LA CINA HA LE MANI SULLA GOLA DEL DOLLARO

sharnin

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(non so quanto sia attendibile questo articolo del 09/01)

LA CINA HA LE MANI SULLA GOLA DEL DOLLARO
di MIKE WHITNEY

"E' un colpo mortale per il dollaro," è stato il commento di Peter Grandich, editore della Grandich Letter.
Giovedì scorso, [l’articolo è del 9 gennaio] la Repubblica Popolare cinese ha sparato la prima salva in quella che può diventare una Apocalisse economica. Ha annunciato che inizierà a diversificare le proprie riserve monetarie
in dollari. Gulp!
Oggi la Cina ha in riserva 769 miliardi di dollari, che costituiscono la maggior parte delle proprie riserve. E' una cifra esorbitante, qualunque criterio di misura si voglia adottare, e corrisponde al 30% circa del PIL cinese. Purtroppo le spese pazze dell'amministrazione Bush hanno reso il dollaro un cattivo investimento a lungo termine, per questo motivo la Cina deve scegliere fra cambiare strategia o sostenere grosse perdite. Si tratta di una questione spinosa che la Cina deve trattare con la dovuta delicatezza in quanto un comportamento troppo aggressivo può scatenare una corsa alla vendita del dollaro con conseguente svalutazione.
E' improbabile che la Cina si comporti avventatamente ma il solo annuncio del suo cambiamento di strategia ha messo in subbuglio i mercati finanziari.
I futuri sull'oro sono già aumentati del 4% in una settimana dal momento che i grandi acquirenti istituzionali hanno riconosciuto che il dollaro è destinato a finire nella spazzatura. Dalla nomina di
Bush l'oro è passato da 200 dollari a 540 dollari, segno sicuro che gli investitori hanno perso la speranza che Washington sia in grado di controllare la spesa.
Anche se la Cina non si mette a vendere i propri dollari c'è da aspettarsi una considerevole volatilità nei mercati di lunedì.
La Federal Reserve ha anticipato l'azione della Cina. Ecco perché il comitato dei direttori della Federal Reserve ha annunciato, all'inizio dell'anno, che non renderanno più pubblichi gli aggregati
monetari M3 (che comprendono i seguenti componenti: depositi a lunga scadenza, accordi di riacquisto, e eurodollari). In questo modo la Fed può stampare una quantità di carta moneta tale da assorbire le onde d'urto derivanti da improvvise grosse vendite di dollari, senza che il pubblico venga a conoscenza di cosa stia accadendo. Si tratta di un bel trucchetto capace di espropriare gli americani dei loro sudati risparmi mentre il dollaro continua a scavare la propria tomba.
Greenspan sapeva che questo giorno sarebbe arrivato, ecco perché, probabilmente, è andato in pensione in anticipo; godendosela alle Barbados mentre il peggio sta per arrivare. Ecco che cosa ha
riferito in aprile al comitato senatoriale del bilancio: "Il bilancio federale si trova su una strada insostenibile, perché i grossi deficit provocano un aumento dei tassi di sconto i quali, a loro volta, provocano un aumento dei pagamenti per gli interessi, che provocano ancora più grossi deficit. Se non si cambia strada tutti questi deficit provocheranno il blocco o peggio dell'economia."

"Una strada insostenibile"?!?
Sono stati proprio Greenspan e Bush che si sono incamminati sulla "strada insostenibile". E' stato lui a sostenere con entusiasmo il taglio delle tasse del presidente, 450 miliardi annui, andati a favore dell'1% della popolazione che dovrebbe rappresentare. Il taglio delle tasse, da solo, ha messo il paese sulla strada della catastrofe. Con l'azione congiunta di Greenspan e Bush il debito pubblico ha raggiunto l'incredibile cifra di 3 mila miliardi di dollari. Sempre lui ha favorito pratiche finanziarie
dubbie (mutui a tasso variabile, ratei a tasso zero, prestiti con solo gli interessi) che hanno gonfiato la bolla immobiliare con una un onda di acquisti speculativi senza precedenti. Mentre la Fed
continua ad aumentare i tassi e a stringere i cordoni dei prestiti, la bolla si sta lentamente avviando verso l'abisso portandosi con sé il futuro economico dell'America.
Greenspan ha anestetizzato il paese con la politica dei tassi a basso interesse mentre Bush e Co. hanno fatto ricorso al massimo del credito possibile caricando la nave con tutto quello che vi era
nelle casse pubbliche. Intanto l'economia ha cominciato ad arrancare proprio mentre Greenspan teneva nascosti gli effetti a lungo termine dei grossi deficit dietro una montagna di denaro a basso costo. Adesso il pozzo è asciutto e l'America si troverà di fronte a interessi sempre crescenti, a una economia stagnante e a un dollaro in caduta.
La mossa della Cina ci segnala che stiamo entrando in un periodo di instabilità economica, nel quale il futuro dell'America si troverà alla mercè dei suoi creditori. I tassi di interesse sui mutui
americani verranno stabiliti dalla politica economica della Cina. Benvenuto nel nuovo mondo, compagno.
La Fed pensa di poter gestire la cosa manipolando l'offerta di denaro di nascosto della pubblica opinione. Si vedrà.
L'ultima volta che Greenspan ha messo in atto questo trucco ha diminuito i tassi di 12 volte in un anno e mezzo mentre la pressione della Borsa diminuiva lasciando l'economia col salvagente.
Greenspan sa che gli interessi bassi ("soldi facili") non possono prevenire sempre il disastro. Se la Cina comincia a vendere i suoi dollari è la fine per il biglietto verde. Anche il Giappone sarà
costretto a vendere, con a poca distanza anche la Germania. Le nazioni minori si accoderanno alla frenesia di vendita, seguiti dai fondi pensione e altro. Si tratterà di una passeggiata nella
Repubblica di Weimar degli anni 30.
E allora?
Lunedì la Fed inietterà "preventivamente" miliardi di miliardi nel sistema per far aumentare la liquidità e soffocare sul nascere una possibile corsa al dollaro. In questo modo si può far finta di una
apparente normalità mentre quel poco di ricchezza che è rimasta ancora alla classe media verrà deviata nelle tasche di flanella dei banchieri centrali grazie all'inflazione. Questo spingerà l'economia americana verso una traiettoria discendente con alla fine una penuria da terzo mondo.
L'America è sulla strada di una iperinflazione; che farà a pezzi la classe media, minerà i programmi popolari sociali, schiaccerà i sindacati, privatizzando tutte le aree del governo federale, si "pareggeranno" i posti di lavoro (per usare la terminologia di un guru della globalizzazione, Tom Friedman) e gli americani saranno costretti a competere con i lavoratori meno pagati del mondo.
Gli effetti dei grossi deficit sono ben noti. Alla fine le galline torneranno nel pollaio mentre i poveri e la classe media soffriranno terribilmente. Stavolta non sarà diverso.

Mike Whitney
Fonte:http://www.informationclearinghouse.info
9.01.06
 
Tra alcuni mesi l'Iran chiederà di essere pagato in euro per il suo petrolio e la Cina è il suo cliente maggiore ,se poi prende piede un mercato in euro per il petrolio è interesse della Cina cambiare parte delle sue riserve che ora sono in dollari in altre valute.Il pericolo per il dollaro può venire da una improvvisa crescita della domanda interna cinese a quel punto la Cina ha meno interesse a difendere il dollaro in quanto una perdita delle esportazioni verso gli USA viene compensata dal mercato interno.
 
pb ha scritto:
Tra alcuni mesi l'Iran chiederà di essere pagato in euro per il suo petrolio e la Cina è il suo cliente maggiore ,se poi prende piede un mercato in euro per il petrolio è interesse della Cina cambiare parte delle sue riserve che ora sono in dollari in altre valute.Il pericolo per il dollaro può venire da una improvvisa crescita della domanda interna cinese a quel punto la Cina ha meno interesse a difendere il dollaro in quanto una perdita delle esportazioni verso gli USA viene compensata dal mercato interno.


Per questo vogliono bombardare l'Iran o è solo un bluff, un "avvertimento"?
 
sharnin ha scritto:
pb ha scritto:
Tra alcuni mesi l'Iran chiederà di essere pagato in euro per il suo petrolio e la Cina è il suo cliente maggiore ,se poi prende piede un mercato in euro per il petrolio è interesse della Cina cambiare parte delle sue riserve che ora sono in dollari in altre valute.Il pericolo per il dollaro può venire da una improvvisa crescita della domanda interna cinese a quel punto la Cina ha meno interesse a difendere il dollaro in quanto una perdita delle esportazioni verso gli USA viene compensata dal mercato interno.


Per questo vogliono bombardare l'Iran o è solo un bluff, un "avvertimento"?
AVVERTIMENTO

ma sia la Russia che la Cina si sono schierate a favore dell'Iran

la russia ha già mostrato di essere forte come fornitore di GAS

la Cina ha aiutato argentina, brasile, venezuela, tailandia che tutte assieme hanno liquidato i loro debito con il FMI


quindi gli USA stanno perdendo potere...


mentre Bush giocava alla guerra terroristica ( che io credo l'abbia provocata lui..... ), la CINA e la RUssia hanno rafforzato la loro posizione economica e bellica

vedi te....

gli amricani hanno il dovere di eleggere un presidente del mondo democratico e non un NERONE....
 
la crisi nucleare21 gennaio 2005
Partita a tre fra Teheran, Mosca e Pechino
di Piero Sinatti

La crisi dell’uranio arricchito sta mettendo in difficoltà la “partnership strategica” fissata tra Russia e Iran nel 2001 con la visita dell’allora presidente iraniano Khatami a Mosca.


Che era stata preceduta qualche mese prima dalla missione a Teheran dell’allora ministro della difesa russo Igor Sergeev. Si erano prese in esame ipotesi di contratti nella sfera degli armamenti per circa 4 miliardi di dollari.
Il parteneriato russo-iraniano ha ora al suo centro la cooperazione nel settore nucleare a scopo civile, secondo gli accordi intercorsi tra Teheran e Mosca, e quella nel settore degli armamenti. Essa risale al periodo in cui la Repubblica islamica, sottoposta ad embargo sulle forniture di armamenti dall’Europa e dagli Usa durante e dopo il conflitto Iran-Iraq, fu costretta a rivolgersi a Mosca.
Dopo il crollo dell’Urss e l’affermazione delle tendenze filoccidetali nella politica estera di Mosca, la vendita di armi russe all’Iran (che tra il 1988 e il 1992 aveva raggiunto i 2 miliardi di dollari) subì un brusco arresto.

La nuova partnership Teheran - Russia
Il presidente Putin, la cui strategia internazionale cerca un difficile punto di equilibrio tra le sue tendenze occidentaliste e le forse più forti inclinazioni euroasiatiste, ha ridato impulso al partenariato russo-iraniano. L’Iran è un partner strategico di Mosca anche nella misura in cui è un fattore di resistenza all’ulteriore rafforzamento delle posizioni degli Usa nel Medio Oriente e nelle aree caspica e centroasiatica dell’ex-Urss.

…e quella Teheran-Cina
Per gli stessi motivi geostrategici anche Pechino sostiene il programma nucleare di Teheran, cui collabora. Tra Pechino, tramite la compagnia petrolifera commerciale di stato “Zhuhai Zhenrong Corporation”, e Teheran nel marzo 2004 è stato siglato un mega-accordo, storico, di durata venticinquennale per la fornitura alla Cina da parte dell’Iran di 110 milioni di tonnellate di gas liquido. In ottobre la compagnia petrolifera cinese Sinopec ha firmato un contratto per lo sfruttamento venticinquennale del gas e soprattutto del greggio concentrati nel nuovo grande giacimento iraniano di Yadavaran. Nei prossimi 25 anni gli investimenti cinesi in Iran, nel solo settore energetico, potrebbero raggiungere, secondo questi accordi, i 100 miliardi di dollari.

Rapporti commerciali e missilistici Mosca Teheran
Dai primi anni Duemila, in cui non superava il miliardo di dollari, l’interscambio tra Russia e Iran è salito, nel 2005, a circa 1,5-2 miliardi di dollari, con una crescita del 43% rispetto al 2003.
Un miliardo di dollari è costata a Teheran la partecipazione della Russia (con la statale “Rosatom” e le fabbriche strategiche “Izhervskie Zavody” di San Pietroburo, produttrici di turbine per centrali nucleari) alla costruzione del primo reattore della centrale sud-iraniana di Bushehr.
Erano previsti, inoltre, contratti per la costruzione di un secondo reattore a Bushehr (mentre si era cominciato ad ipotizzarne altri quattro), quando lo scontro tra Usa e Ue da una parte e Iran dall’altra sull’iniziativa di quest’ultimo di produrre uranio arricchito (che può essere il preludio alla costruzione dell’atomica iraniana) ha messo in evidente difficoltà le trattative russo-iraniane.
Mosca ha ripetutamente difeso, insieme alla Cina, il diritto di Teheran a costruire la propria industria nucleare ad uso interno e pacifico, con il fine di concentrare sull’export la propria produzione gas-petrolifera.
Da dicembre, tuttavia, la Russia è stata costretta a raffreddare il suo sostegno a favore di Teheran, portato avanti fino ad allora assieme a Pechino (e a New Dehli), culminato nel rifiuto di discutere alle Nazioni Unite il dossier nucleare Iran, ritenendo come luogo deputato per un tale esame l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea).
Il raffreddamento, tuttavia, è avvenuto dopo che in dicembre Teheran ha respinto di applicare la soluzione di compromesso con Mosca, già approvata nel febbraio 2005, che consisteva nell’impegno di Teheran a ritornare in Russia il combustibile nucleare impiegato a Bushehr.
Mosca ha cominciato a prendere le distanze da Teheran. Avvicinandosi alle posizioni europee, ma escludendo soluzioni di forza ventilate oscuramente da Washington.

Un equilibrio difficile
La Russia da una parte deve associarsi alle preoccupazioni occidentali sull’uso del nucleare da parte di Teheran e sui rischi di violazione iraniana del Trattati di non proliferazione.
Dall’altra deve adottare una strategia che difenda i interessi acquisiti, strategici e commerciali.
L’Iran sostiene la Russia sulla questione cecena, unico stato islamico a farlo. Ha concorso a risolvere la pluriennale crisi in Tadzhikstan. Dopo Mosca è il principale paese rivierasco del Mar Caspio, il mare del petrolio.

L’Iran e il Vpk russo
La Repubblica islamica è, dopo la Cina, il principale cliente del Complesso militare industriale (Vpk) russo, da cui ha acquistato dal 2001 tank ed elicotteri e aerei da combattimento (affari di circa 2,5-3 miliardi di dollari), oltre che pezzi aggiunti e assistenza tecnica.
Questa partnership ha suscitato irritazione e proteste da parte di Washington (e di Israele).
Di primaria importanza è la collaborazione nel settore missilistico. Viene iniziata nel 1989 da un Iran che si percepisce isolato in mezzo a un mondo sunnita prevalentemente ostile oltre che minacciato da Usa e da Israele.
La difesa missilistica è un punto centrale della sua strategia. Per questa si è rivolta, negli anni 80 e nei primi 90, anche alla Libia e alla Corea del Nord.
Più di dieci anni fa Teheran costruì con licenza russa i propri missili tattici “Shahab”, i cui principali componenti sono basati sugli analoghi russi.
Dal 2004 Teheran ha acquistato da Mosca complessi di missili antiaerei a largo raggio (del tipo S-300Pmy-2 ovvero Sa-10 Grumble) e complessi antiaerei a breve raggio del tipo Tor-M1 (ovvero Sa-15 Gauntlet). Ma anche missili balistici tattici a medio raggio Iskander-E, non propriamente di difesa, giacchè possono raggiungere obiettivi in tutta l’area mediorientale.
Teheran nel 2004 si era accordato con Mosca perché essa collaborasse alla copertura antimissilistica oltre che di Teheran, anche di altre aree iraniane di primaria rilevanza strategica (dagli impianti nucleari alle base navali militari fino ad alcuni dei maggiori terminali petroliferi).
Mosca propose un contratto per 700 milioni di dollari per la fornitura di complessi Tor-M1. E di 800 milioni di dollari per la fornitura di S-300Pmy-2. L’accordo era previsto per il marzo 2006, ma la “crisi dell’uranio” ha spinto Mosca a rinunciare per il momento a questi “affari”. Per timore di acutizzare le divergenze con gli Occidentali.
Così, la radicalizzazione del regime di Teheran, vista con crescente irritazione da Mosca, minaccia i buoni affari del Vpk russo. In prospettiva potrebbe minare un partenariato avviato con successo da almeno un quinquennio. Il quale non si limita ai solo settori nucleare e degli armamenti.
Lavorano in Iran alcune delle maggiori compagnie petrolifere russe, come Lukojl, Zarubezh-Neft’ (Petrolio-all’Estero) e Tatneft. Lavora Gazprom. Ci sono progetti di unificazione tra le rispettive reti di trasporto gas-petrolifero.
E’ stata costruita una tratta di ferrovia Russia-Iran, via Azerbajdzhan (Kazvin-Resht-Astara, 300 km), mentre i due paesi sono impegnati nella costruzione del corridoio autostradale di trasporto di merci India – Iran – Caspio – Volga – Baltico (Europa del nord).
Questa somma di interessi dovrebbe spingere la Russia (possibilmente assieme a Pechino) a premere sull’Iran perché questo accetti una soluzione di compromesso, attenuando la tensione fin qui accumulatasi sui suoi progetti nucleari. La soluzione di Mosca potrebbe costituire una base di compromesso accettabile per tutti.



http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=a...&chId=30&artType=Articolo&DocRulesView=Libero
 
Cina/ Pil in crescita del 9,9% nel 2005, superata la Francia
Mercoledí 25.01.2006 10:02
La Cina prosegue la scalata nella classifica dei Paesi più ricchi e si mette alle spalle anche la Francia e, forse, la Gran Bretagna. Secondo quanto comunicato dall'Ufficio centrale di statistica di Pechino, nel 2005 il Pil della Repubblica Popolare è cresciuto del 9,9% (in termini assoluti, 2,26 trillioni di dollari, 1,85 trillioni di euro).

Questo significa che l'economia cinese ha sorpassato la Francia e probabilmente la Gran Bretagna. E la Germania è molto vicina.

L'indice dei prezzi al consumo è aumentato dell'1,8% nel 2005 e le vendite al dettaglio hanno superato gli 839 miliardi di dollari: un aumento annuale del 12,9%, con un incremento del 13,6% nelle zone urbane e dell'11,6% in quelle rurali.

Nel presentare le cifre, il direttore dell'Ufficio centrale di statistica, Li Deshui, ha detto che le entrate pro capite della popolazione contadina sono aumentate del 6,2% (405 dollari).
 
La Cina cresce più delle attese
e sorpassa Francia e Gran Bretagna

Con una crescita del 9,9% per l'intero 2005 (dal +10,1% del 2004) la Cina sorpassa, dopo l'Italia, anche Francia e Regno Unito come quarto paese al mondo per prodotto interno lordo reale. Per il 2006 gli economisti prevedono un rallentamento di 2 punti percentuali.



MILANO - Continua la crescita economica della Cina, il cui Prodotto interno lordo nel 2005 è aumentato del 9,9 per cento, contro il +10,1% del 2004 e nettamente oltre l' 8% indicato all' inizio dell' anno come obiettivo dal primo ministro Wen Jiabao. In termini assoluti raggiunge i 2,26 trillioni di dollari (1,85 trillioni di euro). Gli economisti affermano che, quando il calcolo sarà definitivo, l'economia cinese potrebbe diventare la quinta del mondo per dimensioni, superando quella della Francia. Altri la vedono nel prossimo futuro al quarto posto, prima anche di quella della Gran Bretagna. Da una revisione dei conti nazionali condotta in dicembre dall' ufficio di statistica è risultato che l' economia cinese ha superato quella italiana nel 2004.
A tirare sono ancora le esportazioni (+28% su base annuale) e i consumi interni (+12% su base annuale), oltre alla spesa per investimenti. Per l'anno in corso, ci si

attende una frenata del Pil di almeno 2 punti percentuali, in quanto dovrebbe giungere a conclusione il ciclo pluriennale degli investimenti. L'inflazione, nel 2005 +1,8%, resterà contenutissima anche quest'anno, l'ufficio nazionale di statistica ha parlato persino di sintomi deflazionistici.

La produzione industriale ha segnato nel 2005 un aumento dell' 11,4 per cento rispetto all' anno precedente. "Gli investimenti hanno accelerato, i consumi di meno. Penso che il governo continuerà a cercare di promuovere i consumi", ha detto Tao Dong, economista della Credit Suisse/First Boston di Hong Kong, commentando i dati. " Sembra che la Cina - ha proseguito - sia entrata in un nuovo ciclo di crescita (al tasso medio del 9,6 per cento negli ultimi 15 anni) e non vedo grandi possibilità di inflazione o di deflazione". La crescita continua ad essere trainata dalle esportazioni, che rappresentano il 34 per cento della ricchezza del paese (contro il 30 per cento dell' anno scorso). Gli investimenti sono cresciuti del 25,7 per cento, con un leggero rallentamento rispetto al 26,6 dell' anno scorso. Secondo altri analisti, la superproduzione in alcuni settori - per esempio quello immobiliare e quello dell' acciaio - rimane un pericolo.

"Adesso i cinesi hanno maggiore potere di acquisto e penso che spenderanno di più, perchè guardano al futuro con ottimismo", sostiene Jason Jiang, dirigente di una delle più grandi imprese pubblicitarie del paese. Gli ottimisti ritengono che le misure restrittive introdotte da Wen - leggero rialzo dei tassi d' interesse, incentivi agli investimenti in agricoltura e nelle regioni più povere del nordovest - non abbiano funzionato solo per la "forza d' inerzia" che porterà avanti il gigante cinese ancora per qualche tempo. I pessimisti fanno però notare che il risparmio rimane troppo alto per permettere un decollo dei consumi: e sarà proprio lo stimolo dei consumi, affermano gli analisti, la chiave della strategia del governo di Pechino nei prossimi mesi.




(25 gennaio 2006)

http://letterafinanziaria.repubblica.it/index.jsp?s=primo_piano&l=dettaglio&id=45160
 

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