Selvaggia Lucarelli: “Bibbiano: le nuove storie horror dei bambini rubati”
Dentro le carte – Se riuscite a non avere il magone, leggete le 71 pagine di conclusioni indagini: i passaggi angoscianti e le intercettazioni folli.
Selvaggia Lucarelli: “Bibbiano: le nuove storie horror dei bambini rubati”
(di Selvaggia Lucarelli – Il Fatto Quotidiano) – Mentre Matteo Salvini usa Bibbiano come la Nutella, il rosario e il parmigiano, e la sinistra (ieri anche Giachetti) si occupa solo di rimarcare il dramma che vive il sindaco Carletti senza mai spendere un tweet o una parola sul dramma vissuto dalle famiglie, la solita sensazione è che di quello che raccontano le carte, non freghi niente a nessuno. E che nessuno abbia idea della montagna di dolore che questa vicenda si porta dietro, al di là degli esiti del processo.
Perché, ricordiamolo, se gli indagati sono stati travolti dalla gogna, le persone coinvolte hanno vissuto lo strazio infame di essere accusate di pedofilia, di aver subito l’allontanamento dai figli, i processi, le mortificazioni pubbliche e private, di essere annientate nel loro ruolo di genitori e cittadini perbene.
Bisogna leggere le 71 pagine relative alle conclusioni delle indagini per capire di cosa si sta parlando. Riuscendo, se possibile, a non farsi venire il magone, perché ci sono passaggi angoscianti, talvolta surreali, con intercettazioni che svelano dinamiche folli.
C’è una bambina che viene convinta di aver subito abusi dal padre, ma a lei quel padre manca. Le manca sua mamma. È stata affidata a una coppia di donne, amiche della responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, Federica Anghinolfi (64 i capi di imputazione a suo carico). Quest’ultima suggerisce a un suo collaboratore, Monopoli, di “spostare l’attenzione per spostare l’emozione”, ovvero di aiutare la bambina a dimenticare i genitori e di interrompere gli incontri di questi con la figlia.
Il papà è disperato, invia messaggi a un’educatrice contando sul fatto che li farà leggere alla figlia: “Ciao, il papà non riesce ad avere risposte per portarti fuori a mangiare il sushi. Spero che stai bene e ti voglio un mondo di bene”. La Anghinolfi scrive all’educatrice: “Bene, questo messaggio non lo diremo alla bimba”.
Sempre la stessa bambina ha atteggiamenti sessualizzati, ma viene omesso il fatto che in passato avesse avuto accesso a materiale pornografico. Le due affidatarie raccontano che masturba il gatto domestico, ma non è vero. Dicono che la bambina va in bagno ed emette gemiti di piacere, ma omettono che la bambina aveva spiegato di avere difficoltà di defecazione. Non confessa gli abusi subiti dal padre e allora la moglie di Claudio Foti, Nadia Bolognini, sua terapeuta, le spiega che deve svuotare gli scatoloni “sesso” e “papà”, le suggerisce che sua madre sia una prostituta, che il sadismo nei confronti del gatto sia conseguenza degli abusi subiti. Le due affidatarie le urlano con parolacce che se non svuota gli scatoloni loro ne soffriranno.
“Stanotte ho pianto tanto perché mi mancavano i miei genitori”, scrive invece la bambina in uno dei bigliettini trovati a casa delle due affidatarie.
Nel caso di un’altra bambina, la Anghinolfi convince un’assistente sociale a redigere una relazione falsa su genitori e nonni della minore. Convince la collega raccontandole che esiste una setta satanica dalla quale deve difendere i bambini e anche se stessa perché gli operatori sociali vengono pedinati (!).
C’è chi modifica i disegni della bambina, chi accusa i suoi nonni di averle comprato un cagnolino col bieco scopo di rendere più doloroso l’allontanamento da loro, mentre l’acquisto del cane era stato suggerito dalla psicologa.
Un altro bambino viene allontanato dalla famiglia perché tre degli indagati depositano, secondo l’accusa, una relazione falsa. Descrivono il bambino come denutrito (smentiti dal pediatra), omettono che le macchie trovate sulle mutandine del minore, a seguito di accertamenti, sono risultate essere solo feci, “lasciando però residuare sospetti di abuso sessuale del bambino”. Dicono che suo padre è alcolizzato, protagonista di risse in paese, con la patente ritirata, che non paga le rette scolastiche. Non è vero nulla.
C’è un altro bambino la cui storia trasmette un profondo senso di angoscia: viene allontanato dal nucleo familiare e, in un contesto già così doloroso, Gibertini e la Anghinolfi convincono sua madre a rivelare al figlio allontanato che quello che ritiene sia suo padre, non è il padre biologico. Ovviamente, la loro convinzione è che l’uomo abbia abusato di lui. Il bambino si dispera, piange, supplica di riportarlo dalla madre e da colui che riteneva suo padre. La Bolognini poi si traveste da lupo e da altri personaggi cattivi “inseguendolo nel suo studio, urlandogli contro col dichiarato fine di punirlo e sottometterlo associando la figura del lupo cattivo al padre”. A volte lo interroga nascondendosi dietro un lenzuolo.
C’è poi un padre che è stato scagionato dall’accusa di aver molestato il figlio, ma a cui la Anghinolfi e Gibertini precludono comunque la possibilità di incontrare i suoi due bambini. Dicono alla bambina che il padre ha fatto cose brutte al fratellino. La Anghinolfi riferisce al padre che può incontrare i figli solo se consentirà a Claudio Foti di effettuare della psicoterapia sul bambino.
C’è un padre a cui è stata tolta la figlia e scrive che per lui vivere senza di lei “è come morire”. La figlia dice di voler scappare dal centro per tornare da lui.
C’è, infine, la storia di un’altra ragazzina. Nadia Bolognini, al fine di sviare le indagini per il reato di maltrattamento da parte del padre, ne altera lo stato emotivo tramite quello che l’accusa definisce un sorta di atto esorcistico: “Convinceva e ribadiva alla bambina che all’interno del suo corpo a seguito degli abusi subiti, si era creata una doppia personalità malvagia che riusciva a prendere il sopravvento sulla parte buona inducendola a compiere atti aggressivi e ingiuriosi nei confronti dei coetanei. Effettuava anche una sorta di atto esorcistico in cui tentava di interloquire con tale entità malvagia presente nella bambina, chiedendo che quest’ultima autorizzasse fisicamente la bambina a rispondere alle sue domande muovendo una parte del corpo”.
Come se non bastasse, la Bolognini riteneva prove degli abusi subiti della bambina i (presunti) racconti di quest’ultima alla madre affidataria: la notte di Halloween, quando lei aveva 4 anni, il papà l’aveva coinvolta in omicidi, riti sessuali da parte del padre e dei suoi amici mascherati su bambini. Questi ultimi, col sangue delle vittime sul volto, erano andati a fare dolcetto e scherzetto.