IL REPARTO PSICHIATRICO MI HA SCELTO COME TESTIMONIAL (1 Viewer)

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Torniamo alla LIRA
Primo caso di Coronavirus certificato nel territorio provinciale cremonese.

Il Sindaco di Sesto e Uniti Francesca Maria Viccardi avverte di aver ricevuto notizia telefonica alle ore 00:40 del 22 febbraio 2020
dal Direttore generale dell’ATS Valpadana di Cremona che è stato rilevato un caso di Coronavirus sul territorio del Comune di Sesto ed Uniti.

In attesa di ulteriori provvedimenti che saranno presi da Regione Lombardia con l’assessorato alla sanità
ed in via provvisoria e precauzionale invita la cittadinanza intera a limitare di intrattenersi in luoghi di ritrovo ed assembramento pubblico
(es. bar, impianti sportivi, luoghi religiosi).

Chi ha sintomi influenzali o problemi respiratori NON SI RECHI assolutamente al Pronto Soccorso, ma SI RIVOLGA al 112.
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Intanto, dando seguito all’ordinanza emessa da Regione Lombardia il 21 febbraio 2020 che al punto 8 indica la “interdizione dei mezzi pubblici” dalla giornata di sabato 22 febbraio,
i treni non effettueranno fermata nelle stazioni di Codogno, Maleo e Casalpusterlengo. Lo fa sapere Trenord in una nota.

In particolare i treni della linea Milano-Piacenza non effettuano fermata a Codogno e Casalpusterlengo; i treni della Mantova-Cremona-Milano non fermeranno a Codogno.

Il servizio è sospeso totalmente sulle linee Pavia-Codogno e Cremona-Codogno.

A seguito dell’ordinanza inoltre sarà sospesa l’attività di biglietteria presso le stazioni di Codogno e Casalpusterlengo.
Il provvedimento – fa sapere Trenord – sarà in vigore fino a nuova comunicazione da parte dell’autorità.
 

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I dipendenti della Serioplast, azienda che produce contenitori per i prodotti della Unilever, sono spaventati e aspettano istruzioni.


La domanda che si fanno in molti, sottolinea Il Corriere della Sera, è semplice.
Riferendosi al paziente infettato dal virus, i lavoratori, un centinaio, si chiedono:

“Questo qui è andato in giro per tutta la fabbrica per chissà quanti giorni, vuoi che non abbia contagiato nessuno?”.

I dubbi sono tanti, anche perché ci sono aspetti da non sottovalutare, come ad esempio la mensa
e i molti altri spazi che i dipendendi Unilever e Serioplast condividono tra loro.

In altre parole molti temono di essere entrati in contatto con l'uomo che adesso è ricoverato in gravi condizioni a Codogno perché colpito dal Covid-19.
I dipendenti sono titubanti: vorrebbero restare a casa ma non hanno ricevuto linee guida sul da farsi.
Non hanno copertura sindacale e sono in apprensione per le continue notizie che arrivano in ambito sanitario.

“Ho quattro figli – si chiede un dipendente - li stanno mandando a casa, dicono di non uscire, e io devo entrare qui dentro? Perché?
In fondo produciamo flaconi, mica cose indispensabili per il mondo, se ci fermiamo un momento che male c’è?”.

Nel frattempo, all'interno della Unilever, è in corso un incontro tra la rappresentanza sindacale e l'azienda.
Dal vertice dovrebbero poi uscire le comunicazioni sul comportamento da seguire e le informazioni sui rischi effettivi.

Ricordiamo che nel perimetro dello stabilimento, che come detto ha contatti con Serioplast,
operano quotidianamente più di 500 persone, in continuo movimento e contatto tra loro.
Ecco perché la notizia di un contagiato di coronavirus non lascia dormire sogni tranquilli.

La mensa, che come dicevamo è spazio condiviso tra il personale di Unilever e Serioplast, può servire circa 300 pasti.
È il punto di incontro principale tra le due sedi operative ed è stato chiuso. Dunque, niente più pausa pranzo fino a chissà quando.
Poi ci sono le docce, un altro luogo condiviso: “Anche lì è stato il nostro collega”, spiegano i lavoratori.

I dipendenti, intanto, hanno iniziato a far circolare da un cellulare all'altro la foto del collega ricoverato.
Lavora al laboratorio di Ricerca e sviluppo e tutti quelli che sono entrati in contatto diretto con lui sarebbero stati sottoposti a test clinici.
Ma la psicosi gioca brutti scherzi e tutti, adesso, si ricordano di aver avuto un contatto con il 38enne: in mensa, ai tornelli, in corridoio.

“Come si fa a non essere preoccupati?”, ripetono in coro i lavoratori, molti dei quali varcano le soglie dell'azienda indossando una mascherina protettiva.
 

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Non c’è stata alcun tipo di risposta alla domanda su quale tipo di prevenzione sarebbe stata prevista dalle nostre autorità
nei confronti dei duemilacinquecento cinesi della Toscana recatisi in Cina per il Capodanno del loro Paese e rientrati in Italia al termine delle feste.

Tanto silenzio non stupisce.

La preoccupazione prioritaria del nostro Governo è di non creare problemi con quello cinese
e di evitare comportamenti che potrebbero essere considerati discriminatori per motivi razziali nei confronti della comunità immigrata in Italia.


Ma può il timore di suscitare l’irritazione di Pechino o di subire dalla cultura politicamente corretta della sinistra l’accusa di neo-razzismo,
evitare di affrontare apertamente un problema che non solo è particolarmente grande ma suscita
la legittima preoccupazione della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica nazionale?

La dimensione della questione è data dall’ampiezza della comunità cinese in Italia.
Che è formata da più di trecentomila persone, residenti in gran parte a Prato e nelle grandi città, Roma e Milano in primo luogo.
Si tratta di una comunità ben integrata, particolarmente attiva e molto apprezzata dagli italiani per la sua capacità di adattamento
e per la totale assenza di motivi di scontro o di contrasto con il resto della popolazione.

Quanti di questi oltre trecentomila si sono recati in Cina per il Capodanno? Quanti di loro sono tornati e dove?
E perché mai se un italiano che torna dalla Cina deve passare un periodo di quarantena in un ospedale specializzato,
un cinese che torna sempre dalla Cina deve adattarsi ad una prevenzione “fai-da-te” ponendosi autonomamente
in auto-quarantena all’interno della propria casa ed a stretto contatto con la propria famiglia e con la propria comunità?

Si comprende facilmente come un problema così grande sia di difficile soluzione.

Non esistono ospedali specializzati così capienti da poter ospitare migliaia e migliaia di cinesi italiani per la quarantena a cui sono sottoposti gli italiani non cinesi.

Ma ignorare ostentatamente il problema non significa risolverlo.

Significa aggravarlo per paura di una accusa di discriminazione razzista che, però, produce una discriminazione sanitaria.

Perché censire e monitorare i cinesi di ritorno in Italia dalle feste non li discriminerebbe ma consentirebbe di tutelare la loro salute.

Una salute indispensabile per l’intera comunità italiana.

A quando qualche segnale in proposito?
 

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È morta nel suo domicilio a Codogno, aveva 75 anni, ed era passata nel pronto soccorso di Codogno
nei giorni in cui è passato il 38enne «paziente 1».

Il test del Coronavirus è stato effettuato post mortem.
 

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Ed eccolo qui il demente pidiota.

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Sul profilo Twitter del docente Matteo Flora, ripreso e poi rilanciato da altri account Facebook, è apparso un post destinato a far discutere.

Il commento è stato ripreso e commentato da decine di persone.

Ma una condivisione su tutte avrebbe fatto più rumore delle altre.

Perché sul profilo Facebook di Roberta Petrino, un medico piemontese di Vercelli,
già direttore del pronto soccorso dell'ospedale Sant'Andrea, in queste ore è apparso proprio il tweet sul coronavirus, con un "Già".
 

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Questo è quanto di più logico si potrebbe fare.
Cercare di limitare i danni.

Mentre l’emergenza coronavirus sta diventando sempre più forte, scatta anche lo scontro politico.
Nella notte, dopo il primo decesso nel nostro paese, Matteo Salvini torna a far sentire la sua voce critica contro il governo
e a chiedere di «blindare» porti e confini per l’emergenza coronavirus.

Il leader della Lega esprime cordoglio ai familiari di Adriano Trevisan, prima vittima italiana dell’epidemia cinese e attacca:
«Forse ora qualcuno avrà capito che è necessario chiudere, controllare, blindare, bloccare, proteggere?».
 

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E questa è la risposta pidiota. Ma pidiota forte forte.

Dura la reazione del Pd: «Salvini si sta veramente comportando da sciacallo», ribatte il ministro dei Trasporti, Paola De Micheli ,
arrivando all’auditorium della Conciliazione a Roma dove è in corso l’Assemblea nazionale del Partito democratico.
La ministra ha poi subito raggiunto il Comitato operativo della Protezione civile sul coronavirus, presso la sede della protezione civile di via Vitorchiano a Roma.

«Le divisioni della politica su questo tema mettono solo una grande tristezza — aggiunge Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato —.
Lo scrivo da “politico”: evitate di dare retta ai miei colleghi politici, sul coronavirus vanno seguite solo le indicazioni del ministero della salute, degli operatori, dei medici, degli scienziati».
 

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Mentre Ettore Rosato, vicepresidente della Camera e coordinatore di Italia viva invita tutti a superare le divisioni:
«C’è un’emergenza di cui la politica non può che prendere atto: anzi noi siamo perché in queste ore ci sia il sostegno di tutte le forze politiche.
Su questo ci appelliamo anche all’opposizione» affinché si sostenga «l’azione che il governo sta facendo per fronteggiare l’emergenza del coronavirus.
I nostri cittadini sono preoccupati, dobbiamo dare risposte ed insieme trasferire il senso di uno Stato che sta facendo tutto il necessario» .

«Chiediamo al premier Conte di venire a riferire in Parlamento sul tema del coronavirus», chiede la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
«È il momento di lavorare e non delle polemiche», aggiunge Meloni.«Fratelli d’Italia, sin dall’inizio, ha dato la sua massima disponibilità
a collaborare perche questo è il momento di lavorare e non il momento delle polemiche.
Ma chiediamo definitivamente una risposta chiara a quattro domande: qual è il tasso di contagio, quello di mortalità, si può essere infettati da persone asintomatiche, si può guarire.
Noi vogliamo sapere tutto del corona virus altrimenti non potremmo dare una mano».

Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera afferma : «Le misure fin qui predisposte dal governo potrebbero rivelarsi adesso insufficienti.
Occorre alzare subito il livello di guardia e passare dalle quarantene volontarie a quelle obbligatorie, coinvolgendo anche l’Esercito».
E poi: «Dobbiamo inoltre valutare rapidamente, semmai la situazione si aggravasse ulteriormente, la sospensione del trattato di Schengen.
Niente polemiche, ma servono soluzioni all’altezza».
 

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