Val
Torniamo alla LIRA
Quando il potere locale è in mano a degli sprovveduti - ma penso ad altro aggettivo -
che non hanno la pur minima conoscenza di come si lavorava e di cosa sia "lavorare".
Una palazzina - a sinistra - unica nel suo genere che potrebbe essere destinata a tutto e dippiù,
ora un luogo fatiscente, popolato da extra comunitari pericolosi, dediti a tutto.
Dal coltello facile.
E loro cosa sanno fare ? Abbattere delle palazzine. A quale scopo ? Chi lo sa.
Vi basti sapere che gli edifici ex-ospedale che vedete in fotografia - 3 palazzine - che erano la maternità dell'ospedale,
con stanzette da 2 letti e bagno - un bel bagno - con un interrato da locali mensa e quant'altro,
che potevano essere riconvertiti - ad esempio appartamentini per anziani oppure per studenti,
oppure per malati da ricovero - per qualsiasi utilità "sociale" o "medica", sapete a cosa sono stati destinati :
Ci hanno fatto 2 musei. Ma 2 musei stupidi. Nell'era digitale, sono musei con fotografie.
Che rappresentano le realtà industriali di Lecco che ormai sono scomparse.
Mai aperti. Però ci solo le luci accese 24 ore su 24.
Ci hanno speso MILIONI di euro, che a casa mia sono MILIARDI DI LIRE
per "riconvertirli".
Nuovo capitolo nella lunga storia avviata nell’ultimo ventennio del Novecento
con la diversa destinazione dello scalo merci Piccola Velocità ferroviaria nell’area compresa tra via Amendola e via Ghislanzoni.
Sono stati realizzati i lavori di demolizione del vecchio muro perimetrale lungo via Ghislanzoni,
di fronte a quello che è stato per tutto il secolo scorso l’ospedale di Lecco.
La demolizione ha riguardato l’edificio degli uffici che ospitava tutta la struttura amministrativa e tecnica
relativa al funzionamento dello scalo: vi si svolgevano le pratiche di consegna o prelievo merci,
della composizione operativa dei vari convogli e dei relativi carichi.
E’ stata cancellata anche la piccola casetta all’ingresso sul lato destro, abitazione del custode.
Lo scalo di Lecco è arrivato ad occupare il 26° posto nella graduatoria nazionale del movimento ferroviario, intorno alla metà del Novecento.
Erano in funzione in uscita con binari, sul lato settentrionale verso il piazzale Arlenico, ben sette raccordi
che si collegavano direttamente con trasporto vagoni ad altrettante grosse industrie lecchesi,
come le vicine Caleotto, Arlenico, Badoni e FILE.
Tale movimento è stato al centro di una recente nuova ricerca del prof. Salvatore Bordonaro, esperto nazionale delle ferrovie, residente a Como.
Il piazzale dello scalo ancora con i carri e con gli edifici ora demoliti
Locomotiva dei treni merci
Dopo cento anni esatti, dal 1900 al 2000, s’apprestava a cambiare radicalmente la zona tra Lecco e Pescarenico, etta del Colombaio per la grande casa colonica che sorgeva dove ora c’è il complesso scolastico “Edmondo De Amicis”. C’erano anche i vasti prati detti del Manara.
All’inizio del Novecento si apriva il nuovo ospedale che cambiava volto alla località e sviluppò l’edilizia lungo via Ghislanzoni,
soprattutto nel primo tratto oltre il Caldone scoperto dell’attuale viale Dante.
Qualche anno dopo arrivarono i binari, le locomotive sbuffanti,
i vagoni merci di un movimento industriale che allora registrava nelle ferrovie il mezzo più moderno e rapido di collegamenti.
Via Ghislanzoni negli ultimi anni della presenza ospedaliera
Nelle ore notturne lo scalo della Piccola Velocità era pattugliato dalla Polizia Ferroviaria con agenti armati,
per tutelare la presenza di grossi quantitativi di materiale viaggiante ed altro.
Erano rumorose le notti di composizione di convogli, quando l’aggancio dei carri veniva avvertito dai residenti della zona:
i respingenti degli stessi carri si “incollavano” l’un l’altro per formare il treno, con pesanti boati.
La “Piccola” era un “alter mundus”, perimetrato tra binari e magazzini, con personaggi singolari e curiosi,
come i facchini addetti alle operazioni di carico e scarico.
C’era un trasbordo esterno di ritrovo popolare presso il Bar della Piccola,
(bar trattoria gestito dagli anni '20 da mia nonna e poi da mia zia sino alla fine degli anni '50)
in altre attività commerciali di via Amendola e nel negozio di parrucchiere del popolare Colnaghi.
che non hanno la pur minima conoscenza di come si lavorava e di cosa sia "lavorare".
Una palazzina - a sinistra - unica nel suo genere che potrebbe essere destinata a tutto e dippiù,
ora un luogo fatiscente, popolato da extra comunitari pericolosi, dediti a tutto.
Dal coltello facile.
E loro cosa sanno fare ? Abbattere delle palazzine. A quale scopo ? Chi lo sa.
Vi basti sapere che gli edifici ex-ospedale che vedete in fotografia - 3 palazzine - che erano la maternità dell'ospedale,
con stanzette da 2 letti e bagno - un bel bagno - con un interrato da locali mensa e quant'altro,
che potevano essere riconvertiti - ad esempio appartamentini per anziani oppure per studenti,
oppure per malati da ricovero - per qualsiasi utilità "sociale" o "medica", sapete a cosa sono stati destinati :
Ci hanno fatto 2 musei. Ma 2 musei stupidi. Nell'era digitale, sono musei con fotografie.
Che rappresentano le realtà industriali di Lecco che ormai sono scomparse.
Mai aperti. Però ci solo le luci accese 24 ore su 24.
Ci hanno speso MILIONI di euro, che a casa mia sono MILIARDI DI LIRE
per "riconvertirli".
Nuovo capitolo nella lunga storia avviata nell’ultimo ventennio del Novecento
con la diversa destinazione dello scalo merci Piccola Velocità ferroviaria nell’area compresa tra via Amendola e via Ghislanzoni.
Sono stati realizzati i lavori di demolizione del vecchio muro perimetrale lungo via Ghislanzoni,
di fronte a quello che è stato per tutto il secolo scorso l’ospedale di Lecco.
La demolizione ha riguardato l’edificio degli uffici che ospitava tutta la struttura amministrativa e tecnica
relativa al funzionamento dello scalo: vi si svolgevano le pratiche di consegna o prelievo merci,
della composizione operativa dei vari convogli e dei relativi carichi.
E’ stata cancellata anche la piccola casetta all’ingresso sul lato destro, abitazione del custode.
Lo scalo di Lecco è arrivato ad occupare il 26° posto nella graduatoria nazionale del movimento ferroviario, intorno alla metà del Novecento.
Erano in funzione in uscita con binari, sul lato settentrionale verso il piazzale Arlenico, ben sette raccordi
che si collegavano direttamente con trasporto vagoni ad altrettante grosse industrie lecchesi,
come le vicine Caleotto, Arlenico, Badoni e FILE.
Tale movimento è stato al centro di una recente nuova ricerca del prof. Salvatore Bordonaro, esperto nazionale delle ferrovie, residente a Como.
Il piazzale dello scalo ancora con i carri e con gli edifici ora demoliti
Locomotiva dei treni merci
Dopo cento anni esatti, dal 1900 al 2000, s’apprestava a cambiare radicalmente la zona tra Lecco e Pescarenico, etta del Colombaio per la grande casa colonica che sorgeva dove ora c’è il complesso scolastico “Edmondo De Amicis”. C’erano anche i vasti prati detti del Manara.
All’inizio del Novecento si apriva il nuovo ospedale che cambiava volto alla località e sviluppò l’edilizia lungo via Ghislanzoni,
soprattutto nel primo tratto oltre il Caldone scoperto dell’attuale viale Dante.
Qualche anno dopo arrivarono i binari, le locomotive sbuffanti,
i vagoni merci di un movimento industriale che allora registrava nelle ferrovie il mezzo più moderno e rapido di collegamenti.
Via Ghislanzoni negli ultimi anni della presenza ospedaliera
Nelle ore notturne lo scalo della Piccola Velocità era pattugliato dalla Polizia Ferroviaria con agenti armati,
per tutelare la presenza di grossi quantitativi di materiale viaggiante ed altro.
Erano rumorose le notti di composizione di convogli, quando l’aggancio dei carri veniva avvertito dai residenti della zona:
i respingenti degli stessi carri si “incollavano” l’un l’altro per formare il treno, con pesanti boati.
La “Piccola” era un “alter mundus”, perimetrato tra binari e magazzini, con personaggi singolari e curiosi,
come i facchini addetti alle operazioni di carico e scarico.
C’era un trasbordo esterno di ritrovo popolare presso il Bar della Piccola,
(bar trattoria gestito dagli anni '20 da mia nonna e poi da mia zia sino alla fine degli anni '50)
in altre attività commerciali di via Amendola e nel negozio di parrucchiere del popolare Colnaghi.