LA PROPRIA FOLLIA VA REGALATA A CHI LO MERITA.

I sindacati italiani si stanno sempre più caratterizzando per una presa di posizione chiara e definita:
a favore dei privilegi, e contro i lavoratori, soprattutto autonomi ma anche dipendenti.

Il sindacato è in prima fila nella difesa dei privilegi, proprio nel settore pensionistico.

I sindacalisti, godono del privilegio della “Contribuzione aggiuntiva”.

Questo, permette di fornire dei trattamenti pensionistici ai propri dirigenti sproporzionati rispetto ai versamenti contributivi fatti dal datore di lavoro.

Da un campione Inps di sindacalisti è emerso che, ricalcolando la loro pensione sulla base degli ultimi dieci anni,
l’assegno scenderebbe, in media, del 27%, con un picco del 66%.
Il picco riguarda un “pensionato d’oro”, ex sindacalista ed ex dirigente pubblico,
con assegno annuo di 114mila euro. Senza il calcolo “di favore” scenderebbe a 39mila euro.


Questo perchè solo per i sindacalisti è ammesso un calcolo della pensioni sui contributivo come prima del 1992.

Quindi mentre tutti i lavoratori passano al contributivo e si vedono tagliate le pensioni future, i sindacalisti no,
le prendono sulle ultimi stipendi incassati, e quindi è facile per il sindacato pagare ultimi stipendi molto alti
per assicurare una super pensione al proprio dirigente.

Caso lampante è quello di Raffaele Bonanni, la cui retribuzione è salita a 336mila euro lordi alla fine del mandato,
tanto da poter andare in pensione con circa 8mila euro al mese.


Naturalmente qualcuno paga questi privilegi: tutti gli altri lavoratori.
 
Ieri ed oggi...ma domani ? .......

Le entrate dalla lotta all’evasione scendono a 3,3 miliardi, dai 7 previsti,
la spending review vale 2,5 miliardi,
altre misure fiscali e nuove tasse a protezione dell’ambiente per un totale di 3,6 miliardi,
ma il grosso è finanziato a deficit, grazie a quel 2,2% del PIL di disavanzo previsto per il 2020 che, di fatto, vale 14,5 miliardi.
 
Ci sono innanzitutto 23,1 miliardi che finanziano lo stop all’aumento IVA.
La misura più costosa della manovra 2020 è il taglio del cuneo fiscale, che vale altri 3 miliardi.

Bisogna poi aggiungere poco più di 2 miliardi fra spese obbligatorie, misure per la famiglia e rilancio degli investimenti pubblici,
e infine 2 miliardi per coprire altre misure della manovra, come le proroghe per Industria 4.0 e i bonus edilizia ed energia.

Coperture
Quasi la metà delle coperture è rappresentata dal deficit al 2,2%, che vale 14,5 miliardi.
E’ poi spuntato un tesoretto da 3 miliardi rappresentati da maggiori entrate dal gettito fiscale 2019 che però verranno contabilizzate nel 2020.
La voce più pesante, sul fronte delle entrate, è come previsto la lotta all’evasione,
che però è notevolmente ridimensionata rispetto alle attese: non 7 miliardi, come anticipato, ma appunto 3,3 miliardi.


Sono elencate una serie di misure che porteranno questo extra-gettito, fra le quali le misure di stimolo alla moneta digitale
e nuove forme di reverse charge negli appalti (per contrastare il nero).
Quasi 2 miliardi (1,8) di entrate dalle nuove imposte previste nell’ambito del green new deal: plastica, prodotti inquinanti e altri 1,8 miliardi da altre misure fiscali.

Ci sono 200 milioni attesi dalla stretta su flat tax e Partite IVA e altrettanti dal taglio delle detrazioni fiscali al 19% sui redditi alti (sopra 100mila euro),
graduale fino ad azzerarsi (fa eccezione la detrazione per il mutuo).

Le misure che eliminano l’estensione della flat tax fra 65mila e 100mila euro introducono anche una serie di novità per coloro che applicano il forfettario fino a 65mila euro,
come ad esempio il nuovo obbligo di fatturazione elettronica (esenzione solo fino a 30mila euro).

Infine, altre voci sotto il miliardo, come la tassa sui giochi (500 milioni).

Il quadro macro, già reso noto con la NaDEF, vede la crescita 2020 allo 0,6%, il deficit/PIL al 2,2%.

Il debito inizia a ridursi, portandosi al 135,2 (dal 135,7% del PIL del 2019).
 
Marcia indietro rispetto alle strategie fiscali impostate lo scorso anno per le Partite IVA.

Vengono rivisti i parametri del regime dei minimi con limiti di spese personale 20mila euro, limite beni strumentali 20mila euro,
regime analitico determinazione reddito, regime premiale fatturazione elettronica, esclusione se reddito superiore a 30mila euro.

Per rientrare nel regime forfettario non si possono acquistare beni strumentali per cifre superiori a 20mila euro (vecchia norma del regime dei minimi ripristinata),
e pagare compensi a collaboratori e dipendenti sempre oltre i 20mila euro (il vecchio regime dei minimi fissava il tetto a 5mila euro annui).

Viene meno anche buona parte della semplificazione garantita dall’applicazione del regime forfettario,
perché torna la determinazione analitica del reddito: bisognerà quindi conservare la documentazione e basarsi su costi-ricavi.

Il Decreto Fiscale collegato al Ddl Bilancio dovrebbe inoltre prevedere un nuovo obbligo di conto corrente dedicato all’attività.

E non si esclude che venga ripristinata anche la vecchia esclusione
per coloro che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente o assimilati di importo superiore a 30mila euro.

Infine, nuovi obblighi di fatturazione elettronica per i forfettari. Resta un regime di esclusione, ma solo fino a 30mila euro.
 
L’articolo 19 del decreto legislativo n. 150/2015 (“Stato di disoccupazione“)
introduce la possibilità di essere considerati disoccupati (e con diritto a Diss-Coll e NASpI)
senza alcuna incompatibilità con la Partita IVA ed anche con redditi da lavoro,
purché esigui (vedi articoli 9 e 10 dello stesso decreto).

Il limite annuo di reddito è:

  • per attività di lavoro subordinato o parasubordinato euro 8.000

  • per redditi da lavoro autonomo euro 4.800.
 
Si riapre il capitolo versamenti d’imposta per le Partite IVA in regime forfettario o che applicano gli ISA:
l’annunciato rinvio a marzo 2020 della scadenza di novembre non ci sarà, sostituito però da una riduzione al 90% di quanto dovuto.

Per avere certezze bisogna attendere il testo del decreto fiscale approvato dal CdM lo scorso 15 ottobre
e in via di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma le anticipazioni sono dello stesso Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri.


Si tratta di un punto importante ai fini dei saldi di bilancio.
L’ipotizzato slittamento a marzo dell’acconto di novembre valeva 3 miliardi di risorse destinate alla manovra 2020:
l’Esecutivo aveva pensato di utilizzare lo stratagemma del rinvio per finanziare la Legge di Bilancio del prossimo anno e far tornare i conti.

Una sorta di espediente contabile che però potrebbe porre problemi tecnici sul fronte della classificazione europea delle proroghe dei versamenti fiscali,
oltre che per gli stessi contribuenti, continuamente sballottati tra cambiamenti dell’ultima ora.


La nuova modifica comporterebbe un ricalcolo della rata del 2 dicembre al 90%:
il restante 10% sarebbe conguagliato con la dichiarazione 2020.

Si attendono
ulteriori conferme. Anche perché era stato proprio il Ministero dell’Economia, nei giorni scorsi,
ad annunciare il differimento al 16 marzo 2020 della rata in scadenza il 16 novembre,
come misura prevista nel decreto legge fiscale (di cui ancora non si conosce il testo).

In una successiva intervista al Sole24Ore Gualtieri avrebbe invece spiegato:

ridurremo del 10% gli acconti che si pagano nel 2019, rimodulando il saldo dell’anno prossimo.

L’impatto sulla manovra 2020: «questa misura riguarda entrate per 1,5 miliardi, mentre gli altri 1,5 miliardi sono strutturali
e dipendono appunto dagli effetti di compliance che hanno fatto crescere anche gli incassi di quest’anno».
 
Entro ottobre è possibile aderire al servizio web dell’Agenzia delle Entrate per la consultazione e l’acquisizione (download) delle proprie fatture elettroniche.

Sono previste modalità differenti per le Partite IVA e i Codici Fiscali:

  • nel primo la procedura è disponibile presso apposita sezione del portale generale Fatture e Corrispettivi,
  • nel secondo nell’area riservata del portale dell’Agenzia delle Entrate nella quale è anche disponibile la dichiarazione precompilata.
In entrambi i casi, bisogna esprimere l’opzione entro il 31 ottobre.

Dal primo novembre, infatti, il servizio sarà a regime per tutti.

Per le Partite IVA il servizio parte dal giorno dopo l’adesione, per i consumatori finali dal primo novembre.

L’adesione (entro i termini previsti) comporta la possibilità di visionare le fatture elettroniche trasmesse da gennaio 2019 (entrata in vigore dell’obbligo di fattura elettronica).

Anche dopo il 31 ottobre sarà comunque possibile aderire al servizio, ma in questo caso si potranno consultare
solo le fatture emesse successivamente all’esercizio dell’opzione (non l’intero archivio a partire dal gennaio 2019).

Entro fine 2019 l’Agenzia delle Entrate provvederà alla cancellazione di tutti i file relativi alle fatture di coloro che non hanno aderito al servizio.


I contribuenti che hanno Partita IVA, con l’adesione al servizio possono consultare e scaricare tutte le fatture emesse e ricevute.

Per aderire, bisogna visitare il portale Fatture e Corrispettivi entrando con le proprie credenziali (SPID, Fisconline o Entratel, CNS)
e selezionare un’utenza di lavoro (chi accede con un codice fiscale a cui è associata una sola partita IVA, selezionerà “me stesso”).

Quindi, si procede con l’adesione.

L’operazione può essere anche eseguita attraverso un intermediario e, tramite servizio dedicato, si può effettuare anche un’adesione massiva per diversi clienti.

I contribuenti senza partita IVA devono esprimere l’adesione accedendo alla stessa area riservata da cui consultano la propria dichiarazione precompilata.
In questo caso, non è possibile rivolgersi a un intermediario.

La procedura è semplice: si clicca sul pulsante “accedi” relativo alla fatturazione elettronica e poi si esprime l’adesione.

Questa operazione si è resa necessaria dopo i rilievi del Garante Privacy sulla fatturazione elettronica
(inizialmente il Fisco aveva previsto l’accesso al servizio senza bisogno di adesione).

Ci sono poi stati diversi slittamenti (inizialmente era previsto che si potesse esprimere l’adesione a partire dal 3 maggio),
alla fine il servizio è effettivamente partito il primo luglio.

L’opzione è revocabile, quindi il contribuente anche dopo aver aderito al servizio può recedere:
in questo caso le fatture non saranno più disponibili dal giorno successivo.
 
Il faccia a faccia tra Conte e Di Maio non ha portato a risultati concreti per il cambio della manovra.

Di fatto secondo le indiscrezioni che sono trapelate dal vertice della mattinata a palazzo Chigi, la situazione è ancora in fase di stallo.

Sul piatto della manovra ci sono diversi nodi da sciogliere: dal carcere agli evasori
al tetto ai contanti che dovrebbe scendere a 2000 euro per il 2020 e a 1000 euro per il 2021.

Inoltre ad accompagnare le tensioni tra 5 Stelle e palazzo Chigi ci sono anche le sanzioni per il Pos
da destinare a tutti i commercianti che non accettano il pagamento con carta.

A quanto pare, proprio sul fronte dei contanti, resta il limite voluto da Conte e dal Mef.

Una mossa questa che ha mandato su tutte le furie i renziani di Italia Viva e anche i 5 Stelle.

Di fatto nell'ultima bozza del dl Fisco le parole sono fin troppo chiare:
"A decorrere dall’1 gennaio 2020 e fino al 31 dicembre 2021 il divieto e la soglia per le transazioni in contante sono riferiti alla cifra di 2.000 euro.
A decorrere dall’1 gennaio 2022 il predetto divieto e la predetta soglia sono riferiti alla cifra di 1.000 euro".

Insomma per il momento passa la "linea Conte".
 
Se Beatrice Lorenzin, cedendo alle lusinghe di Zingaretti, ha molto deluso i renziani che contavano di arruolare la ex ministra centrista,
ora a Italia viva ci si attende un rompete le righe dei liberali di Forza Italia.

Matteo Renzi ha frenato gli ingressi singoli di personaggi ingombranti come Renata Polverini,
ma ha già aperto idealmente le porte a chi, come Mara Carfagna, mostra grande sofferenza a cedere al giogo sovranista di una destra illiberale alla Salvini.

E nei corridoi della Leopolda ieri circolavano amministratori locali del centrodestra toscano ma non solo,
come ad esempio l'ex senatore siciliano Marcello Gualdani.

La captatio benevolentiae rivolta dalla Leopolda ai berlusconiani moderati è del resto esplicita:
«Berlusconi, sia con distorsioni e scelte criticabilissime, è stato saldamente ancorato al popolarismo europeo e a una concezione liberale.
Dopo San Giovanni, però non c'è più il centrodestra democratico di Berlusconi, c'è la destra sovranista e illiberale di Salvini e CasaPound».

Chi stava in Forza Italia perché «moderato», sottolinea, non può reggere al «malessere» di finire con Salvini, che «di moderato non ha neanche la pettinatura».
Quindi, «chi crede che ci sia spazio per un'area liberal democratica, venga a darci una mano».

Il messaggio è già stato recapitato a Mara Carfagna, che avrebbe un ruolo da «protagonista assoluta» se si decidesse.

L'azzurra ieri ha respinto le avance, ma potrebbe essere preziosissima anche su un altro versante, quello delle elezioni regionali:
se Matteo Renzi ha aperto, sia pur vagamente, a «liste civiche» promosse da Italia viva in Emilia Romagna e in Campania
è perché da quei territori gli stanno arrivando forti segnali di interesse da «quadri importanti» della politica locale, dicono i bene informati, pronti a dargli sostegno.

Dirigenti, amministratori locali e «portatori di voti» di Pd e dintorni, ma in Campania un nome come quello della Carfagna sarebbe l'asso nella manica.

Dal Pd, Renzi è convinto di poter spremere ancora molte adesioni.

A Milano interi circoli dem sarebbero in procinto di passare con Italia viva, e Renzi dal podio della Leopolda
ha lanciato un annuncio che suona come minaccia dalle parti del Nazareno:

«Nel mese di giugno, al termine delle elezioni regionali, ospiteremo un nuovo Big Bang degli amministratori locali come otto anni fa, e porteremo centinaia, migliaia di amministratori ad aderire a Italia viva».

Una capofila dell'operazione, su cui Renzi punta molto, è Isabella Conti, giovane e apprezzata sindaca di San Lazzaro di Savena e punta di diamante renziana in Emilia.

C'è anche un risvolto meno squisitamente politico o di principio, e più relativo al concreto esercizio del potere:
Italia viva è parte essenziale della maggioranza, e siederà anche ai tavoli delle nomine nelle partecipate pubbliche.

Diventa quindi interlocutore essenziale per mondi produttivi ed economici che hanno difficoltà a dialogare con il raffazzonato populismo grillino
o con un Pd spostato a sinistra: il grosso successo del fundraising renziano per Italia viva, che ha già superato abbondantemente il mezzo milione di euro, si spiega anche così.
 
"gli stipendi hanno tradito le aspettative delle banche centrali. Perchè?"

Perché i salari dipendono soprattutto da questioni extra-tecniche, dipendono dall´IDEOLOGIA.

Quando, dal dopoguerra a fine anni 70, andava di moda il marxismo
(ora qui non importa se teoricamente errato e praticamente fallimentare dove si tentó di realizzarlo sul serio)
i ricchi erano terrorizzati e smollavano i picciuli alla classe lavoratrice,
la quale poi li spendeva presso la classe media dei baristi e pizzicaroli arricchendo pure loro.

Ma ad un certo punto baristi e pizzicaroli sono stati convinti dai ricchi di essere anche loro Grandi Imprenditori,
sono diventati "liberisti", si sono uniti ai ricchi nella guerra contro la classe lavoratrice e il salario,
sperando stupidamente che abbassando il salario della banchista e della cassiera sarebbero stati meglio.

Politica miope, si sono dati la zappa sui piedi.

Il crollo della classe media é figlio dello schiacciamento della classe lavoratrice
che é figlio di un cambio drastico della moda ideologica.
 

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