Sharnin 2
Forumer storico
Dagli allo speculatore
Tito Tettamanti *
Manzoni ci racconta come la popolazione lombarda esasperata credeva di avere individuato negli untori i diffusori e responsabili della peste. Da qui il minaccioso invito: dagli all’untore. Le violente reazioni di governanti, politici, di molti media e rappresentanti della società dinanzi al problema del prezzo del petrolio ci porterebbero a concludere: dagli allo speculatore. La conclusione ci pare però affrettata, semplicistica e sarebbe opportuno chiarire alcuni aspetti per evitare giudizi sommari.
Innanzitutto sottolineare che le riserve di petrolio non sono per nulla agli sgoccioli. Ve ne sono molte di conosciute e di grossa portata tra le quali quelle nelle sabbie dell’Alberta (Canada) e quelle recentemente individuate al largo delle coste del Brasile.
Il problema non è quindi l’assenza di petrolio, il problema semmai sta nel fatto che la valorizzazione e la messa in produzione di un nuovo giacimento esige tempi lunghi ed investimenti nell’ordine di miliardi con costi d’estrazione più elevati. Non solo, ma il petrolio va poi raffinato ed attualmente vi è una limitata capacità di raffinazione.
Come mai si è arrivati a tal punto? Per una serie di ragioni tra le quali un prezzo del petrolio per tanto tempo troppo basso che non rendeva economico lo sfruttamento di certi giacimenti; l’avidità di certi governi che in modo miope hanno reso meno interessante l’attività di prospezione e sfruttamento. Le grandi società petrolifere possono non essere simpatiche, ma ciò non toglie che hanno bisogno di utili operativi miliardari per permettersi il rischio di prospezioni ed il finanziamento di nuovi campi petroliferi. Le insicurezze politiche in certe regioni, preoccupazioni ambientaliste, sentimenti e politiche nazionalistiche hanno indotto poi gli operatori occidentali ad abbandonare talvolta le attività (con loro però è partita la competenza tecnica, con conseguente obsolescenza precoce degli impianti e pesanti carenze di manutenzione). A questi condizionamenti che hanno influito sulla produzione vanno aggiunti importanti aumenti nei consumi, specie nei paesi emergenti. Basti pensare all’aumento di autovetture in circolazione in Cina rispetto all’inizio del millennio e considerare le previsioni per il 2030. Pensiamo anche alle forme di energia per attività produttive o per esigenze domestiche confrontate con un aumento enorme della domanda nei paesi emergenti senza corrispondente aumento di produzione. L’influenza sul prezzo non deve stupire.
Ma gli speculatori con i loro contratti a termine ed altre diavolerie per volumi superiori al numero di barili che al mondo si producono? Cominciamo a chiarire che questi speculatori non comprano fisicamente il petrolio, non lo accaparrano per far salire il prezzo. Per dirla semplicemente, sono per la maggior parte degli scommettitori come quelli che puntano alle corse dei cavalli. La loro è una transazione puramente finanziaria che si chiude in soldi guadagnando o perdendo.
Una prova che l’aumento del prezzo non è la conseguenza di queste transazioni finanziarie, è che il pezzo del riso è aumentato del 120% nel 2008 e non vi è nessuna borsa che tratta contrattazioni (scommesse!) sul prezzo futuro del riso. Lo stesso dicasi relativamente all’aumento di prezzo del carbone. L’aumento di costo del 95% del minerale ferroso è stato convenuto in trattative dirette tra i fornitori australiani ed i compratori cinesi senza alcun coinvolgimento di operatori finanziari.
Riassumendo un problema complesso con molte sfaccettature e implicazioni, a noi pare di capire che: a) il mondo non manca di riserve di petrolio e sicuramente molte sono anche quelle sconosciute; b) purtroppo, per una serie di fattori la produzione non ha saputo o potuto anticipare un aumento dei consumi dovuto all’aumento delle esigenze dei paesi emergenti; c) i tanto deprecati speculatori per la grande maggioranza possono essere visti come degli scommettitori la cui materia prima sono i soldi e non i barili di petrolio. Non accaparrano e non vendono niente. Si potrà dibatterne, ma certo la loro influenza non è assolutamente determinante.
Credo inoltre che sul lungo termine dell’aumento del prezzo del petrolio debbano essere più preoccupati i paesi produttori che i paesi consumatori ricchi. Un prezzo elevato oltre che essere di stimolo per nuove prospezioni e rendere economici nuovi giacimenti obbliga a trovare altre fonti energetiche. Le energie alternative (solare, eolica, ecc.) che oggi sopperiscono al fabbisogno energetico del mondo per pochi giorni del consumo annuale, da questa situazione ricavano un’importante spinta. Numerosi anche i progetti per nuove centrali nucleari. In Brasile il 90% delle nuove vetture permettono un’utilizzazione flessibile di benzina o di etanolo, prodotto dalla canna di zucchero. Si sta riconsiderando l’uso di materie prime di natura vegetale che sostituirebbero il petrolio nei prodotti industriali quali plastica, pitture, fibre tessili. Il consumo di benzina negli USA è sceso considerevolmente. Il prezzo elevato consiglia un utilizzo più ragionevole delle automobili e si riflette sugli acquisti (niente SUV). Quello che gli ambientalisti non hanno ottenuto, forse lo otterranno il mercato ed i prezzi (se non artificialmente calmierati). Invece di recriminare contro il prezzo del petrolio (e gli speculatori) pensiamo a come trovare altre fonti energetiche e a usare l’energia in modo non dissennato. La medicina che ci offre il mercato non è senza effetti sgradevoli, ma potrebbe permetterci di ritrovare la salute.
* Finanziere
CdT
20/07/2008 21:49
Tito Tettamanti *
Manzoni ci racconta come la popolazione lombarda esasperata credeva di avere individuato negli untori i diffusori e responsabili della peste. Da qui il minaccioso invito: dagli all’untore. Le violente reazioni di governanti, politici, di molti media e rappresentanti della società dinanzi al problema del prezzo del petrolio ci porterebbero a concludere: dagli allo speculatore. La conclusione ci pare però affrettata, semplicistica e sarebbe opportuno chiarire alcuni aspetti per evitare giudizi sommari.
Innanzitutto sottolineare che le riserve di petrolio non sono per nulla agli sgoccioli. Ve ne sono molte di conosciute e di grossa portata tra le quali quelle nelle sabbie dell’Alberta (Canada) e quelle recentemente individuate al largo delle coste del Brasile.
Il problema non è quindi l’assenza di petrolio, il problema semmai sta nel fatto che la valorizzazione e la messa in produzione di un nuovo giacimento esige tempi lunghi ed investimenti nell’ordine di miliardi con costi d’estrazione più elevati. Non solo, ma il petrolio va poi raffinato ed attualmente vi è una limitata capacità di raffinazione.
Come mai si è arrivati a tal punto? Per una serie di ragioni tra le quali un prezzo del petrolio per tanto tempo troppo basso che non rendeva economico lo sfruttamento di certi giacimenti; l’avidità di certi governi che in modo miope hanno reso meno interessante l’attività di prospezione e sfruttamento. Le grandi società petrolifere possono non essere simpatiche, ma ciò non toglie che hanno bisogno di utili operativi miliardari per permettersi il rischio di prospezioni ed il finanziamento di nuovi campi petroliferi. Le insicurezze politiche in certe regioni, preoccupazioni ambientaliste, sentimenti e politiche nazionalistiche hanno indotto poi gli operatori occidentali ad abbandonare talvolta le attività (con loro però è partita la competenza tecnica, con conseguente obsolescenza precoce degli impianti e pesanti carenze di manutenzione). A questi condizionamenti che hanno influito sulla produzione vanno aggiunti importanti aumenti nei consumi, specie nei paesi emergenti. Basti pensare all’aumento di autovetture in circolazione in Cina rispetto all’inizio del millennio e considerare le previsioni per il 2030. Pensiamo anche alle forme di energia per attività produttive o per esigenze domestiche confrontate con un aumento enorme della domanda nei paesi emergenti senza corrispondente aumento di produzione. L’influenza sul prezzo non deve stupire.
Ma gli speculatori con i loro contratti a termine ed altre diavolerie per volumi superiori al numero di barili che al mondo si producono? Cominciamo a chiarire che questi speculatori non comprano fisicamente il petrolio, non lo accaparrano per far salire il prezzo. Per dirla semplicemente, sono per la maggior parte degli scommettitori come quelli che puntano alle corse dei cavalli. La loro è una transazione puramente finanziaria che si chiude in soldi guadagnando o perdendo.
Una prova che l’aumento del prezzo non è la conseguenza di queste transazioni finanziarie, è che il pezzo del riso è aumentato del 120% nel 2008 e non vi è nessuna borsa che tratta contrattazioni (scommesse!) sul prezzo futuro del riso. Lo stesso dicasi relativamente all’aumento di prezzo del carbone. L’aumento di costo del 95% del minerale ferroso è stato convenuto in trattative dirette tra i fornitori australiani ed i compratori cinesi senza alcun coinvolgimento di operatori finanziari.
Riassumendo un problema complesso con molte sfaccettature e implicazioni, a noi pare di capire che: a) il mondo non manca di riserve di petrolio e sicuramente molte sono anche quelle sconosciute; b) purtroppo, per una serie di fattori la produzione non ha saputo o potuto anticipare un aumento dei consumi dovuto all’aumento delle esigenze dei paesi emergenti; c) i tanto deprecati speculatori per la grande maggioranza possono essere visti come degli scommettitori la cui materia prima sono i soldi e non i barili di petrolio. Non accaparrano e non vendono niente. Si potrà dibatterne, ma certo la loro influenza non è assolutamente determinante.
Credo inoltre che sul lungo termine dell’aumento del prezzo del petrolio debbano essere più preoccupati i paesi produttori che i paesi consumatori ricchi. Un prezzo elevato oltre che essere di stimolo per nuove prospezioni e rendere economici nuovi giacimenti obbliga a trovare altre fonti energetiche. Le energie alternative (solare, eolica, ecc.) che oggi sopperiscono al fabbisogno energetico del mondo per pochi giorni del consumo annuale, da questa situazione ricavano un’importante spinta. Numerosi anche i progetti per nuove centrali nucleari. In Brasile il 90% delle nuove vetture permettono un’utilizzazione flessibile di benzina o di etanolo, prodotto dalla canna di zucchero. Si sta riconsiderando l’uso di materie prime di natura vegetale che sostituirebbero il petrolio nei prodotti industriali quali plastica, pitture, fibre tessili. Il consumo di benzina negli USA è sceso considerevolmente. Il prezzo elevato consiglia un utilizzo più ragionevole delle automobili e si riflette sugli acquisti (niente SUV). Quello che gli ambientalisti non hanno ottenuto, forse lo otterranno il mercato ed i prezzi (se non artificialmente calmierati). Invece di recriminare contro il prezzo del petrolio (e gli speculatori) pensiamo a come trovare altre fonti energetiche e a usare l’energia in modo non dissennato. La medicina che ci offre il mercato non è senza effetti sgradevoli, ma potrebbe permetterci di ritrovare la salute.
* Finanziere
CdT
20/07/2008 21:49