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ISIS e dintorni: prove tecniche per l'invasione e la divisione della Libia


Roma - La pubblicazione dell’ennesimo filmato dal montaggio cinematografico dell’ISIS fa scattare la trappola dell’intervento militare estero in Libia, ponendo così le basi per la divisione e la spartizione del suo territorio tra i gruppi di interesse da tempo schierati. L’esercito di Al-Sisi, dietro il sostegno di Emirati Arabi e Russia, è pronto ad invadere il confine occidentale, mentre le basi aeree egiziane nella notte hanno bombardato presunti punti logistici dell'ISIS, appena poche ore dopo l'annuncio dell’allarme generale per mettere in assetto da attacco gli Apache e gli F16 per un immediato attacco della Libia. L'annuncio del Presidente egiziano parlavano di possibile attacco una volta avuto il via libera dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come riserva di prendere contromisure di offensiva per vendicare la strage dei 21 cittadini egiziani copti sequestrati. Nei fatti l'Egitto ha anticipato ogni mossa, in quanto nella notte sono iniziate le manovre di rullaggio dei caccia, cominciando a bombardare la zona costiera di Derna, non molto lontano dal confine occidentale con la Libia.


Potrebbe essere questo il risultato di un patto scellerato raggiunto a Minsk con la Russia, che lascia a Mosca la possibilità di fare da regista della ‘balcanizzazione’ dell’Ucraina, a fronte della disponibilità di Putin a non ostacolare una possibile risoluzione dell’ONU per la Libia. In tal caso, la cosiddetta “coalizione anti-ISIS” avrebbe il via libera ad intervenire e spartirsi le risorse libiche, oltre che a riattivare i canali di traffico di armi per alimentare i conflitti perenni del Medio Oriente. Quanto sta accadendo all’Ucraina non è molto distante dal patto di non-aggressione di Hitler e Stalin, con la ripartizione della Polonia, la cui attualità ritorna oggi per salvare le commesse di Mistral e Alstom, come anche i contratti energetici e industriali delle aziende tedesche, forse anche il South Stream. Questo la dice lunga sul motivo per cui François Hollande e Angela Merkel si siano arrogati il diritto di trattare con Mosca a nome dell’Europa, senza nessun mandato formale da parte chi “non aveva più alcuna credibilità” dinanzi alla controparte. La stessa potenza sta ora chiedendo all’Italia di trattare sulla Libia, nel tentativo di creare un fronte comune sull’intervento militare di “terzi paesi” sotto l’egida dell’ONU. A questo punto, non è molto difficile capire che a tenere le fila di queste trattative sommerse siano proprio gli Stati Uniti, che stanno inducendo i Paesi europei ad esporsi in prima persona per stabilizzare quei conflitti scatenati e fomentati da lobbies senza Stato-nazione. A tale scopo, Washington ha simulato delle minacce trasversali, esasperate sino all’inverosimile, che stanno creando lo spettro del terrorismo nel cuore dell’Europa, spingendo la guerriglia sino ai suoi confini più prossimi del Mediterraneo e dei Paesi Baltici. L’obiettivo di fondo è proprio quello di far credere ai governi europei che l’UE dovrà rimanere una costola della NATO, seguendo le sue leggi economiche e militari, impendendo così nei fatti la creazione di un terzo blocco politico che possa trattare con Russia e Cina. Ed infatti ha indotto gli Stati del Baltico a credere che saranno invasi dall’esercito russo, pronto a sfondare tutti i suoi confini per riaffermare l’Unione Sovietica.

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Allo stesso modo, sono state azionate delle forze per sbloccare lo stallo nel mondo arabo, creando una macchina di propaganda terroristica senza confini, capace di “comparire” ovunque puntando una bandiera, e di colpire qualsiasi obiettivo con efferatezza e freddezza. La stessa mossa egiziana, emulando perfettamente la Giordania – che ha sferrato dei bombardamenti unilaterali per vendicare l’uccisione del suo pilota – fornisce qualche indizio in più sulla natura di un’organizzazione terroristica sorta dal fallimento di Al-Qaeda contro Assad, che conta tra le sua fila personaggi che hanno avuto contatti con funzionari americani, e che non scopre il viso dei suoi militari. E’ anche strano che la loro tecnica di propaganda audio-visiva sia eccezionalmente migliorata, passando da una semplice telecamera ad un montaggio post-produzione, con tanto di regia e fotografia, testi e sceneggiatura. La propaganda che va ad alimentare, fa dell’ISIS un’organizzazione controversa, con logistica e tecnica militare, ma con manodopera di basso profilo. Sono infatti ben poche le fonti che hanno intravisto sui campi di scontri quei miliziani così fieri che compaiono nei video diramati in rete, perché in prima linea vi sono i soliti mercenari-schiavi assoldati o sequestrati. Eppure i media occidentali, nonostante non abbiano uomini sul campo, sono i più informati, anzi fin troppo bene informati, riuscendo così a seguire, se non anticipare le prossime mosse dei terroristi.

Ed è proprio l’ISIS a fare la differenza in Libia, perché senza di esso la situazione resterebbe di scontro perenne tra le guerriglie e le polizie private, con due Governi e due Parlamenti (Tobruk e Tripoli), un esercito riconosciuto affiancato da una formazione paramilitare supportata da Emirati e Occidente (ndr. Khalifa Haftar) che si oppone al movimento sovversivo di Fajr Libia che gode del sostegno del Qatar, oltre agli eserciti rimasti fedeli a Gheddafi (come quello di Zintan) che continuano una propria guerra, per riacquisire una posizione. E’ questo lo spaventoso spettro della grande “opera diplomatica” della deposizione del Colonnello, gettando il caos nella regione per consentire ad altri ampio spazio di manovra per i propri traffici: armi, mercenari, petrolio, e droga,e quant’altro ha da offrire il mercato libico. Lo scenario è ancor più complesso, considerando che Al-Sisi si sta preparando ad attaccare “formalmente” la Libia, mentre continua quello silenzioso e invisibile, in atto da mesi a sostegno dell’esercito di Haftar e di recente in maniera più intensa lungo i confini. Armato “sino ai denti” grazie a contratti bellici miliardari “piovuti” dalle mani di Francia e Russia, Al-Sisi potrebbe non fermarsi dinanzi a questo bluff dell’ISIS, e quindi andare fino in fondo “per conto di terzi”. Quello stesso esercito che non ha esitato a far fuoco sulla folla per fermare la Fratellanza musulmana, ha deciso di accorrere in “vendetta” dei copti, nonostante l’Egitto li abbia sempre perseguitati e sterminati. E’ evidente che è tutta una grande farsa quella di Al-Sisi in difesa della cristianità minacciata dallo Stato Islamico. L’intervento egiziano, con o senza il benestare dell’ONU, innescherà dei meccanismi di reazione dalle conseguenze imprevedibili, ma comunque sotto gli schemi di una guerra non convenzionale.


Lo stesso monito d’allarme giunge in queste ore dalla Tela di corrispondenti a Tripoli, circa la pericolosa escalation posta in essere da molteplici forze schierate, pronte a dividere in tre parti parti, che fanno riferimento a Tripoli, Bengasi e Murzuk, ciascuna dietro il sostegno di distinte lobbies. Come anticipato dall’Osservatorio Italiano, all’immediato scoppio dei primi scontri a Tripoli, “l’obiettivo della Francia e dell'Inghilterra era sin dall'inizio quello di dare un nuovo Stato alla Total e alla BP, e per far questo hanno incendiato tutto il Nord Africa. Il problema è che, una volta innescato, questo meccanismo infernale non si fermerà, e nuove rivolte si preparano in Siria, ma se si arriva alla Giordania non si torna più indietro. D'altro canto, occorre tenersi pronto al contraccolpo, che si traduce nella reazione dei Governi aggrediti con il terrorismo. Sono molte le reti create dalle intelligence occidentali nei Paesi difficili da stabilizzare e da controllare, e una volta che vengono spezzate e 'abbandonate' diventano armi micidiali e imprevedibili". All'indomani dell'incursione franco-britannica, l'Osservatorio Italiano avvertiva sulle pericolose derive della destituzione di Gheddafi (si veda La Repubblica Cirenaica, il nuovo Stato di Total e BP), considerando "l’attacco aereo solo la prima fase della totale destabilizzazione del regime di potere in Libia, che è stato infatti trasformato in terreno da sciacallaggio per le milizie armate, al soldo di società private. Nel tentativo di prevaricare l'una sull'altra e prendere il controllo delle riserve petrolifere, delle infrastrutture energetiche e logistiche, in questi anni di transizione si sono dilaniate a vicenda, foraggiate da molteplici fronti, come Qatar, Emirati Arabi, Arabia Saudita, ma anche dai cartelli petroliferi e delle armi. La Libia non è più uno Stato, bensì una terra di nessuno da conquistare. E' ovvio che questa nuova guerra può essere un passo falso per l'alleanza franco-britannica, perchè questa politica della Regionalizzazione - una sorta di evoluzione della balcanizzazione che porta alla scomparsa degli Stati Nazione - può essere un'arma a doppio taglio, portando la guerra sino in Europa. Infatti non esistono solo Palestina, Cisgiordania, Kurdistan, Sangiaccato, ma anche Corsica, Scozia, Paesi Baschi, Fiandre. All'Italia ora non resta che tamponare una crisi che è solo agli inizi". scriveva ancora l'Osservatorio, citando proprie fonti presenti sul territorio libico.

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Dinanzi a questo scenario, il gioco-forza del Governo italiano è sin troppo azzardato, evidentemente spinto a trattare nel Nord Africa al posto degli Stati Uniti, considerando che la diplomazia americana ha perso del tutto la propria credibilità in questa regione. L’Italia, infatti, non è in grado di gestire un conflitto nel cuore del Mediterraneo e nelle immediate prossimità delle sue coste, come se fosse il conflitto nei Balcani. La sua diretta esposizione serve oggi a coprire chi sta già tramando per subentrare ad essa, e si avvicinano sempre più come belve affamate. Oltre all’Egitto, non dimentichiamo che la Francia ha già mosso le sue navi per manovre tecniche nel Mediterraneo mentre da mesi reclama il “diritto” a guidare una missione anti-terrorismo nelle metodologie dell’attacco in Mali. Una prerogativa solo “temporaneamente” fermata dagli eventi di Charlie Hebdo, ma le minacce alla raffineria Total potrebbero essere sufficienti ad inviare un contingente. In realtà, il territorio libico è stato già infiltrato da forze esterne e contractor, che stanno giocando un ruolo sporco nella formazione di forze di sicurezza private e auto-investite di autorità. Difficilmente l’Italia riuscirà a conservare le proprie posizioni e a prevenire gli attacchi fratricidi dei propri alleati. Nella sua posizione dovrebbe arretrare e limare le proprie dichiarazioni, in quanto vengono strumentalizzate e mal interpretate dai media arabi, che stanno gradualmente innescando una campagna mediatica di sciacallaggio. Del resto, in Paesi così tormentati non si può usare la teoria della democrazia e neanche si può pretendere di riuscire a mantenere uno stato di guerra per altri due anni, il tempo di creare un porto franco attraverso il quale riuscire ad armare l’Africa e l’Ucraina.
 
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Putin: 11 Settembre organizzato dagli Usa, eccovi le prove


Scritto il 14/2/15 • nella Categoria: segnalazioni


L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.
La notizia trapela dal newsmagazine “Veterans Today”: un collaboratore, Gordon Duff, segnala che sulla “Pravda” del 7 gennaio 2015 si parla dell’imminente, clamorosa iniziativa dei russi: smascherare definitivamente l’imbroglio mondiale dell’11 Settembre, quello degli arei dirottati sulle Torri “all’insaputa della Cia e dell’Fbi”, senza alcuna reazione da parte della difesa aerea americana. «Le evidenze satellitari russe che provano la demolizione controllata del World Trade Center con “armi speciali” – scrive “Come Don Chisciotte” – sono state recensite da un redattore di “Veterans Today”, mentre si trovava a Mosca». Gli analisti ritengono che l’attuale situazione di “guerra fredda” tra Washingon e Mosca rappresenti la quiete prima della tempesta: «Putin colpirà una sola volta, ma ha intenzione di farlo con notevole durezza», annuncia “Veterans Today”. «L’elenco delle prove include delle immagini satellitari», aggiunge il newsmagazine, e il materiale in via di pubblicazione «dimostrerebbe la complicità del governo degli Stati Uniti negli attacchi del 9/11 e la successiva manipolazione dell’opinione pubblica».
«Le ragioni dell’inganno e dell’assassinio dei propri cittadini – continua Duff – avrebbero servito gli interessi petroliferi degli Stati Uniti e delle corporazioni statali del Medio Oriente». La Russia si preparebbe quindi a dimostrare, in modo clamoroso, che «l’America ha utilizzato il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, contro i suoi stessi cittadini, per creare il pretesto per un intervento militare in paesi stranieri». Se così dovesse essere, aggiunge Duff, «la conseguenza diretta della tattica di Putin sarebbe quella di rendere note le politiche terroristiche segretamente adottate dal governo degli Stati Uniti: secondo gli analisti americani, la credibilità del governo statunitense ne risulterebbe compromessa e ci sarebbero, di conseguenza, delle proteste di massa nelle città e infine una rivolta generalizzata». A quel punto, si domanda Duff, gli Usa come potranno rapportarsi ancora sulla scena politica mondiale? «La leadership americana nella lotta contro il terrorismo internazionale ne risulterebbe totalmente compromessa, dando un immediato vantaggio agli Stati-canaglia e ai terroristi islamici».
Lo stesso Barack Obama non è immune da accuse: tutti ricordano la scandalosa gestione dell’ultimo capitolo dell’affare Bin Laden, dichiarato morto in Pakistan senza uno straccio di prova, il presunto cadavere inabissato nell’Oceano Indiano. Morti anche i soldati del commando che avrebbe ucciso il capo di Al-Qaeda ad Abbottabad: fulminati “per errore” da fuoco amico, a Kabul, poche settimane dopo il misterioso blitz. Tutte le voci più importanti della dissidenza, negli Usa, hanno denunciato come palesemente falsa la versione ufficiale sulla strage dell’11 Settembre, mentre il Senato degli Stati Uniti ha concluso, di recente, che l’Fbi era perfettamente al corrente delle mosse dei futuri dirottatori-kamikaze. Finora, il manistream ha avuto buon gioco nel rifiutare i sospetti, avvalorando la verità ufficiale sulla base di una semplice tesi: il crimine evocato – strategia della tensione, con numeri smisuratamente stragistici – è troppo mostruoso per essere accettato. Impossibile digerire l’idea che qualcuno, al Pentagono, abbia organizzato l’attentato del secolo, arrivando addirittura ad “accecare” l’aviazione Usa per molte ore e a “sequestrare” il presidente Bush, fatto letteralmente scomparire “per proteggerlo”, e anche per impedirgli di reagire. “Complottismo”, è stata finora la formula liquidatoria per seppellire le scomode verità sull’11 Settembre, illuminate da prestigiose contro-inchieste: le Torri sarebbero crollate secondo le procedure della “demolizione controllata”, grazie all’impiego di esplosivi speciali come la nano-termite, di origine militare. E se ora Putin riuscisse davvero a confermare questa versione con evidenze esclusive?
Gioele Magaldi, autore del dirompente libro “Massoni”, sulla scorta di documentazione top secret di origine massonica (che l’autore si dichiara pronto a esibire in caso di contestazioni) rivela che Osama Bin Laden non fu soltanto reclutato dalla Cia in Afghanistan ai tempi dell’invasione sovietica, ma fu “affiliato” nientemeno che da Zbigniew Brzezinski e inserito nel potentissimo club ultra-segreto delle superlogge internazionali. Una di queste, denominata “Hathor Pentalpha”, sarebbe stata creata da Bush padre con intenti palesemente eversivi: usare il terrorismo per manipolare l’opinione pubblica e trascinare l’Occidente nella “guerra infinita”, a beneficio delle super-lobby del petrolio e delle armi. Nella “Hathor Pentalpha” sarebbe arruolato anche Tony Blair, che più di ogni altro si spese per costruire la suprema menzogna delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Oggi, l’erede di Bin Laden è il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca in Iraq, perché potesse combattere nel sedicente “Esercito Siriano Libero” e poi fondare l’Isis, il cui nome coincide con quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, nei testi antichi chiamata anche “Hathor”. Solito schema: creare l’armata del terrore per poi scatenare una guerra. E, prima ancora, una campagna elettorale: quella di Jeb Bush, ultimo rampollo della dinastia presidenziale del fondatore della “Hathor Pentalpha”, definita «superloggia del sangue e della vendetta» perché nata quando Bush – affiliato a superlogge reazionarie – fu battuto nella corsa alla Casa Bianca da Ronald Reagan, sostenuto da clan massonici concorrenti.
Sempre secondo Magaldi, lo stesso Putin è “affiliato” a una superloggia latomistica internazionale. L’autore di “Massoni” sostiene inoltre che da qualche anno sia in atto una sorta di guerra inframassonica: le “Ur-Lodges” progressiste starebbero preparando una controffensiva, dopo gli ultimi decenni in cui il mondo è caduto letteralmente nelle mani dell’élite finanziaria che ha pilotato la globalizzazione più selvaggia, calpestando i diritti dei popoli e gettando anche l’Occidente in una crisi senza precedenti, il cui punto più critico è l’Europa, dove le classi medie sono state rapidamente impoverite a beneficio dell’oligarchia neo-feudale che domina Bruxelles con il dogma neoliberista del rigore. In parallelo, si muovono scenari geopolitici: come previsto da tutti gli analisti, il gigante cinese è cresciuto in modo esponenziale, minacciando la supremazia americana. La Russia di Putin, prima provocata in Siria e ora assediata in Ucraina a due passi da casa, rappresenta la prima linea del fronte, mentre i Brics lavorano nelle retrovie per preparare un’alternativa multipolare, anche finanziaria, alla “dittatura” del petrodollaro. Quella che Papa Francesco chiama Terza Guerra Mondiale si sta avvicinando. Nel tentativo di scongiurarla, Putin giocherà davvero la sconvolgente carta delle “prove definitive” per accusare il governo Usa per l’11 Settembre?
L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.
La notizia trapela dal newsmagazine “Veterans Today”: un collaboratore, Gordon Duff, segnala che sulla “Pravda” del 7 gennaio 2015 si parla dell’imminente, clamorosa iniziativa dei russi: smascherare definitivamente l’imbroglio mondiale dell’11 Settembre, quello degli arei dirottati sulle Torri “all’insaputa della Cia e dell’Fbi”, senza alcuna reazione da parte della difesa aerea americana. «Le evidenze satellitari russe che provano la demolizione controllata del World Trade Center con “armi speciali” – scrive “Come Don Chisciotte” – sono state recensite da un redattore di “Veterans Today”, mentre si trovava a Mosca». Gli analisti ritengono che l’attuale situazione di “guerra fredda” tra Washingon e Mosca rappresenti la quiete prima della tempesta: «Putin colpirà una sola volta, ma ha intenzione di farlo con notevole durezza», annuncia “Veterans Today”. «L’elenco delle prove include delle immagini satellitari», aggiunge il newsmagazine, e il materiale in via di pubblicazione «dimostrerebbe la complicità del governo degli Stati Uniti negli attacchi del 9/11 e la successiva manipolazione dell’opinione pubblica».
«Le ragioni dell’inganno e dell’assassinio dei propri cittadini – continua Duff – avrebbero servito gli interessi petroliferi degli Stati Uniti e delle corporazioni statali del Medio Oriente». La Russia si preparerebbe quindi a dimostrare, in modo clamoroso, che «l’America ha utilizzato il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, contro i suoi stessi cittadini, per creare il pretesto per un intervento militare in paesi stranieri». Se così dovesse essere, aggiunge Duff, «la conseguenza diretta della tattica di Putin sarebbe quella di rendere note le politiche terroristiche segretamente adottate dal governo degli Stati Uniti: secondo gli analisti americani, la credibilità del governo statunitense ne risulterebbe compromessa e ci sarebbero, di conseguenza, delle proteste di massa nelle città e infine una rivolta generalizzata». A quel punto, si domanda Duff, gli Usa come potranno rapportarsi ancora sulla scena politica mondiale? «La leadership americana nella lotta contro il terrorismo internazionale ne risulterebbe totalmente compromessa, dando un immediato vantaggio agli Stati-canaglia e ai terroristi islamici».
Lo stesso Barack Obama non è immune da accuse: tutti ricordano la scandalosa gestione dell’ultimo capitolo dell’affare Bin Laden, dichiarato morto in Pakistan senza uno straccio di prova, il presunto cadavere inabissato nell’Oceano Indiano. Morti anche i soldati del commando che avrebbe ucciso il capo di Al-Qaeda ad Abbottabad: fulminati “per errore” da fuoco amico, a Kabul, poche settimane dopo il misterioso blitz. Tutte le voci più importanti della dissidenza, negli Usa, hanno denunciato come palesemente falsa la versione ufficiale sulla strage dell’11 Settembre, mentre il Senato degli Stati Uniti ha concluso, di recente, che l’Fbi era perfettamente al corrente delle mosse dei futuri dirottatori-kamikaze. Finora, il manistream ha avuto buon gioco nel rifiutare i sospetti, avvalorando la verità ufficiale sulla base di una semplice tesi: il crimine evocato – strategia della tensione, con numeri smisuratamente stragistici – è troppo mostruoso per essere accettato. Impossibile digerire l’idea che qualcuno, al Pentagono, abbia organizzato l’attentato del secolo, arrivando addirittura ad “accecare” l’aviazione Usa per molte ore e a “sequestrare” il presidente Bush, fatto letteralmente scomparire “per proteggerlo”, e anche per impedirgli di reagire. “Complottismo”, è stata finora la formula liquidatoria per seppellire le scomode verità sull’11 Settembre, illuminate da prestigiose contro-inchieste: le Torri sarebbero crollate secondo le procedure della “demolizione controllata”, grazie all’impiego di esplosivi speciali come la nano-termite, di origine militare. E se ora Putin riuscisse davvero a confermare questa versione con evidenze esclusive?
Gioele Magaldi, autore del dirompente libro “Massoni”, sulla scorta di documentazione top secret di origine massonica (che l’autore si dichiara pronto a esibire in caso di contestazioni) rivela che Osama Bin Laden non fu soltanto reclutato dalla Cia in Afghanistan ai tempi dell’invasione sovietica, ma fu “affiliato” nientemeno che da Zbigniew Brzezinski e inserito nel potentissimo club ultra-segreto delle superlogge internazionali. Una di queste, denominata “Hathor Pentalpha”, sarebbe stata creata da Bush padre con intenti palesemente eversivi: usare il terrorismo per manipolare l’opinione pubblica e trascinare l’Occidente nella “guerra infinita”, a beneficio delle super-lobby del petrolio e delle armi. Nella “Hathor Pentalpha” sarebbe arruolato anche Tony Blair, che più di ogni altro si spese per costruire la suprema menzogna delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Oggi, l’erede di Bin Laden è il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca in Iraq, perché potesse combattere nel sedicente “Esercito Siriano Libero” e poi fondare l’Isis, il cui nome coincide con quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, nei testi antichi chiamata anche “Hathor”. Solito schema: creare l’armata del terrore per poi scatenare una guerra. E, prima ancora, una campagna elettorale: quella di Jeb Bush, ultimo rampollo della dinastia presidenziale del fondatore della “Hathor Pentalpha”, definita «superloggia del sangue e della vendetta» perché nata quando Bush – affiliato a superlogge reazionarie – fu battuto nella corsa alla Casa Bianca da Ronald Reagan, sostenuto da clan massonici concorrenti.
Sempre secondo Magaldi, lo stesso Putin è “affiliato” a una superloggia latomistica internazionale. L’autore di “Massoni” sostiene inoltre che da qualche anno sia in atto una sorta di guerra inframassonica: le “Ur-Lodges” progressiste starebbero preparando una controffensiva, dopo gli ultimi decenni in cui il mondo è caduto letteralmente nelle mani dell’élite finanziaria che ha pilotato la globalizzazione più selvaggia, calpestando i diritti dei popoli e gettando anche l’Occidente in una crisi senza precedenti, il cui punto più critico è l’Europa, dove le classi medie sono state rapidamente impoverite a beneficio dell’oligarchia neo-feudale che domina Bruxelles con il dogma neoliberista del rigore. In parallelo, si muovono scenari geopolitici: come previsto da tutti gli analisti, il gigante cinese è cresciuto in modo esponenziale, minacciando la supremazia americana. La Russia di Putin, prima provocata in Siria e ora assediata in Ucraina a due passi da casa, rappresenta la prima linea del fronte, mentre i Brics lavorano nelle retrovie per preparare un’alternativa multipolare, anche finanziaria, alla “dittatura” del petrodollaro. Quella che Papa Francesco chiama Terza Guerra Mondiale si sta avvicinando. Nel tentativo di scongiurarla, Putin giocherà davvero la sconvolgente carta delle “prove definitive” per accusare il governo Usa per l’11 Settembre?
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3. Avviare la lotta di classe.
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17. Uso sistematico di inganno, frasi altisonanti e slogan popolari. “Il contrario di quanto è stato promesso si può fare sempre dopo…Questo è senza conseguenze”.
18. Un Regno del Terrore è il modo più economico per portare rapidamente sottomissione.
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20. L’obiettivo è il supremo governo mondiale. Sarà necessario stabilire grandi monopoli, quindi, anche la più grande fortuna dei Goyim (cristiani) dipenderà da noi a tal punto che essi andranno a fondo insieme al credito dei dei loro governi il giorno dopo la grande bancarotta politica.
21. Usa la guerra economica. Deruba i “Goyim” (cristiani) delle loro proprietà terriere e delle industrie con una combinazione di alte tasse e concorrenza sleale.
22. Fai si che il “Goyim” distrugga ognuno degli altri; così nel mondo sarà lasciato solo il proletariato, con pochi milionari devoti alla nostra causa e polizia e soldati sufficienti per proteggere i loro interessi.
23. Chiamatelo il Nuovo Ordine. Nominate un Dittatore.
24. Istupidire, confondere e corrompere e membri più giovani della società, insegnando loro teorie e principi che sappiamo essere falsi.
25. Piegare le leggi nazionali e internazionali all’interno di una contraddizione che innanzi tutto maschera la legge e dopo la nasconde del tutto. Sostituire l’arbitrato alla legge.
Amshel Mayer Rothshild 1773
 
La bad bank: l’esempio più evoluto della democrazia italiana.

Scritto il febbraio 18, 2015 by Ross
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http://www.investireoggi.it//it.pin...sempio+più+evoluto+della+democrazia+italiana.







Quello che vedete sopra è lo schema della cosiddetta BAD BANK.
Osservatelo attentamente, e chiedetevi, non sarà un’altra sola per coprire aiuti di Stato alle banche?
Se siete arrivati a questa domanda, la risposta è unica: SI.
Partiamo come sempre dall’inizio di questo ragionamento.
Quanti “bad” abbiamo avuto nella storia della nostra splendida Penisola?
In Italia ci sono casi eclatanti: partiamo dalle privatizzazioni IRI, proseguiamo con il discorso di Alitalia ed AirOne, fino ad approdare ai giorni nostri con il caso Ilva.
Possiamo annoverare una miriade di casi, tutti diversi, ma con il medesimo denominatore: BAD per lo Stato, e quindi per i cittadini, che si sono trovati da decine di anni a pagare ENORMI BUCHI con le loro TASSE a causa di macroscopici errori manageriali e “magiche” sparizioni di liquidità degne del più rinomato illusionista.
Ai dirigenti i quattrini, ai cittadini le tasse.
Ed il campanello d’allarme dovrebbe suonare immediatamente allorchè la troika definisce la creazione di una BAD BANK un’ottima idea, perchè le banche italiane, investite finalmente in questi giorni da inchieste riguardanti le “presunte” irregolarità anche penali di cui si sono rese partecipi, hanno in pancia la bellezza di 183 miliardi di sofferenze (per comprendere come si formano vi rinvio a questo articolo, che prende in considerazione però solo le sofferenze causate dai mancati pagamenti dei correntisti, e non quelle derivanti dalla “finanza creativa e speculativa” che ha prodotto ingenti perdite patrimoniali nei conti delle banche stesse).


L’idea di una bad bank per l’Italia è “molto buona” secondo Ignazio Angeloni, membro del consiglio di supervisione della Bce.
Intervistato da La Repubblica, Angeloni, ha anche avvertito che, per il sistema bancario non solo italiano, esiste un rischio di credito sui titoli di stato e il regime prudenziale delle banche ne deve tenere conto.
A proposito del progetto di una soluzione che consenta alle banche di liberarsi dei crediti inesigibili, Angeloni dice: “Ne abbiamo sentito parlare e seguiamo con attenzione. Non è stata un’iniziativa innescata da noi, ma a me personalmente sembra un’ottima idea. Altri paesi lo hanno fatto, con successo. Mi sembra che ci si stia muovendo nella giusta direzione. E il ruolo dello stato è abbastanza cruciale, perché c’è una finalità pubblica in queste misure”.
Parlando del peso dei titoli sovrani nei bilanci delle banche, Angeloni argomenta: “E’ una notevole concentrazione di rischio su un emittente unico. C’è un problema sui margini di capitale, perché abbiamo visto che i titoli di stato non sono più sinonimo di sicurezza totale. E c’è una questione che riguarda le grandi esposizioni su un solo emittente di debito, spesso lo stato dove la banca ha la sua base operativa”.
E rispondendo alla domanda se verrà chiesto alle banche di accantonare capitale a fronte dei titoli di stato in portafoglio, Angeloni rinvia la palla al comitato di Basilea, ma argomenta: “C’è un rischio di credito anche sui titoli di stato e il regime prudenziale delle banche ne deve tenere conto. Se un istituto di stato diversifica in modo più equilibrato in titoli di diversi governi, riduce il rischio di concentrare troppo gli investimenti. In fondo, l’unione bancaria è nata proprio per questo: ridurre il nesso tra gli stati e le banche”.
Ma chi paga sono sempre gli stessi: NOI CITTADINI.
Esattamente come nel caso delle bad company sopracitate, lo Stato ha introdotto negli anni una serie di balzelli fiscali che hanno portato l’economia reale alla frutta, e non si creda che in questo caso possa essere diversa la situazione.
Voglio riportare infatti alla vostra attenzione una direttiva CEE che ha imposto, nel caso di fallimento o di ristrutturazione bancaria, i primi a cui verrà chiesto un intervento, tramite un prelievo forzoso sui conti correnti, sono proprio i cittadini (ricordiamo Cipro)
L’Ecofin ha stabilito che i primi ad intervenire ed a pagare in caso di necessità finanziarie tese ad evitare il fallimento di una banca saranno i privati, non gli Stati. Questi dovranno contribuire fino ad una soglia pari all’8% del totale passività della banca in crisi prima che lo Stato e l’Europa (attraverso i fondi ESM) intervengano. Se per esempio una banca in difficoltà ha passività per 100 miliardi, i privati perderebbero fino a 8 miliardi prima di un intervento pubblico.
E’ stato anche stabilito l’ordine con cui i privati pagherebbero: per primi ovviamente gli azionisti, successivamente i possessori di obbligazioni subordinate (sono tipologie di obbligazioni più rischiose in quanto ibrido fra azione e obbligazione. Ce ne sono di vari tipi come le Lower Tier o Upper Tier). Poi toccherebbe alle obbligazioni “normali” (senior) e infine ai correntisti, ma solo per i depositi superiori a 100 mila euro. Forse, perchè in questi giorni già si parla di abbassare questo limite.
Il fondo statale potrà intervenire fino ad un massimo del 5% delle passività, infine l’Esm europeo potrà intervenire solo dopo che anche gli obbligazionisti avranno messo il loro contributo. A sostegno di questo meccanismo gli Stati europei dovranno creare fondi di liquidazione pari allo 0,8% del totale dei depositi garantiti.
“Il sistema bancario è sano, le banche italiane sono sane”.
Questa frase è stata ripetuta più volte dal Governatore di Banca D’Italia Visco, eppure proprio dal sito della “nostra” banca centrale veniamo a sapere che sono sedici gli istituti di credito attualmente commissariati. E tra queste, ovviamente, c’è la grande new entry degli ultimi giorni, ovvero la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio.
Ma non c’è solo la BPEL. Come non ricordare la Banca delle Marche, la Carige o la più vecchia banca del mondo, la MPS?
La cosa che accomuna queste banche è, tra le altre cose, il fatto che la percentuale dei cosiddetti “crediti in sofferenza” superava il 20%.
E così lo Stato Italiano entra nel capitale di MPS con il 10% dell’azionariato, perchè la stessa banca, sotto la guida di Profumo, colui che ha avuto una vergognosa fuoriuscita da Unicredit (che in quel periodo era sull’orlo della bancarotta ed ha dovuto sottoscrivere in tutta fretta un aumento di capitale), non solo non è riuscita a restituire i 4,5 miliardi di Euro di prestito avuto dallo Stato (stranamente corrispondente in cifra all’Imu introdotta ad hoc da Monti), ma ha creato ulteriori buchi neri che non si è ancora riusciti a quantificare.
La stessa Bankitalia inizia a sentire puzza di bruciato. Ecco cosa dice Barbagallo, il responsabile della vigilanza in Bankitalia:
«nelle Bcc l’incidenza dei crediti anomali sul totale dei prestiti è salita dal 10 al 17,5 per cento tra giugno 2011 e giugno 2014. L’accelerazione ha riguardato principalmente le sofferenze, più che raddoppiate (dal 4 al 8,4 per cento). La rischiosità dei prestiti delle banche locali, in passato più contenuta nel confronto con le altre banche, ha raggiunto livelli più elevati di quelli relativi all’intero sistema bancario (16,8 per cento), sostanzialmente allineati a quelli delle banche oggetto della recente verifica approfondita degli attivi da parte della Bce (17,4 per cento)». (Source)
Ma le BCC non si dicevano solidissime e fondamentali per la microeconomia, essendo le vere “banche del territorio”?
Già il fatto che 16 delle banche sopra citate commissariate, sono appunto BCC.
Ed è palese che, se quel 20% verrà portato a perdite, creerà delle voragini difficili da gestire.
Ecco perché Bankitalia spinge all’integrazione, sia tra le BCC e non solo tra di esse. Vedi il
caso delle Popolari.
E allora, diciamo le cose come sono.
Il sistema bancario italiano è in forte difficoltà, logorato dalla difficile situazione economica e non solo da quella. E questi dati lo testimoniano. Forse i due colossi, Unicredit e Intesa SanPaolo, più altre eccezioni, si trovano in una situazione migliore. Ma le altre?
Ecco l’elenco delle 33 banche che, secondo Mediobanca, hanno sofferenze per una percentuale superiore al 20%. E guardate quante di queste banche sono proprio istituti di credito cooperativo, alias casse rurali.

Ma ora possiamo stare tranquilli. La BCE verrà in soccorso al sistema bancario e poi, da un po’ di giorni, la sempre ipotizzata ma mai voluta (perché il sistema è solido e liquido….) bad bank è diventata molto più di un’ipotesi. Anche perché il volume delle sofferenze continua a lievitare. Dalle ultime fonti, siamo a 183 miliardi.
(…) Il controvalore dei crediti non performing, contenuto nel supplemento al bollettino statistico ‘Moneta e banche’, sale a 183,673 miliardi da 181,131 miliardi di novembre. Il valore di realizzo scende a 84,499 miliardi da 84,847 miliardi. (…)
Per la cronaca la bad bank è un ente creato per raccogliere le sofferenze del sistema bancario (i crediti ormai inesigibili), comprandole dalle banche commerciali con uno sconto notevole (anche del 70%).
Allora, facciamo una sintesi: come nel caso delle bad company, anche nel caso della creazione di una bad bank, tutte le attività resteranno all’interno delle banche, mentre le sofferenze e le passività finiranno nella nuova compagnia, sulle nostre spalle.
Mi chiedo, funziona ovunque così o solo in Italia?
Faccio un esempio su tutti, la Royal Bank of Scotland.
Nel 2008 questa banca è al collasso, pronta a seguire le orme della Lehman Brothers. In primo luogo chiede agli azionisti di effettuare un aumento di capitale pari a circa 15 miliardi di sterline, ma, di fronte al loro diniego, interviene il Governo Britannico, che capitalizza la banca ma in cambio pretende ed ottiene di diventarne l’azionista di maggioranza, acquisendone la significativa quota del 57,9%.
Il Tesoro di Sua Maestà ha avuto 15 miliardi di sterline in azioni ordinarie e 5 miliardi in azioni privilegiate della seconda banca britannica. Il Governo ha acquistato 22,8 miliardi di azioni al prezzo concordato in ottobre di 65,5 pence per azione, mentre il titolo chiuse pochi giorni dopo al London Stock Exchange a 55,30 pence (+0,30%), realizzando una perdita di 3 miliardi di sterline. Dopo un paio d’anni secondo banca del Regno Unito registrava ancora una perdita pari a circa un miliardo di sterline, ma rispetto a due anni prima l’intervento governativo salvò di fatto la banca, emettendo dei bond garantiti dal Tesoro che i contribuenti inglesi si affrettarono a comprare come forma di risparmio.
Questa è la sostanziale differenza: io Tesoro salvo la banca, non aumento le tasse ai cittadini, emetto dei titoli da me garantiti che portano liquidità e creano investimenti interni, non sui mercati speculativi. E per di più divento proprietario della banca in questione. Oggi a tutti gli effetti RBS è una banca pubblica, con tutti i vantaggi che possono derivarne dall’accesso a finanziamenti a tassi praticamente basici della BCE.
Nessun contribuente ci ha messo una sterlina di tasse, ma è stato libero di scegliere se investire o meno, se credere nel piano di ristrutturazione della banca messo a punto dal Tesoro o meno.
Vero che i bonus dati ai manager sono denaro pubblico, ma si parla di circa un milione di sterline, vogliamo fare un confronto con i 183 miliardi di Euro??? Non solo, proprio per il rispetto del denaro pubblico, sono state avviate immediatamente indagini che vadano a rendicontare ogni singola sterlina data come bonus ai managers, che in ogni caso hanno riportato la banca in condizioni più che accettabili.
Esattamente come in Italia, viene da dire.
Una cosa è certa, il sistema bancario italiano è in estrema difficoltà, come si vede dal seguente grafico, ed è pronto al collasso:
 
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attualita' febbraio 18, 2015 posted by Nino Galloni
Ma il Problema della Grecia non e’ il Debito! (di Nino Galloni)



Da una parte il dramma del popolo greco che trova in Syriza il suo paladino; dall’altra, la farsa tra quest’ultimo e i vertici UE, che passa dal serio al fuori controllo, per il diletto di osservatori e mezzi di informazione.

Sullo sfondo, il tema del debito, in realtà dei creditori, preoccupati dall’evoluzione della cosa.
Problema anche dei Greci, ma solo se le soluzioni dovessero – come per il passato – ricadere sulle spalle della popolazione; fenomeno non più scontato se qualcuno si assume il compito di fare cose ragionevoli.
Ma per capire la situazione, facciamo un’ipotesi: debito greco cancellato, problemi esauriti? Certamente no!
Infatti come farebbe la Grecia ad importare quello che le serve se non indebitandosi ovvero – questo è il punto – esportando altrettanto in valore?
E per fare ciò l’ostacolo è l’euro; con l’euro la Grecia è andata in crisi, con l’euro continuerà a non uscirne.

Quindi le soluzioni possibili sarebbero, dentro l’Europa, ma fuori dall’euro con un piano negoziato di gestione del debito; fuori dall’Europa con la Russia e/o la Cina.
A questo ci hanno portato gli scienziati di Bruxelles e dintorni.
La politica sta facendo di tutto, ma i popoli ce la faranno.

Nino Galloni
 
Perchè pagare per la Grecia? E l’omertà sul Fondo Salva Stati?




L’ipocrisia dell’informazione italiana manipolata dai poteri di Berlino e Bruxelles, vuole mostrare gli effetti negativi di una possibile ristrutturazione del debito greco, per la nostra economia.
La cosa è paradossalmente vera, ma il punto in questione è che non è stata citata la causa di ciò, ovvero l’adesione, in un silenzio omertoso da parte dei media, dell’Italia al MES, Fondo Salva Stati, in cui il nostro Paese ha aderito prima con il vecchio EFSF e poi con l’EMS (MES) per la cifra di 63 MLD dal 2015 per arrivare ad una cifra finale di 125 mld.


I soldi pubblici versati dall’Italia, sono serviti e serviranno proprio per “salvare” i crediti delle banche esposte con Paesi a rischio come la Grecia e nel caso attuale, per ripagare i debiti delle banche degli Stati a rischio o direttamente per ristrutturare i debiti di quest’ultimi.
Inoltre il fondo in questione potrà illimitatamente richiedere ulteriori ricapitalizzazioni da parte dell’Italia senza consultazione parlamentare, a differenza di quanto accade in Germania, dopo la sentenza della loro corte costituzionale.
Infine l’adesione dell’Italia al Mes (fondo salva stati) ha fatto anche aumentare lo stock di debito pubblico, visto l’entità dei capitali versati, una media di circa 15 mld all’anno.
La morale è sempre la stessa, si fa finta di condannare gli effetti, nascondendo astutamente le cause…

 
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Fmi è pronto a sbattere la porta in faccia a Usa e dollaro




Stampa Invia Commenta (2) di: WSI | Pubblicato il 18 dicembre 2014| Ora 16:19


Verso l'eliminazione del diritto di veto agli americani: influenzerà tutte le decisioni prese dal 2015 in avanti e avrà un impatto sui mercati.
NEW YORK (WSI) - Il Fondo Monetario Internazionale è pronto al grande passo: sbattere la porta in faccia agli Stati Uniti e al dollaro.

Come riporta il Financial Times il Fondo ha espresso l'intenzione di eliminare la possibilità di veto agli Usa, un fattore che influenzerà enormemente le decisioni che saranno prese dal 2015 in avanti.

Rappresenterebbe una sorta di reset del sistema economico internzionale, nell'ambito un'operazione che Lagarde vorrebbe vedere realizzata. Lo sta ripetendo ad nauseam nelle interviste rilasciate negli ultimi sei mesi: il sistema così com'è non funziona.

Contrariamente a quanto si creda, al pari delle banche centrali, il Fondo è un istituto donminato dal cartello societario delle banche e non è al soldo delle autorità americane. E la Federal Reserve, il governo Usa e il dollaro sono tutti asset 'spendibili' dalle elite finanziarie, al pari di qualsiasi altro strumento economico e politico, nel nome del profitto.

Il piano del Fondo per detronizzare il dollaro e sostituirlo con un sistema costituito da un basket di valute internazionali ha ricevuto una bella spinta dopo che il Congresso si è rifutato di approvare le riforme Fmi nel 2010.

Come sottolinea Brandon Smith nel suo blog Alt-Market il fatto che anche l'ultimo disegno di legge sulle spese pubbliche non facesse menzione delle riforme proposte dal Fmi ha fatto precipitare le cose.

Lagarde ha ricordato che se gli Usa non avrebbero approvato la parte relativa alle sue proposte di riforma, il Fondo sarebbe stato costretto a seguire il piano B. I dettagli di un simile scenario non erano stati resi noti finché non si è saputo del diritto di veto.

Come già osservato in passato, il Fmi non è un'estensione della Casa Bianca, bensì è legato a doppio filo con i manager delle maggiori banche internazionali, proprio come i Brics non sono altro che delle marionette manovrate dall'oligarchia finanziaria, come ha ammesso candidamente anche Putin.

"Nel caso dei Brics vediamo tutta una serie di interessi che coincidono", ha spiegato il presidente russo. "Prima di utto la riforma del sistema finanziario e internazionale, che al momento è ingiusto nei confronti delle nuove economie in genere. Dovremmo essere più presenti attivamente nelle decisioni della Banca Mondiale del FMI. Il sistema monetario dipende molto dal dollaro e dalle politiche finanziarie e monetarie degli Usa. I Brics vogliono cambiare le cose".

Per parola del presidente della banca centrale Zhou Xiaochuan, la Cina si è convinta del fatto che il "sistema internazionale attuale sia vulnerabile" e ha chiesto la creazione di un basket di valute globale eretto a punto di riferimento al posto del dollaro.

Anche la Germania, non solo i Brics, vogliono che gli Stati Uniti perdano l'influenza che hanno sul Fmi. La decisione di eliminare il diritto di veto Usa potrebbe arrivare già nel primo trimestre dell'anno prossimo.

Gli elementi in gioco sopra citati, sempre secondo Smith, culmineranno in un annuncio ufficiale dell'organizzazione di Washington, in cui si dirà che il dollaro non è più la valuta di riferimento per le riserve mondiali.

Ovviamente tutto ciò finirà per indebolire la valuta americana, che tutti invece danno destinata a salire nel 2015, in concomitanza con il rafforzamento della crescita economia americana e con la strategia di uscita dalle politiche accomodanti senza precedenti della Fed
 

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