BAD BANK, WELFARE BANCARIO, SUPPLY SIDE, E "€FFETTI A CAT€NA" SUL CONTROLLO NAZIONALE DELL'ECONOMIA
1. Nelle sfere della nostra politica economica €uro-vincolata, - definirla "sovrana" e conforme a Costituzione sarebbe francamente eccessivo e, a quanto pare, non è nemmeno più chiaro alla stessa Corte Costituzionale (ma ci torneremo)-, è quella di creare una c.d. bad bank in cui far confluire le "sofferenze" bancarie, liberando da esse i bilanci del nostro sistema creditizio.
La cosa è molto più seria e ufficiale di un mero rimestare di rumors.
Infatti, negli ultimi gioni, un giornale che più "embedded" non si può, ci riporta in questo modo i termini della questione:
"Renzi ovviamente spera in una ripartenza forte del sistema-Paese. E infatti non perde occasione per iniettare robuste dosi di ottimismo della volontà, come ha fatto anche due giorni fa, chiudendo a Milano la kermesse sull’Expo ed elencando tutti i fattori che nelle ultime settimane stanno creando i presupposti di una svolta: cambio euro-dollaro, costo del petrolio, maggiori opportunità nelle regole europee, jobs act, segnali nella produzione industriale.
Ma Renzi stesso e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan hanno capito che quei segmenti non bastano. Spostano decimali, non punti pieni di Pil. E dunque urge un catalizzatore-moltiplicatore di quei segnali. E lo hanno individuato in un provvedimento battezzato “Bad bank di sistema”, in sostanza una leggina che consenta alle banche la radicale cancellazione dei crediti palesemente deteriorati, oramai inesigibili. Un fardello sul portafoglio prestiti, già oggi enorme, (ammonta a 181 miliardi di euro) e che continua a paralizzare la propensione ad erogare nuovi prestiti. Di fatto ingolfando le potenzialità di ripresa.
La settimana scorsa Padoan è andato a Bruxelles per verificare se una legge di quel tipo, potesse essere interpretata come un aiuto di Stato mascherato e perciò vietato. Missione delicata. Il ministro ha interpellato il commissario agli Affari economici, il francese Pierre Moscovici; il vicepresidente della Commissione europea con delega all’Euro, il lettone Valdis Dombrovskis e il commissario alla Concorrenza, la danese Margrethe Vestager. La “notizia” è questa: i tre commissari, sia pure con alcune perplessità, non hanno opposto pregiudiziali.
Ora il provvedimento sulla bad bank è nei “cantieri” del ministero dell’Economia, come ammette Padoan: «Ci stiamo lavorando».
Ma soprattutto due giorni fa, intervenendo al congresso della Assiom Forex, è stato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Viscoa dare la sua autorevole e a questo punto decisiva benedizione all’operazione “Bad bank”. Definendola «cruciale». Auspicando un «coinvolgimento delle banche nei costi dell’operazione», ma anche la «garanzia di remunerazioni adeguate» al sostegno pubblico. In altre parole, lo Stato aiuta le banche a liberarsi dei propri fardelli ma chiede la restituzione di quei prestiti.
Una soluzione che eluderebbe l’accusa di «aiuto di Stato» e soprattutto - e su questo Renzi è sensibile - sgonfierebbe le contestazioni sull’ennesimo “regalo” alle banche. Il provvedimento richiederà ancora qualche settimana ma sugli effetti di sistema che avrebbe, il viceministro Enrico Morando, l’unico politico all’Economia, non ha dubbi: «E’ vero il premier non ha messo le fanfare nell’annunciare la svolta e fa bene, perché sa che per avere più posti di lavoro, serve un’impresa più forte. In un sistema bancocentrico come il nostro, ripresa vera ci sarà quando si potrà riaprire il rubinetto del credito. Poiché l’eccesso di sofferenze non è risolto dal pur fondamentale Qe della Bce, i segnali di ripresa diventeranno certezze, proprio quando il provvedimento della “Bad bank” dispiegherà i suoi effetti»."
2. Come vedete, da parte dell'intero establishment politico-finanziario pubblico, si propone la cosa come promozionale della crescita e, addirittura, "fondamentale", escludendosi in partenza che possa essere "l'ennesimo regalo" alle banche.
Una cosa però salta agli ochhi, di qualunque attento e ragionevole lettore: si tratta di una misura sul lato dell'offerta, cioè di agevolazione della "industria bancaria", cosa che non è affatto esclusa dall'evitare - negoziando sul filo di impentrabili criteri tecno-€uropei, normalmente usati con larghe disparità di trattamento tra Paesi membri- che sia considerato un "aiuto di Stato".
Dunque una misura supply side, la cui utilità potremmo comprendere solo se avessimo un quadro di tutte le effettive criticità dell'intero settore del credito, cioè delle difficoltà che esso oppone alla ripresa considerando sia la domanda che l'offerta relative.
Solo appurando che il problema del credito privato alle imprese sia risolvibile con un intervento sul solo lato dell'offerta, le enunciazioni dei Visco, Padoan e...Morando potrebbero considerarsi "attendibili" e correlabili alla finalità della effettiva crescita (aspetto che il sullodato giornalone non esamina minimamente).
3. Per verificare ciò, ricorriamo a un paper Bankitalia, scritto in tempi "non sospetti" (2010), quando cioè non era ancora (del tutto) cominciata la "grande mattanza" della correzione (estiva di Tremonti e invernale di Monti) dello squilibrio delle nostre partite correnti, mediante la violenta accelerazione di un'austerità (già in corso), mirata alla compressione dei consumi interni.
Cosa che, sebbene occultata nelle pieghe dei discorsi sull'austerità espansiva (oggi un "pochino fuori moda"), fu alla fine esplicitata proprio da Monti ("stiamo distruggendo la domanda interna"), non senza omettere, però, che la domanda interna riguarda anche gli INVESTIMENTI, non solo i consumi. E se riguarda gli investimenti, la "distruzione" si risolve in DEINDUSTRIALIZZAZIONE, che STRUTTURA LA DISOCCUPAZIONE.
Allora:
- è verosimile che la "bad bank di sistema" cioè capitalizzata e/o garantita da risorse pubbliche, che graverebbero come deficit e debito aggiuntivo sulla tasche dei cittadini (esigendo l'ovvia copertura in "pareggio di bilancio"), possa controbilanciare, QUALE ESCLUSIVA MISURA SUPPLY SIDE, la "distruzione della domanda interna", ancora in corso e causata delle immutate politiche di bilancio perseguite in direzione del pareggio di bilancio strutturale, "appena appena" mitigato dalla simulata flessibilità propinata dalla Commissione UE?
Vediamo cosa dice sul punto, in termini riassuntivi, lo stesso paper Bankitalia (non sappia la mano destra di Visco, all'Assiom Forex, cosa fa la sua mano sinistra, Ufficio studi):
"aprile 2010
"Il lavoro esamina l'evoluzione del credito bancario in Italia durante la crisi finanziaria, al fine di valutare il contributo di domanda e offerta alla dinamica dei prestiti.
L'analisi indica come motivazione prevalente della decelerazione dei prestiti il calo della domanda dovuto principalmente, per le famiglie, alla debolezza del mercato immobiliare e alla caduta dei consumi; per le imprese, al minor fabbisogno finanziario, a sua volta legato alla netta contrazione degli investimenti.
Gli indicatori congiunturali del mercato del credito e i risultati di studi empirici segnalano che a frenare la dinamica dei prestiti avrebbero contribuito tensioni dal lato dell'offerta dovute soprattutto all'aumento della rischiosità dei prenditori, oltre che all'impatto che la crisi ha avuto, specialmente in una prima fase, sulla condizione patrimoniale e di liquidità delle banche, sulla loro capacità di accedere ai finanziamenti esterni. Analisi econometriche avvalorano tali indicazioni, suggerendo che la decelerazione del credito riconducibile alle condizioni delle banche sarebbe di entità contenuta.
Le tensioni nell'offerta di credito potrebbero proseguire nei prossimi mesi.
A limitare i rischi (cioè, problema dell'offerta ndr.) di una carenza di finanziamenti contribuisce in primo luogo la ripresa dell'economia reale e il conseguente calo del rischio di insolvenza della clientela bancaria. Concorrono i numerosi interventi effettuati dalle Autorità dall'avvio della crisi al fine di sostenere finanziariamente le imprese (...?), migliorandone il merito di credito, e di rafforzare la condizione patrimoniale e di liquidità delle banche."
4. Allora, qualche certezza, acquisita da un'analisi tanto più significativa perchè basata su fattori che, lungi dall'attenuarsi, si sono invece poi acuiti, sia sul lato della domanda che dell'offerta del credito, la abbiamo:
A) la motivazione prevalente della decelerazione dei prestiti è il CALO DELLA DOMANDA relativa, dovuto alla debolezza del mercato immobiliare e alla caduta dei consumi che porta, infatti, alla "netta contrazione degli investimenti" (se si deprimono prezzi immobiliari).
E abbiamo visto, - Monti (ma non solo) expressis verbis-, che tale MOTIVAZIONE PREVALENTE non può che essersi drammaticamente accentuata, dal 2010. Cioè, in pratica, non può che essere diventata ANCOR PIU' PREVALENTE.
Lo possiamo ben vedere qui:
E corre l'obbligo di aggiungere che ancora nel 2014, secondo l'ISTAT, gli investimenti sono ulteriormente calati di 2,3 punti di PIL.
Questa poi è la situazione della ulteriore ed aggravata debolezza del mercato immobiliare, problema di DOMANDA del credito sicuramente accentuato dalla tassazione patrimoniale sul settore, nel frattempo inasprita e moltiplicata nei titoli di imposizione, in concomitanza con aumento della disoccupazione e connesso calo dei redditi:
B) è peraltro vero che la "decelerazione del credito riconducibile alle condizioni delle banche" (cioè alle loro difficoltà di bilancio) non si è poi consolidata nella "entità contenuta" che si profilava nell'aprile del 2010.
Questo per il semplice fatto che - a seguito dell'austerità fiscale imposta dall'€uropa, e culminata nella ratifica "costituzionalizzata" del fiscal compact-pareggio di bilancio-, sebbene la "condizione patrimoniale delle banche" sia stata aiutata dal rifornimento di liquidità (e dal carry trade con relative plusvalenze) dei vari LTRO della BCE, l'altra componente decisiva, quella della limitazione del credito dovuta alla "RISCHIOSITA' DEI PRENDITORI", si è naturalmente accentuata e non attenuata.
Tant'è vero che le sofferenze sono praticamente più che raddoppiate tra il primo semestre 2010 e il momento attuale:
Sofferenze bancarie Italia -
Fonte: elaborazione su dati Bankitalia
Fonte: elaborazione su dati Banca d’Italia
Fonte: elaborazione su dati Banca d’Italia
5. Riassumendo: la "rischiosità dei prenditori", - legata a euro-politiche fermamente e intensamente perseguite, per ottemperare alla correzione degli squilibri interna all'UEM, e che comporta un calo della domanda interna che determina livelli decrescenti di consumi che rendono, nell'economia reale, non conveniente ogni prospettiva di investimento (quanto meno sull'offerta diretta al mercato interno), - non può che essersi accentuata.
Detto "profilo di merito del credito", risulta pertanto essere un fattore di contrazione dell'offerta che trova il suo principale motivo sul lato della domanda: cioè nell'economia reale che è più che mai impantanata, "quanto alle famiglie, nella debolezza del mercato immobiliare e nella caduta dei consumi; per le imprese, nel minor fabbisogno finanziario, a sua volta legato alla netta contrazione degli investimenti."
Sorge spontanea allora una ulteriore domanda:
- che correlazione, in termini di soluzione efficace, avrebbe una bad bank di sistema, che risolvesse SOLO UNA PARTE del problema del (solo) lato dell'offerta creditizia?
Cioè che risolvesse esclusivamente quello della "condizione patrimoniale" delle banche, (in quanto troppo cariche di crediti inesigibili), non potendo, per definizione, ciò influire nè sulla "rischiosità dei prenditori", nè sul connesso e PREVALENTE (secondo Bankitalia in tempi non sospetti) problema della domanda dello stesso credito?
Cioè cosa potrebbe far pensare che solo perchè le banche si ritrovano in condizioni patrimoniali meno "difficili" (cioè con attivi ripuliti e più "veritieri") ciò risolverebbe il problema del:
a) calo dei consumi (legato all'aumento della disoccupazione ed alla connessa diminuzione dei redditi);
b) calo delle quotazioni immobiliari (minacciato, nonostante qualche recente segnale, anche dalla prospettiva di aumento delle rendite catastali, tra l'altro fortemente consigliato dall'Europa);
c) caduta strutturale e difficilmente reversibile della propensione agli investimenti (quantomeno quelli "lordi" delle imprese NON prevalentemente esportatrici)?
6. Ecco allora che ci pare palesemente irragionevole ed imprudente iniziare, media in testa, a raccontare agli italiani che "per avere più posti di lavoro, serve un’impresa più forte. In un sistema bancocentrico come il nostro, ripresa vera ci sarà quando si potrà riaprire il rubinetto del credito"
Questo semplicemente perchè ripulire i bilanci delle banche non rimuove le cause prevalenti (secondo la stessa Bankitalia!) che rendono debole la domanda interna e bloccano le esigenze di finanziamento delle imprese e di acquisto immobiliare delle famiglie: cioè le cause che agiscono determinando, nella migliore delle ipotesi, un blocco degli investimenti e, nella peggiore, finora pesantemente realizzati, la vera e propria caduta degli stessi.
E poi l'operazione che si vorrebbe compiere, e che Padoan conferma essere allo studio, ha alcune soluzioni alle quali non si può sfuggire.
Comunque la si voglia attuare, l'operazione bad bank, con la garanzia pubblica, implica che allo Stato prestatore si trasferisca, in termini di mancata realizzazione dei crediti in sofferenza nella pur ridotta misura "scontata" (in ipotesi), un rischio di perdite che provocherebbe un ULTERIORE BUCO DI BILANCIO E L'ESIGENZA DI UNA MANOVRA DI TASSE E TAGLI DELLA SPESA PER POTERLO COPRIRE.
7. E questo alto rischio di perdite=>indebitamento pubblico (da sofferenza bancaria, ributtata sulle pelle dei contribuenti e utenti dei servizi pubblici, come sanità e pensioni, per dire), potrebbe persino realizzarsi in un modo che assomiglia a questo, riportato da Dagospia (e tratto da "Libero"):
"L’idea è allo studio del governo da un paio di mesi e ora siamo alle battute finali.
Il progetto non ha ancora preso la forma finale, ma la sostanza è questa: nasce un nuovo soggetto a cui partecipa lo Stato nel quale confluiscono, appunto, le sofferenze.
Per gli istituti il vantaggio è enorme: dalla sera alla mattina incasseranno denaro fresco e soprattutto sicuro, a fronte di crediti «dubbi», difficilmente monetizzabili. Un alleggerimento dei conti che - ecco la spinta alla ripresa - si potrebbe tradurre in una maggiore capacità di erogare nuovi prestiti, magari sfruttando quella liquidità in arrivo, da marzo, con il bazooka della Banca centrale europea.
Gli esperti delle super società di consulenza definirebbero l’operazione «win-win»: vincente per tutti. Senza dubbio la questione delle sofferenze va affrontata a livello «sistemico» perché per l’industria bancaria la zavorra dei finanziamenti non ripagati è ormai insostenibile e i nuovi prestiti, nonostante un lieve miglioramento a fine 2014, sono una chimèra.
Eppure non mancano i rischi; e le zone d’ombra, legate proprio al ruolo di un soggetto pubblico, non sono poche. I rischi derivano dalle concrete probabilità che lo Stato riesca a recuperare dalle imprese quei soldi che per le banche sono di fatto una perdita secca o quasi...
...L’attività di recupero crediti, del resto, con l’onda lunga della crisi, equivale grosso modo al gioco d’azzardo: ti siedi al tavolo verde e la possibilità che ti alzi senza quattrini in mano è altissima. E se lo Stato perde, bisogna metterci una pezza con una manovra: nuove tasse o tagli alla spesa.
Al momento esistono tre o quattro ipotesi diverse, come confermato ieri da fonti del Tesoro. In linea di massima, sembra scontata la partecipazione della Banca d’Italia oltre che della Cassa depositi e prestiti, anche se a via Nazionale le perplessità non sono poche e i tecnici stanno analizzando l’esperienza tedesca di Commerzbank.
A via Venti Settembre si ragiona attorno a una realtà oggi controllata da banca Intesa, Sga, società di gestione dell’attivo nata nel 1997 per salvare il banco di Napoli, che il Tesoro acquisterebbe per 600 mila euro.
Attraverso uno o più aumenti di capitale - che verrebbero sottoscritti dalle banche, dallo Stato, dalla Cdp, da Bankitalia e da eventuali investitori privati - la nuova Sga arriverebbe a un capitale da 3 miliardi.
Potrebbe così finanziare l’acquisto delle sofferenze verso le imprese superiori a una soglia minima di valore nominale di 500 mila euro, anche emettendo titoli obbligazionari assistiti da garanzia statale, da collocare sul mercato.
Per quanto riguarda l’assetto proprietario, due sono gli scenari ipotizzati: nel primo la partecipazione pubblica si fermerebbe al 49%, mentre le banche deterrebbero il 19% e il 32% andrebbe agli investitori privati; uno schema che escluderebbe la ricaduta delle passività del veicolo nel perimetro del debito pubblico.
L’altra opzione invece vedrebbe la partecipazione pubblica all’81% mentre il restante 19% andrebbe alle banche, senza la partecipazione di investitori privati. Il soggetto però ricadrebbe nel perimetro del debito pubblico.
Le zone d’ombra riguardano i divieti dell’Unione europea: l’intera operazione potrebbe essere bollata come «aiuto di Stato» e il tetto al 49% per la partecipazione pubblica potrebbe non bastare, secondo alcuni esperti. Divieti Ue a parte (magari aggirabili), Renzi sarà comunque costretto a sgonfiare le inevitabili polemiche su un palese aiutino pubblico alle banche.(Ndr.: abbiamo però visto come il "sondaggio" di Padoan presso l'€urocrazia sia, per ora, andato benino, ma non sappiamo su quale esatta soluzione proposta).
Ragion per cui l’ex sindaco di Firenze vuole evitare il passaggio parlamentare, costruendo l’intera operazione con decreti ministeriali e atti societari: niente leggi da mandare al vaglio di Camera e Senato.
Obiettivo non facile da raggiungere visto che, alla fine della giostra, l’esborso di denaro pubblico a titolo di garanzia sulle sofferenze «acquistate» dallo Stato, ci sarà. Il che implica una manovra sul bilancio pubblico perciò un provvedimento legislativo è indispensabile.
La cifra finale sarà definita sulla base della quota di rischio legata all’operazione: ballano tra i 10 e i 30 miliardi di euro. C’è poi chi punterà il dito contro il premier, snocciolando i dati di Bankitalia secondo cui, come calcolato nei mesi scorsi da alcune associazioni di categoria, la maggior parte delle sofferenze è legata ai grandi prestiti non rimborsati. Nel dettaglio, il 67% dei «crediti dubbi» si riferisce a finanziamenti superiori a 500mila euro e a 505 soggetti sono attribuibili 25 miliardi di perdite. Come dire: paghiamo gli errori dei banchieri e i soldi prestati agli amici.
La comunicazione, pertanto, sarà decisiva. In ogni caso, il governo è intenzionato a procedere rapidamente. E nelle prossime settimane la creatura bancaria statale potrebbe vedere la luce..."
8. Dunque: anche se si escludesse il "controllo pubblico" (cioè la partecipazione oltre il 49% che, in base alle regole contabili UE, escluderebbe la ricaduta delle intere perdite nel perimetro del debito pubblico), una operazione stile Commezbank, attribuirebbe, comunque di fatto, il controllo del neo-istituto, allo Stato e lo configurerebbe, senza dubbio, come una forma di welfare bancario alla tedesca: se le perdite andassero oltre il capitale versato, comunque qualcuno dovrebbe ripianarle.
E le probabilità, cioè il rischio effettivo, sono alte: si tratta di "escutere" soggetti molto forti economicamente, che probabilmente in Italia non hanno (più) una situazione patrimoniale tesa a garantire una decente "ratio" di recupero del credito.
Non conosciamo, naturalmente, il "valore" di realizzo dei crediti in sofferenza che sarebbe iscritto nel bilancio della nuova bad bank.
Se però "ballano" tra i 10 e i 30 miliardi di potenziali perdite pubbliche, vuol dire che, a seconda della partecipazione dello Stato (nelle sue varie istituzioni "capitalizzanti"), all'81 o al 49%, si può supporre che i 130 miliardi circa di sofferenze "conferite" (totalmente sarebbero oltre 160 miliardi, ma la soglia dei 400.000 ne escluderebbe la fetta rimanente), sarebbero valutate a un valore di realizzo di circa il 30%.
Infatti, questa forchetta tra i 10 e i 30 miliardi di potenziale esposizione, ha senso rispetto a partecipazioni pubbliche maggioritarie o di minoranza, (comunque, come azionista "di riferimento" anche al 49%9, che implicano "ratio" effettive di realizzo molto inferiori (tra il vicino allo ZERO e il 5-6%!).
In ogni caso: lo Stato, già nel capitalizzare sborsa una percentuale di maggioranza (assoluta o "relativa") dei 3 miliardi, - da circa 1,4 a 2,5 miliardi, - e parrebbe essere in grado di coprirli mediante asset disponibili (presso CC.DD.PP e forse Bankitalia); fin qui, se abbiamo compreso, nulla quaestio.
Si tratta di scelte di politica finanziaria pubblica, che si preferisce esercitare sul supply side di un certo settore, quello bancario, invece che su quello della domanda, cioè dell'economia reale che si intenderebbe risanare (senza attaccare le cause effettive della stessa crisi di consumi e investimenti: disoccupazione, - e nel settore edilizio ne sanno qualcosa!-, e trappola della liquidità per investimenti delle imprese. E non dimentichiamo che siamo in deflazione e che i crediti si alleggeriscono "da soli" si la domanda riprende e si reflaziona un po'...).
IN OGNI MODO SOLO LA CAPITALIZZAZIONE, SE A CONDIZIONI NON MAGGIORITARIE, SFUGGIREBBE AL CONSOLIDAMENTO IMMEDIATO ALL'INTERNO DEBITO PUBBLICO.
9. Ma non basta: la capitalizzazione sarebbe infatti un investimento pubblico ad alto rischio strutturale, nel settore bancario. Talmente alto che, a livello patrimoniale, condurrebbe a potenziali perdite oltre ogni limite di questo capitale; le perdite andrebbero ripianate, come abbiamo visto.
Ma, quel che più importa, è che l'eventuale esborso relativo, in denaro dei cittadini, NON RISOLVEREBBE IL PROBLEMA CHE HA PORTATO ALL'ACCUMULO DELLE SOFFERENZE, cioè la debolezza della domanda (consumi e investimenti), fiscalmente indotta.
La situazione, allora, non migliorerebbe, dal punto di vista dell'economia reale, e rimarrebbe intatta la sua CAPACITA' DI RIPRODURSI. Anzi, una volta che lo Stato avesse necessità di ricapitalizzare le perdite, pro-quota (e qualunque sia la propria partecipazione), le misure fiscali conseguenti non potrebbero che aggravare il calo della domanda interna!
Ma, allora, perchè questi soldi non utilizzarli direttamente per il sostegno agli investimenti delle imprese e per politiche di edilizia pubblica agevolata, che rimuoverebbero, o almeno attenuerebbero, il problema dal lato PREVALENTE - secondo la stessa bankitalia (del 2010)- della domanda del credito e della "rischiosità del prenditore"?
Il risultato, in termini di rischio accettabilmente stimato, non pare una grande soluzione. Anzi, risulta quasi del tutto irrilevante, permanendo le attuali condizioni della domanda interna ed insistendo in misure supply side.
Se poi l'€uropa, - avvedendosi che si sta verificando lo sforamento sempre più probabile del target pseudo flessibile del deficit 2015 (posto a un ben "duro" -2,65, come...concessione!)-, imponesse l'aumento (anticipato) delle rendite catastali e, con ogni probabilità, scattassero la clausole di salvaguardia contenute nella legge di stabilità, - che implicano aumenti di tributi per circa un punto di PIL alla fine del 2015 e comuque anche superiori nel 2016-, la situazione di consumi e investimenti interni, incluso il settore-chiave dell'immobiliare, diverrebbe da allarme rosso e lo scenario di recupero dei crediti incagliati, nella misura originariamente ipotizzata, una mera previsione "priva di ogni cautela" (un moral hazard, di...welfare bancario).
10. Sarà per questo che un "rumor", magari pure verosimile, buttà lì che, nel loro ultimo incontro la Merkel e Renzi avrebbero "sottobanco" concordato che all'Italia sarebbe consentito un deficit al 4,5%, per estensione analogica della (incredibile) tolleranza concessa finora ai francesi (v.P.3).
Ma qui sorgono alcune ulteriori perplessità.
Come pare nel complessivo scenario così delineato, dai segnali quasi-ufficiali mandati dal governo, quel 4,5 di deficit (clamoroso?), potrebbe essere proprio legato al welfare bancario "stile Commerzbank", implicito nell'assunzione di alto rischio delle sofferenze creditizie da parte dello Stato.
Ma ciò implica alcune conseguenze, non proprio positive:
a) si ammette fin da ora (come suggerito dal "rumor" sopra riportato sui termini dell'operazione ipotizzata al MEF) che, QE o meno, TLTRO o meno, la ripresa della domanda non può verificarsi in misura sostenuta, per lo meno in modo sufficiente a rendere il nostro sistema di famiglie e imprese, di nuovo solvibile,;
c) si accede alla tolleranza sui conti pubblici alla "francese", - forse, non è affatto detto- ma, come in quello stesso paese, la spesa pubblica aggiuntiva, così consentita, si orienterebbe a misure supply side che si preoccupano essenzialmente della "stabilità finanziario-bancaria", mentre di soldi all'economia reale per sostenere la domanda, - dal QE, dal TLTRO, dalla stessa garanzia-perdita patrimoniale dello Stato nel risanamento dei bilanci bancari-, non arriverebbe granchè;
d) ergo, se, come visto all'inizio, gli stessi ambienti governativi e dell'Istituto centrale, paventano l'insufficienza del bazooka di Draghi, della svalutazione dell'euro e del calo del pezzo del petrolio (tutti elementi che agiscono sul lato dell'offerta, tra l'altro), per rilanciare la crescita, cosa si garantisce che un "via libera" euro-merkeliano a "fare decifit", sia pure in questi termini di supply side ortodosso, non ci esponga poi a un severo ripensamento degli stessi controllori, che imponessero, attraverso cessioni di partecipazioni pubbliche accelerate, e a prezzi di svendita, oltre che attraverso un PRELIEVO FORZOSO SUI CONTI CORRENTI DEI RISPARMIATORI ITALIANI, un radicale e pronto rientro del maggior indebitamento?
11. Una prospettiva del genere, non sarebbe affatto una sorpresa. Sappiamo che se non abbiamo potuto fruire del trattamento di favore riservato alla Francia un ragione "politica fondamentale" c'è.
E sappiamo pure che la privatizzazione pro-investitori esteri dei nostri assets, nonchè la fiscalizazione d'imperio del risparmio delle famiglie, sono dei vecchi pallini tedeschi (vedere per credere...)
Nel caso che, a seguito di uno sforamento del deficit così accentuato, e comunque di qualsiasi livello dello stesso non conforme ai vincoli del fiscal compact, l'Italia non crescesse a livelli considerati rassicuranti (cosa che però presupporrebbe di fare organiche politiche sul lato della domanda), e divenissimo di nuovo il centro delle attenzioni dei mercati, (non convinti neppure dal QE di Draghi), cosa impedirebbe di realizzare, in danno dell'Italia, un processo a cascata di definitiva colonizzazione?
Già oggi, infatti, abbiamo visto come lo Stato si avvii, a seguito di operazioni di salvataggio bancario comunque rivelatesi insostenibili per i beneficiati, a divenire azionista di MPS.
L'operazione "salvataggio-bilanci", implicando una forte esposizione di gran parte del sistema bancario verso lo Stato, potrebbe in modo accelerato trasformarsi in una serie di partecipazioni pubbliche rilevanti se non maggioritarie su altri importanti istituti.
Ma poi quello stesso Stato, - così come "l'€uropa vuole" che si liberi delle partecipazioni industriali a prezzi di saldo e astretto dai creditori appartenenti agli stessi Stato concorrenti sul piano industriale-, si potrebbe trovare con elevate probabilità e sotto enormi pressioni dei "mercati" a dover pure cedere in mani estere il "core" del nostro stesso sistema bancario.
E' da auspicare che al MEF e a Bankitalia, non sottovalutino questi prevedibili "effetti a catena" che potrebbero scatenarsi ove si sopravvalutino gli effetti congiunturali ritenuti favorevoli, e si continui a sottavalutare la natura "da domanda"della crisi, che sta incontrando il nostro Paese all'interno della moneta unica.
Ma, per quanto visto finora, si tratta di una pallida speranza...
Pubblicato da
Quarantotto a
14:25 14 commenti:
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mercoledì 11 febbraio 2015
ANCORA SULLA GRECIA: A COSA MIRA DRAGHI? (can Germany really turn in a pariah?)
Facciamo un po' di "Voci dall'estero" sfruttando il link al blog di Frances Coppola offertoci da Arturo.
Frances è un'economista coi fiocchi che, come vedrete, non è solo tecnicamente sempre attenta, ma anche, rarità assoluta, conscia delle effettive regole dei trattati e della loro "ratio" nel quadro di elementari regole interpretative di buona fede. Un qualcosa che è impossibile da trovare nei vari consulenti, bancario-finanziari, italiani, specialmente se si vantano della loro "internazionalità" (con risultati controintuitivi imbarazzanti). Allora che ci dice sulla questione Draghi-Grecia-€-austerità?
"What on earth is the ECB up to?
(tradotto sarebbe come dire: "A cosa diavolo mira la BCE?". Neretto aggiunto da 48)
La BCE ha improvvisamente annunziato il ritiro della "esenzione" in base alla quale era predisposta ad accettare i bond sovrani greci come collaterale per l'erogazione della liquidità. Ciò ha creato una notevole tempesta via Twitter, con molta gente arrabbiata che diceva che
l'azione della BCE era oltre il suo mandato e eccessivamente precipitosa: avrebbe almeno dovuto aspettare che il ministro greco delle finanze, Yanis Varoufakis, incontrasse la sua controparte tedesca,
e non dovrebbe agire come se il programma di bailout fosse (già) terminato mentre i negoziati (sul punto) sono ancora in corso. Ammetto ero una di queste persone.
E rimango di questa opinione.
La BCE sta agendo ben oltre il suo mandato nel cercare di influenzare i negoziati tra membri dell'eurozona, circa i termini e le condizioni a cui gli Stati membri prestano ai loro partners più in crisi.
Non ha titolo per interferire nelle politiche fiscali: se il governo greco decide di di avere un saldo primario di 1,5 invece che del 4,5%, di alzare il salario minimo e di creare molti posti di lavoro pubblico, non sono affari della BCE.
I fallimenti delle politiche monetarie BCE sono una "legione": dovrebbe mettere ordine in casa propria, piuttosto che interferire con la gestione della politica fiscale.
E peggio, la sua insistita
interferenza nelle politiche fiscali è un chiaro conflitto di interessi, come aveva notato l'Avvocato generale della Corte europea in relazione al programma OMT.
Non dovrebbe essere affatto un membro della trojka, e
certamente non dovrebbe usare i cambiamenti di politica fiscale di un governo eletto democraticamente - persino di uno che ha ereditato un'economia in frantumi con un enorme onere del debito-
come giustificazione per limitare la liquidità di quel sistema bancario. La politica monetaria non dovrebbe essere usata per servire fini politici o fiscali. Mai.
OK,
rant over. Ora ci ho riflettuto un po' di più. I conti non tornano del tutto.
Prima di tutto c'è la scelta del momento (timing). Il governo Syriza è stato al potere per 10 giorni (ora anche più, eravamo al 5 febbraio ndr.).
Perchè aspettare fino ad ora per staccare la spina sulla "esenzione"? Potrebbe darsi che tale decisione sia stata adottata perchè c'era l'occasione della prima riunione del Consiglio dei governatori BCE..
Ma ciò non implica
affatto che fosse un problema urgente: allora, perchè la BCE lo sta facendo ora, considerato che la scadenza del bailout non si ha fino al 28 febbraio e che la Grecia ha già chiesto tempo per accordarsi su un piano alternativo?
In secondo luogo c'è il timing. (Sì, è quello che voglio dire). Varoufakis ha incontrato il capo della BCE, Mario Draghi, il 4 febbraio e il 5 il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble.
Nell'intervallo tra questi due meetings la BCE ha ritirato l'esenzione (cioè l'accesso del sistema greco alla liquidità BCE era in un regime derogatorio consentito da circostanze speciali nrd.).
Perchè?
Beh, Schäuble è apertamente ostile alle idee di Varoufakis sulla riduzione del debito e sulla fine dell'austerity, mentre Draghi era stato finora molto "tranquillo" (sebbene il suo vice,Vitor Constancio fosse stato
more forthright= franco, diretto).
Schäuble poi era senza dubbio in cerca di esplicito sostegno da parte della BCE.
Questa azione è stata intrapresa perchè il consiglio dei governatori segnalasse da che parte si stava schierando?
In terzo luogo c'è questo:
Notare la data (1° giugno 2014). Sì avete letto bene.
Più di sei mesi fa, Varoufakis aveva previsto che la BCR avrebbe tentato di ritirare i fondi alle banche greche.
Naturalmente, l'azione attuale non sta (completamente) ritirando i fondi alle banche greche, poichè queste possono ancora richiedere assets presso la BCE. Ma,
dall'11 febbraio, tutti i rifornimenti di fondi che usino qualsiasi forma di titolo sovrano greco, dovranno essere ottenuti dalla Banca centrale ellenica, nello schema della Emergency Liquidity Assistance (ELA). E quest'ultimo è sotto il controllo della BCE e rivisto ogni due settimane. La BCE può ritirarlo in qualsiasi momento.
Il commento di Varoufakis's è indubbiamente un riferimento al fatto che
il ritiro dell'ELA dal sistema bancario greco provocherebbe il suo collasso disordinato.
La BCE ha utilizzato questo trucchetto in precedenza:
minacciò di ritirare l'ELA alle banche irlandesi nel 2010, e lo fece in effetti con la Banca Laiki di Cipro e la Banca di Cipro, costringendole alla immediata chiusura e ristrutturazione. Questo secondo "pezzo" di "
politica del rischio calcolato" finì per essere l
a peggior decisione di bailout nella storia del pianeta, che fu (fortunatamente) rifiutata dal parlamento cipriota.
Rendere vana l'assicurazione (pubblica) sui depositi è quasi una follia criminale.
Ma ritirare l'ELA dal sistema bancario greco avrebbe un impatto molto più vasto. I tedeschi si immaginano che l'ELA possa essere ritirata senza impatto sistemico, ma ciò non è neppure lontanamente credibile. L'impatto sarebbe minore che nel 2010, ma
rimarrebbe altamente destabilizzante per il sistema finanziario globale. Aumenterebbe enormemente la reputazione di incompetenza della BCE e probabilmente porrebbe fine alle carriere dei suoi dirigenti.
Se il collasso delle banche greche accelerasse l'uscita disordinata della Grecia dall'euro,
ci sarebbero significative perdite per la stessa BCE, i restanti governi dell'eurozona e probabilmente il FMI. L'impatto sulle economie UEM sarebbe devastante e manderebbe le sue
onde di shock in tutto il mondo. E sarebbe stabilito un importante
precedente.
Se un membro può uscire, lo possono pure gli altri.
Come può la BCE avere una qualunque credibilità come guardiano dell'euro se viene percepita come intenta a forzarne fuori gli Stati aderenti?
Se la BCE forzasse il collasso bancario col ritiro dell'ELA, la Grecia potrebbe provare a
tirare avanti malamente dentro l'eurozona come ha fatto Cipro, adottando il
controllo sui capitali per prevenirne la fuga. Ma questa sarebbe
la situazione peggiore possibile per la Grecia, e pare altamente improbabile che il governo greco la consideri.
L'economia greca è già in uno stato peggiore di quella cipriota al momento del suo collasso bancario, e il sistema bancario cipriota era stato azzoppato ma non distrutto dalla ristrutturazione.
Il sistema greco farebbe naufragio oltre ogni possibile risanamento.
La Grecia non avrebbe altra scelta che creare una valuta completamente nuova per reflazionare la sua economia attraverso la propria banca centrale. Ciè significherebbe abbandonare l'euro, almeno temporaneamente.
Così, come ha detto Varoufakis,
la minaccia della BCE di ritirare l'ELA risulta vuota.
I said on Twitter that I thought the ECB's action was sabre-rattling. Karl Whelan, it seems, thinks so too. "Relax, it’s no big deal. Just some muscles being flexed." he says at the start of
this blogpost.
Ma chi sta cercando (veramente) di "disturbare" la BCE? Lorcan ritiene che il target sia la Grecia:
In definitiva, la mossa della BCE dovrebbe avere un effetto immediato molto piccolo sulle banche greche, purchè non ci sia una completa perdita di fiducia in tale sistema bancario nei prossimi giorni, e dovrebbe essere vista per quello che è: la BCE che fa pressione sul governo greco...
Io non credo che sia così.
Se questa fosse l'intenzione della
BCE, starebbe finendo dritta nelle mani di Varoufakis. E' come se un giocatore di scacchi scegliesse deliberatamente di adottare l'esatta strategia che il suo avversario aveva scelta sei mesi prima, pubblicandola su una rivista di scacchi. Draghi è un conoscitore della teoria dei giochi quanto Varoufakis, e
i due si sono incontrati prima della attuale decisione della BCE. Non è credibile che Draghi possa non intenzionalmente adottare la strategia di gioco di Varoufakis.
Charles Forelle ha osservato che la mossa della BCE non si limita a mettere pressione solo alla Grecia, ma a tutti i governi UEM.
E' possibile che questa non sia affatto una mossa oppositiva dal punto di vista greco?
Potrebbe essere che, ben lontana dal colpire la Grecia, il vero target della mossa BCE sia la Germania?
Da un bel po' di tempo è evidente che Draghi non è un fan della posizione "austerità per sempre".
La sua intenzione potrebbe essere di mettere pressione alla Germania per indurla a negoziare. Se così fosse, è una strategia ad
alto rischio. Ritirare l'esenzione
incrementerà la fuga di capitali dalla Grecia e il livello degli interessi sui bonds greci, mettendo ulteriore pressione sulle fragili finanze greche.
Come potrebbe ciò obiettivamente aiutare la Grecia?
Alessandro Del Prete mi ha mandato in ausilio
questo pezzo di
Jacques Sapir che
spiega come l'indebolire la posizione greca ptrebbe effettivamente rafforzarne il gioco:
In this strategic game, it is clear that Greece has deliberately chosen the strategy qualified by Thomas Schelling, one of the founders of game theory, but also of nuclear dissuasion, as « coercive deficiency »
[5]. In fact, this term of « coercive deficiency » was imagined by L. Wilmerding in 1943 in order to describe a situation where agencies enter into expenses without prior financing, knowing that
morally the government will not be able to refuse funding them
[6]. Schelling’s contribution consists in showing that this situation can be generalized and that a situation of weakness can reveal itself to be an instrument of coercion upon others. He also showed how
it can be rational for an actor knowing himself to be in a position of weakness from the start, to increase his weakness in order to use it in negotiation. Reversing Jack London, one can speak in this instance of a “strength of the weak.”
[7]. It is in this context that we must understand the renunciation by the Greek government of the last slice of aid promised by the so-called « Troïka, » amounting to 7 billion euros. Of course, having rejected the legitimacy of said “Troïka, » it could not logically accept to take advantage of it. But, in a more subtle way, this gesture is putting Greece
voluntarily at the edge of the abyss and demonstrates all at once its resolve to go the bitter end (like Cortez burning his ships before moving up to Mexico) and to increase the pressure on Germany. We are here in a full blown exercise of « coercive deficiency ».
Questo spiega il "Do ahead" di Varoufakis (probabilmente voleva dire "Go ahead", cioè "andate avanti"). Egli sta sull'orlo del precipizio, a la BCE dice: "
Fate quello che vogliamo o vi buttiamo di sotto". E la sua risposta è "
Avanti, allora, spingeteci".
Va allora ricordato che
questo gioco si svolge su un palcoscenico globale.
Il presidente USA,
Barack Obama, ha apertamente preso le parti della Grecia,, avvertendo che "
Non si può continuare a spremere paesi che sono in mezzo a una depressione. A un certo punto, deve esserci una qualche strategia di crescita per consentirgli di pagare i loro debiti ed eliminare una parte dei loro deficit". E il ministro UK George Osborne, mentre richiamava il ministro greco ad agire responsabilmente, ha però
criticato l'Eurozona per la sua mancanza di un piano coerente per il lavoro e la crescita...
...Varoufakis punta le sue carte sul fatto che l'Eurozona, e più in concreto la Germania,
non oseranno spingerlo giù dalla collina a causa delle conseguenze nelle relazioni politiche internazionali. Se la
Germania fosse percepita come la "spingitrice" della Grecia fuori dall'euro, tramite il suo rifiuto di negoziare, diverrebbe un(a)
pariah internazionale.
Già ci sono voci che rammentano alla Germania della
clemenza sul suo stesso debito nel 1953, e i movimenti anti-austerità in molti altri paesi dell'UEM sarebbero solo incoraggiati dall'apparire come "bulli" di Germania e/o della BCE.
Forzare la Grecia fuori dell'eurozona potrebbe causare uno
svelamento incontrollabile di tutto ciò..
Potrei sbagliarmi completamente, ma quella (appena data) mi pare una spiegazione molto più plausibile di quella che non riesce a dar conto dei segnali dati sia da Draghi che da Varoufakis.
In tal caso, Schauble dovrebbe stare attento. La sua posizione è ben lontana dall'essere forte così come crede. Sta lui stesso indugiando pericolosamente vicino all'orlo del precipizio.Se la Germania spinge la Grecia oltre il bordo, la Grecia potrebbe tirarla giù con sè."
Qualche nostro commento finale.
No, non hai torto Frances, anzi deducendo dal simile "innuendo" di Krugman, anche qui abbiamo appena detto le stesse cose.
Solo un dettaglio: la sanzione della comunità internazionale, che colpirebbe una Germania sfrenatamente ostile a qualsiasi compromesso, (la condizione addirittura di pariah) presuppone un attitudine al buon senso di quest'ultima che, allora, non si sa proprio perchè non sia stato innescato, dalla stessa comunità internazionale, ben prima! Diciamo, quando si era ancora in tempo, e si poteva evitare lo scempio umanitario in Grecia.
Ergo, andando all'essenza del fenomeno cui assistiamo, questa "comunità internazionale" - (finalmente) capace di imporre sanzioni di "reputazione" economica e morale alla Germania- si riduce al cambio di atteggiamento degli Stati Uniti.
Ma siamo sicuri che gli USA andranno veramente fino in fondo - nel senso "giusto"- ORA, non avendolo fatto prima (visto che già nel 2010-2011 hanno lasciato fare, ben sapendo che non "poteva funzionare")?
E soprattutto, quali sono i motivi per i quali veramente gli USA (solo) ORA, prendono, o starebbero per prendere posizione?
Io un'idea ce l'avrei...
Pubblicato da
Quarantotto a
18:50 14 commenti:
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