooperando con gli imprenditori alle bancarotte fraudolente,
forse reputando le cose si potessero sistemare come s’usava negli anni Sessanta e Settanta, con amici compiacenti tra procure e palazzi.

Ma i tempi sono cambiati e Roberto Rossi e Lanfranco Marazia sono inflessibili ed inavvicinabili.

Così le Fiamme Gialle fanno emergere il giochetto dopo la perquisizione negli uffici della Fimco e della Maiora group (entrambe aziende della famiglia Fusillo di Noci):
nella sede della direzione generale della Banca Popolare di Bari trovavano tutti i collegamenti.

La banca, nonostante le aziende fossero da anni in fallimento, aveva comunque concesso prestiti ai Fusillo per oltre 140 milioni di euro.

Dei soldi non c’è più traccia, o meglio i Fusillo li hanno investiti (dissipati) nel biennio 2016-2018 nei complessi aziendali del divertimento:
lo stabilimento balneare in località Losciale a Monopoli e l’Hotel Cala Ponte di Polignano, e poi in favore d’un società correlata (Soiget Srl).

La Finanza ha persino intercettato abbronzatissimi dirigenti di banca che se la spassavano nei complessi alberghieri e rivieraschi dei Fusillo, sotto gli ombrelloni con champagne, frutti di mare e ragazze.

Oltre l’apparenza del divertimento

La Finanza si chiedeva se i soldi fossero stati frullati nell’impresa del divertimento o ci fosse dell’altro.

Le indagini appuravano che l’intero capitale della Soiget sarebbe stato fatto confluire verso Giacomo Fusillo,
mentre il capitale della Logistica Sud srl sarebbe stato ceduto in favore del fondo “Kant Capital Fund strategic Business Unit Pcc Limited” con sede a Gibilterra:
quindi i Fusillo avevano ottenuto una linea preferenziale per far fuggire all’estero i soldi bruciati alla banca.

Ecco che ai componenti della famiglia Fusillo viene contestato il reato di bancarotta fraudolenta.
Giacomo Fusillo risponde anche di autoriciclaggio, accusato di aver trasferito tutta la liquidità di Soiget srl (soldi avuti dalla Popolare di Bariche a cui s’aggiungono le distrazioni di beni dalla Fimco spa) “
nella società unipersonale Sesto Elemento srl in modo da ostacolare - recitano le carte dell’imputazione - l’identificazione della provenienza delittuosa”.
Giacomo Fusillo è di fatto il proprietario di Sesto Elemento srl.

Ma tra le operazioni che hanno portato in dissesto la Popolare di Bari figurano i complessi turistico alberghieri extralusso
“La Peschiera”, “Il Melograno” di Monopoli e l’ex hotel Ambasciatori di Bari: operazioni sospette che la Guardia di Finanza di Bari ha dimostrato essere state tutte ordite dal gruppo Fusillo di Noci.

Ora ci si domanda, come mai il consiglio dei ministri venga convocato d’urgenza per stanziare più d’un miliardo di euro utili al salvataggio della Banca Popolare di Bari?

E come abbia fatto il duo Marco Jacobini e Vincenzo De Bustis così velocemente ad attingere al salvataggio pubblico?

Perché De Bustis ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera denunciando lui stesso prestiti irregolari che avrebbero provocato perdite per oltre 800 milioni di euro?

È stata avviata un’azione di responsabilità contro l’ex direttore generale Luca Jacobini (figlio di Marco) presidente dell’istituto dal 1989 al 2019:
ma i soggetti sono tranquilli, sicuri che le cose andranno a posto.

È evidente che certi poteri difendano i vertici passati e presenti della banca.

Gli stessi poteri che hanno consigliato (non certo imposto) l’acquisizione di Banca Tercas nel 2013-2014:
Banca di Teramo acquisita su impulso della stessa Banca d’Italia.

Ma anche questo ha una logica, nella spartizione territoriale la Popolare di Bari era egemone lungo l’Adriatico dal nord di Bari (la Puglia è lunga 600 km dal Gargano a Lecce) sino al confine dell’Abruzzo:
in pratica la Popolare di Bari non invadeva il territorio delle banche salentine.

L’obbligo d’acquisire banche

La Banca Tercas veniva capitalizzata con 300 milioni dal Fondo interbancario prima di passare alla Popolare di Bari:
però la Commissione Ue nel 2015 lo considerava aiuto di Stato. Quella decisione impedirà poi al Fondo di intervenire sulle successive crisi bancarie italiane.
Ne nasceva una disputa legale a tre, tra Italia, Ue e Bce. Lo scorso aprile 2019 la corte Ue ha dato torto all’Italia.
E poi i soldi del Fondo interbancario si sono rivelati insufficienti a coprire il buco di Tercas.

Qui nasce il problema, perché la Popolare di Bari s’è considerata frodata nell’acquisizione e dalla stessa Ue:
quindi ha chiesto ai soci oltre mezzo miliardo di euro d’aumento di capitale, emettendo anche bond subordinati.

Vincenzo De Bustis Figarola (69 anni, già direttore generale ed amministratore delegato di Popolare di Bari) è un banchiere di fama internazionale: è stato in Banca 121, Mps e Deutsche Bank.
E lui potrebbe spiegare tante cose sulla Popolare di Bari, soprattutto le acquisizioni e fusioni con la Nuova banca Mediterranea, la Popolare di Calabria e, non ultima, la Tercas.

Chi ha ordinato alla Popolare di Bari le varie operazioni per occultare perdite per oltre 270 milioni?
Dietro il dissesto della banca non ci sono solo i Fusillo, ma anche Gianluigi Torzi (finanziere coinvolto in tante inchieste giudiziarie del genere)
che ha impegnato la banca in una operazione da 30 milioni di euro su Malta (dentro vi stanno soggetti internazionali che sarebbe meglio non nominare):
e per questa operazione firmata Torzi, ora il Lussemburgo ha presentato un conto di 51 milioni di euro alla Popolare di Bari
(somma che la banca e l’Italia pagheranno, pena finire condannati da una corte Ue). Ingenuità o furbizia sopraffina?

I De Bartolomeo solo l’altra famiglia d’imprenditori coinvolti nel tonfo della Popolare di Bari:
sono specializzati nell’edilizia, e coinvolti in un’inchiesta della magistratura barese che ipotizza “la scalata non consentita della graduatoria per la vendita delle azioni della Banca Popolare di Bari”.

L’inchiesta (coordinata dai pubblici ministeri Lidia Giorgio e Federico Perrone Capano) ha tentato d’accertare i contorni dell’operazione De Bartolomeo:
dalle carte dei costruttori emerge che avrebbero solo ricavato una perdita secca sull’acquisto delle azioni.

La stessa Popolare di Bari avrebbe attivato negli ultimi mesi operazioni di “cessione dei titoli non performanti” (chiamati Npl) per circa 500 milioni:
hanno permesso alla banca di ricavare il 30 per cento del valore complessivo, con un risparmio di 70 milioni rispetto alle chiusure medie già realizzate sul mercato.

È una banca che ha fatto 26 acquisizioni in 56 anni, e con un patrimonio di 1,3 miliardi e filiali in 13 regioni.

L’ispezione di Bankitalia (effettuata tra luglio e ottobre del 2016) ha fatto emergere un ginepraio labirintico, e la vigilanza sembra si sia a dir poco smarrita.

Oggi è difficile addossare la colpa su uno o pochi soggetti: perché la piramidalità e l’orizzontalità delle pressioni e delle clientele
dimostra che la Popolare di Bari è una banca con le stesse caratteristiche di sistema del Monte dei Paschi.

Ai poteri bancari italiani ed europei non conviene non salvare questo tipo d’istituti, poiché affondarli significherebbe uccidere il sistema istituzionale.

Da qui l’obbligo del salvataggio, considerando che tra Popolare di Bari ed Ue c’è un contenzioso legale sul salvataggio della Tercas (si sono vicendevolmente denunciati).

Con molta probabilità gli unici a finire sul banco degli imputati saranno i Fusillo insieme ad una manciata di medi imprenditori.

Per i risparmiatori sarà previsto un risarcimento, a patto che non sollevino ulteriori polveroni.
 
Che la crisi della Popolare di Bari fosse un “caso a parte” tra quelli, purtroppo successi e ripetuti di banche (e banchetti)
che si sono mangiati i soldi dei correntisti e risparmiatori, lo avevamo scritto l’altro giorno, quando la notizia della crisi della “banca territoriale” della Puglia
e del suo capoluogo è giunta pressoché in contemporanea con quella del suo “salvataggio”.

Notizia per modo di dire.

Solo qualche distratto dalle cose di quattrini come me non era al corrente della crisi che durava da anni.

Ma, stranamente sembrava una crisi “buona” più formale che sostanziale, al punto che non si sentiva fiatare un solo risparmiatore ed era possibile addirittura,
sia pure ad un vecchio balordo come me, ignorare che anche questa doveva aggiungersi all’elenco delle banche disastrate.

Perché i pugliesi sono stati così ottimisti e riservati e non hanno strillato come i viterbesi, i toscani, i veneti, i clienti delle altre banche più o meno “rotte”?

E come mai così fulminante è stata la notizia che “era stato messo tutto a posto”, e che, anzi, la banca locale stava per diventare una “banca del Sud”,
erano arrivati i soldi, un miliardo, e, quindi, crediti e sovvenzioni a chi li avesse voluti. Evviva.

C’è voluto qualche giorno per capire che se c’era una notizia, una certezza, era tra quelle dei disastri, delle bancarotte.

Il resto era ed è progetto, speranza, modo per ingoiare il rospo.

Ed abbiamo visto finalmente (si fa per dire) i clienti della Popolare di Bari con cartelli e facce incazzate manifestare.
Manifestare non certo contro la fortuna di ritrovarsi vicino casa, una specie di superbanca.
La gatta, dunque c’era e c’è. E solo qualche allocco potrà compiacersi in quanto cliente della “Superbanca” che meglio non c’è manco a Milano.

Gatta ci cova. Che razza di gatta?

Certo una gatta un po’ speciale, capace di farsi dimenticare per anni.

Ora anche un povero ignorante di cose di quattrini, di banche, di affari come me ha modo di capire di che razza è questa “gatta”.

Anche se poco se ne parla tra le scarse notizie dei baresi incazzati.

Viene fuori, cioè non è più un segreto e chi vuole, ma pare siano pochi, può rendersene conto, che tra i clienti della Popolare Banca pugliese c’è un cliente inconsueto.

La “gatta” sono i magistrati italiani che certamente hanno nella Banca Popolare di Bari la banca che preferiscono.

Ma questa è la banca della corporazione. Tra i clienti c’è infatti il Csm.

Consiglio che non ha sede a Bari ma a Roma, a Piazza Indipendenza, in un luogo dove a pochi passi di distanza c’è pure la Banca d’Italia e tutte le maggiori banche della nazione.

Non abbiamo visto magistrati incazzati tra i manifestanti che oggi reclamano il loro denaro. Si vede che possono stare tranquilli.

E, difatti, non so se la crisi della banca del loro organismo istituzionale possa in qualche modo ledere i loro interessi personali.

Ma, probabilmente, anche se la risposta, come credo, potrà essere “no”, qualcuno è riuscito con la stampa,
con le chiacchiere, con i singoli risparmiatori a far credere che la banca del Csm, la banca dei magistrati,
non può correre rischi delle altre banche, che so, come quelle degli industriali, dei commercianti.

È così? Forse no.

Sono io che, vecchio peccatore, ogni tanto mi diverto a pensar male. E, ogni tanto, ci azzecco.
 
Non c'è niente da fare. Nascono così.....

Scusate scusate, fatemi capire.

Quindi la Sardina che ha confezionato l’affaire inesistente sull’inesistente razzismo di Sondrio ha anche, anni fa, augurato la morte a Maria Stella Gelmini ?

Di più, ha proprio scritto e condiviso che la voleva vedere stecchita, sul proprio profilo Facebook.

Era il 23 settembre 2010, Francesca Gugiatti (questo il nome dell’autrice di un’uscita nient’affatto intrisa fin nelle virgole di quell’odio
che lei e i suoi compagni di scampagnate ittiche dicono di voler combattere)
era una liceale in sciopero oltranzista contro l’allora ministro dell’Istruzione del Pdl.

Ed entusiasticamente sottolineava: “E poi dicono che noi giovani non abbiamo ideali né valori”.
Macché, erano traboccanti di idealità, Francesca et similia: “Noi vogliamo morta Maria Stella Gelmini!!!”
(i tre punti esclamativi probabilmente servivano per chi poteva scambiare un desiderio concreto per un’iperbole infelice).

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Ora, che una liceale abbia chiaro cosa significhino vita e morte, perlomeno nel loro senso meramente corporeo, non lo può negare nemmeno l’osservatore più giustificazionista.
Ma al di là dell’età di Francesca al momento del post tanatofilo, è interessante ciò che il suo percorso (in)culturale racconta,
dall’oscenità giovanile contro la Gelmini alla denuncia matura perlomeno molto “gonfiata” degli insulti contro la mamma nigeriana
che tragicamente aveva appena perso la figlia di 5 mesi (e che se avvenuti ovviamente trattasi di fenomeni di spazzatura inumana,
ma ad ora sia il personale ospedaliero che i Carabinieri che il sindaco della città lombarda sostengono non ci siano riscontri).

In sintesi: la vita di una donna bianca, specie se avversaria politica, vale meno.
Essì, se Maria Stella Gelmini doveva morire solo perché propugnatrice di una riforma della scuola con cui Francesca e i suoi amici non erano d’accordo,
significa che la sua presenza al mondo pesa meno del dolore di quella mamma e della vita di quella figlia, significa che c’è una gerarchia ideologica,
se non esplicitamente razziale, delle esistenze, nella mente di questi professionisti dell’antirazzismo permanente.

Un po’ (troppo) simili ai “professionisti dell’antimafia” di Leonardo Sciascia: gente che replica, capovolgendolo di segno,
il cancro che afferma di voler combattere.

Indignazione sulle offese immaginarie alla donna nera, minacce concretissime di morte all’odiata donna bianca.

È il razzismo dei buoni, spesso tollerato in società e coccolato dal mainstream, ed è pericolosissimo per questo.
 
Francesca Gugiatti; questa è una promotrice e rivelatrice dell’odio delle sardine i quali possono odiare e nessuno può evitarlo,
però non gli si può consentire di usare metodi amorali come la calunnia, le offese personali, con la pretesa proterva per ottenere quello che vogliono.

Non mi stupisco che siamo arrivati tanto in basso con l’educazione dei nostri giovani quando hanno avuto come insegnanti persone come Vauro
o la maestra che manifesta incappucciata gridando " voi della polizia dovete morire".

Una parte politica li acclama senza pensare a dove porterà questo modo di fare che apre le porte alla dittatura rossa.

In Italia basta un gesto che fa parte della storia per essere condannati e sorridiamo contenti di questi giovani senza regole e senza morale.

Ognuno è libero di odiare, ma comportandosi correttamente verso l’avversario perché se accettiamo che l’odio si estenda al desiderio di invocare la morte
il passo ulteriore è promuovere la guerra tra i popoli, nella stessa famiglia dove ci sono idee diverse.

Avete insegnato ai nostri giovani a odiare il prossimo, dapprima ne avete fatto dei bulli e poi da non più giovani i promotori dell’odio.

Abbiamo lavorato 80 anni nella scuola per annullare il suo valore educativo fatto di rispetto e disciplina, per ottenere infine questi nefasti risultati che annullano la civiltà acquisita.

Voi sacerdoti e suore di sinistra vi siete dimenticati di portare gloria al nome di Dio
quando cantate in chiesa o bella ciao, siete blasfemi, dovreste predicare “ama il tuo prossimo come te stesso”.

Questi giovani si riempiono la bocca della parola amore ma non sanno cosa significa amare che è:
verità, onestà, pazienza, tolleranza, comprensione, rispetto, uguaglianza, libertà, giustizia.

La politica ha addestrato la giustizia secondo il suo volere e questo è un grande problema.
 
«Ci sono gli uomini, i mezzi uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà»
fa dire Leonardo Sciascia a uno dei protagonisti del suo celebre romanzo Il giorno della civetta.

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È una classificazione del genere umano che ha fatto storia e che ha ancora una sua attualità a sessanta anni da quando fu coniata.
Al punto che può essere utile per chiedersi a quale categoria di uomini appartenga Luigi Di Maio,
dopo che si è dichiarato favorevole a vendere ai magistrati il suo ex amico e collega di governo Matteo Salvini.

Breve riassunto.
Nell'agosto del 2018, governo gialloverde appena insediato, Salvini blocca al largo della Sicilia la nave militare Diciotti, con il suo carico di immigrati raccolti in mare.
Poco dopo i giudici chiedono di poter indagare il leader leghista per sequestro di persona ma Di Maio e Conte si ergono a scudi umani:
«È stata una decisione politica di tutto il governo, consenso negato»
Passa un anno, luglio 2019. Salvini rifà la stessa identica cosa con la nave Gregoretti e oggi la magistratura richiede al parlamento di processarlo.
Non essendo più un suo alleato, Di Maio dà il via libera: «È un fatto grave, se ne assuma la responsabilità»

Ora Salvini rischia grosso: fino a 15 anni di galera, la conseguente decadenza da senatore e la non agibilità politica.
Ma oggi non è questo il problema. Il problema è come fa un ministro della Repubblica e leader di partito - parlo di Di Maio -
a considerare la stessa ipotesi di reato «inesistente» se commessa quando la persona in questione era alleato di governo
e «grave» se l'accusato è nel frattempo diventato avversario politico.

E qui entra in ballo la classificazione di Sciascia, perché non stiamo parlando di politica ma del valore di un uomo, della sua coerenza, dei suoi valori.
E se uno non è uomo e neppure mezzo uomo, ma nell'ipotesi migliore un ominicchio, che usa le leggi in base alla convenienza personale,
ominicchio lo sarà sempre e in qualsiasi campo pubblico e privato. A me non preoccupa che fine farà Matteo Salvini,
mi inquieta che il Paese sia finito nelle mani di gente così e che gente così amministri la giustizia in combutta con magistrati compiacenti e riverenti.

Politicamente, Di Maio, non l'ho mai capito, ma ci sta.
Ma da oggi ha anche, per il poco che vale, il mio disprezzo umano e spero che Conte premier e quindi complice di Salvini all'epoca del caso Gregoretti non lo segua in questa schifosa operazione.
 

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