UKIYOE
(Introduzione)
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La natura, il paesaggio, la tradizione, i piaceri della vita di città, gli attori del teatro kabuki, le beltà femminili (geishe e loro assistenti), questi i temi trattati dalle stampe ukiyoe. L’argomento è assai vasto e meriterebbe ben altra trattazione, ma non può essere questa la sede. Per fortuna mi soccorre questo testo del Prof. Gian Carlo Calza, il massimo esperto italiano in materia, curatore di numerose mostre, che sintetizza mirabilmente le cose essenziali da sapere sull’argomento. Lo pubblico qui a mo’ di introduzione, e da domani comincerò a pubblicare le immagini.
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Il termine ukiyo, di derivazione buddista, in epoca medievale indicava la condizione d’impermanenza generata dalla vita quotidiana con i suoi attaccamenti. Saggio era il non farsene prendere, perché fonte di dolore costante: ukiyo indicava quindi il mondo (yo) della sofferenza (uki). Ma nel Seicento il senso si era rovesciato e un’identica parola, con il carattere per “sofferenza” mutato in quello di “fluttuante” e pronunciato anch’esso uki, valorizzava proprio quei piaceri fuggevoli delle feste, della moda, del mondo dello spettacolo, dell’amore mercenario, della passione clandestina, dell’effimero, in una parola degli attaccamenti, dai quali la dottrina buddhista metteva in guardia dal lasciarsi coinvolgere. Erano una società dove si riflettevano i nuovi gusti e le nuove aspirazioni sviluppati intorno ai teatri di kabuki e alle “città senza notte”, i quartieri del piacere come Yoshiwara, dove le grandi cortigiane creavano nuovi gesti e comportamenti e un’eleganza vistosa e opulenta, basata sull’intrattenimento, sull’essere alla moda, sull’attrarre e respingere al tempo stesso. Dove le case di piacere, oltre a essere ritrovo di gaudenti in cerca di ogni genere di godimenti, si trasformavano in veri e propri salotti. Vi s’incontravano mercanti, attori, letterati, artisti, editori, e aristocratici in incognito liberi dal rigore formale della loro esistenza quotidiana. E lì, nell’ambiente che ruotava intorno alle oiran, le celebri etére di Yoshiwara, di Gion, di Shimabara, l’etichetta della seduzione si esprimeva attraverso un canone formale di altissima perfezione, ma al tempo stesso naturalezza. (…) Le immagini (e) del mondo fluttuante, l’ukiyoe, ne rappresentavano tutti gli aspetti con dipinti, paraventi, libri illustrati, sontuosi biglietti commemorativi e di circostanza, ma soprattutto con le stampe vere e proprie che tanto appassionarono gli artisti francesi dell’Ottocento. Esse costituiscono un esempio insuperato nell’arte grafica di tutti i tempi per tecnica, pittoricità, ampiezza dei soggetti trattati e divennero uno dei principali veicoli estetici del Giappone. A Parigi essere furono “scoperte” dall’avanguardia artistica che lottava contro la visione materialistica del mondo allora imperante. Offrivano un esempio di libertà dai volumi, dai toni chiaroscurali, dai vincoli prospettici e allo stesso tempo esaltavano il valore della smaterializzazione della figura, la suggestione del simbolo, l’uso del colore uniformemente campito e scelto con criteri di indipendenza rispetto a corrispondenze naturalistiche formali.
(…) Alcuni artisti dell’ukiyoe erano pittori finissimi, ma quasi tutti grafici eccelsi anche se non nel senso in cui lo si intende in Occidente. A loro era solo affidata la cura pittorica del lavoro; l’intaglio vero e proprio del legno delle matrici e la tiratura a stampa erano invece compito di équipes altamente specializzate che facevano capo a un editore (era l’editore, in genere, a pianificare la pubblicazione della stampa, o piuttosto della serie di stampe). Ne conseguiva che l’artista poteva concepire un numero assai elevato di opere la cui realizzazione materiale non gravava sulle sue spalle. Questo fatto è importante sotto il profilo della diffusione perché, considerando che la tiratura dei singoli lavori andò aumentando con gli anni, significò una enorme massa di fogli sul mercato, di gran lunga superiore a quella delle produzioni europee. Basti pensare che, per esempio, è stato calcolato che Hiroshige nel corso della sua esistenza produsse circa settemila opere, Hokusai oltre quattromila, ma senza contare i dipinti e oltre trecento libri illustrati, per la maggior parte in più volumi. Ciascuna di queste opere, se di successo, poteva essere tirata in migliaia di copie nelle varie ristampe.
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Fonti delle immagini e relative didascalie, nonché dei brevi cenni biografici sui singoli artisti:
- Japanese Prints (edited by Gabriele Fahr-Becker), Taschen 1994
- Hokusai and Hiroshige: Great Japanese Prints from the James A. Mitchener Collection, Honolulu Academy of Arts, The Asian Museum of San Francisco 1999
- Hokusai, il vecchio pazzo per la pittura (a cura di Gian Carlo Calza), Electa 1999, catalogo della mostra di Palazzo Reale – Milano 1999
- Ukiyoe. Il mondo fluttuante (a cura di Gian Carlo Calza), Electa 2004, catalogo della mostra di Palazzo Reale – Milano 2004 (dal quale ho tratto anche il testo pubblicato sopra).
Per ciascuna immagine indicherò autore, anno di pubblicazione e formato della stampa (vedi glossario per le relative misure).
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Piccolo glossario essenziale.
Aiban – stampa di formato 20 x 30 cm circa.
Aizurie – “stampe in blu”; stampe realizzate con il solo colore blu e le sue sfumature di tono. Tecnica usata a partire dal periodo Kansei (1789-1801). Si sviluppò in seguito a una legislazione che limitava l’uso dei colori e grazie all’introduzione dall’Europa del blu di Prussia.
Chūban – stampa di piccolo formato, di circa 23 x 17 cm.
Egoyomi – stampe calendario illustrate, in cui venivano indicati i mesi lunghi e brevi del nuovo anno lunare, necessari per gli oroscopi.
Ehon – libro illustrato, o meglio, di illustrazioni, visto che queste ultime prevalgono perlopiù sul testo.
Hosoban – stampa di formato piuttosto stretto, circa 33 x 15 cm.
Kakemonoe – stampa d formato molto grande, di oltre 56 x 30 cm.
Kakihan – sigla dell’artista, usata prevalentemente sulle stampe.
Karazuri – impressione ottenuta imprimendo il foglio sul blocco senza inchiostratura; se ne ricava un’incisione di rilievo, bianco su bianco, usata soprattutto per effetti di neve, broccati bianchi, fioriture ecc.
Koban – “stampa piccola”, di formato ridotto, in genere circa 12 x19 cm.
Nagaban – “stampe lunghe”, formato che varia nelle misure da 47 x 17 a 52 x 25 cm.
Nishikie – “immagini broccato”. Stampa policroma, sviluppata da Harunobu a partire dal 1765. Segna lo stadio definitivo dello sviluppo tecnico delle stampe ukiyoe. (Tutte le immagini che pubblicherò qui tranne le prime tre [due sumizuri di Moronobu e Dohan e un tan’e di Kiyonobu] sono praticamente di stampe “nishikie”).
Ōban – “stampa grande”, formato grande, di dimensioni che variano dai 36 x 25 ai 39 x 27 cm. Era il formato di stampa più usato.
Ōōban – formato di foglio, chiamato anche daiōban, di 52 x 38 cm. circa.
Orihon – “libro pieghevole”. Tipo di formato a fisarmonica soprattutto usato per libri o album di illustrazioni di formato maggiore del tipico ehon (vedi).
Rakkan – termine con cui si indica l’insieme di luogo, data, nome e sigilli dell’artista collocati in un punto del dipinto o della calligrafia. Era usato pure per le stampe anche se, ovviamente, impresso e non manoscritto.
Shikishiban – “stampa quadrata”, formato di stampa quasi quadrata, di circa 21 x 18 cm.
Shunga – “immagine della primavera”. Stampe e dipinti a soggetto erotico. Avevano una distribuzione semi-clandestina a causa della forte censura esercitata dal governo dello shōgun ma erano popolarissime e molto numerose.
Sumizuri – stampa realizzata utilizzando solo il “sumi”, un inchiostro nero con un effetto brillante ricavato dalla fuliggine e dal carbone.
Surimono – “cosa impressa”, stampe eseguite con una tecnica assai raffinata. Spesso usate come biglietti augurali, erano distribuite all’interno di un nucleo limitato di persone, perlopiù circoli letterari. Accompagnati in genere da composizioni poetiche, prevedevano anche l’utilizzo di metalli preziosi quali oro e argento. Le dimensioni variano molto.
Tan’e – stampe in sumizuri colorate a mano con il tan (arancio brillante).
Tanzaku – formato di stampa verticale, le cui dimensioni minime sono di circa 12 x 34 cm.
Uchiwae – “immagini ventaglio”. Stampa ideata per essere applicata su una struttura rigida di bambù per i ventagli in uso d’estate.
Ukie – “immagine prospettica”; si tratta di stampe o dipinti in cui gli artisti realizzavano l’immagine attraverso l’uso della prospettiva occidentale (particolarmente brutte, secondo me, al contrario delle immagini che gli impressionisti traevano ispirandosi alle stampe giapponesi).
Urushie – “stampe laccate”. Tecnica che consiste nell’applicazione di un collante su alcune parti colorate del foglio, soprattutto il nero, per ottenere un effetto di brillantezza particolare simile alla lacca. Usata soprattutto nei primi tempi, fu poi ripresa nell’Ottocento.
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Qualche precisazione:
- alcuni, specie nel mondo anglosassone, scrivono “ukiyo-e” col trattino, altri “ukiyoe” tutto attaccato. Poiché quest’ultima è la via seguita da un’autorità come il Prof. Calza, mi atterrò al suo esempio, il che oltretutto mi semplifica le cose.
- Edo è l’antico nome di Tokyo (la capitale giapponese assunse il nome attuale solo nel 1869). Nella storia del Giappone il “periodo Edo” è quello che va dal 1603 – anno dell’ascesa al potere di Ieyasu Tokugawa – al 1868. Ieyasu assunse (e trasmise ai discendenti) il titolo di shōgun (capo dell’esercito, in pratica dittatore) stabilendosi a Edo, mentre l’imperatore continuò a risiedere a Kyoto, l’antica capitale, e il suo potere rimase puramente formale. L’ascesa al potere di Tokugawa segnò la fine di secoli di guerre feudali tra i vari signori locali (daimyo) e significò per il Giappone l’inizio di un lungo periodo di pace che diede sviluppo alla società e alla civiltà descritte nelle stampe ukiyoe. Caratteristica del periodo Edo fu l’isolamento del Giappone dal mondo esterno dopo la cacciata degli europei operata nel 1639 per via delle mene dei gesuiti.
Un’altra cosa che va detta è che attribuire date precise alle stampe ukiyoe prima del 1852 è più che altro un azzardo, perché è solo da quell’anno che un sigillo comprendente la data rimpiazzò il tradizionale kiwame, il sigillo di approvazione del censore, che ne era privo.