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Dietro l’Ucraina la Grecia

Pubblicato su 10 Febbraio 2015 da FRONTE DI - CM in POLITICA
Di: Claudio Moffa

Se Atene esce dall’UE e torna a stampare moneta il rischio guerra tra Russia e NATO è concreto.

Ho avuto un eccesso di ottimismo nel pensare che il rischio guerra tra Russia e NATO non c’è? Forse, ho ripetuto a me stesso, ‘siamo alle solite’, ma la 'Politica' riuscirà a fermare il mostro, come nell’estate 2013 in Siria e come l’estate scorsa ancora in Ucraina. Adesso, però, le cose sono cambiate, e bisogna considerare tre fatti: la triangolazione Russia-Nato-Grecia; la questione del debito e della sovranità monetaria nel contenzioso che si è aperto tra l’UE-BCE e la Grecia, corteggiata da Mosca; e una coincidenza che riguarda un’altra guerra e Angela Merkel, come noto il Premier europeo che frena più di tutti sull’escalation in Ucraina. In gioco, un punto di svolta cruciale che potrebbe fare precipitare la situazione: la consegna delle armi a Kiev. Con la Ministra alla Difesa Roberta Pinotti che per fortuna dice no, ma contrastata dal Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che azzera il valore del nuovo incontro a quattro (Merkel, François Hollande, Vladimir Putin più Petro Poroshenko) dichiarando irresponsabilmente, prima ancora che il quartetto si sieda al tavolo della discussione, che «adesso sta a Mosca muoversi». Mettiamo assieme i tasselli: primo, la Merkel è il principale avversario di Alexis Tsipras, interessata sacerdotessa dei conti dell’UE e dei debiti da rispettare; Mosca, o per allentare la morsa ucraina o per l’occasione comunque ghiotta, apre ad Atene, fino a inviare nella capitale greca il Ministro della Difesa. La domanda dunque è: la Merkel, che già nel gennaio 2012 aveva manifestato chiari istinti colonialisti dichiarando la volontà di ‘commissariare’ la Grecia, cambierà posizione o si farà sconfiggere con olimpica indifferenza, se Putin non molla, non in Ucraina, ma in Grecia? Secondo fatto: il caso Tsipras non è di poco conto, perché investe uno dei momenti focali della nostra epoca, un nodo non solo economico ma anche geopolitico. Se Tsipras esce dall’UE e Atene torna a stampare moneta, o se solo continua ad agitare questo spettro per trattare da posizioni di forza con Mario Draghi, l’ipotesi guerra si fa più concreta. Dietro le primavere arabe c’è stato anche il fattore banche, e dietro la guerra di Libia il dinaro d’oro africano (Ellen Brown, il sottoscritto e altri). La stessa seconda guerra mondiale scoppiò meno di tre mesi dopo la nazionalizzazione della Banca centrale tedesca (Legge sulla Reichsbank del 15 giugno 1939): questa cronologia nulla toglie alla questione dei crimini nazisti, ma è inquietante il possibile meccanismo causa-effetto. La dimensione finanziaria e bancaria della Storia è spesso se non sempre occultata, eppure, a ben vedere è chiarissima la sua centralità ad ogni tornante epocale, in certe scelte che ‘fanno’ la storia. E dunque: i contatti Mosca-Atene, in combinazione con la rivendicazione dichiarata di Tsipras della sovranità della Grecia, sono fatti che spingono alla guerra non solo l’Occidente in generale, ma anche il suo cuore economico, la BCE. E questo anche senza contare l’interesse del 'piccolo' Stato d’Israele, che tanto piccolo non è visto che Benjamin Netanyahu ha ammazzato 2000 palestinesi in pochi giorni l’estate scorsa, senza che nessuno leader occidentale reagisse con dignità all'eccidio. Infine la coincidenza: la Merkel ha già visto scoppiare una guerra senza averla voluta -l'intervento in Libia-, e l’ha ‘contemplata’ con olimpica o pilatesca indifferenza. Il 19 marzo 2011 la cancelliera tedesca si trovava infatti a Parigi su invito di Nicolas Sarkozy per 'decidere' come applicare la risoluzione sulla no fly zone decisa da un Consiglio di Sicurezza a cui partecipava una Russia monca di Putin perché guidata dal Presidente Dmitrij Medvedev. Lei e Silvio Berlusconi provarono a fare opposizione, dicono le cronache. Ma il Presidente francese, grande alleato di Israele e lui stesso 'espion du Mossad' ('Le Figaro'), scatenò la sua aviazione mentre ancora era in corso il vertice. Scoppiò così, tre volte illegittima (uso disinvolto della no fly zone, golpe di Sarkozy, NATO esecutrice della risoluzione ONU) la guerra culminata nel linciaggio di Mu'ammar Gheddafi. Oggi potrebbe profilarsi uno scenario simile, con due differenze, una a vantaggio della pace e l’altra di una guerra dalle terribili conseguenze: a vantaggio della pace potrebbe stare l’interesse geopolitico della Germania a una stabilità sui suoi confini orientali, che non mettano a rischio la sua espansione economica verso l’Est fin da tempi del crollo del muro di Berlino. L’assedio NATO confligge con l’economia tedesca? La seconda differenza è che la Russia non è la Libia, e Putin non è Gheddafi: la reazione di Putin sarà comprensibilmente dura -la NATO ai suoi confini è una opzione pazzesca dell’oltranzismo occidentale- ma la conseguenza sarà un conflitto che assomiglierà davvero all’inizio di una terza guerra mondiale: non subito forse, il primo passo è la consegna di armi ai golpisti Kiev, non solo dichiarata ma fattuale, ma nei prossimi mesi con maggiore certezza che in passato. Occorre chiarezza di idee e un forte atto di coraggio nei Paesi occidentali per scongiurare il pericolo.
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LA SOLUZIONE DEL DISASTRO GRECIA-UE SI CHIAMA PUTIN: LA TESTARDAGGINE DEI TEDESCHI PORTERA' AL TRACOLLO DI EURO E UE

mercoledì 11 febbraio 2015
Il governo Tsipras punta ad un accordo con i partner dell'eurozona sul debito, ma il negoziato e' difficile e nulla e' scontato. Se la situazione precipitasse, Atene potrebbe decidere guardare verso est. I segnali in questo senso sono da oggi piu' chiari che mai: la Russia, accomunata alla Grecia dalla fede ortodossa e da rapporti con la Sinistra ellenica che vanno indietro nei decenni, si e' oggi detta pronta a valutare aiuti alla Grecia, se dovesse arrivare una richiesta in tal senso.
Nella giornata cruciale della riunione straordinaria dell'Eurogruppo a Bruxelles, sulla quale aleggia il pessimismo, a Mosca e' giunto il nuovo ministro degli Esteri greco Nikos Kotzias, un accademico e diplomatico noto per le sue posizioni filorusse, che ha incontrato il collega Serghiei Lavrov.
Il quale, in conferenza stampa al termine dei colloqui, ha spiegato che la Russia "prendera' in considerazione" la possibilita' di concedere "aiuti finanziari alla Grecia se tale richiesta arrivera'". Un'apertura che fa comodo alla Grecia, che a sua volta contraccambia con frasi che fanno piacere ai russi: Atene non sostiene l'idea di esercitare pressioni sulla Russia attraverso le sanzioni per la crisi ucraina.
"C'e' bisogno - ha detto Kotzias - di cercare altri strumenti, altre soluzioni adeguate". Il 27 gennaio, giorno stesso del giuramento del governo Tsipras, il neonato esecutivo aveva espresso tutta la sua irritazione per il documento Ue in cui i capi di stato e di governo chiedevano all'Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini di "considerare qualsiasi azione adeguata, in particolare ulteriori misure restrittive, per una veloce e piena attuazione degli accordi di Minsk".
Atene protestava: il comunicato a nome dei 28, recitava una gelida nota, "e' stato emesso senza la prevista procedura per ottenere il consenso dagli Stati, e in particolare senza assicurarsi del consenso della Grecia. In questo contesto, Atene non e' d'accordo con la dichiarazione".
Ufficialmente, per motivi procedurali, ma la valenza politica era evidente. Una presa di posizione subito elogiata dai media filogovernativi a Mosca. Un orientamento confermato due giorni dopo da Kotzias a Bruxelles: "La Grecia sta lavorando per ristabilire la pace e la stabilita' in Ucraina e, allo stesso tempo, evitare fratture tra la Ue e la Russia", aveva detto.
Syriza, il partito di Tsipras, non ha mai nascosto le sue simpatia per Mosca: i suoi eurodeputati, nel 2014, votarono contro l'accordo di associazione Ue-Ucraina. Un 'asse' che si basa su rapporti economici del valore di 7 miliardi di euro (nel 2013); le sanzioni hanno danneggiato l'export degli agricoltori greci per 400 milioni di euro, secondo fonti governative greche.
Ma l'interesse greco per la crisi ucraina non e' solo motivato da possibili sviluppi economici: ci sono 100.000 greci etnici a Mariupol, citta' dell'est dell'Ucraina ormai al centro degli scontri tra esercito di Kiev e filorussi. Ed è bene non scordare che l'alleato di governo di Syriza, il partito della destra nazionalista greca Anel, ha dichiarato per bocca dei suoi ministri nel governo, che "se non sarà la Ue a offrire aiuto alla Grecia ocn un prestito ponte, ci rivolgeremo a Russia, Cina o Stati Uniti", che per altro non hanno mai, questi ultimi, detto che avrebbero aiutato Atene. Quindi: Russia e/o Cina.
Di fatto, sulla base di tutti questi dati la conclusione non può che essere: la Grecia verrà estromessa dalla zona euro e entrerà nella sfera di influenza dell'asse russo-cinese, mai così forte come oggi.
Non bastasse, ci ha pensato il ministro degli Esteri russo, Lavrov, a versare altra benzina sul fuoco, dato che oggi ha dichiarato: "Con la Grecia, abbiamo rapporti di lunga data in tutti gli ambiti, compreso quello tecnico-militare. Ci aspettiamo che queste relazioni continuino. Stiamo preparando accordi supplementari che possano consolidare il quadro giuridico in questo campo. Manteniamo inoltre amichevoli contatti militari reciproci. Siamo interessati a questa collaborazione, ci aiuta a cooperare su tutta una serie di problemi molto importanti che richiedono il coinvolgimento delle forze armate, tra cui la pirateria, le emergenze e molti altri".
E' abbastanza, per capire dove può andare a finire questa situazione creata dalla Ue che respinge il piano del governo greco per uscire dal disastro in cui la Grecia è precipitata per colpa della troika? Noi pensiamo di sì.
Redazione Milano.

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febbraio 11, 2015 Lascia un commento

F. William Engdahl New Eastern Outlook 11/02/2015Washington ha creato una cosa chiamata NATO, Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico nel 1949 per saldare l’Europa occidentale alle future politiche estere di Washington, tuttavia rivelandosi distruttivo per gli interessi autentici di Germania, Francia, Italia e altre nazioni d’Europa. Nel 1986 le dodici nazioni della Comunità economica europea modificarono il trattato di Roma del 1957 e firmarono l’Atto unico europeo, incaricandosi di creare il mercato unico comunitario entro la fine del 1992, con le regole per la cooperazione politica europea, in previsione di una politica estera e di sicurezza comune per l’Unione europea. Poi il 9 novembre del 1989, un evento storico interruppe la strategia della CEE per il mercato unico. L’URSS di Gorbaciov consegnò la Repubblica democratica tedesca all’occidente. La guerra fredda era finita de facto e la Germania si sarebbe riunita. L’occidente aveva apparentemente vinto e la maggior parte degli europei era giubilante, molti credevano che decenni di vita sull’orlo di una possibile guerra nucleare erano finiti. L’Europa emergente sembrava fiera e sicura del futuro. La NATO era un’entità creata da Washington, secondo il suo primo segretario generale, Lord Ismay, per “tenere i russi fuori, gli americani dentro, e i tedeschi sotto“.
Il pilastro della Difesa europea o la NATO degli USA?
Il trattato di Maastricht, un documento con errori fatali, fu introdotto al vertice della CEE nel dicembre 1991. A uno scioccato Helmut Kohl fu detto da Mitterrand e a Margaret Thatcher che la Germania doveva accettare la creazione di una moneta unica controllata dalla Bundesbank. Divennero l’euro di oggi e la sovranazionale Banca Centrale Europea indipendente, un ricatto quale condizione preliminare per l’accettazione dell’unificazione tedesca. I tedeschi ingoiarono e firmarono. Ciò che fu poco discusso è che il Trattato di Maastricht includeva anche una sezione che stabiliva per la prima volta una politica estera e di sicurezza comune. Le dodici nazioni che firmarono il trattato avevano intense discussioni su come creare un pilastro della difesa europea indipendente dalla NATO. Con il crollo dell’Unione Sovietica, la ragion d’essere della NATO era finita, e il Patto di Varsavia dissolto. Washington aveva assicurato Gorbaciov che la NATO non si sarebbe mai estesa ad est.
Bush distrusse il pilastro della difesa dell’UE
Il presidente degli Stati Uniti George HW Bush lasciò un’eredità sanguinosa fin dai primi anni a Washington, probabilmente giocando anche un ruolo chiave come agente della CIA a Dallas, in Texas, il 22 novembre 1963 nell’assassinio di JFK. Continuò a dirigere la CIA negli anni ’70 e spinse Sadam Husayn ad occupare il Quwayt nel 1990 per avere il pretesto della guerra sanguinosa con l’operazione Desert Storm contro l’Iraq. Da presidente, Bush avviò anche gli eventi che comportarono la distruzione della Jugoslavia, dal 1990, proprio come Washington distrugge l’Ucraina oggi. Lo scopo principale della guerra istigata dagli USA, che devastò i Balcani per un decennio, era chiarire all’Unione Europea che la NATO, controllata dal Pentagono degli Stati Uniti, sarebbe rimasta e, in effetti, si sarebbe allargata ad est. In effetti, sfruttò la guerra jugoslava per distruggere la minaccia emergente dell’Unione europea con capacità autonoma di difesa, il pilastro della difesa europea. Come il consulente presidenziale e fondatore della Commissione Trilaterale Zbigniew Brzezinski scrisse apertamente, per Washington la Germania era un “vassallo” del potere imperiale degli Stati Uniti, e non una nazione sovrana. Nel 1999 Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca furono ufficialmente invitate da Washington ad aderire alla NATO, mentre lo smembramento della Jugoslavia fu coperto dai vergognosi e illegali bombardamenti della Serbia dal presidente Bill Clinton, con la cosiddetta Guerra del Kosovo, e con l’ancor più vergognosa partecipazione del ministro degli Esteri tedesco, figlio di un macellaio ungherese, Joschka Fischer. Nel 2004 Washington allegramente fece entrare nella NATO Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia, e preparava segretamente le infami rivoluzioni colorate in Georgia e in Ucraina, per eleggervi i candidati degli USA, il corrotto Viktor Jushenko con la cosiddetta rivoluzione arancione a Kiev, e Mikhail Saakashvili in Georgia con la rivoluzione delle rose. I due s’impegnarono ad aderire alla NATO, nell’ambito della loro campagna. Non c’è da stupirsi che entro il 2007, mentre il segretario della Difesa Don Rumsfeld annunciava che il Pentagono avrebbe installato sistemi antimissili balistici in Polonia e Repubblica Ceca, de facto contro la Russia, Mosca fosse sempre più irrequieta, venendo soffocata sul suo perimetro strategico dalla NATO, l’alleanza militare guidata infine dall’unica superpotenza mondiale che arrivava alle porte di Mosca.
L’intervento franco-tedesco in Ucraina
Quando i ministri degli Esteri di Germania e Francia sono intervenuti nel disperato tentativo di mediare un compromesso a Kiev, il 21 febbraio 2014, per evitare la guerra civile, esclusero esplicitamente dai colloqui una parte interessata, il governo degli Stati Uniti. Hanno, ottenendo un compromesso durato meno di 48 ore, prima che i cecchini appoggiati dalla CIA a Kiev istigassero tumulti e panico spingendo alla fuga (punto dimenticato pedissequamente nella versione mediatica tedesca degli eventi) il presidente democraticamente eletto Viktor Janukovich, per salvarsi la vita. Il giorno successivo, l’amministrazione Obama, guidata dal falco Victoria “Si fotta l’UE” Nuland del dipartimento di Stato, dall’ambasciatore statunitense Geoffrey Pyatt e dalle legioni di agenti della CIA di Majdan piazzò apertamente i suoi burattini prescelti, utilizzando i neo-nazisti dichiarati di Pravij Sektor e Svoboda. George Friedman, capo di Stratfor, società di consulenza strategica degli Stati Uniti i cui clienti sono Pentagono, CIA ed agenzie israeliane, ha detto al giornale russo Kommersant, in un’intervista a dicembre, che gli Stati Uniti organizzarono il colpo di Stato in Ucraina, “il golpe più eclatante nella storia”. Quando Washington sputò in faccia non solo a Germania, Francia e Unione europea, ma anche a Russia e Ucraina, imponendo il nuovo regime golpista di Kiev, guidato da loro primo ministro, noto scientologo Arsenij Jatsenjuk, Germania e Francia ingoiarono seguendo i falchi di Washington dell’amministrazione Obama. L’UE votava più volte all’unanimità le sanzioni dettate dagli USA contro la Russia, dopo il referendum della Crimea di marzo 2014. L’industria tedesca protestò apertamente ma il governo Merkel s’inchinò a NATO e Washington, e l’economia tedesca entrava in recessione con il resto dell’UE. Ora qualcosa di molto insolito è in corso. Francia e Germania ancora sfidano apertamente la Washington di Obama. La notte del 4 febbraio, Merkel e il presidente francese Hollande decisero di volare subito a Mosca per incontrare Putin. Lo scopo, come il portavoce di Putin ha dichiarato, era che i “leader dei tre Paesi discutano quali Paesi in particolare possono contribuire alla fine rapida della guerra civile nel sud-est dell’Ucraina, intensificatasi negli ultimi giorni e causando molte vittime“. La parte più interessante è che tali capi “vassalli”, Angela Merkel e Francois Hollande, non chiesero il permesso a Washington, secondo una fonte del governo francese. Annunciando il viaggio spontaneo a Mosca, Hollande dichiarava, “Insieme ad Angela Merkel abbiamo deciso una nuova iniziativa”. Più interessante, la loro “nuova iniziativa” fu presentata mentre il segretario di Stato John Kerry era in riunione a Kiev con il presidente Poroshenko, per discutere delle possibili forniture di armi statunitensi a Kiev, la “diplomazia” preferita di Washington al momento. I colloqui di Mosca tra Putin, Merkel e Hollande avrebbero seguito i colloqui “segreti” tra Parigi, Berlino e Mosca.
Ai primi di dicembre, Hollande fece una visita a sorpresa a Mosca incontrando Putin sull’Ucraina. Al momento il presidente francese dichiarò, “Credo che dobbiamo evitare altri “muri” che ci separino. Oggi dobbiamo superare gli ostacoli e trovare soluzioni”. Washington non era affatto contenta. C’è il forte sospetto, in certi ambienti, che l’attentato sotto falsa bandiera del 7 gennaio alla rivista satirica di Parigi Charlie Hebdo fosse la risposta della fazione guerrafondaia di Washington-Tel Aviv alla diplomazia di Hollande. Le ultime mosse diplomatiche tedesco-francesi avvennero mentre John Kerry era a Kiev per discutere delle armi USA da consegnare all’Ucraina. Il giornalista di Le Nouvel Observateur Vincent Jauvert dice che Hollande e Merkel decisero di parlare all’improvviso con Putin, a Mosca, per tentare “di anticipare gli statunitensi che cercavano d’imporre la loro soluzione al problema: l’invio di armi all’Ucraina“. Ha detto che i due capi andarono a Kiev subito dopo Kerry, “diffidando dell’amministrazione statunitense” e “presentando la loro soluzione diplomatica poco prima che il vicepresidente degli USA Joe Biden presentasse il piano degli Stati Uniti per inviare armi a Kiev alla conferenza per la sicurezza di Monaco di Baviera“.
Le prossime settimane saranno chiaramente decisive per la pace nel mondo. Parodiando una vecchia canzoncina che cantavo da bambino, il ponte atlantico è crollato, crollato, crollato… (seguendo la melodia del London Bridge è caduto). E’ tempo per un nuovo e stabile ponte, ma non arriverà col messaggio di Joe Biden alla conferenza per la sicurezza di Monaco.
F. William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente, laureato in politica alla Princeton University m autore di best-seller su petrolio e geopolitica, per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Filed under Geopolitica, Imperialismo Tagged with atlantismo, Barack Obama, black operation, Blocco americanista occidentalista, Blocco antiegemonico, Blocco BAO, Central Intelligence Agency, CIA, Cina, Cina e Russia, colonialismo, Comunità degli Stati Indipendenti, covert operation, Covert Operations, crimini contro l'umanità, CSI, cyberguerra, cyberwarfare, Defence Intelligence Agency, Dipartimento di Stato USA, Donbas, Donbass, Donetsk, egemonia, egemonismo, equilibrio mondiale, esercito ucraino, eurasia, Europa, Europa Orientale, False flag, fascio-atlantismo, Federazione Russa, forze armate novorossija, forze armate novorusse, forze armate USA, Forze speciali, Francia, Geoeconomia, Geopolitica, Geostrategia, globalismo, globalizzazione, golpe, golpismo, golpisti
 
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F. William Engdahl New Eastern Outlook 11/02/2015Washington ha creato una cosa chiamata NATO, Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico nel 1949 per saldare l’Europa occidentale alle future politiche estere di Washington, tuttavia rivelandosi distruttivo per gli interessi autentici di Germania, Francia, Italia e altre nazioni d’Europa. Nel 1986 le dodici nazioni della Comunità economica europea modificarono il trattato di Roma del 1957 e firmarono l’Atto unico europeo, incaricandosi di creare il mercato unico comunitario entro la fine del 1992, con le regole per la cooperazione politica europea, in previsione di una politica estera e di sicurezza comune per l’Unione europea. Poi il 9 novembre del 1989, un evento storico interruppe la strategia della CEE per il mercato unico. L’URSS di Gorbaciov consegnò la Repubblica democratica tedesca all’occidente. La guerra fredda era finita de facto e la Germania si sarebbe riunita. L’occidente aveva apparentemente vinto e la maggior parte degli europei era giubilante, molti credevano che decenni di vita sull’orlo di una possibile guerra nucleare erano finiti. L’Europa emergente sembrava fiera e sicura del futuro. La NATO era un’entità creata da Washington, secondo il suo primo segretario generale, Lord Ismay, per “tenere i russi fuori, gli americani dentro, e i tedeschi sotto“.
Il pilastro della Difesa europea o la NATO degli USA?
Il trattato di Maastricht, un documento con errori fatali, fu introdotto al vertice della CEE nel dicembre 1991. A uno scioccato Helmut Kohl fu detto da Mitterrand e a Margaret Thatcher che la Germania doveva accettare la creazione di una moneta unica controllata dalla Bundesbank. Divennero l’euro di oggi e la sovranazionale Banca Centrale Europea indipendente, un ricatto quale condizione preliminare per l’accettazione dell’unificazione tedesca. I tedeschi ingoiarono e firmarono. Ciò che fu poco discusso è che il Trattato di Maastricht includeva anche una sezione che stabiliva per la prima volta una politica estera e di sicurezza comune. Le dodici nazioni che firmarono il trattato avevano intense discussioni su come creare un pilastro della difesa europea indipendente dalla NATO. Con il crollo dell’Unione Sovietica, la ragion d’essere della NATO era finita, e il Patto di Varsavia dissolto. Washington aveva assicurato Gorbaciov che la NATO non si sarebbe mai estesa ad est.
Bush distrusse il pilastro della difesa dell’UE
Il presidente degli Stati Uniti George HW Bush lasciò un’eredità sanguinosa fin dai primi anni a Washington, probabilmente giocando anche un ruolo chiave come agente della CIA a Dallas, in Texas, il 22 novembre 1963 nell’assassinio di JFK. Continuò a dirigere la CIA negli anni ’70 e spinse Sadam Husayn ad occupare il Quwayt nel 1990 per avere il pretesto della guerra sanguinosa con l’operazione Desert Storm contro l’Iraq. Da presidente, Bush avviò anche gli eventi che comportarono la distruzione della Jugoslavia, dal 1990, proprio come Washington distrugge l’Ucraina oggi. Lo scopo principale della guerra istigata dagli USA, che devastò i Balcani per un decennio, era chiarire all’Unione Europea che la NATO, controllata dal Pentagono degli Stati Uniti, sarebbe rimasta e, in effetti, si sarebbe allargata ad est. In effetti, sfruttò la guerra jugoslava per distruggere la minaccia emergente dell’Unione europea con capacità autonoma di difesa, il pilastro della difesa europea. Come il consulente presidenziale e fondatore della Commissione Trilaterale Zbigniew Brzezinski scrisse apertamente, per Washington la Germania era un “vassallo” del potere imperiale degli Stati Uniti, e non una nazione sovrana. Nel 1999 Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca furono ufficialmente invitate da Washington ad aderire alla NATO, mentre lo smembramento della Jugoslavia fu coperto dai vergognosi e illegali bombardamenti della Serbia dal presidente Bill Clinton, con la cosiddetta Guerra del Kosovo, e con l’ancor più vergognosa partecipazione del ministro degli Esteri tedesco, figlio di un macellaio ungherese, Joschka Fischer. Nel 2004 Washington allegramente fece entrare nella NATO Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia, e preparava segretamente le infami rivoluzioni colorate in Georgia e in Ucraina, per eleggervi i candidati degli USA, il corrotto Viktor Jushenko con la cosiddetta rivoluzione arancione a Kiev, e Mikhail Saakashvili in Georgia con la rivoluzione delle rose. I due s’impegnarono ad aderire alla NATO, nell’ambito della loro campagna. Non c’è da stupirsi che entro il 2007, mentre il segretario della Difesa Don Rumsfeld annunciava che il Pentagono avrebbe installato sistemi antimissili balistici in Polonia e Repubblica Ceca, de facto contro la Russia, Mosca fosse sempre più irrequieta, venendo soffocata sul suo perimetro strategico dalla NATO, l’alleanza militare guidata infine dall’unica superpotenza mondiale che arrivava alle porte di Mosca.
L’intervento franco-tedesco in Ucraina
Quando i ministri degli Esteri di Germania e Francia sono intervenuti nel disperato tentativo di mediare un compromesso a Kiev, il 21 febbraio 2014, per evitare la guerra civile, esclusero esplicitamente dai colloqui una parte interessata, il governo degli Stati Uniti. Hanno, ottenendo un compromesso durato meno di 48 ore, prima che i cecchini appoggiati dalla CIA a Kiev istigassero tumulti e panico spingendo alla fuga (punto dimenticato pedissequamente nella versione mediatica tedesca degli eventi) il presidente democraticamente eletto Viktor Janukovich, per salvarsi la vita. Il giorno successivo, l’amministrazione Obama, guidata dal falco Victoria “Si fotta l’UE” Nuland del dipartimento di Stato, dall’ambasciatore statunitense Geoffrey Pyatt e dalle legioni di agenti della CIA di Majdan piazzò apertamente i suoi burattini prescelti, utilizzando i neo-nazisti dichiarati di Pravij Sektor e Svoboda. George Friedman, capo di Stratfor, società di consulenza strategica degli Stati Uniti i cui clienti sono Pentagono, CIA ed agenzie israeliane, ha detto al giornale russo Kommersant, in un’intervista a dicembre, che gli Stati Uniti organizzarono il colpo di Stato in Ucraina, “il golpe più eclatante nella storia”. Quando Washington sputò in faccia non solo a Germania, Francia e Unione europea, ma anche a Russia e Ucraina, imponendo il nuovo regime golpista di Kiev, guidato da loro primo ministro, noto scientologo Arsenij Jatsenjuk, Germania e Francia ingoiarono seguendo i falchi di Washington dell’amministrazione Obama. L’UE votava più volte all’unanimità le sanzioni dettate dagli USA contro la Russia, dopo il referendum della Crimea di marzo 2014. L’industria tedesca protestò apertamente ma il governo Merkel s’inchinò a NATO e Washington, e l’economia tedesca entrava in recessione con il resto dell’UE. Ora qualcosa di molto insolito è in corso. Francia e Germania ancora sfidano apertamente la Washington di Obama. La notte del 4 febbraio, Merkel e il presidente francese Hollande decisero di volare subito a Mosca per incontrare Putin. Lo scopo, come il portavoce di Putin ha dichiarato, era che i “leader dei tre Paesi discutano quali Paesi in particolare possono contribuire alla fine rapida della guerra civile nel sud-est dell’Ucraina, intensificatasi negli ultimi giorni e causando molte vittime“. La parte più interessante è che tali capi “vassalli”, Angela Merkel e Francois Hollande, non chiesero il permesso a Washington, secondo una fonte del governo francese. Annunciando il viaggio spontaneo a Mosca, Hollande dichiarava, “Insieme ad Angela Merkel abbiamo deciso una nuova iniziativa”. Più interessante, la loro “nuova iniziativa” fu presentata mentre il segretario di Stato John Kerry era in riunione a Kiev con il presidente Poroshenko, per discutere delle possibili forniture di armi statunitensi a Kiev, la “diplomazia” preferita di Washington al momento. I colloqui di Mosca tra Putin, Merkel e Hollande avrebbero seguito i colloqui “segreti” tra Parigi, Berlino e Mosca.
Ai primi di dicembre, Hollande fece una visita a sorpresa a Mosca incontrando Putin sull’Ucraina. Al momento il presidente francese dichiarò, “Credo che dobbiamo evitare altri “muri” che ci separino. Oggi dobbiamo superare gli ostacoli e trovare soluzioni”. Washington non era affatto contenta. C’è il forte sospetto, in certi ambienti, che l’attentato sotto falsa bandiera del 7 gennaio alla rivista satirica di Parigi Charlie Hebdo fosse la risposta della fazione guerrafondaia di Washington-Tel Aviv alla diplomazia di Hollande. Le ultime mosse diplomatiche tedesco-francesi avvennero mentre John Kerry era a Kiev per discutere delle armi USA da consegnare all’Ucraina. Il giornalista di Le Nouvel Observateur Vincent Jauvert dice che Hollande e Merkel decisero di parlare all’improvviso con Putin, a Mosca, per tentare “di anticipare gli statunitensi che cercavano d’imporre la loro soluzione al problema: l’invio di armi all’Ucraina“. Ha detto che i due capi andarono a Kiev subito dopo Kerry, “diffidando dell’amministrazione statunitense” e “presentando la loro soluzione diplomatica poco prima che il vicepresidente degli USA Joe Biden presentasse il piano degli Stati Uniti per inviare armi a Kiev alla conferenza per la sicurezza di Monaco di Baviera“.
Le prossime settimane saranno chiaramente decisive per la pace nel mondo. Parodiando una vecchia canzoncina che cantavo da bambino, il ponte atlantico è crollato, crollato, crollato… (seguendo la melodia del London Bridge è caduto). E’ tempo per un nuovo e stabile ponte, ma non arriverà col messaggio di Joe Biden alla conferenza per la sicurezza di Monaco.
F. William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente, laureato in politica alla Princeton University m autore di best-seller su petrolio e geopolitica, per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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BANCA ETRURIA, MPS, BAZOLI, CONSOB…ITALIA:
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Scritto il 12 febbraio 2015 alle 11:30 da icebergfinanza
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Italia …colpo di Stato! Ora l’ironia non basta più, ora è il tempo di mettere insieme il puzzle, ricomponendo i tasselli che si trovano sul tavolo del decreto legge sulle banche popolari in attesa che qualcuno ci imponga anche quello sulle banche di credito cooperativo.
Bankitalia commissaria Banca Popolare dell’Etruria. «Emerse gravi perdite»
Ieri l’onorevole Boschi, figlia del vice presidente di Banca Etruria, su twitter…
E ci mancherebbe che una banca non venga commissariata perchè la figlia del vice presidente è un ministro di un Governo non eletto da nessuno, piuttosto la domanda è per quale motivo non è stata commissariata prima che volasse in borsa di oltre il 60 %, chi mai avrebbe acquistato le azioni di una banca commissariata?
Il secondo tassello è questo…
Dopo mesi di gelo con palazzo Chigi e indiscrezioni che davano ormai per imminente l’annuncio di una rivoluzione della vigilanza dei mercati, il presidente della Commissione avrà l’insperata occasione di mettere in difficoltà il governo durante l’audizione sui sospetti di insider trading legati alla riforma degli istituti popolari
Banche Popolari e rialzi in Borsa.
Riforma banche popolari, Giuseppe Vegas (Consob) accerta “vendite anomale” con plusvalenze per oltre 10 milioni
Se questi tasselli non bastano per farvi intravvedere il grande mosaico delle popolari aggiungo questo…
Bazoli, bene decreto sulle popolari

… che si incastra alla perfezione con quest’altro.
Ubi Banca nella bufera, indagati i vertici del gruppo e Giovanni Bazoli
Avviamente nessuno sapeva nulla, nella finanza accadde tutto per caso e quindi …
Serra scommette sulle Popolari.

Oggi invece, sapeva o non sapeva prima del dovuto le intenzioni di Renzi, Serra ha confessato di aver in pancia una quota azionaria importante di una popolare e di aver preso contatti con il management dell’istituto di credito per studiare una eventuale strategia comune. L’indiziato numero uno è il Banco Popolare, l’istituto di credito entrato in crisi dopo le ricapitalizzazioni resesi necessarie per i buchi finanziari creati dai derivati di Banca Italease e mai ripresosi. L’annuncio del governo è avvenuto venerdì 16 gennaio, a mercati chiusi, dopo che il Banco Popolare aveva archiviato una seduta in rialzo del 4,35%. Il giorno prima il titolo aveva guadagnato il 2,8%, mentre nelle tre sedute successive all’annuncio è salito dell’8, del 5 e del 9%.
L’altra banca popolare di cui Serra sembra essere stato azionista, e forse lo è tuttora, è la Ubi, l’istituto nato dalla fusione tra la bresciana Banca Lombarda e la Popolare di Bergamo. Non è un caso che la benedizione alle operazioni sul capitale delle popolari voluto dal governo sia giunto anche da Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo e considerato da sempre il nume tutelare (sponda bresciana) di Ubi Banca, tanto da finire in una inchiesta della procura di Bergamo per le presunte combine nelle nomine dei vertici con Emilio Zanetti, capofila dei soci bergamaschi.
Prendiamo i due tasselli del Banco Popolare e di Ubi Banca, mettiamoli insieme e facciamo una “supernove”, immaginatevi il volo delle azioni nelle prossime settimane!
Ma non è finita qui! Per quale motivo il ministro Lupi si è tanto agitato nei giorni scorsi, scagliandosi contro il decreto delle Popolari…
Banche popolari, Lupi demolisce la riforma.

…forse perchè crede nel sistema cooperativo? Ma certo dev’essere proprio cosi…
Ubi Banca, perquisita Compagnia delle Opere. “Illecita influenza sull’assemblea…

La Compagnia delle Opere ha svolto un ruolo determinante nell’organizzazione dell’assemblea di Ubi Banca del 2013, raccogliendo deleghe e organizzando militarmente gli iscritti per ottenere le maggioranze assembleari volte a nominare gli attuali vertici.
E infine proprio per non farci mancare nulla, gli ultimi tasselli, in attesa della mitica “BAD BANK” gruppo musicale, che verrà ingaggiato per suonare gli italiani…
Mps, perdita record da 5,3 miliardi e aumento di capitale da 3 miliardi
Carige: 543,6 mln perdite 2014, aumento capitale sale a 700 mln
Il resto immaginatelo Voi. Buona Consapevolezza e …se vedete la Maria Elena ditele che Dum Romae consulitur, “italia” expugnatur
 
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RAPPORTO BOMBA DI BARCLAYS: ''BUCO DI 61 MILIARDI NEI CONTI ITALIANI, SE GREXIT, GRECIA MORTA SE RESTA NELL'EURO'' (ADDIO)

venerdì 13 febbraio 2015
Chi crede che l'Italia abbia prestato alla Grecia circa 40 miliardi di euro, sbaglia per due ragioni: la prima è che non lo ha dati alla Grecia ma a un fondo Salva-stati della Ue che in concreto ha salvato unicamente le banche tedesche e francesi creditici delle banche greche, mentre alla popolazione non è arrivato il becco di un quattrino.
La seconda ragione per cui sbaglia è nella cifra: non si tratta di 40 miliardi ma di più di 60 miliardi di euro. Esattamente, 61,2 miliardi, secondo i calcoli fatti scrupolosamente dal colosso bancario mondiale Barclays. L'istituto di credito ha stilato un rapporto - anticipato dal Repubblica - che si basa non tanto sulla improbabile "ristrutturazione" del debito greco, ovvero il suo taglio radicale, fatto escluso da tutti i vertici della Ue, non solo dalla Germania, bensì sull'uscita - che Barclays dà per quasi certa, della Grecia dall'euro.
Volendo citare esattamente le parole scritte sul rapporto, Barclays afferma: "le possibilità di uscita della Grecia dall'euro sono più alte adesso che nel 2012". Testuale.
Però questo è solo l'antefatto, l'introduzione ai veri contenuti dell'analisi di Barclays, che l'istituto riassume in una tabella che mostra i seguenti dati: "L'Italia è esposta con la Grecia per 10 miliardi di prestiti bilaterali, più 27,2 miliardi tramite il fondo salvastati, più 4,8 come quota parte dell’operazione Securities Markets Programme del 2012 (l'acquisto di titoli di debito da parte della Bce di cui peraltro beneficiò anche l'Italia), più 19,2 miliardi come passività derivanti dal Target 2.
Totale: 61,2 miliardi, il 3,8% del Pil italiano, un valore catastrofico, se diventasse una perdita secca.
E quindi, dopo questi dati da far rizzare i capelli in testa, Barclays aggiunge: "Il problema è che sarebbe un’uscita brusca e traumatica. La storia insegna che pochi governi sono sopravvissuti in casi del genere. Le più colpite sarebbero le classi medie italiane, senza soldi all’estero né speciali proprietà".
Per la Grecia, invece, si tratterebbe di osservare "la fuga dei depositanti dalle banche, che sarebbe precipitosa, prima ancora che venga fissato il nuovo cambio della dracma, e sarebbe quasi inevitabile la statalizzazione degli istituti dopo il loro collasso".
Detto questo, allora bisognerebbe "pregare" che la crisi Grecia-Ue non arrivi alla cacciata di Atene dalla zona euro? Sbagliato.
"Ma gli scenari - scrive sempre Barclays - non sono molto migliori senza uscita dall’euro. Il debito pubblico greco, se Atene resterà nel programma della Troika, scenderà dal 175 al 120% nel 2020, ma se si chiama fuori nello stesso anno sarà ancora del 155% e bisognerà aspettare il 2030 per giungere al 123%".
E non solo: tutto ciò accadrebbe unicamente se la Ue concedesse alla Grecia la totale cancellazione degli interessi a partire da ora, 2015, fino al 2035. Vent'anni. E comunque, conclude Barclays, "La Grecia resterebbe per decenni altamente esposta a shock fiscali e dipendente da aiuti finanziari".
Quindi, volendo riassumere: se la Grecia esce dall'euro, tutto il conto economico e finanziario dell'Italia tracolla, con tutti gli indici che finiscono letteralmente "fuori scala", come ad esempio il rapporto Debito/Pil che supererebbe con un balzo da spavento il 3% per atterrare se va bene al 6%. Inoltre, il debito pubblico salirebbe di colpo di oltre 60 miliardi. Conseguenze? Per rispettare le folli regole "tedesche" della Ue, l'Italia dovrebbe abbatterlo a colpi di "tagli radicali della spesa pubblica, delle pensioni, della spesa sanitaria, della spesa sociale". Non sono parole virgolettate a caso: sono parte del Memorandum imposto alla Grecia di Samaras dalla famigerata troika. Esatto, l'Italia la vedrebbe arrivare.
Se invece la Grecia restasse nell'euro accettando - il governo Tsipras - di continuare a seguire il detto Memorandum, condannerebbe sè stessa alla dannazione praticamente eterna.
Anche un idiota riesce a capire come andrà a finire.
Max Parisi.



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BARCLAYS CONTI PUBBLICI ITALIANI ITALIA GRECIA DANNI GREXIT EURO VIA DALL'EURO DEBITO PUBBLICO GOVERNO
 
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RAPPORTO BOMBA DI BARCLAYS: ''BUCO DI 61 MILIARDI NEI CONTI ITALIANI, SE GREXIT, GRECIA MORTA SE RESTA NELL'EURO'' (ADDIO)

venerdì 13 febbraio 2015
Chi crede che l'Italia abbia prestato alla Grecia circa 40 miliardi di euro, sbaglia per due ragioni: la prima è che non lo ha dati alla Grecia ma a un fondo Salva-stati della Ue che in concreto ha salvato unicamente le banche tedesche e francesi creditici delle banche greche, mentre alla popolazione non è arrivato il becco di un quattrino.
La seconda ragione per cui sbaglia è nella cifra: non si tratta di 40 miliardi ma di più di 60 miliardi di euro. Esattamente, 61,2 miliardi, secondo i calcoli fatti scrupolosamente dal colosso bancario mondiale Barclays. L'istituto di credito ha stilato un rapporto - anticipato dal Repubblica - che si basa non tanto sulla improbabile "ristrutturazione" del debito greco, ovvero il suo taglio radicale, fatto escluso da tutti i vertici della Ue, non solo dalla Germania, bensì sull'uscita - che Barclays dà per quasi certa, della Grecia dall'euro.
Volendo citare esattamente le parole scritte sul rapporto, Barclays afferma: "le possibilità di uscita della Grecia dall'euro sono più alte adesso che nel 2012". Testuale.
Però questo è solo l'antefatto, l'introduzione ai veri contenuti dell'analisi di Barclays, che l'istituto riassume in una tabella che mostra i seguenti dati: "L'Italia è esposta con la Grecia per 10 miliardi di prestiti bilaterali, più 27,2 miliardi tramite il fondo salvastati, più 4,8 come quota parte dell’operazione Securities Markets Programme del 2012 (l'acquisto di titoli di debito da parte della Bce di cui peraltro beneficiò anche l'Italia), più 19,2 miliardi come passività derivanti dal Target 2.
Totale: 61,2 miliardi, il 3,8% del Pil italiano, un valore catastrofico, se diventasse una perdita secca.
E quindi, dopo questi dati da far rizzare i capelli in testa, Barclays aggiunge: "Il problema è che sarebbe un’uscita brusca e traumatica. La storia insegna che pochi governi sono sopravvissuti in casi del genere. Le più colpite sarebbero le classi medie italiane, senza soldi all’estero né speciali proprietà".
Per la Grecia, invece, si tratterebbe di osservare "la fuga dei depositanti dalle banche, che sarebbe precipitosa, prima ancora che venga fissato il nuovo cambio della dracma, e sarebbe quasi inevitabile la statalizzazione degli istituti dopo il loro collasso".
Detto questo, allora bisognerebbe "pregare" che la crisi Grecia-Ue non arrivi alla cacciata di Atene dalla zona euro? Sbagliato.
"Ma gli scenari - scrive sempre Barclays - non sono molto migliori senza uscita dall’euro. Il debito pubblico greco, se Atene resterà nel programma della Troika, scenderà dal 175 al 120% nel 2020, ma se si chiama fuori nello stesso anno sarà ancora del 155% e bisognerà aspettare il 2030 per giungere al 123%".
E non solo: tutto ciò accadrebbe unicamente se la Ue concedesse alla Grecia la totale cancellazione degli interessi a partire da ora, 2015, fino al 2035. Vent'anni. E comunque, conclude Barclays, "La Grecia resterebbe per decenni altamente esposta a shock fiscali e dipendente da aiuti finanziari".
Quindi, volendo riassumere: se la Grecia esce dall'euro, tutto il conto economico e finanziario dell'Italia tracolla, con tutti gli indici che finiscono letteralmente "fuori scala", come ad esempio il rapporto Debito/Pil che supererebbe con un balzo da spavento il 3% per atterrare se va bene al 6%. Inoltre, il debito pubblico salirebbe di colpo di oltre 60 miliardi. Conseguenze? Per rispettare le folli regole "tedesche" della Ue, l'Italia dovrebbe abbatterlo a colpi di "tagli radicali della spesa pubblica, delle pensioni, della spesa sanitaria, della spesa sociale". Non sono parole virgolettate a caso: sono parte del Memorandum imposto alla Grecia di Samaras dalla famigerata troika. Esatto, l'Italia la vedrebbe arrivare.
Se invece la Grecia restasse nell'euro accettando - il governo Tsipras - di continuare a seguire il detto Memorandum, condannerebbe sè stessa alla dannazione praticamente eterna.
Anche un idiota riesce a capire come andrà a finire.
Max Parisi.



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BARCLAYS CONTI PUBBLICI ITALIANI ITALIA GRECIA DANNI GREXIT EURO VIA DALL'EURO DEBITO PUBBLICO GOVERNO
 
“L’UE È UN DRAMMATICO FALLIMENTO. GERMANIA HA VIOLATO PATTO”
Pubblicato su 13 Febbraio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in ECONOMIA
Il Professore F.W. Mitchell descrive l’euro e l’Europa come un drammatico fallimento e accusa la Germania di essere stato il primo paese ad aver violato il patto di Stabilità per sopperire alle proprie difficoltà.

Tratto da: L'Euroscettico - Quello che nessuno ti dice sull'Europa e sull'Euro






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Europa, la democrazia è finita: Draghi lo ricorda a Tsipras

Pubblicato su 13 Febbraio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in POLITICA
Non chiamatele pressioni, sono ricatti. Non parlate di separazione di poteri, al vertice dell’Unione Europea non esistono. Sto parlando, ovviamente, del trattamento che “l’Europa” sta riservando alla Grecia. Quando la Banca centrale europea annuncia che non accetterà più i titoli pubblici greci a garanzia dei prestiti bancari, compie un gesto politico, dalla forza dirompente, paragonabile a un atto militare. Di fatto priva le banche di liquidità, ed è come se si riducesse l’ossigeno a un paziente reduce da una lunga malattia. Gli spin doctor della Bce hanno presentato la decisione alla stregua di “pressioni” sul governo greco; in realtà è una forma di ricatto, che dimostra, ancora una volta, come in questa Europa la democrazia sia più formale che sostanziale e come la volontà popolare non abbia possibilità di affermazione non appena contrasta con gli interessi e i piani delle élite europee. Fuor di metafora: Draghi ha messo Tsipras con le spalle al muro: se persiste sulla strada della rinegoziazione del debito, le banche greche, nel giro di poche settimane o forse di pochi giorni, si troveranno senza fondi, alcune chiuderanno, la gente assalirà, inutilmente, bancomat e sportelli, l’economia si fermerà.
A quel punto Tsipras avrà di fronte a sé due alternative: rompere definitivamente e uscire dall’euro o chinare la testa. Secondo voi come finirà? L’effetto, se questo scenario dovesse realizzarsi, sarebbe disastroso per la nostra democrazia: dimostrerebbe che i vari Syriza, Podemos, eccetera non hanno alcuna possibilità di realizzare le proprie promesse elettorali e che ai popoli europei non resta in realtà che una scelta: applicare i diktat della Troika con un premier di centrosinistra o applicare i diktat della Troika con un premier di centrodestra. Cambia l’etichetta, non la sostanza. Nell’Europa di oggi, chi controlla la moneta, ovvero l’euro, di fatto rappresenta il potere più forte, condizionante in quanto ostativo, di tutte le istituzioni nazionali ed europee. Un potere che è assoluto. A chi risponde la Bce? A nessuno. Qual è il contropotere della Bce? Non esiste. Chi può giudicare la Bce? Nessun tribunale, la Banca centrale beneficia di fatto di un’immunità assoluta. Ma, vien da pensare, concetti che pensavamo sacri come la tripartizione dei poteri, la sovranità popolare? Spariti in un colpo.
Non contano più, perché con la pretesa di proteggere la banca dalle interferenze dei politici, si è di fatto creato un feudo senza precedenti che ha potere di vita, di sofferenza (tanta sofferenza) e di morte su tutti i cittadini europei. Con la consueta dose di ipocrisia: all’indomani del voto in Grecia il presidente della Bce Mario Draghi, della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, del Consiglio Donald Tusk e dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem si sono riuniti per esaminare la situazione e coordinare la risposta. Scusate, sarò un po’ tonto: ma se la Banca centrale europea deve essere immune dall’influenza dei politici, perché deve coordinarsi con istituzioni politiche? Draghi non dovrebbe immischiarsi di questioni politiche e men che meno partecipare a decisioni che, in una vera democrazia, spetterebbero ai rappresentanti del popolo. E invece l’indipendenza vale solo verso i politici nazionali, non ai vertici dell’Unione Europea e non solo perché essi non hanno piena legittimità popolare. I leader politici, economici, monetari dell’Unione Europea condividono un disegno, un progetto, un metodo di gestione del potere. A quei livelli le barriere non contano. Bisogna mantenere la rotta. E dimostrare a tutti i cittadini europei che il destino è segnato.
(Marcello Foa, “Grecia e Bce, avete capito o no chi governa davvero?”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 7 febbraio 2015).
Tratto da: libreidee.org





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Da dove viene il debito greco

Pubblicato su 13 Febbraio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in ECONOMIA, EUROPA
di Eric Toussaint

Il debito pubblico greco è stato in primo piano sulla scena pubblica nel momento in cui i dirigenti di questo paese hanno accettato la cura di austerità richiesta dal Fmi e dall'Ue, che ha provocato lotte sociali molto importanti durante tutto il 2010 . Ma da dove viene il debito greco? Dal lato del debito in carico al settore privato l'aumento è recente: un primo balzo avviene subito dopo l'entrata della Grecia nella zona euro, nel 2001 mentre una seconda esplosione del debito si produce a partire dal 2007 quando gli aiuti finanziari concessi alle banche dalla Federal Reserve negli Stati Uniti, dai governi europei e dalla Banca centrale europea (Bce) viene in parte riciclato dai banchieri in direzione della Grecia e di altri paesi come la Spagna e il Portogallo.
Dal lato dell'indebitamento pubblico, invece, la crescita è più antica. Dopo il debito ereditato dalla dittatura dei colonnelli, il ricorso al prestito è servito dagli anni 90 in poi a riempire il buco creato nelle finanze pubbliche dalla riduzione delle imposte sulle società e sui redditi più elevati. Peraltro, da diversi decenni, i numerosi prestiti hanno permesso di finanziare l'acquisto di materiale militare principalmente da Francia, Germania e Stati Uniti. Inoltre, non bisogna dimenticare nemmeno l'indebitamento dei poteri pubblici per l'organizzazione dei Giochi olimpici nel 2004. L'ingranaggio del debito è stato oliato con consistenti mazzette da parte delle grandi compagnie transnazionali con lo scopo di ottenere dei contratti: Siemens è un esempio emblematico (...)

Elementi evidenti di illegittimità del debito pubblico
Innanzitutto c'è il debito contratto dalla dittatura dei colonnelli, che è quadruplicato tra il 1967 e il 1974. Con tutta evidenza questo rientra nella definizione di debito odioso.
Andando avanti, poi, troviamo lo scandalo dei Giochi olimpici del 2004. Secondo Dave Zirin, quando il governo ha annunciato orgogliosamente nel 1997 ai cittadini greci che la Grecia avrebbe avuto l'onore di accogliere, sette anni più tardi, i Giochi olimpici, le autorità di Atene e il Comitato olimpico internazionale prevedevano una spesa di 1,3 miliardi di dollari. Qualche anno più tardi, il costo era stato moltiplicato per quattro e raggiungeva 5,3 miliardi di dollari. Appena dopo i Giochi, il costo ufficiale aveva raggiunto i 14,2 miliardi di dollari. Oggi, secondo differente fonti, il costo reale supera i 20 miliardi di dollari.

Numerosi contratti siglati tra le autorità greche e grandi imprese private straniere stanno destando scandalo da diversi anni. Quei contratti hanno comportato un aumento del debito. Citiamo diversi esempi che hanno scandito le cronache greche:
- diversi contratti sono stati firmati con la multinazionale Siemens accusata - sia dalla giustizia tedesca che da quella greca - di aver versato commissioni e mazzette al personale politico, militare e amministrativo greco per un valore complessivo che si avvicina al miliardo di euro. I principali dirigenti della Siemens-Hellas , che ha riconosciuto di aver "finanziato" i due grandi partiti greci, è fuggita nel 2010 in Germania e la giustizia tedesca ha rigettato la richiesta di estradizione avanzata dalla Grecia. Gli scandali includono la vendita, fatta da Siemens e dalle sue associate internazionali, del sistema antimissile Patriot (1999, 10 milioni di euro in mazzette), la digitalizzazione dei centri telefonici dell'Ote, l'Organismo greco di telecomunicazioni (mazzette per 100 milioni di euro), il sistema di sicurezza "C41", acquistato in occasione dei Giochi del 2004 e che non ha mai funzionato, la vendita di materiale alle ferrovie greche (Sek), del sistema di telecomunicazioni Hermes all'esercito, dell'equipaggiamento molto costoso venduto agli ospedali; - lo scandalo dei sottomarini tedeschi (prodotti da Hdw, assorbita dalla Thyssen) per un valore globale di 5 miliardi di euro, sottomarini che avevano fin dall'inizio il piccolo difetto di pendere pericolosamente..a sinistra (!) e di essere dotati di un equipaggiamento elettronico difettoso. Un'inchiesta giudiziaria su eventuali responsabilità (corruzione) degli ex ministri della Difesa è in corso.

E' del tutto normale presumere che debiti contratti per realizzare simili contratti siano viziati da illegittimità o da illegalità. Per questo devono essere annullati. Accanto a simili casi, però, è necessario comprendere l'evoluzione recente del debito greco.

La montatura dell'indebitamento nel corso dell'ultimo decennio
Il debito del settore privato si è largamente sviluppato nel corso degli anni 2000. Le famiglie, per le quali le banche ma anche tutto il settore commerciale privato (grande distribuzione, automobile, costruzioni) proponevano condizioni allettanti, hanno fatto ricorso all'indebitamento massiccio, così come le imprese non finanziarie e le banche che potevano attingere a prestiti a basso costo (tassi di interesse bassi e inflazione più forte dei paesi più industrializzati del'Unione come Germania, Francia, Benelux o Gran Bretagna). Questo indebitamento privato è stato il motore dell'economia greca. Le sue banche (alle quali occorre aggiungere le filiali greche delle banche straniere), grazie a un euro forte, potevano estendere le loro attività internazionali e finanziare a minor costo le loro attività nazionali. Hanno fatto ricorso al prestito a tutta forza (...)

Con le enormi liquidità messe a loro disposizione dalle banche centrali nel 2007-2009, le banche dell'Europa occidentale (soprattutto le banche tedesche e francesi ma anche quelle belghe, olandesi, britanniche, luxemburghesi, irlandesi) hanno prestato massicciamente alla Grecia (al settore privato e ai poteri pubblici). Bisogna tenere in conto il fatto che l'adesione della Grecia all'euro le è valsa la fiducia dei banchieri dei paesi dell'ovest europeo, ritenendo che i grandi paesi sarebbero corsi in soccorso in caso di problemi. Non si sono invece preoccupati della capacità della Grecia a rimborsare il capitale a medio termine. I banchieri ritenevano di poter assumere rischi molto elevati. La storia ha dato loro ragione, almeno finora, la Commissione europea e, in particolare, i governi francese e tedesco hanno dato un sostegno illimitato ai banchieri privati dell'Europa occidentale. Per questo, i governi europei hanno messo le finanze pubbliche in uno stato pietoso (...) I cittadini greci hanno tutto il diritto di aspettarsi che il preso del debito sia radicalmente ridotto e questo implica che i banchieri devono essere costretti a cancellare dei crediti dai loro libri contabili.

Il comportamento odioso della Commissione europea
Dopo lo scoppio della crisi, la lobby militar-industriale appoggiata dai governi tedesco, francese e dalla Commissione europea è riuscita a ottenere che il bilancio della difesa fosse appena intaccato mentre, allo stesso tempo, il governo del Pasok (partito socialista) ha effettuato tagli alle spese sociali. Ad esempio, in piena crisi greca, all'inizio del 2010, Recep Tayyip, primo ministro della Turchia, paese che mantiene delle relazioni tese con il suo vicino greco, si è recato ad Atene e ha proposto una riduzione del 20 per cento del bilancio militare dei due paesi. Il governo greco non ha raccolto la mano che gli è stata tesa. E' stato invece messo sotto pressione dalle autorità francese e tedesca che volevano garantire le proprie esportazioni di armi. In proporzione, la Grecia spende in armamenti molto che gli altri paesi dell'Unione europea. Le spese militari rappresentano il 4 per cento del Pil contro il 2,4 della Francia, il 2,7 della Gran Bretagna, il 2 per cento del Portogallo, l'1,4 della Germania, l'1,3 della Spagna, l'1,1 del Belgio. Nel 2010 la Grecia ha acquistato dalla Francia sei fregate di guerra (2,5 miliardi di euro) e degli elicotteri da guerra (400 milioni). Dalla Germania ha acquistato 6 sottomarini per 5 miliardi di euro. La Grecia è stata uno dei cinque più importanti importatori di armi in Europa tra il 2005 e il 2009. L'acquisto di aerei da combattimento rappresenta, da solo, il 38 per cento del volume delle sue importazioni, in particolare con l'acquisto di 26 F-16 (Stati Uniti) e di 25 Mirages 2000 (Francia), quest'ultimo contratto dal valore di 1,6 miliardi di euro. La lista dell'equipaggiamento francese venduto alla Grecia non si ferma qui: ci sono anche veicoli blindati (70 Vbl), elicottoeri NH90, missili Mica, Exocet, Scalp, e droni Sperwer. Gli acquisti della Grecia ne hanno fatto il terzo cliente dell'industria della difesa francese nel corso del decennio trascorso.

A partire dal 2010, i tassi di interesse sempre più elevati, imposti dai banchieri e dagli altri attori dei mercati finanziari con l'appoggio della Commissione europea e del Fmi, hanno prodotto un classico effetto "palla di neve": il debito greco prosegue una curva al rialzo poiché le autorità ricorrono al prestito per rimborsare gli interessi (e una frazione del capitale precedentemente preso in prestito). I prestiti concessi a partire dal 2010 alla Grecia dai paesi membri dell'Unione europea e dal Fmi non puntano affatto a soddisfare gli interessi della popolazione, al contrario i piani di austerità messi in atto comportano molteplici attacchi ai diritti sociali. E' a questo titolo che la nozione di "debito illegittimo" dovrebbe essere loro applicata e contestato il loro rimborso (...)

Tratto da:http://www.globalist.it




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“L’UE È UN DRAMMATICO FALLIMENTO. GERMANIA HA VIOLATO PATTO”
Pubblicato su 13 Febbraio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in ECONOMIA
Il Professore F.W. Mitchell descrive l’euro e l’Europa come un drammatico fallimento e accusa la Germania di essere stato il primo paese ad aver violato il patto di Stabilità per sopperire alle proprie difficoltà.

Tratto da: L'Euroscettico - Quello che nessuno ti dice sull'Europa e sull'Euro






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Europa, la democrazia è finita: Draghi lo ricorda a Tsipras

Pubblicato su 13 Febbraio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in POLITICA
Non chiamatele pressioni, sono ricatti. Non parlate di separazione di poteri, al vertice dell’Unione Europea non esistono. Sto parlando, ovviamente, del trattamento che “l’Europa” sta riservando alla Grecia. Quando la Banca centrale europea annuncia che non accetterà più i titoli pubblici greci a garanzia dei prestiti bancari, compie un gesto politico, dalla forza dirompente, paragonabile a un atto militare. Di fatto priva le banche di liquidità, ed è come se si riducesse l’ossigeno a un paziente reduce da una lunga malattia. Gli spin doctor della Bce hanno presentato la decisione alla stregua di “pressioni” sul governo greco; in realtà è una forma di ricatto, che dimostra, ancora una volta, come in questa Europa la democrazia sia più formale che sostanziale e come la volontà popolare non abbia possibilità di affermazione non appena contrasta con gli interessi e i piani delle élite europee. Fuor di metafora: Draghi ha messo Tsipras con le spalle al muro: se persiste sulla strada della rinegoziazione del debito, le banche greche, nel giro di poche settimane o forse di pochi giorni, si troveranno senza fondi, alcune chiuderanno, la gente assalirà, inutilmente, bancomat e sportelli, l’economia si fermerà.
A quel punto Tsipras avrà di fronte a sé due alternative: rompere definitivamente e uscire dall’euro o chinare la testa. Secondo voi come finirà? L’effetto, se questo scenario dovesse realizzarsi, sarebbe disastroso per la nostra democrazia: dimostrerebbe che i vari Syriza, Podemos, eccetera non hanno alcuna possibilità di realizzare le proprie promesse elettorali e che ai popoli europei non resta in realtà che una scelta: applicare i diktat della Troika con un premier di centrosinistra o applicare i diktat della Troika con un premier di centrodestra. Cambia l’etichetta, non la sostanza. Nell’Europa di oggi, chi controlla la moneta, ovvero l’euro, di fatto rappresenta il potere più forte, condizionante in quanto ostativo, di tutte le istituzioni nazionali ed europee. Un potere che è assoluto. A chi risponde la Bce? A nessuno. Qual è il contropotere della Bce? Non esiste. Chi può giudicare la Bce? Nessun tribunale, la Banca centrale beneficia di fatto di un’immunità assoluta. Ma, vien da pensare, concetti che pensavamo sacri come la tripartizione dei poteri, la sovranità popolare? Spariti in un colpo.
Non contano più, perché con la pretesa di proteggere la banca dalle interferenze dei politici, si è di fatto creato un feudo senza precedenti che ha potere di vita, di sofferenza (tanta sofferenza) e di morte su tutti i cittadini europei. Con la consueta dose di ipocrisia: all’indomani del voto in Grecia il presidente della Bce Mario Draghi, della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, del Consiglio Donald Tusk e dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem si sono riuniti per esaminare la situazione e coordinare la risposta. Scusate, sarò un po’ tonto: ma se la Banca centrale europea deve essere immune dall’influenza dei politici, perché deve coordinarsi con istituzioni politiche? Draghi non dovrebbe immischiarsi di questioni politiche e men che meno partecipare a decisioni che, in una vera democrazia, spetterebbero ai rappresentanti del popolo. E invece l’indipendenza vale solo verso i politici nazionali, non ai vertici dell’Unione Europea e non solo perché essi non hanno piena legittimità popolare. I leader politici, economici, monetari dell’Unione Europea condividono un disegno, un progetto, un metodo di gestione del potere. A quei livelli le barriere non contano. Bisogna mantenere la rotta. E dimostrare a tutti i cittadini europei che il destino è segnato.
(Marcello Foa, “Grecia e Bce, avete capito o no chi governa davvero?”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 7 febbraio 2015).
Tratto da: libreidee.org





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Da dove viene il debito greco

Pubblicato su 13 Febbraio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in ECONOMIA, EUROPA
di Eric Toussaint

Il debito pubblico greco è stato in primo piano sulla scena pubblica nel momento in cui i dirigenti di questo paese hanno accettato la cura di austerità richiesta dal Fmi e dall'Ue, che ha provocato lotte sociali molto importanti durante tutto il 2010 . Ma da dove viene il debito greco? Dal lato del debito in carico al settore privato l'aumento è recente: un primo balzo avviene subito dopo l'entrata della Grecia nella zona euro, nel 2001 mentre una seconda esplosione del debito si produce a partire dal 2007 quando gli aiuti finanziari concessi alle banche dalla Federal Reserve negli Stati Uniti, dai governi europei e dalla Banca centrale europea (Bce) viene in parte riciclato dai banchieri in direzione della Grecia e di altri paesi come la Spagna e il Portogallo.
Dal lato dell'indebitamento pubblico, invece, la crescita è più antica. Dopo il debito ereditato dalla dittatura dei colonnelli, il ricorso al prestito è servito dagli anni 90 in poi a riempire il buco creato nelle finanze pubbliche dalla riduzione delle imposte sulle società e sui redditi più elevati. Peraltro, da diversi decenni, i numerosi prestiti hanno permesso di finanziare l'acquisto di materiale militare principalmente da Francia, Germania e Stati Uniti. Inoltre, non bisogna dimenticare nemmeno l'indebitamento dei poteri pubblici per l'organizzazione dei Giochi olimpici nel 2004. L'ingranaggio del debito è stato oliato con consistenti mazzette da parte delle grandi compagnie transnazionali con lo scopo di ottenere dei contratti: Siemens è un esempio emblematico (...)

Elementi evidenti di illegittimità del debito pubblico
Innanzitutto c'è il debito contratto dalla dittatura dei colonnelli, che è quadruplicato tra il 1967 e il 1974. Con tutta evidenza questo rientra nella definizione di debito odioso.
Andando avanti, poi, troviamo lo scandalo dei Giochi olimpici del 2004. Secondo Dave Zirin, quando il governo ha annunciato orgogliosamente nel 1997 ai cittadini greci che la Grecia avrebbe avuto l'onore di accogliere, sette anni più tardi, i Giochi olimpici, le autorità di Atene e il Comitato olimpico internazionale prevedevano una spesa di 1,3 miliardi di dollari. Qualche anno più tardi, il costo era stato moltiplicato per quattro e raggiungeva 5,3 miliardi di dollari. Appena dopo i Giochi, il costo ufficiale aveva raggiunto i 14,2 miliardi di dollari. Oggi, secondo differente fonti, il costo reale supera i 20 miliardi di dollari.

Numerosi contratti siglati tra le autorità greche e grandi imprese private straniere stanno destando scandalo da diversi anni. Quei contratti hanno comportato un aumento del debito. Citiamo diversi esempi che hanno scandito le cronache greche:
- diversi contratti sono stati firmati con la multinazionale Siemens accusata - sia dalla giustizia tedesca che da quella greca - di aver versato commissioni e mazzette al personale politico, militare e amministrativo greco per un valore complessivo che si avvicina al miliardo di euro. I principali dirigenti della Siemens-Hellas , che ha riconosciuto di aver "finanziato" i due grandi partiti greci, è fuggita nel 2010 in Germania e la giustizia tedesca ha rigettato la richiesta di estradizione avanzata dalla Grecia. Gli scandali includono la vendita, fatta da Siemens e dalle sue associate internazionali, del sistema antimissile Patriot (1999, 10 milioni di euro in mazzette), la digitalizzazione dei centri telefonici dell'Ote, l'Organismo greco di telecomunicazioni (mazzette per 100 milioni di euro), il sistema di sicurezza "C41", acquistato in occasione dei Giochi del 2004 e che non ha mai funzionato, la vendita di materiale alle ferrovie greche (Sek), del sistema di telecomunicazioni Hermes all'esercito, dell'equipaggiamento molto costoso venduto agli ospedali; - lo scandalo dei sottomarini tedeschi (prodotti da Hdw, assorbita dalla Thyssen) per un valore globale di 5 miliardi di euro, sottomarini che avevano fin dall'inizio il piccolo difetto di pendere pericolosamente..a sinistra (!) e di essere dotati di un equipaggiamento elettronico difettoso. Un'inchiesta giudiziaria su eventuali responsabilità (corruzione) degli ex ministri della Difesa è in corso.

E' del tutto normale presumere che debiti contratti per realizzare simili contratti siano viziati da illegittimità o da illegalità. Per questo devono essere annullati. Accanto a simili casi, però, è necessario comprendere l'evoluzione recente del debito greco.

La montatura dell'indebitamento nel corso dell'ultimo decennio
Il debito del settore privato si è largamente sviluppato nel corso degli anni 2000. Le famiglie, per le quali le banche ma anche tutto il settore commerciale privato (grande distribuzione, automobile, costruzioni) proponevano condizioni allettanti, hanno fatto ricorso all'indebitamento massiccio, così come le imprese non finanziarie e le banche che potevano attingere a prestiti a basso costo (tassi di interesse bassi e inflazione più forte dei paesi più industrializzati del'Unione come Germania, Francia, Benelux o Gran Bretagna). Questo indebitamento privato è stato il motore dell'economia greca. Le sue banche (alle quali occorre aggiungere le filiali greche delle banche straniere), grazie a un euro forte, potevano estendere le loro attività internazionali e finanziare a minor costo le loro attività nazionali. Hanno fatto ricorso al prestito a tutta forza (...)

Con le enormi liquidità messe a loro disposizione dalle banche centrali nel 2007-2009, le banche dell'Europa occidentale (soprattutto le banche tedesche e francesi ma anche quelle belghe, olandesi, britanniche, luxemburghesi, irlandesi) hanno prestato massicciamente alla Grecia (al settore privato e ai poteri pubblici). Bisogna tenere in conto il fatto che l'adesione della Grecia all'euro le è valsa la fiducia dei banchieri dei paesi dell'ovest europeo, ritenendo che i grandi paesi sarebbero corsi in soccorso in caso di problemi. Non si sono invece preoccupati della capacità della Grecia a rimborsare il capitale a medio termine. I banchieri ritenevano di poter assumere rischi molto elevati. La storia ha dato loro ragione, almeno finora, la Commissione europea e, in particolare, i governi francese e tedesco hanno dato un sostegno illimitato ai banchieri privati dell'Europa occidentale. Per questo, i governi europei hanno messo le finanze pubbliche in uno stato pietoso (...) I cittadini greci hanno tutto il diritto di aspettarsi che il preso del debito sia radicalmente ridotto e questo implica che i banchieri devono essere costretti a cancellare dei crediti dai loro libri contabili.

Il comportamento odioso della Commissione europea
Dopo lo scoppio della crisi, la lobby militar-industriale appoggiata dai governi tedesco, francese e dalla Commissione europea è riuscita a ottenere che il bilancio della difesa fosse appena intaccato mentre, allo stesso tempo, il governo del Pasok (partito socialista) ha effettuato tagli alle spese sociali. Ad esempio, in piena crisi greca, all'inizio del 2010, Recep Tayyip, primo ministro della Turchia, paese che mantiene delle relazioni tese con il suo vicino greco, si è recato ad Atene e ha proposto una riduzione del 20 per cento del bilancio militare dei due paesi. Il governo greco non ha raccolto la mano che gli è stata tesa. E' stato invece messo sotto pressione dalle autorità francese e tedesca che volevano garantire le proprie esportazioni di armi. In proporzione, la Grecia spende in armamenti molto che gli altri paesi dell'Unione europea. Le spese militari rappresentano il 4 per cento del Pil contro il 2,4 della Francia, il 2,7 della Gran Bretagna, il 2 per cento del Portogallo, l'1,4 della Germania, l'1,3 della Spagna, l'1,1 del Belgio. Nel 2010 la Grecia ha acquistato dalla Francia sei fregate di guerra (2,5 miliardi di euro) e degli elicotteri da guerra (400 milioni). Dalla Germania ha acquistato 6 sottomarini per 5 miliardi di euro. La Grecia è stata uno dei cinque più importanti importatori di armi in Europa tra il 2005 e il 2009. L'acquisto di aerei da combattimento rappresenta, da solo, il 38 per cento del volume delle sue importazioni, in particolare con l'acquisto di 26 F-16 (Stati Uniti) e di 25 Mirages 2000 (Francia), quest'ultimo contratto dal valore di 1,6 miliardi di euro. La lista dell'equipaggiamento francese venduto alla Grecia non si ferma qui: ci sono anche veicoli blindati (70 Vbl), elicottoeri NH90, missili Mica, Exocet, Scalp, e droni Sperwer. Gli acquisti della Grecia ne hanno fatto il terzo cliente dell'industria della difesa francese nel corso del decennio trascorso.

A partire dal 2010, i tassi di interesse sempre più elevati, imposti dai banchieri e dagli altri attori dei mercati finanziari con l'appoggio della Commissione europea e del Fmi, hanno prodotto un classico effetto "palla di neve": il debito greco prosegue una curva al rialzo poiché le autorità ricorrono al prestito per rimborsare gli interessi (e una frazione del capitale precedentemente preso in prestito). I prestiti concessi a partire dal 2010 alla Grecia dai paesi membri dell'Unione europea e dal Fmi non puntano affatto a soddisfare gli interessi della popolazione, al contrario i piani di austerità messi in atto comportano molteplici attacchi ai diritti sociali. E' a questo titolo che la nozione di "debito illegittimo" dovrebbe essere loro applicata e contestato il loro rimborso (...)

Tratto da:http://www.globalist.it




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