“Italia risparmia uscendo dall’euro”

se tu hai un conto corrente in dollari mica possono svalutartelo!!!

e poi diciamocelo l'oro e' al massimo, basta un ticchetto di inflazione e crolla tutto.

quindi liquidita' in dollari punto.

da quando era a 1.40 che lo dica :-x
 
Ultima modifica:
Tutto sommato,ripensare ad investire su immobili, sarebbe da rivalutare. Per quanto la nuova Lira possa svalutarsi, il valore reale di una casa dovrebbe mantenersi, se non addirittura schizzare in alto.
 
l'immobile devi valorizzarlo con le persone, se hai solo migranti economici come potenziali acquirenti la zona perde inevitabilmente valore
potresti avere solo una provvisoria valorizzazione dei mercato degli affitti
come ho detto l'Italia doveva puntare su una immigrazione di alto livello se voleva valorizzare il proprio valore immobiliare
piuttosto di quello che sta succedendo avrei preferito un piano di decemetizzazione demolendo tutte le case troppo vecchie che non fanno parte del patrimonio artistico

l'Italia avrebbe bisogno di un rinnovo del patrimonio immobiliare demolendo o ricostruendo le case troppo vecchie.
Possibilita' di crescita e di valorizzazione si trovano ma fino a quando votate capre vi pigliate solo tasse.
 
Evans Pritchard – La Crisi finanziaria esistenziale nella UE: le Banche Centrali dell’Eurozona sono ancora solventi?
Sul Telegraph, Ambrose Evans-Pritchard discute la silenziosa trasformazione delle passività private in passività pubbliche tramite il quantitative easing della BCE. Nel caso di una sempre più probabile rottura dell’eurozona, l’Italia e gli altri paesi della periferia dovranno, come già specificato nero su bianco da Draghi, ripagare le proprie passività sul sistema Target2. A quel punto, a meno di un default, il peso delle passività accumulate dalle banche sarà stato effettivamente scaricato sui contribuenti.

Evans Pritchard – La Crisi finanziaria esistenziale nella UE: le Banche Centrali dell’Eurozona sono ancora solventi?

di Ambrose Evans-Pritchard, 23 febbraio 2017

Ampie passività stanno venendo silenziosamente trasferite dalle banche private e dai fondi di investimento ai contribuenti di tutta l’Europa del sud. Si tratta di una variante del tragico caso della Grecia, ma questa volta su scala più ampia, e con implicazioni sistemiche globali.

Non c’è stata alcuna decisione democratica da parte dei Parlamenti di sobbarcarsi questi oneri fiscali, che si stanno rapidamente avvicinando ai mille miliardi di euro. Si tratta degli effetti collaterali del quantitative easing operato dalla Banca Centrale Europea, che è degenerato in un canale per la fuga dei capitali dal Club Med [i paesi mediterranei, NdT] verso la Germania, il Lussemburgo e i Paesi Bassi.

Questa “socializzazione dei rischi” sta avvenendo in maniera furtiva, come una sorta di effetto meccanico del sistema di pagamenti Target 2 della BCE. Se nel corso dei prossimi mesi uno sconvolgimento politico in Francia o in Italia dovesse dare il via a una crisi esistenziale dell’euro, i cittadini dei paesi dell’eurozona, sia dei paesi debitori che dei creditori, scoprirebbero con orrore ciò che gli è stato fatto.

Questo rischio è concreto. Proprio ora, mentre sto scrivendo, quattro dei cinque articoli in evidenza sul giornale finanziario francese Les Echos riguardano scenari di rottura dell’euro. Non ricordo ci sia mai stato un dibattito così aperto su questo tema sulla stampa continentale in nessun periodo della storia del progetto euro.

Come al solito sono i mercati del debito a fare da barometro dello stress. Mercoledì i rendimenti sui titoli biennali tedeschi sono scesi al minimo storico dello 0,92 percento, segno che sta accadendo qualcosa di strano. “Stanno di nuovo suonando i campanelli d’allarme. Il nostro flusso di dati rileva una fuga di capitali verso i porti sicuri della Germania. Sembra il crescendo della crisi dell’eurozona che ci fu nel 2011“, ha detto Simon Derrick di BNY Mellon.

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Il sistema Target 2 è progettato per regolare automaticamente i conti tra le varie banche centrali che fanno capo alla BCE, auto-regolandosi ad ogni reciproco scambio. In realtà è diventato solo la copertura di un cronico deflusso di capitali a senso unico.

Gli investitori privati vendono i propri titoli del debito pubblico italiano o portoghese alla BCE garantendosi dei profitti, e reinvestono i proventi in fondi comuni di investimento in Germania o Lussemburgo.Ciò che emerge, fondamentalmente, è che l’unione monetaria si sta lentamente disintegrando, nonostante i migliori sforzi di Mario Draghi, ha detto un ex governatore della BCE.

La Banca d’Italia da sola è tenuta a restituire la cifra record di 364 miliardi di euro alla BCE – una cifra pari al 22 percento del PIL annuale italiano – e il dato è in continuo aumento.
Mediobanca stima che 220 miliardi di euro siano già defluiti dall’Italia dal momento in cui la BCE ha lanciato il quantitative easing. Il deflusso è andato di pari passo, quasi esattamente, col ritmo di acquisto dei titoli da parte della BCE.

Il professor Marcello Minenna dell’Università Bocconi di Milano ha detto che il trasferimento implicito da rischio privato a rischio pubblico – dato ampiamente taciuto dai media italiani – pone la Banca d’Italia a rischio insolvenza in caso di rottura dell’euro o se l’Italia fosse costretta a uscire dall’unione monetaria.Sinceramente queste somme stanno diventando impossibili da pagare“, ha detto.

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La BCE ha sostenuto per anni che questi squilibri sul sistema Target2 fossero l’equivalente di una finzione contabile che non aveva alcuna reale importanza in una unione monetaria. Non è più così. In gennaio Mario Draghi ha scritto una lettera agli europarlamentari italiani, avvertendoli che il debito sarebbe stato “da ripagare per intero” se l’Italia fosse uscita dall’euro e avesse recuperato la lira.

Questa è una dichiarazione potente.

Draghi ha scritto nero su bianco per confermare che le passività su Target2 sono una cosa fatalmente seria – cosa che i critici hanno sempre detto – e in un certo senso ha rivelato che il debito pubblico italiano è significativamente più alto di quanto ufficialmente dichiarato. La Banca d’Italia ha degli attivi a compensazione, ma questi verrebbero pesantemente svalutati.

Le passività della Spagna su Target2 sono pari a 328 miliardi di euro, ovvero il 30 percento del suo PIL.
Il Portogallo e la Grecia hanno passività per 72 miliardi di euro ciascuno.
Diventerebbero tutti insolventi o quasi, se questi debiti dovessero essere riscossi.

Willem Buiter di Citigroup dice che le banche centrali all’interno di quella struttura incompleta che è l’eurozona non sono affatto delle vere banche centrali. Sono più simili a dei “currency board[autorità deputate a garantire il valore della moneta in un regime di tasso di cambio fisso, NdT]. Possono anche andare in fallimento, e molte probabilmente lo faranno. In breve, non sono una “controparte credibile” per il resto dell’euro-sistema.

È sorprendente che le agenzie di rating continuino a rifiutarsi di trattare le potenziali passività su Target2 come debiti reali, perfino dopo la lettera di Draghi e nonostante i palesi rischi politici. Forse non lo possono fare perché sono regolate dalle autorità della UE e, di tanto in tanto, sono soggette a intimidazioni giudiziarie da parte dei paesi che non apprezzano i loro giudizi. Quale che sia la causa di questo atteggiamento, potrà sempre ritorcerglisi contro.

Dal canto suo, la Bundesbank tedesca ha accumulato crediti su Target2 per 796 miliardi di euro.
Il Lussemburgo ha crediti per 187 miliardi, il che riflette il suo ruolo di capitale finanziaria; si tratta di circa il 350 percento del suo PIL, e di 14 volte il suo bilancio annuale.

Dunque, cosa accade se salta l’euro?
Possiamo prevedere che ci troveremo di fronte a un flusso oceanico di capitali prima che quel momento arrivi, spingendo gli squilibri Target2 verso i 1500 miliardi.
Buiter dice che la BCE dovrebbe tagliare le linee di finanziamento verso le banche centrali “irrimediabilmente insolventi” per potersi proteggere.

La reazione a catena inizierebbe con il default di un paese del sud nei confronti della BCE, che a sua volta non riuscirebbe a restituire i relativi crediti al blocco dei paesi del nord, sempre ammesso che a quel punto la BCE sia ancora un’istituzione funzionante. La BCE non ha alcuna entità sovrana dietro di sé. È orfana.

Le banche centrali di Germania, Paesi Bassi e Lussemburgo perderebbero i crediti che vantano su Target2. Avrebbero però per compensazione le passività che stanno sotto contratti legali nelle banche che operano nei loro centri finanziari. Queste passività esistono perché si tratta del modo in cui le banche centrali creditrici sterilizzano gli afflussi provenienti da Target2.

In altre parole, la banca centrale del Lussemburgo si troverebbe improvvisamente a dover restituire una cifra pari al 350 percento del PIL a controparti private, includendo debiti emessi sotto vari termini legali e per lo più denominati in euro. Potrebbe provare, a quel punto, a stampare franchi lussemburghesi e vedere se funziona.

Moody’s, Standard & Poor’s, e Fitch, certo, valutano il credito sovrano lussemburghese con una solida tripla A, ma ciò dimostra solo i tranelli di una fissazione intellettuale e ideologica.

Non importa che l’edificio dell’unione monetaria sia costruito sulla sabbia, fino a che mantiene la propria aura di inevitabilità. Ma ora importa.


Gli allibratori hanno stabilito una probabilità di tre contro uno che un candidato che afferma di voler ripristinare il franco a maggio diventi il Presidente della Francia.
Ciò che colpisce non è che il Front National di Marine Le Pen sia balzato al 28 percento in un sondaggio. Ciò che colpisce è che abbia accorciato le distanze, stando a un 44 a 56 in caso di ballottaggio contro l’ex premier François Fillon.
I sondaggisti di Elabe dicono che numeri del genere non si erano ancora mai visti per la Le Pen. Il 44 percento dei “lavoratori” francesi dice che potrebbe votare per lei, mostrando quanto profondamente è riuscita a invadere i bastioni industriali che erano del Partito Socialista. Il soffitto di vetro si sta crepando.

La carta jolly è che la Sinistra francese, pur profondamente divisa, potrebbe mettere da parte le proprie aspre divergenze e raggrupparsi a sostegno del candidato socialista Benoît Hamon, assicurandogli di raggiungere il ballottaggio contro la Le Pen. La Francia si troverebbe allora di fronte a una scelta tra una destra e una sinistra radicale, entrambe impegnate a distruggere l’ordine attuale. La sfida sarebbe troppo testa-a-testa per poter predire la vittoria.

Può succedere qualunque cosa in Francia nei prossimi mesi, così come può succedere in Italia se il Partito Democratico, attualmente al governo, si spacca. Il leader Matteo Renzi afferma che la scissione sarebbe “un regalo a Beppe Grillo”, il cui Movimento 5 Stelle è attualmente in testa ai sondaggi italiani col 31 percento.
Per come stanno le cose ora, ci sono quattro partiti italiani, per un totale di metà dei seggi parlamentari, che stanno considerando il ritorno alla lira, e potrebbero orientarsi verso una libera alleanza.

Questo succede proprio mentre i mercati iniziano a innervosirsi per l’imminente fine dei programmi di acquisto titoli da parte della BCE. Questa agitazione aumenta col migliorare dei dati economici dell’eurozona, perché crescono le pressioni da parte della Germania affinché lo stimolo d’emergenza abbia termine.

Se l’Italia può sopravvivere alla perdita dello scudo della BCE è una questione dibattuta. Mediobanca dice che il Tesoro italiano deve raccogliere o rinnovare 200 miliardi di euro all’anno, e la BCE è ora in pratica l’unico acquirente.

Di fronte alla crisi, la Grecia fu intimidita e costretta a sottomettersi. Si tratta di un paese piccolo e psicologicamente vulnerabile ai margini dei Balcani, ai confini con la Turchia. La somma di denaro in gioco era, comunque, troppo piccola per essere determinante.

Ora sono la Francia e l’Italia a minacciare di sottoporre l’euro-esperimento alla prova del fuoco.
Se il sistema si rompe, le passività su Target2 potrebbero diventare di colpo fin troppo reali, e non sarebbe finita qui.
Si rimetterebbero in discussione contratti per migliaia di miliardi.

Questa sarebbe, per la City di Londra e il suo complesso bancario, una minaccia più grande rispetto al problema secondario del sistema di compensazione dei pagamenti dell’euro, o di qualsiasi grattacapo che possa venire dalla Brexit. Chi parlerebbe più della Brexit, in questo caso?

* Il testo è stato modificato per riflettere il valore effettivo degli asset detenuti dalla Banca d’Italia.
 
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Saint Simon 2 settimane fa 2 commenti
Bloomberg: perché gli Italiani potrebbero essere i veri sconfitti dell’euro
Un breve articolo di Bloomberg mostra che gli italiani sono i maggiori perdenti dell’era dell’euro: l’Italia è l’unico paese tra i 19 membri ad aver ancora un PIL reale pro-capite più basso rispetto a 18 anni fa, quando è stato adottato l’euro. Persino nella Grecia massacrata dalle politiche di austerità imposte dai creditori il PIL reale pro-capite è ora leggermente salito – dopo una devastante depressione – rispetto a 18 anni fa. Un’ulteriore conferma che per l’Italia riprendersi la propria moneta e il proprio futuro è una questione vitale.



di Lorenzo Totaro e Giovanni Salzano, 3 febbraio 2017

Quasi due decenni dopo la creazione della moneta unica, gli italiani si stanno dimostrando i grandi perdenti tra i 19 paesi membri dell’eurozona.

Secondo i calcoli di Bloomberg, sulla base dei dati fino al 2015 e le stime per il 2016 forniti dall’ufficio di statistica dell’Unione europea, il prodotto interno lordo pro capite in termini reali si è ridotto dello 0,4 per cento negli ultimi 18 anni. Mentre a partire dal 1998 l’economia italiana è cresciuta del 6,2 per cento, nello stesso periodo la sua popolazione è aumentata del 6,6 per cento – così si spiega la caduta del Pil pro-capite.

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La parte del leone e la parte dell’agnello – in arancione la contrazione del PIL real pro-capite tra il 1998 e il 2016, in blu l’espansione del PIL reale pro-capite nello stesso periodo

Il confronto con gli altri paesi mostra chiaramente che nel periodo considerato l’economia italiana è cresciuta a un ritmo troppo lento“, ha detto Loredana Federico, economista presso Banca UniCredit AG a Milano. “Per l’Italia sarà molto difficile negli anni a venire chiudere il divario con le altre economie, che sono già tornate al livello pre-crisi o addirittura lo hanno superato“.

Undici paesi membri dell’UE hanno introdotto l’euro come moneta di conto nel gennaio 1999; ad essi si è poi unita la Grecia. Le banconote e le monete attuali hanno cominciato a circolare nel gennaio 2002, e da allora la zona ha continuato ad estendersi, fino alla Lituania che è diventata il 19° membro.

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La Germania guida la fuga – il PIL reale pro capite dell’Italia è ancora inferiore al livello del 1998

Il PIL pro-capite in Italia è andato ancora peggio che in Grecia, paese duramente colpito dalla crisi finanziaria. Le stime di Bloomberg mostrano che il valore di tutti i beni e servizi prodotti in quel paese è aumentato del 4 per cento su base individuale negli ultimi 18 anni.

In Germania, l’economia più grande della zona euro, il Pil pro-capite è aumentato del 26,1 per cento dal 1998. Questo rende i cittadini della nazione della Cancelliera Angela Merkel i vincitori tra tutte le principali economie del blocco.
 
il discorso e' sempre quello votate sinistra e vi pigliate questo (notate dopo la sconfitta delle destre del 2011 con il colpo di stato fatto dalla finanza)
sinistra al potere = crollo della economia e africanizzazione dell'italia
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il discorso e' sempre quello votate sinistra e vi pigliate questo (notate dopo la sconfitta delle destre del 2011 con il colpo di stato fatto dalla finanza)
sinistra al potere
= crollo della economia e africanizzazione dell'italia
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tu poni sempre l'accento sulla sinistra e qui dissento
MONTI è tutto tranne di sinistra... semmai sinistro è stato il suo operato .... insomma un MONTI col cervello al MARE

il problema è che questi sono solo finti esperti che stanno riportando l'europa nel medioevo
e non è questione di destra e sinistra anche se sono i politici che ci schiavizzano infischiandosene della popolazione ... a loro interessa la poltrona e il potere economico che comporta... si fanno pure comperare dalle Multinazionali intascando tangenti

e il popolo reagisce come può al tradimento dei democratici/corrotti
ti segnalo un attimo articolo del matematico Nassim Taleb
Nassim Taleb: Non è fascismo! E’ una rivolta in atto contro gli pseudo-esperti
 
L’euro 15 anni dopo: il fact checking dell’ISPI non regge il fact checking
All’inizio di questa settimana l’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) ha pubblicato un sedicente fact checking sull’euro che promette “un’informazione sintetica e il più possibile fondata su dati oggettivi”. In pratica, sette affermazioni sull’euro sono state definite “vere” o “false”, con brevi note esplicative. Quali che fossero le reali intenzioni degli estensori, il risultato ha poco a che vedere con un fact checking e molto più con una semplice esposizione di opinioni, poco o nulla avvalorata da dati. Ora, come ha affermato Alberto Bagnai in un articolo recentemente pubblicato su questo sito, “l’euro è uno dei più grandi successi della scienza economica: tutto quello che questa aveva previsto si è realizzato, ed esattamente nel modo in cui la scienza economica l’aveva previsto”. Commentando dunque alla luce dei dati e di quanto insegna la scienza economica i sette punti proposti dall’ISPI,
Andrea Wollisch, laureato in Economia e Scienze sociali, giunge a conclusioni decisamente diverse rispetto a quelle propagandate dall’Istituto.


di Andrea Wollisch (@BocPentito), 24 febbraio 2017
L’euro 15 anni dopo: il fact checking dell’ISPI non regge il fact checking

1 – L’euro ha fatto aumentare i prezzi?

Che in un’Europa dove si combatte la deflazione si tiri nuovamente fuori questa vecchia questione, significa essere ignari del dibattito. Certo che i prezzi oggi ristagnano, ma è un pessimo segno. Il tasso di inflazione dei prezzi al consumo dipende dall’incontro tra domanda e offerta di beni di consumo. L’inflazione è andata calando poiché è aumentata l’offerta (basti pensare a tutti i prodotti importati che invadono il nostro paese ormai da decenni), ma soprattutto perché è diminuita la domanda: la disoccupazione è salita e i salari reali sono fermi. Le politiche economiche imposte dai trattati europei (liberalizzazioni, privatizzazioni, riduzioni dei diritti dei lavoratori) hanno tra i loro effetti, e probabilmente tra i loro obiettivi, quello di moderare le richieste salariali dei lavoratori, che sono uno dei fattori determinanti del tasso di inflazione: se i prezzi ristagnano è perché non ci sono soldi da spendere.

Grafico: Andamento del salario reale (indice) e del tasso di inflazione: quando l’inflazione cala, i salari reali cessano di crescere.

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Fonte: Goofynomics: Svalutazione e salari (ad usum piddini): il mio 25 aprile

2 – Con l’euro l’Italia ha perso sovranità monetaria?

L’Italia decise di rinunciare ad esercitare la propria sovranità monetaria con due scelte: la partecipazione allo Sme (1978) e l’adesione all’Atto unico europeo (1986) con il quale si deregolamentarono i movimenti di capitale. In questo modo la nostra capacità di fissare tassi d’interesse interni differenti e indipendenti da quelli dei sistemi finanziari esteri si affievolì molto; tuttavia in un momento di crisi come quello del 1992 fummo in grado di riprendere in mano almeno parzialmente la nostra sovranità monetaria uscendo dallo Sme e svalutando: e i risultati ci furono. Contrariamente a quanto molti avevano previsto, dopo la svalutazione l’inflazione scese (dal 5,2% del ‘92 al 4% del ‘94)http://vocidallestero.it/2017/02/25...ng-dellispi-non-regge-il-fact-checking/#_edn1, l’economia italiana ripartì (+2,9% nel 1995)[ii] e migliorarono sia la bilancia dei pagamenti sia la posizione netta sull’estero, come evidenziato dal grafico sottostante. E questo alla faccia della sovranità “formale” di cui parla l’ISPI.

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Fonte: Relazione annuale della Banca d’Italia sul 1995, pag. 131.

Con l’Euro la possibilità di riprendersi la propria sovranità in caso di bisogno è stata esclusa.

Inoltre, bisogna considerare che una politica monetaria comune tra paesi con esigenze e obiettivi diversi non può essere ottimale per tutti contemporaneamente: difatti oggi non va più bene ai tedeschi, perché tassi così bassi stanno mettendo in difficoltà i loro fondi pensione gestiti col sistema della capitalizzazione. Tassi alti, d’altra parte, metterebbero in crisi i paesi fortemente indebitati.

3 – La moneta unica ha fatto guadagnare di più alla Germania che all’Italia?

Le riforme Hartz hanno fatto calare i salari dei lavoratori tedeschi, compensando i loro mancati guadagni con copiosi aiuti statali (e future pensioni da fame). In questo modo la Germania è riuscita ad avere un’inflazione persistentemente più bassa rispetto a tutti gli altri partner europei, guadagnando così competitività anno dopo anno ed esportando sempre di più.
In una condizione normale in cui ogni paese ha la sua moneta, di fronte a una grande richiesta di beni tedeschi la moneta nazionale tedesca si sarebbe rivalutata, rendendo i prodotti tedeschi troppo cari e riequilibrando il mercato. Grazie all’Euro, la politica tedesca ha potuto evitare una rivalutazione della propria moneta ed è stato quindi possibile per la Germania praticare quella che è in pratica una svalutazione reale competitiva e accumulare ingenti surplus di partite correnti (ovvero esportare molto più di quanto importa).
In Italia è avvenuto l’opposto. Inizialmente, senza tagliare i salari, siamo andati in deficit con l’estero; successivamente, obbligati dalle istituzioni europee, abbiamo fatto “le riforme” e ora con meno diritti e un salario minore siamo tornati in attivo con l’estero, ma a costo di una drammatica compressione dell’economia, di un alto tasso di disoccupazione e di un peggioramento del rapporto tra debito pubblico e PIL.

Grafico: Divergenza dell’inflazione: l’unione monetaria raggiunge l’obiettivo della Bce solo considerando l’inflazione media.

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Fonte: The Euro – A story of misunderstanding, Flassbeck e Spiecker, 2011.



Grafico: La divergenza del costo del lavoro per unità di prodotto apre un profondo gap di competitività nell’unione monetaria.

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Fonte: The Euro – A story of misunderstanding, Flassbeck e Spiecker, 2011.
 
4 – Il ritorno alla lira farà crescere le nostre esportazioni?

Premessa: far crescere le esportazioni in questo momento non è un obiettivo sensato. Se vogliamo uscire dalla crisi, noi dobbiamo concentrarci sulla crescita della domanda interna, preoccupandoci di rimanere in equilibrio con l’estero. Ma far ripartire la domanda interna con una moneta sopravvalutata, ci porterebbe nuovamente a sbilanciarci, importando troppo.
L’Italia ha ora un leggero surplus con l’estero: in caso di ritorno alla lira, la svalutazione, nell’attuale contesto di libertà di movimento dei capitali, dipenderà dalle aspettative degli operatori rispetto alle politiche economiche che si intendono perseguire. Ciò che sarebbe certo, in ogni caso, è la rivalutazione della nuova valuta tedesca, dovuta all’enorme surplus di bilancia commerciale della Germania: e questo porterebbe a riequilibrare la situazione con l’Italia, che non si troverebbe più a dover competere con un concorrente come la Germania, che gode di una moneta sottovalutata, ovvero di una sorta di sconto fisso sui beni che esporta.

Il grafico sottostante mostra molto chiaramente come, ai tempi dello SME, in presenza di rivalutazioni del marco, il gap di produttività tra Italia e Germania regolarmente spariva (fase B-C), mentre si allargava ogni volta che la banda di oscillazione della lira veniva ridotta (fase A-B e fase C-D) o, dopo il 1996, eliminata (fase E).

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Fonte: Goofynomics: Cosa sapete della produttività?

4 – Il ritorno alla lira farà crescere le nostre esportazioni?

Premessa: far crescere le esportazioni in questo momento non è un obiettivo sensato. Se vogliamo uscire dalla crisi, noi dobbiamo concentrarci sulla crescita della domanda interna, preoccupandoci di rimanere in equilibrio con l’estero. Ma far ripartire la domanda interna con una moneta sopravvalutata, ci porterebbe nuovamente a sbilanciarci, importando troppo.
L’Italia ha ora un leggero surplus con l’estero: in caso di ritorno alla lira, la svalutazione, nell’attuale contesto di libertà di movimento dei capitali, dipenderà dalle aspettative degli operatori rispetto alle politiche economiche che si intendono perseguire. Ciò che sarebbe certo, in ogni caso, è la rivalutazione della nuova valuta tedesca, dovuta all’enorme surplus di bilancia commerciale della Germania: e questo porterebbe a riequilibrare la situazione con l’Italia, che non si troverebbe più a dover competere con un concorrente come la Germania, che gode di una moneta sottovalutata, ovvero di una sorta di sconto fisso sui beni che esporta.

Il grafico sottostante mostra molto chiaramente come, ai tempi dello SME, in presenza di rivalutazioni del marco, il gap di produttività tra Italia e Germania regolarmente spariva (fase B-C), mentre si allargava ogni volta che la banda di oscillazione della lira veniva ridotta (fase A-B e fase C-D) o, dopo il 1996, eliminata (fase E).



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Fonte: Goofynomics: Cosa sapete della produttività?



5 – I paesi Ue fuori dall’Eurozona crescono più di quelli che stanno dentro?

I paesi dell’Ue che non fanno parte dell’eurozona sono tutti cresciuti di più, non solo quelli considerati “indietro” come ad esempio i nuovi entrati dell’Est europeo, ma anche e soprattutto quelli più avanzati come la Svezia e il Regno Unito, per non parlare poi di chi in Europa sta solo geograficamente, come la Svizzera. Un caso emblematico è rappresentato dai paesi scandinavi. Il grafico sottostante mostra chiaramente i gap di crescita dei quattro paesi, molto simili tra di loro tranne che per la rispettiva posizione verso l’Euro e la UE: Svezia e Norvegia, i paesi che crescono di più, hanno moneta propria e libera di oscillare; la Danimarca, pur non adottando l’Euro, vi ha agganciato il cambio della Corona con un rapporto piuttosto rigido (e infatti è penultima, distanziata dai primi due); ultima e in piena crisi, la Finlandia, membro UE che ha adottato l’Euro.

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Fonte: La Grande Divergenza Scandinava

Ma l’aspetto peggiore è la disomogeneità della crescita e in generale delle performance economiche all’interno dell’eurozona, i cui paesi membri hanno progressivamente visto divergere le proprie economie anziché convergere, come era stato promesso.



6 – Senza la moneta unica gli stati avrebbero affrontato meglio la crisi?

Il cambio flessibile è fondamentale per assorbire shock asimmetrici o compensare divergenze strutturali tra economie: la moneta unica, togliendo lo strumento della flessibilità, ha in realtà reso le economie degli stati coinvolti più fragili di fronte a crisi e squilibri.
L’Euro, inoltre, nei primi anni ha favorito l’afflusso di capitali verso la periferia dell’eurozona, facendo lievitare il debito estero di questi ultimi e gonfiare bolle speculative, fino alla crisi finanziaria americana. Il brusco arresto di questo ciclo ha creato enormi problemi finanziari, bancari e di bilancia dei pagamenti agli stati, i quali non avendo più la sovranità monetaria, e non potendo quindi agire attraverso gli strumenti che questa consente, sono stati costretti ad accettare attraverso il “fondo salva-stati” prestiti fortemente condizionati, che li hanno obbligati non solo all’austerità, ma anche e soprattutto a riformare i propri mercati del lavoro, diminuendo drasticamente le tutele, e a privatizzare importanti settori ed infrastrutture. La disoccupazione è esplosa, la domanda si è ulteriormente contratta e la crisi non ha fatto che avvitarsi su se stessa: il caso drammatico della Grecia insegna.
Inoltre buona parte di quegli stessi prestiti condizionati sono serviti per far rientrare dalle proprie esposizioni estere le banche tedesche e francesi (l’Italia ha contribuito con il 17% al fondo, pur avendo solo il 4% delle perdite bancarie derivate dalla crisi).
L’Euro ha creato le premesse per la creazione di questi istituti e per l’attuazione di politiche di deflazione salariale e disoccupazione di massa.

Grafico: Crediti esteri delle banche del “centro” verso le banche della “periferia” dell’eurozona (sinistra) e delle banche tedesche rispetto ai PIGS, l’Italia e la Francia (destra).

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Fonte: “An Optimum Currency Crisis”, Pasimeni, 2014


7 – L’euro funziona male perché la sua costruzione è incompleta?

Che l’euro non potesse funzionare era stato previsto dai maggiori economisti. Più che “incompleta”, però, la costruzione è stata capovolta: si è partiti della moneta, e questo ha provocato tali squilibri e tensioni da mettere a rischio ulteriori avanzamenti verso una Europa unita (come previsto da Kaldor nel lontano 1971). Che ce ne si accorga solo oggi lascia quantomeno perplessi.
I passi che in teoria sarebbero necessari per far funzionare l’eurozona prevedono la costruzione di un vero stato europeo, dotato di un bilancio proprio sostanziale e con entrate proprie, oltre alla creazione di un debito pubblico europeo comune. Queste nuove istituzioni potrebbero essere efficaci solo se trasferissero ingenti risorse dagli stati che beneficiano dell’attuale situazione a quelli che stanno peggio. Non è difficile oggi prevedere che questo non accadrà mai. Molti paesi, a partire dalla Germania, non hanno alcun interesse a proseguire su questa strada. Non esiste in questo momento, se mai è esistita, la volontà politica e nemmeno popolare per passi del genere. Queste proposte sono una forzatura, una fuga in avanti di chi continua a parlare di sogno europeo.
L’Euro, facendo divergere le economie, ha accentuato le differenze e i contrasti tra i diversi interessi nazionali e ha quindi reso paradossalmente meno probabili questi sviluppi.

Fonti:
– Appendice statistica alla relazione annuale della banca d’Italia sul 1996.

– Relazione annuale della Banca d’Italia sul 1995.

– Pasimeni P. (2014), An Optimum Currency Crisis, The European Journal of Comparative Economics Vol. 11 (2), pp. 173-204.

La Grande Divergenza Scandinava

Goofynomics: Cosa sapete della produttività?

– Flassbeck H. – Spiecker F. (2011). The Euro: a story of misunderstanding. Intereconomics, 46(4): 180-187.

Goofynomics: Svalutazione e salari (ad usum piddini): il mio 25 aprile

– Garber, P.M. (2010), “The Mechanics of Intra-euro Area Capital Flight”, Economics Special Report, Frankfurt am Main: Deutsche Bank Global Markets Strategy.

– Cour-Thimann, P., «Target Balances and the Crisis in the Euro Area», CESifo Forum, vol. 14, Special Issue, April, 2013.



Nota: per ovvi motivi, in questo articolo l’argomento è stato trattato in estrema sintesi. Per i lettori interessati a informarsi più ampiamente e consultare l’ampia bibliografia disponibile in materia consigliamo i saggi di Alberto Bagnai Il tramonto dell’euro (Imprimatur, 2012) e L’Italia può farcela (Il Saggiatore, 2014).



http://vocidallestero.it/2017/02/25...dellispi-non-regge-il-fact-checking/#_ednref1 Dati tratti dall’appendice statistica alla relazione annuale della banca d’Italia sul 1996.

[ii] Vedi sopra.
 
Più che discutere, qui si fa della gran propaganda per l'uscita dell'Euro.
Certo, qualcuno potrebbe guadagnarci (senz'altro chi qui dentro lo auspica), ma è un dato di fatto che per chi percepisce una pensione, o ha un reddito fisso (magari statale) sarebbe una sciagura.
Si ha voglia a dire che si pagherebbero di più solo i prodotti esteri. Come se non si comprassero solo prodotti esteri (e si continuerebbe a farlo anche dopo l'uscita dall'Euro, anche se più cari).
 

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