La banda del quartierino e i quartieri alti

Zen lento

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Stefano Ricucci, degradato da immobiliarista a marito di Anna Falchi, e' riemerso alla cronaca politica grazie agli stralci delle sue dichiarazioni all'inquirente e delle sue telefonate private. Si puo' credere alla fantasia dell'affiliato della banda del quartierino ?

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/06_Giugno/17/richiamo_verbali_ricucci.shtml
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2007/06_Giugno/12/intercettazioni_tutte.shtml

Non e' importante, se cio' che confusamente narra, o cio' che tortuosamente insinua, sia piu' o meno vero. In fondo ormai non e' difficile credere a nulla, e tanto meno e' difficile credere che esista una consorteria di affari e politica da far impallidire la Ia repubblica. Tutti si affannano a smentire, a querelare, a precisare, a distinguere, ma e' palpabile l'idea acclarata della pubblica opinione che considera questi signori, tanto accaniti uno contro l'altro pubblicamente, una elite' soffocante di moribondi che condive privatissimi vizi, che parla un linguaggio da scaricatore di porto, racconta barzellette da postriboli nel parlare di cose pubbliche, che gioisce come un ragazzino delle "paraculate" portate ai danni dell'avversario e dei propri stessi compagni di cordata.

Antipolitica ? Credo di no, qualcosa di piu' serio. Nell'immaginario collettivo la politica e' un comitato di affari consociativo a cui quasi nessuno delle sfere alte e' innocente. Diffidare di tutti e' lecito e in fondo i documenti e le rivelazioni (presunte vere o presunte false) si accumulano con tale insistenza nella cronaca che la politica ne esce maledettamente sconfitta al pari dei potentati economici.
Che dice in fondo Ricucci? solo che per fare affari di un certo cabotaggio ci vuole il placet di finanza e politica, cosa in cui Tronchetti provera ci aveva gia' edotti. Essendo un capitalismo un po' straccione, il nostro ha bisogno dell'aiuto di amici e di qualcuno al momento "non nemico". Bizantinismi di chi non ha potere, ma lo condivide.

Antiideologia ? nemmeno, che in fondo nei consigli di amministrazione di ideologia ce n'e' sempre, al tempo stesso poca e moltissima: la combinazione di fattori poco controllabili fa sempre parte della direzione di una azienda dai tempi dell'industria e il successo spesso e' una combinazione ottimale di elementi che hanno piu' a che fare con la determinazione , l'intuizione preconcetta, la organizzazione dei poteri disponibili , piuttosto che con ricette tecnologiche o psicologie.
Ma l'ideologia imprenditoriale oggi consiste in questo: origliare e sputtanare il concorrente (telecom docet)

Questo can can che dai salotti ritenuti buoni (Telecom, Corsera, Mediaset,Banche di varia natura, Unipol) si irradia e fonde con la politica (berlusconi, DS, Margherita, Uds, lega) e le istituzioni ha soppiantato l'Italia delle Mafie (che al confronto sembrano pagliacciate ottocentesche) , piu' che un vizio antropologico italiano e' un verminaio senza fine che ancor prima che nel sistema di informazione si diffonde di bocca in bocca. Per questo si crede a tutto quel che viene pubblicato e se non ci si crede ancora si e' li' li' per farlo, per capitolare. Come biasimare?

Questa confusione e odio per il pubblico, per le istituzioni pubbliche dalla scuola alla Magistratura su su fino al Parlamento, non promette davvero nulla di buono. E tutta questa commistione di finanaza e politica (non solo qui, visto che negli usa han fatto una guerra per ragioni finanziarie raccontanto balle a tutto spiano) ha in Italia il sapore di un disfacimento. Qui le lobbies prima che gruppi di pressione piu' o meno istituzionalizzati, sono ormai potere politico : l'affare detta legge e la mediazione per il bene pubblico non esiste.

E nessuno, per esempio, piu' crede a D'alema. Non gli si crede non per il fango con cui spesso e' stato sommerso, non per la sua incapacita' di giungere ad alcuna sintesi politica vincente (io non ne ricordo, altri mi pare nemmeno), nonostante la sua presunta intelligenza e tagliente battuta, ma non gli si crede per quel suo piacere reputato poco di sinistra, di partecipare a regate con i miliardari, di promuovere cordate di furbetti, di criticare i suoi stessi compagni di partito e il suo segretario, di quella sua arroganza senza risultati che ha come riconoscimento e riconoscenza gratificanti proprio gli avversari (Berlusconi in primis).
C'e' una bella differenza tra il non predicare il pauperismo francescano (un uomo di sinistra non si vota alla miseria) e il sostenere nei fatti che il capitalismo rampante ci salvera'. C'e' differenza tra essere realisti (riconoscere i tempi) e realisticamente accodarsi.

La politica sara' anche una geometria, ma la politica di D'alema, occorre risonoscerlo, ha tanto della "paraculata", ovvero il respiro corto di quella esasperazione tattica che piu' che ad una vittoria conduce a non perdere una battaglia, costi quel che costi, con l'aggravante di perderne molte. Se fosse vera l'idea che in politica vale la capacita' di adattamento per il successo e la sopravvivenza del migliore, qui siamo alla mimesi.
Vizio di tutta la classe politica italiana, trapiantato di sana pianta a sinistra.
Nereo Rocco, nel calcio, era altra cosa. Infatti qualcosa vinse.

C'era qualcosa di eroico nelle percentuali riscosse da chi, per far sopravvivere un partito , metteva una tassa agli imprenditori che volevano trafficare con l'Urss (era la commissione del 5%); c'e' poco da sorridere ora anche al solo sospetto che per tenere in piedi il partito che non c'e', si siano svenduti pezzi di Italia a questa consorteria di finanzieri rapaci e nullafacenti, allevandoseli anche in seno.

Solo lui, l'uomo di Gallipoli ? no, anche lui, che sdegna apparentemente il successo, che si dice pronto a lasciare lo scranno, ma che mai lo fa, invischiandosi e invischiando i reduci di Togliatti con l'opera da due soldi di "capitani coraggiosi" miliardari , che della politica e della sinistra se ne sono sempre sbattuti le palle, querelando i comici e assolvendosi (altro allora non si poteva fare, dice spesso) per aver contribuito (involontariamente, certo) a fare a pezzi telecom , con relativa ricaduta in Unipol dei rampanti.

Come, del resto, degli imprenditori, se ne sbatte le palle Berlusconi che li vorrebbe tutti finanzieri con cui scambiarsi favori tra 18 srl ei rappresentanti della confommercio , dei costruttori di Tav e delle societa' informatiche. Non una barca, nel caso, ma una miriade di societa' di famiglia per la cui difesa non si esita a varare leggi elettorali sconce.

E' purtroppo troppo vero: non ci resta che piangere sulla nostra credulita' e, per non deprimersi, sperare nei comici, almeno per un populismo divertente ancor prima che forse dannoso.
Riconosciamocelo: abbiamo una classe politica che, piu' che vecchia, e' fritta e a cui noi abbiamo versato l'obolo d'olio, ancor prima che se lo spremesse da se'.

Zen lento
 

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