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VAROUFAKIS: ''ANCHE L'ITALIA A RISCHIO CRAC MI HANNO DETTO ALTI FUNZIONARI ITALIANI CHE CI DANNO RAGIONE MA HANNO PAURA''

domenica 8 febbraio 2015
"Ci troviamo in una situazione da vera e propria crisi umanitaria. Ci sono persone che dormono lungo le strade, che hanno fame, persone che avevano posti di lavoro, case, persino negozi, sino a due-tre anni fa e adesso non hanno niente. Noi dobbiamo occuparci di questa crisi, immediatamente, perche' non e' giusto, perche' una capitale europea che vive una crisi umanitaria cosi' grande non ci portera' in un Europa piu' democratica. Questa e' la prima priorita'".
Cosi' il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis dice in un' intervista al programma "Presa diretta" che andra' in onda oggi, domenica 8 febbraio su Rai 3 alle 21.45. Qua, alcuni stralci della sua corposa intervista.
"La seconda priorita' e' che dobbiamo presentare una serie di proposte sul tavolo dell'Unione Europea, della Banca Centrale Europea, del Fondo Monetario Internazionale, per porre fine a questo circolo vizioso che noi stessi stiamo producendo, perche' ormai la crisi umanitaria ha superato i confini della Grecia e tocca tutta l'Europa. La terza cosa che dobbiamo fare e' presentare un elenco completo di riforme per cambiare questo Paese in maniera radicale, tale per cui se anche superiamo questa crisi , la Grecia non si debba mai piu' trovare nella situazione in cui si e' trovata nel 2010". E sull'Italia avanza considerazioni di un certo peso.
"Dei funzionari italiani, non vi dico di quale grande istituzione - dice il ministro delle Finanze greco - mi hanno avvicinato per dirmi che sono solidali con noi, ma che non possono dire la verita' perche' anche l'Italia e' a rischio bancarotta e temono conseguenze da parte della Germania.(...) noi greci non abbiamo il monopolio della verita'. Cio' che possiamo fare per il resto dell'Europa, e specialmente per l'Italia, e' aprire una porticina verso la verita'"
Alla domanda: "Voi volete rinegoziare il debito contratto con l'Europa, per investire nell'economia e fare ripartire il Paese. Secondo voi, la Germania perche' dovrebbe accettare queste condizioni?" il ministro Varoufakis risponde: "Nel 2010, lo Stato greco e' andato in bancarotta. E l'Europa ha risposto concedendo alla Grecia il prestito piu' grande di tutta la storia. Ora, anche un bambino di 8 anni poteva capire che la storia non era destinata a finire bene. Se sei in bancarotta, significa che non sei in grado di ripagare i prestiti che ti sono stati concessi. Non puo' funzionare. E questo e' il motivo per cui la Grecia oggi si trova in uno stato ancora peggiore rispetto al 2010. Il problema non e' che l'Europa non ci abbia dato denaro a sufficienza. Il problema e' che ce ne ha dato troppo e che meno del 9% di tutti questi soldi e' andato alla Grecia. Tutto il resto e' andato ad alimentare la finzione che stessimo ripagando il debito che non eravamo in grado di ripagare. Pertanto, cio' che noi oggi vogliamo spiegare ai nostri partner europei e' che questa irrazionalita' deve essere affrontata, una volta per tutte. E poi gli vogliamo dire che qui e' l'integrita' stessa dell'Europa che e' in gioco. Quando si dice ad un Paese dell'Europa "dobbiamo salvarvi", "dobbiamo mantenervi all'interno dell'euro", che si tratti dell'Italia che lo chieda alla Grecia, della Germania che lo chieda all'Italia, perche', diciamocelo, la situazione del debito italiano e' insostenibile, quando iniziamo a pensare in questo modo, l'Europa entra in un periodo di de-costruzione. Vogliamo davvero che l'Europa inizi a frammentarsi? E guardate che le uniche persone che alla fine traggono vantaggio da questa de-costruzione sono Marie Le Pen, quelli di Alba Dorata qui da noi, Nigel Farage in Gran Bretagna, tutti quelli che in definitiva odiano la democrazia europea. Io quindi metterei in guardia chiunque si accinga a pensare strategicamente di amputare la Grecia dall'Europa. Perche' questo e' molto pericoloso. A chi tocchera' dopo di noi? Al Portogallo? Cosa succedera' quando l'Italia scoprira' che e' impossibile restare all'interno della "giacca stretta" dell'austerity?"
Alla domanda "Avrete messo in conto la possibilita' che se voi continuate, tirate dritto per la vostra strada la Grecia rischia di andare fuori dall'Euro? L'avete presa in considerazione questa eventualita'?" il ministro Yanis Varoufakis risponde: "L'uscita della Grecia dall'euro non e' una prospettiva che rientra nei nostri piani, semplicemente perche' riteniamo che l'Euro sia fragile. E' come quando si costruisce un castello di carte. Se togli la carta greca cascano anche le altre. L'Europa nasce per uscire per sempre dagli orrori della guerra e dei conflitti, per esplorare finalmente il terreno dei vantaggi reciproci".
Alla domanda "Tsipras dice che la vostra vittoria e' non solo la vittoria non di un partito, ma e' una svolta storica per l'Europa. Lei crede che questa voglia di cambiamento ci sia davvero in tutta Europa, pensa che vi sosterranno altri paesi, che altri vi seguiranno, tra cui l'Italia? Oppure alla fine vinceranno gli interessi, l'opportunismo, la sudditanza con la Germania?" il ministro Yanis Varoufakis risponde: "Dei funzionari italiani , non vi dico di quale grande istituzione, mi hanno avvicinato per dirmi che sono solidali con noi, ma che non possono dire la verita' perche' anche l'Italia e' a rischio bancarotta e temono conseguenze da parte della Germania. Una nuvola di paura negli ultimi anni ha avvolto tutta l'Europa. Insomma, stiamo diventando peggio dell'ex Unione Sovietica. Quindi per rispondere alla sua domanda io dico: noi greci non abbiamo il monopolio della verita'. Cio' che possiamo fare per il resto dell'Europa, e specialmente per l'Italia, e' aprire una porticina verso la verita'. Non possiamo trovare noi stessi la verita', ma possiamo aprire la porta e fare in modo che voi possiate raggiungerci. In questo modo potremo passare tutti dall'oscurita' dell'attuale austerity, verso la luce di un dibattito europeo razionale e ragionevole".
Alla domanda "Concretamente, secondo lei, da un punto di vista economico ce la puo' fare la Grecia?" il ministro Varoufakis risponde: "Noi proporremo che l'Europa intraprenda un new deal, come Roosevelt nel 1933, un new deal per l'Europa, finanziato dalla Banca Europea per gli Investimenti che deve aumentare di dieci volte i capitali finora investiti. Sono idee che interesseranno l'intera Europa. Non credo che noi abbiamo il diritto di chiedere per noi stessi delle cose che non chiediamo per i portoghesi, gli italiani o per gli irlandesi. E prima o poi la signora Merkel dovra' sedersi ad un tavolo con noi e spiegarci perche' le nostre proposte non vanno bene".
Allora, appuntamento in tivù stasera alle 21.45 su Rai3, per chi vuole ascoltare Varoufakis da vivo.
Redazione Milano

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SALVATAGGIO DI CARIGE, GROSSI GUAI IN ARRIVO A GENOVA
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7 febbraio - MILANO - Intesa Sanpaolo non e' interessata a Carige. ''No'', ha risposto il presidente del consiglio di gestione della banca milanese, Gianmaria Gros-Pietro a una domanda in proposito. Il banchiere ha escluso che Intesa Sanpaolo possa entrare in campo per l'istituto genovese anche in futuro. Questo chiaro e secco rifiuto ancella una delle possibili soluzioni per il disastro della banca genovese, che se non troverà prestissimo un socio forte di capitale che la rifinanzi, si dovrà avviare al commissariamento o al fallimento. Insieme a Mps, Carige rappresenta uno dei due ''buchi neri'' del sistema bancario italiano, già minato da sofferenze per crediti diventati inesigibili pari a oltre 180 miliardi
 
Washington Consensus, Washington DC
L’età d’oro delle operazioni nere: le forze speciali degli USA sono presenti in 150 nazioni

febbraio 8, 2015 Lascia un commento

Tyler Durden, Zerohedge 2/2/2015

Il seguente articolo è ciò che volevo evidenziare da oltre una settimana, ma le notizie erano così travolgenti che semplicemente non ne ho avuto la possibilità, finora. Avendo spese molto tempo a cercare di capire il mondo, mi stupisco sempre di ciò che leggo. Mentre i lettori abituali di questo sito sono ben consapevoli di come aggressivo e irresponsabile sia l’impero USA, distribuendo risorse militari all’estero, credo che parte delle seguenti informazioni, li renderanno ancora più inquieti.
Dall’articolo di Nick Turse sull’Huffington Post: The Golden Age of Black Ops:
Durante l’anno fiscale che si è concluso il 30 settembre 2014, le forze delle operazioni speciali (SOF) statunitensi erano presenti in 133 Paesi, circa il 70% delle nazioni del pianeta. Secondo il tenente-colonnello Robert Bockholt, ufficiale delle relazioni pubbliche del Comando Operazioni Speciali (SOCOM). Nell’arco di tre anni le forze d’élite del Paese erano attive in più di 150 Paesi nel mondo conducendo missioni che vanno dai raid notturni alle esercitazioni. E quest’anno potrebbe essere record. Solo un giorno prima del raid fallito che pose fine alla vita di Luke Somers, solo 66 giorni dall’inizio dell’anno fiscale 2015, le truppe d’élite statunitensi avevano già messo piede in 105 nazioni, circa l’80% del totale nel 2014. Nonostante dimensioni e scopi, tale guerra segreta globale in gran parte del pianeta è ignota alla maggior parte degli statunitensi. A differenza della debacle di dicembre nello Yemen, la stragrande maggioranza delle Special Ops rimane completamente nell’ombra, nascosta al controllo esterno. In realtà, a parte modeste informazioni divulgate attraverso fonti altamente selezionate dai militari, fughe ufficiali della Casa Bianca, SEALs con qualcosa da vendere e qualche primizia raccolta da giornalisti fortunati, le operazioni speciali statunitensi sono mai sottoposte a un esame significativo, aumentando le probabilità di ripercussioni impreviste e conseguenze catastrofiche. “Il comando è allo zenit assoluto. Ed è davvero un periodo d’oro per le operazioni speciali“. Queste sono le parole del generale Joseph Votel III, laureato a West Point e Army Ranger, quando assunse il comando della SOCOM lo scorso agosto. E non credo che sia la fine, anzi. Come risultato della spinta di McRaven a creare “una rete globale interagenzie di alleati e partner delle SOF“, ufficiali di collegamento delle Operazioni Speciali, o SOLO, sono ora incorporati nelle 14 principali ambasciate degli USA per aiutare a consigliare le forze speciali di varie nazioni alleate. Già operano in Australia, Brasile, Canada, Colombia, El Salvador, Francia, Israele, Italia, Giordania, Kenya, Polonia, Perù, Turchia e Regno Unito, e il programma SOLO è pronto, secondo Votel, ad espandersi in 40 Paesi entro il 2019. Il comando, e soprattutto il JSOC, ha anche forgiato stretti legami con Central Intelligence Agency, Federal Bureau of Investigation e National Security Agency, tra gli altri. La portata globale del Comando Operazioni Speciali si estende anche oltre, con più piccoli ed più agili elementi che operano nell’ombra, dalle basi negli Stati Uniti alle regioni remote del sud est asiatico, dal Medio Oriente agli austeri avamposti nei campi africani. Dal 2002, SOCOM è stato anche autorizzato a creare proprie task force congiunte, una prerogativa normalmente limitata ai comandi combattenti più grandi come CENTCOM. Si prenda ad esempio la Joint Special Operations Task Force-Filippine (JSOTF-P) che, al suo apice, aveva circa 600 effettivi statunitensi a sostegno delle operazioni di controterrorismo dagli alleati filippini contro gruppi di insorti come Abu Sayyaf. Dopo più di un decennio trascorso combattendo quel gruppo, i numeri sono diminuiti, ma continua ad essere attivo mentre la violenza nella regione rimane praticamente inalterata.
L’Africa è, infatti, diventato un luogo importante per le oscure missioni segrete degli operatori speciali statunitensi. “Questa particolare unità ha fatto cose impressionanti. Che si trattasse di Europa o Africa, assumendovi una serie di contingenze, avete tutti contribuito in modo assai significativo“, aveva detto il comandante del SOCOM, generale Votel, ai membri del 352.mo Gruppo Operazioni Speciali presso la loro base in Inghilterra, lo scorso autunno. Un’operazione di addestramento clandestina delle Special Ops in Libia implose quando milizie o “terroristi” fecero irruzione due volte nella base sorvegliata dai militari libici, e saccheggiarono grandi quantità di apparecchiature avanzate e centinaia di armi, tra cui pistole Glock e fucili M4 statunitensi, così come dispositivi di visione notturna e laser speciali che possono essere visti solo da tali apparecchiature. Di conseguenza, la missione fu abbandonata assieme alla base, che fu poi rilevata da una milizia. Nel febbraio dello scorso anno, le truppe d’élite si recarono in Niger per tre settimane di esercitazioni militari nell’ambito di Flintlock 2014, una manovra antiterrorismo annuale che riuniva le forze di Niger, Canada, Ciad, Francia, Mauritania, Paesi Bassi, Nigeria, Senegal, Regno Unito e Burkina Faso. Diversi mesi dopo, un ufficiale del Burkina Faso, addestratosi all’antiterrorismo negli Stati Uniti nell’ambito del Joint Special Operations presso l’Università del SOCOM nel 2012, prese il potere con un colpo di Stato. Le operazioni delle forze speciali, invece, continuano. Alla fine dello scorso anno, per esempio, nell’ambito del SOC FWD dell’Africa occidentale, i membri del 5° battaglione del 19.mo Gruppo Forze Speciali collaboravano con le truppe d’élite marocchine per l’addestramento in una base presso Marrakesh. Lo schieramento in nazioni africane, però, avviene entro la rapida crescita delle operazione all’estero del Comando delle Operazioni Speciali. Negli ultimi giorni della presidenza Bush, sotto l’allora capo del SOCOM, ammiraglio Eric Olson, le forze speciali sarebbero state dispiegate in circa 60 Paesi. Nel 2010 in 75, secondo Karen DeYoung e Greg Jaffe del Washington Post. Nel 2011, il portavoce del SOCOM, colonnello Tim Nye, disse a TomDispatch che il totale sarebbe stato 120 Paesi entro la fine dell’anno. Con l’ammiraglio William McRaven, in carica nel 2013, l’allora maggiore Robert Bockholt disse a TomDispatch che il numero era salito a 134 Paesi. Sotto il comando di McRaven e Votel nel 2014, secondo Bockholt, il totale si ridusse leggermente a 133 Paesi. Il segretario alla Difesa Chuck Hagel aveva osservato, tuttavia, che sotto il comando di McRaven, dall’agosto 2011 all’agosto 2014, le forze speciali erano presenti in più di 150 Paesi. “In effetti, SOCOM e tutti i militari degli Stati Uniti sono più che mai impegnati a livello internazionale, in sempre più luoghi e in una sempre più ampia varietà di missioni“, ha detto in un discorso nell’agosto 2014.
Il SOCOM ha rifiutato di commentare la natura delle missioni o i vantaggi dell’operare in tante nazioni. Il comando non farà neanche il nome di un solo Paese in cui le forze delle operazioni speciali USA sono state dispiegate negli ultimi tre anni. Uno sguardo ad alcune operazioni, esercitazioni ed attività rese pubbliche, però, dipinge un quadro di un comando in costante ricerca di alleanze in ogni angolo del pianeta. A settembre, circa 1200 specialisti e personale di supporto statunitensi si unirono alle truppe d’élite di Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Finlandia, Gran Bretagna, Lituania, Norvegia, Polonia, Svezia, Slovenia nell’esercitazione Jackal Stone, dedicata a tutto, dai combattimenti ravvicinati alle tattiche da cecchino, dalle piccole operazioni su imbarcazione a missioni di salvataggio degli ostaggi. Per i capi delle Black Ops degli USA, il mondo è tanto instabile quanto interconnesso. “Vi garantisco che ciò che succede in America Latina influisce su ciò che accade in Africa occidentale, ciò che interessa l’Europa meridionale riguarda ciò che accade nel sud-ovest asiatico“, ha detto l’anno scorso McRaven a Geolnt, un incontro annuale dei dirigenti dell’industria spionistica con i militari. La loro soluzione all’instabilità interconnessa? Più missioni in più nazioni, in più di tre quarti dei Paesi del mondo, sotto il mandato di McRaven. E la scena sembra destinata ad ulteriori operazioni simili in futuro. “Vogliamo essere ovunque“, ha detto Votel a Geolnt. Le sue forze sono già sulla buona strada nel 2015. “La nostra nazione ha aspettative molto alte dalle SOF“, ha detto agli operatori speciali in Inghilterra lo scorso autunno. “Si rivolgono a noi per missioni molto dure in condizioni molto difficili“. Natura e sorte della maggior parte di quelle “missioni dure” tuttavia, rimangono ignote agli statunitensi. E Votel a quanto pare non è interessato a far luce. “Mi dispiace, ma no“, fu la risposta di SOCOM alla richiesta di TomDispatch per un colloquio con il capo delle operazioni speciali sulle operazioni, in corso e future. In realtà, il comando rifiutò di mettere qualsiasi personale a disposizione per una discussione di ciò che fa in nome degli USA e con i dollari dei contribuenti. Non è difficile indovinarne il motivo. Attraverso una combinazione abile di spavalderia e segretezza, fughe ben piazzate, abili marketing e pubbliche relazioni, coltivazione della mistica del superman (con un ciuffo dalla torturata fragilità di lato) e di estremamente popolari e pubbliciazzatti assassinii mirati, le forze speciali sono diventate le beniamine della cultura popolare statunitense, mentre il comando continua a vincere a Washington il pugilato sul bilancio. Ciò è particolarmente evidenziato da ciò che realmente accade sul campo: in Africa, armamento ed equipaggiamento di militanti e addestramento di un golpista; in Iraq, le forze d’elite statunitensi implicate in torture, distruzione di case, uccisione e ferimento di innocenti; in Afghanistan stessa storia, con ripetute segnalazioni di civili uccisi; mentre in Yemen Pakistan, e Somalia è lo stesso. E questo è solo una minima parte degli errori delle Special Ops. Quindi non solo il pubblico statunitense non ha idea di cosa succeda, ma ciò spesso finisce in un disastro. Vedasi più sotto.
Dopo più di un decennio di guerre segrete, sorveglianza di massa, un numero imprecisato di incursioni notturne, detenzioni ed omicidi, per non parlare di miliardi su miliardi di dollari spesi, i risultati parlano da soli. Il SOCOM ha più che raddoppiato le dimensioni e il segreto JSOC sarebbe grande quasi quanto il SOCOM nel 2001. Dal settembre di quell’anno, 36 nuovi gruppi terroristici sono nati, tra cui divesre succursali, propaggini e alleati di al-Qaida. Oggi, tali gruppi ancora operano in Afghanistan e Pakistan, dove ora ci sono 11 riconosciuti affiliati di al-Qaida, e cinque nella prima, così come in Mali, Tunisia, Libia, Marocco, Nigeria, Somalia, Libano e Yemen, tra gli altri Paesi. Un ramo è nato con l’invasione dell’Iraq, alimentato da un campo di prigionia statunitense, ed ora noto come Stato islamico che controlla una larga parte del Paese e della vicina Siria, un proto-califfato nel cuore del Medio Oriente che i jihadisti, nel 2001, potevano solo sognarsi. Quel gruppo, da solo, ha una forza stimata di circa 30000 armati che sono riusciti a conquistare grandi territori ed anche la seconda dell’Iraq, pur essendo incessantemente colpiti fin dall’inzio dal JSOC. “Dobbiamo continuare a sincronizzare il dispiegamento delle SOF in tutto il mondo“, dice Votel. “Dobbiamo tutti sincronizzarci, coordinarci e preparare il comando“. Ad essere fuori sincrono è il popolo statunietnse, costantemente tenuto all’oscuro di ciò che gli operatori speciali statunitensi fanno e dove lo fanno, senza citare i fallimenti e le conseguenze che hanno prodotto. Ma se la storia insegna, i blackout sulle Black Ops contribuiranno a garantire che continui ad esserci l'”età d’oro” dell’US Special Operations Command.
Ripetete dopo di me: USA! USA!
Gen. Joseph L. Votel

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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La Costituzione tradita. I Trattati UE sono illegittimi.

Pubblicato su 8 Febbraio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in POLITICA
Di: Marco Mori
Abbiamo due tipi di ragionamento da portare avanti quando si analizza la compatibilità tra Trattati UE e Costituzione.
Il primo è ovviamente la stessa legittimazione all’ingresso dei Trattati nel nostro ordinamento, il secondo è di puro merito. Ovvero superata la pregiudiziale è da valutare anche se il modello economico codificato nei Trattati sia o meno compatibile con quello previsto nella nostra Costituzione.
Entrambe le risposte sono ampiamente negative. I Trattati sono entrati nel nostro ordinamento attraverso le leggi di ratifica. Tali leggi di ratifica sono incostituzionali in quanto costituiscono cessioni non consentite di sovranità e impongono, anche nel merito, un modello economico diametralmente opposto a quello previsto e voluto dai padri costituenti.
Per i meno informati blocco sul nascere la più classica delle obiezioni. Ovvero quella che, in base all’art. 10 Cost., i Trattati siano sovraordinati alla nostra Costituzione. Ciò è falso.
I Trattati sono subordinati ai diritti inviolabili dell’uomo ed ai principi fondamentali della nostra carta fondamentale.
Questo è stato da ultimo ribadito dalla Corte Costituzionale anche con la recentissima sentenza n. 238/2014, molto specifica in materia dei cd. “controlimiti”.
Dunque non vi è dubbio che i Trattati debbano essere compatibili con la Costituzione e dunque con gli artt. da 1 a 12 e con quelle stesse norme che sono diretta esplicazione degli stessi principi fondamentali dell’ordinamento e dunque che costituiscono i cardini della stessa forma Repubblicana dello Stato, principi che non è neppure possibile sottoporre a revisione costituzionale. In essi si deve necessariamente ricomprendere anche il modello economico codificato nella nostra carta.
Partiamo dal considerare in senso proprio la prima questione.
I Trattati UE costituiscono pacificamente cessioni di sovranità. Ovvero l’Italia, in base ai Trattati, non ha più potestà legislativa e d’imperio almeno in due materie chiave per una Nazione, ovvero quella economica e quella monetaria.
Sul punto è la stessa UE ad ammettere che l’adesione ad essa comporta una cessione di sovranità, nessuno ormai nega più tale circostanza.
Vi porto ad esempio una missiva del 16.10.2014 scaturita da un cittadino, che traendo spunto dal mio lavoro, ha autonomamente interpellato le istituzioni europee ottenendo questa piena confessione: I Trattati sull’Unione europea, nonché le cessioni di sovranità che essi comportano, sono stati approvati dai Governi degli stati membri.
Benché le cessioni siano dunque ammesse esaminiamo le norme al fine di averne piene dimostrazione.
Riguardo alla materia monetaria si possono citare i seguenti articoli:
-Articolo 127 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 105 del TCE)
2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:
definire e attuare la politica monetaria dell’Unione,
-Articolo 128 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 106 del TCE)
1. La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote.Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.
Lo Stato dunque rinuncia a poter stampare direttamente, cosa che non faceva già precedentemente all’UEM. Certamente quello che prima era una libera scelta su cui il popolo poteva sovranamente intervenire oggi è un’imposizione, oggi siamo in presenza di una cessione permanente di sovranità.
-Articolo 130 TFUE
(ex articolo 108 del TCE)
Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.
Ovvero si è codificata la dottrina dell’indipendenza della Banca Centrale, dottrina che ovviamente non ha ragione di essere.
Peraltro, anche nel merito, tale norma si pone in insanabile contrasto con l’art. 47 Cost. che prevede che la Repubblica debba disciplinare, coordinare e controllare il credito. Oggi è vero il contrario.
Dal 2011 è BCE, come prova la famosa lettera che causò la caduta del governo Berlusconi, ad ordinare le politiche economiche ai Governi, BCE scrive l’agenda delle riforme!
-Articolo 123 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 101 del TCE)
1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
Norma questa che oltre ad essere prova di pacifica cessione di sovranità monetaria fa immediatamente comprendere quanto ridicolo ed inutile sia il QE lanciato da Mario Draghi. Esso aumenta unicamente la forza dei mercati e degli speculatori con danno, sempre maggiore, per l’economia reale che non vede un singolo centesimo della moneta emessa dalla Banca Centrale. Il QE dovrebbe andare agli Stati per abbassare pressione fiscale e sostenere la domanda interna con investimenti mirati, ciò accadrebbe se la Banca Centrale potesse acquistare le obbligazioni nazionali e lo Stato governasse autonomamente anche il suo deficit in conformità con il già citato art. 47 Cost. Tutto questo non avviene per la conseguente cessione della sovranità economica.
Ma torniamo per un momento alla Costituzione, perché affermo con assoluta certezza l’illegittimità delle cessioni di sovranità?
Perché l’art. 1 Cost. recita: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Espressione della sovranità è chiaramente il diritto di voto che noi non esercitiamo in maniera libera, eguale e personale dal 2005, ovvero dall’avvento del porcellum legge da poco dichiarata incostituzionale (Con sentenza n. 1/2014). Ma ovviamente il diritto di voto, anche qualora svolto in maniera legale, non consente la piena realizzazione di quella sovranità popolare che la Costituzione prevede allorquando la sovranità è già stata previamente ceduta. La stessa Cassazione con sentenza n. 8878/14 ha certificato la greve alterazione della rappresentanza democratica nel nostro paese.
In merito ai limiti della sovranità occorre leggere invece l’art. 11 Cost.: “La Repubblica consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli”.
Orbene la Repubblica consente semplicemente le limitazioni e giammai le invocate ed attuate cessioni. Lapalissiano che cedere è cosa ben diversa dal limitare. Limitare significa chiaramente omettere di esercitare una prerogativa sovrana ma non consegnare quella prerogativa sovrana ad un soggetto terzo rispetto all’ordinamento italiano.
Un esempio: eliminare le barriere doganali costituisce pacificamente una mera limitazione. Far gestire le barriere doganali ad un ordinamento straniero comporterebbe invece una cessione.
In materia monetaria l’indipendenza della BCE esclude che l’Italia disponga ancora di qualsivoglia forma di sovranità sul punto.
Altresì, fermo il divieto pacifico di cessioni, anche per le mere limitazioni di sovranità la Costituzione pone comunque il vincolo delle condizioni di parità tra le nazioni (esistono oggi queste condizioni? Certamente no, basta solo pensare alle differenze con cui ogni Stato si finanzia, alle differenze nella bilancia dei pagamenti, alle differenze in tema di politica fiscale) ed il vincolo di scopo della limitazione finalizzata alla pace e la giustizia tra le nazioni che ovviamente nulla centra con un’unione monetaria ed economica.
Come vedete l’inquadramento Costituzionale è addirittura banale stante il significato letterale dei termini. Dunque, appurato, senza tema di smentita che i Trattati costituiscono una cessione di sovranità monetaria risulta già provato che gli stessi non sono compatibili con la Costituzione.
Entriamo ora nel secondo aspetto. Ovvero il merito del contenuto dei Trattati e dunque entriamo nell’ulteriore cessione di sovranità compiuta, quella in materia economica.
Partiamo dall’esaminare brevemente e davvero succintamente il modello Costituzionale, che apprezzabilmente il Presidente Mattarella ha menzionato nel proprio discorso di insediamento.
Nuovamente si ricomincia dall’art. 1 Cost., ovvero dal principio che il lavoro non è semplicemente un diritto come ribadito dal successivo art. 4 ma che la Repubblica si fonda sul lavoro.
Tale costruzione della Repubblica comporta anche l’obbligo per la stessa di rimuovere gli ostacoli che impediscano l’effettivo diritto di tutti i lavoratori di partecipare alla vita economica e sociale del paese.
La Repubblica poi riconosce all’art. 2 Cost., assieme ai diritti inviolabili dell’uomo, gli inderogabili doveri di solidarietà economica e sociale.
Tali enunciazioni non sono meri e vuoti principi di facciata ma naturalmente si riflettono nella parte economica della Carta che detta il modello che necessariamente lo Stato deve seguire.
Il modello è quello di un libero mercato, dove tuttavia l’interesse pubblico deve sempre prevalere, proprio come natura esplicazione dei diritti fondamentali enunciati, sul profitto privato (art. 41 Cost.). Dunque il modello Costituzionale è quello di un libero mercato dove lo Stato può sempre intervenire laddove diritti di rango Costituzionale superiori siano minacciati. Per fare ciò si è addirittura previsto ex art. 43 Cost. che: “Ai fini dell’utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori (omissis…) che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse nazionale”.
Dunque lo Stato deve intervenire quando l’iniziativa privata mina i diritti inviolabili gerarchicamente sovraordinati al libero mercato tra cui il lavoro stesso ed ovviamente la vita.
Al fine di rendere possibile tale illuminato progetto costituzionale lo Stato doveva munirsi di strumenti adeguati ed ecco che entra in gioco il già citato art. 47 Cost. con il conseguente ruolo giuridico del deficit.
La comprensione della contabilità pubblica, di quel modello di contabilità pubblica oggi cancellato dai Trattati, è ormai un’emergenza e non solo un urgenza.
Bisogna comprendere il ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale
L’art. 47 primo dispone: La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio, in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla il credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese.
La definizione di risparmio è assai semplice: trattasi di quella parte del reddito non utilizzata e quindi accantonata da ogni cittadino.
Tutelare il risparmio “in tutte le sue forme” parte ovviamente dalla sua creazione.
Ovviamente il risparmio privato è per definizione il risultato di una politica di deficit dello Stato. In sostanza se lo Stato recupera a tassazione ogni singolo euro immesso nel sistema chiaramente lo stesso concetto di risparmio diventa una mera utopia non essendo più realizzabile matematicamente.
Uno Stato che fin dalla sua nascita adotta il principio del pareggio in bilancio è uno Stato che non tutela il risparmio in tutte le forme ma lo rende impossibile ex lege. Un lavoratore che non può risparmiare non potrà avere conseguentemente un’esistenza libera ne tanto meno dignitosa
Il concetto sembra solo in apparenza contro intuitivo, anche per i giuristi. Ciò accade in quanto anche noi professionisti siamo soggetti a forme di condizionamento mediatico e culturale che trovano terreno fertile laddove le nostre competenze non sono sufficienti ad avere un pensiero del tutto autonomo e fondato su solide basi in fatto ed in diritto.
Orbene deve essere chiarito fino a rendere il concetto pacifico per tutti, esattamente come è oggi pacifico affermare che la terrà non è piatta, che ad uno Stato non possono applicarsi logiche economiche di stampo aziendale e dunque logiche proprie della microeconomia.
Un’azienda crea risparmio facendo attivo, lo Stato invece può crearlo per i propri consociati unicamente attraverso il proprio passivo, ovvero immettendo più moneta di quanta ne drena. Lo Stato secondo il modello costituzionale dunque è la figura che regolamenta le principali variabili macroeconomiche del paese lo Stato appunto deve: “disciplinare, coordinare e controllare il credito”.
Lo Stato in definitiva deve immettere moneta nel circuito economico.
Una moneta può essere immessa in circolo unicamente attraverso la stampa di diretta, attraverso la spesa pubblica in deficit (meccanismo oggi adottato), oppure attraverso le esportazioni.
Oggi la stampa diretta di moneta e la spesa pubblica sono precluse dai Trattati UE e dunque ci rimane solo la via dell’esportazione, dunque la base monetaria può essere aumentata unicamente drenando liquidità da altre nazioni(esattamente in questo contesto si spiega l’attivo della bilancia dei pagamenti della Germania, forte grazie alle esportazioni).
Viene altresì facile intuire che non potendo svalutare la moneta il nostro paese può tornare a crescere unicamente con le esportazioni e dunque per farlo deve acquisire la tanto decantata (Monti docet) maggiore competitività ottenibile solo passando dalla svalutazione salariale, ovvero facendo esattamente l’opposto di quanto prevede il modello costituzionale.
I salari si svalutano unicamente distruggendo la domanda interna e causando una spirale deflazionistica (destroy internal demand – Mario Monti). Tutto secondo pronostico, ma palesemente contrario al dettato Costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro.
Il modello Costituzionale dunque consacra il ruolo del deficit al fine della piena occupazione che si attua con la piena sovranità monetaria. A quel punto lo Stato non potrà mai fallire decidendo autonomamente la propria spesa e dunque la quantità di moneta che si emette nel sistema.
La spesa tutta, compresa quella brutta sporca e cattiva, è credito per tutti noi. Anzi per essere più chiari è il nostro reddito.
Il modello costituzionale dunque è un modello Keynesiano che si pone in radicale contrasto con quello dei Trattati. Ancora una volte le norme sono più elequenti di ogni elucubrazione
-art. 127 TFUE
1. L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato “SEBC”, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea. Il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all’articolo 119.
La stabilità dei prezzi viene prima del sostegno all’economia reale dunque. Di tale vincolo nel nostro modello Costituzionale non vi è traccia come non vi è traccia della prevalenza assoluta del libero mercato figlia della scuola austriaca che prevede che, alla fine, senza regole, si arriverà al punto di equilibrio economico. Trattasi di una panzana di proporzioni cosmiche che nasconde invece un ben diverso interesse, quello di cancellare gli Stati per sostituirvisi, in definitiva lo si fa per il potere.
Ma veniamo alla morte dell’art. 47 Cost., all’omicidio della democrazia essa si manifesta con il protocollo n. 12 allegato al Trattato di Maastricht “Sulle procedure di disavanzo eccessivo” inaugura concetti tristemente noti, tra gli altri:
-il vincolo del 3%per il rapporto tra disavanzo pubblico e pil
-il vincolo del 60% nel rapporto fra debito pubblico e pil
Ovviamente già con tali criteri si verifica esattamente quanto sin d’ora dibattuto ovvero la cancellazione della tutela del risparmio visto che si costringe l’Italia a tassare più di quanto spende. Il limite del 3% del PIL è superato già dal semplice computo degli interessi sul debito pubblico. L’Italia infatti ha collezionato avanzi primari in serie in questi anni (ovvero ha avuto una spesa pubblica inferiore alle entrate fiscali) e la conseguenza di ciò non è stata vedere i propri conti in ordina ma esattamente l’opposto, l’Italia è morta di avanzo primario. Invece che favorire il risparmio, lo si cancella gradualmente abbassando di anno in anno la quantità di moneta presente nell’economia reale italiana.
Nel novembre 2011, dopo che il protocollo 12 ha già gettato l’Europa nella miseria, abbiamo addirittura assistito l’inasprimento del patto di stabilità e crescita con una serie di Regolamenti (il cui padre fu il mai applicato Reg. 1466/97) meglio noti con i nomi di Six Pack e two pack, dove si codifica ciò che vedete avvenire in questi giorni, ovvero il controllo esterno sulla legge di stabilità ad opera di Bruxelles, l’applicazione del limite dello 0,5% nel rapporto fra disavanzo e pil annuo (con il 3% avevamo già una crescita troppo vigorosa…) e l’obbligo di ridurre il debito di 1/20 l’anno fino ad arrivare ad un rapporto pari al 60% del PIL. Inoltre si attua un semi automatismo sanzionatorio. La commissione applica le sanzioni agli Stati ed il Consiglio può solo respingerle con voto a maggioranza qualificata.
Il successivo Trattato sulla stabilità il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact) ratificato con Legge LEGGE 23 luglio 2012, n. 114 non fa altro che ribadire tale disciplina prevedendo la raccomandazione per gli Stati di inserire, preferibilmente in Costituzione, il pareggio in bilancio, cosa che l’Italia ha immediatamente fatto con la modifica dell’art. 81 del 2012.
Ogni politica di espansione monetaria è stata così messa definitivamente al bando e nel nome della stabilità dei prezzi si è verificata l’abrogazione tacita dell’art. 47 Cost.
Oggi la Repubblica Italiana non tutela più lavoro e risparmio ma tutela unicamente il totem della forte competitività del mercato e della stabilità dei prezzi, si è sostanzialmente tornati ad un modello giuridico arcaico che farebbe certamente inorridire i padri costituenti. Un modello ovviamente illegittimo data la manifesta superiorità dei principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili dell’uomo sul diritto internazionale come ribadito dalla recentissima (e splendida) sentenza n. 238/2014 della Corte Costituzionale. Il fatto che uno dei Giudici fosse proprio Mattarella fa sperare che qualcosa possa cambiare, benché la fede del Presidente nell’Europa sembri essere consolidata ben oltre i veri meriti di questa UE.
Il fine di tale abominio normativo? E’ la cancellazione dell’Italia come paese sovrano ed indipendente. La privazione della personalità giuridica del paese.
Qualcuno lo ha confessato:
Monti in particolare disse qualcosa di davvero sconcertante che mi piace ricordare ai lettori con frequenzai: “Io ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva, anche l’Europa, non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di GRAVI crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario . E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini, ad una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico di non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile conclamata. Certamente occorrono delle autorità di enforcement (n.d.s. costrizione traducendo in Italiano) rispettate che si facciano rispettare che siano indipendenti e che abbiano risorse e mezzi adeguati oggi abbiamo in Europa troppi Governi che si dicono liberali e che come prima cosa hanno cercato di attenuare la portata la capacità di azione le risorse l’indipendenza delle autorità che si sposano necessariamente al mercato in un’economia anche solo liberale”.
Altri si sono aggiunti dopo Monti, da Napolitano a Draghi per arrivare a Matteo Renzi.
Tutti questi soggetti vanno fermati! E se avrete la pazienza di diffondere queste informazioni riusciremo nel nostro intento.
Andiamo avanti!
Tratto da:InvestireOggi - La guida agli investimenti finanziari e di Borsa
 
L'8 marzo di 22 anni fa GIACINTO AURITI denunciava il Governatore della Banca Centrale. Ascoltatelo un questo breve video.
" SIN DAL 1993 ABBIAMO MESSO IL DITO SULLA PIAGA, ABBIAMO DETTO: LA MONETA E' DI PROPRIETA' DEL POPOLO. L'8 MARZO 1993 IO DENUNCIAI CIAMPI PER TRUFFA, FALSO IN BILANCIO, ASSOCIAZIONE A DELINQUERE, USURA E ISTIGAZIONE AL SUICIDIO...NOI DOBBIAMO CAPIRE CHE SIAMO TRUFFATI...IL MONDO E' TRUFFATO DA UNA RETE DI USURAI CHE DOMINA LE BANCHE CENTRALI...LE BANCHE LOCALI OPERANO COME TENTACOLI DI UN'UNICA GRANDE PIOVRA. LA GRANDE PIOVRA, LA BANCA CENTRALE...NON SIAMO PIU' DISPOSTI A VENIRE A COMPROMESSI PERCHE' NOI NON VENIAMO A COMPROMESSO CON LA VERITA'.
Buon Ascolto http://youtu.be/akuvFC0LN4Y





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youtu.be:bow::bow::bow::bow::bow::bow::bow::bow::bow::bow::bow::bow:ciao prof per sempre:bow::bow::bow::bow::V:V:V:V:up::up::up::up:
 

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