Val
Torniamo alla LIRA
A volte succede di essere stanchi.
Dopo un po’, anche i megafoni si stancano.
Anche i veggenti, o anche i solo i testimoni oculari.
Va così: è in arrivo un cataclisma, e i pochi che lo sanno in anticipo – magari perché ne sono coinvolti, in modo diretto o indiretto – si guardano bene dal dirlo.
Qualche outsider se ne accorge, o almeno sospetta che stia avvenendo qualcosa di strano, e così comincia ad annunciarlo ad alta voce.
Gli allarmi dell’outsider non è detto che siano precisi e attendibili, è sempre possibile prendere cantonate.
Subito, però, la platea si divide.
I detentori ufficiali della verità tacciono la notizia.
La maggioranza ignora l’outsider o lo considera un pazzo, un esibizionista, non immaginando che l’outsider
è il primo a sperare in cuor suo di essersi sbagliato: se ha parlato, l’ha fatto d’istinto;
il suo non era nemmeno altruismo, era solo un riflesso di conservazione della specie, la necessità fisiologica di condividere una certa preoccupazione per un possibile pericolo.
A quel punto, quando ormai i ruoli sono definiti, i detentori della parola ufficiale cominciano a menzionarlo, l’outsider,
con un atteggiamento di sufficienza irridente: a che punto siamo arrivati, se ci sono in giro squilibrati di questa fatta?
A loro volta, gli outsider fanno squadra: fondano gruppi, partiti, case editrici.
Scrivono libri, tengono conferenze.
Qualcuno di loro comincia a essere quasi idolatrato, presentato come il possessore di una verità definitiva.
La nuova religione piace, e merita che vi si investa in modo professionale.
Alcuni outsider, ormai famosissimi, utilizzano con sapienza una tecnica sopraffina: le sparano grosse,
le loro affermazioni iperboliche, avendo però cura di associarle sempre a notizie effettive, utili a supportare la credibilità dell’iperbole;
quando poi l’iperbole sarà inevitabilmente smascherata, insieme a quella crollerà anche la parte scomoda del messaggio, quella veritiera.
Funziona talmente, il profilo escatologico della religione, che sono gli stessi detentori ufficiali della parola pubblica a utilizzare lo schema cultuale,
arrivando a proporre semplici minorenni, surreali e spaesate, come illuminate baby-sacerdotesse del futuro:
i destini del mondo, appesi all’indice puntato della piccina vaticinante, ultimissima versione dell’outsider di prima classe,
non più manipolato, ma direttamente fabbricato dai detentori della parola, i gran maestri dell’illusionismo.
E’ in queste condizioni che, appunto, un giorno il cataclisma lungamente annunciato irrompe sulla faccia della Terra, manifestando la sua devastante potenza.
Se la cronologia della catastrofe è dipesa anche dall’incessante opera degli outsider, dall’effetto a lungo termine delle loro preoccupanti affermazioni, non lo si saprà mai.
Qualcuno l’ha lasciata deflagrare, l’apocalisse, temendo che il suo gioco stesse per essere scoperto?
La cosiddetta emergenza, in altre parole, è un espediente infernale per rubare il tempo e impedire che maturasse una certa consapevolezza
dei meccanismi collaudati del grande squilibrio planetario, sempre rappresentato come infelice circostanza fisiologica, non dolosa ma solo colposa?
Se la domanda risuonasse in un tribunale, la verità giudiziaria – per emergere – avrebbe bisogno di prove incontrovertibili,
o almeno di qualche confessione convincente e ben argomentata.
L’imputato che si alza e ammette, di fronte alla corte: ebbene sì, sono stato io, l’ho fatto con questi miei complici;
la nostra storia conferma che ne siamo capacissimi, e la nostra motivazione è facilmente comprensibile.
Uno spettacolo solo teorico, naturalmente, al quale difficilmente qualcuno assisterà.
Lo spettacolo che invece va in scena è di tutt’altro tenore, sempre fantapolitico ma purtroppo reale.
I prigionieri della caverna, in larga maggioranza, si accaniscono con l’outsider accusandolo innanzitutto di essere evaso.
Nella caverna, intanto, la situazione è ulteriormente precipitata: i coatti devono sottostare a misure coercitive prima impensabili, e prepararsi a subire esperimenti inimmaginabili.
E’ per il vostro bene, sottolinea la voce dagli altoparlanti: e guai a chi disobbedisce.
Ogni caverna ha i suoi gestori formali, e i suoi formali oppositori.
Sicché, ai coatti accade di dividersi anche su quelli: c’è chi approva il gestore della cattività, qualunque disposizione imponga,
solo perché appare in disaccordo con il suo oppositore – solo virtuale, beninteso - perché nessun oppositore mette davvero in discussione la caverna,
cioè l’esistenza di una dimensione di sostanziale cattività, spacciata per normalità.
Questo, in ultima analisi, aumenta la solitudine dell’outsider: gli si rinfaccia un’insopportabile presunzione,
come se si divertisse a recitare il ruolo del grillo parlante e ne traesse alimento per la sua autostima, addirittura per il suo successo sociale.
C’è outsider e outsider, naturalmente: è molto variabile, il grado di attendibilità dei presunti rivelatori.
Per loro parla la storia personale: se hanno alle spalle anni di attività, si potrà facilmente verificare quale sia stato, nel tempo, l’esito delle loro previsioni.
Dopo un po’, anche i megafoni si stancano.
Anche i veggenti, o anche i solo i testimoni oculari.
Va così: è in arrivo un cataclisma, e i pochi che lo sanno in anticipo – magari perché ne sono coinvolti, in modo diretto o indiretto – si guardano bene dal dirlo.
Qualche outsider se ne accorge, o almeno sospetta che stia avvenendo qualcosa di strano, e così comincia ad annunciarlo ad alta voce.
Gli allarmi dell’outsider non è detto che siano precisi e attendibili, è sempre possibile prendere cantonate.
Subito, però, la platea si divide.
I detentori ufficiali della verità tacciono la notizia.
La maggioranza ignora l’outsider o lo considera un pazzo, un esibizionista, non immaginando che l’outsider
è il primo a sperare in cuor suo di essersi sbagliato: se ha parlato, l’ha fatto d’istinto;
il suo non era nemmeno altruismo, era solo un riflesso di conservazione della specie, la necessità fisiologica di condividere una certa preoccupazione per un possibile pericolo.
A quel punto, quando ormai i ruoli sono definiti, i detentori della parola ufficiale cominciano a menzionarlo, l’outsider,
con un atteggiamento di sufficienza irridente: a che punto siamo arrivati, se ci sono in giro squilibrati di questa fatta?
A loro volta, gli outsider fanno squadra: fondano gruppi, partiti, case editrici.
Scrivono libri, tengono conferenze.
Qualcuno di loro comincia a essere quasi idolatrato, presentato come il possessore di una verità definitiva.
La nuova religione piace, e merita che vi si investa in modo professionale.
Alcuni outsider, ormai famosissimi, utilizzano con sapienza una tecnica sopraffina: le sparano grosse,
le loro affermazioni iperboliche, avendo però cura di associarle sempre a notizie effettive, utili a supportare la credibilità dell’iperbole;
quando poi l’iperbole sarà inevitabilmente smascherata, insieme a quella crollerà anche la parte scomoda del messaggio, quella veritiera.
Funziona talmente, il profilo escatologico della religione, che sono gli stessi detentori ufficiali della parola pubblica a utilizzare lo schema cultuale,
arrivando a proporre semplici minorenni, surreali e spaesate, come illuminate baby-sacerdotesse del futuro:
i destini del mondo, appesi all’indice puntato della piccina vaticinante, ultimissima versione dell’outsider di prima classe,
non più manipolato, ma direttamente fabbricato dai detentori della parola, i gran maestri dell’illusionismo.
E’ in queste condizioni che, appunto, un giorno il cataclisma lungamente annunciato irrompe sulla faccia della Terra, manifestando la sua devastante potenza.
Se la cronologia della catastrofe è dipesa anche dall’incessante opera degli outsider, dall’effetto a lungo termine delle loro preoccupanti affermazioni, non lo si saprà mai.
Qualcuno l’ha lasciata deflagrare, l’apocalisse, temendo che il suo gioco stesse per essere scoperto?
La cosiddetta emergenza, in altre parole, è un espediente infernale per rubare il tempo e impedire che maturasse una certa consapevolezza
dei meccanismi collaudati del grande squilibrio planetario, sempre rappresentato come infelice circostanza fisiologica, non dolosa ma solo colposa?
Se la domanda risuonasse in un tribunale, la verità giudiziaria – per emergere – avrebbe bisogno di prove incontrovertibili,
o almeno di qualche confessione convincente e ben argomentata.
L’imputato che si alza e ammette, di fronte alla corte: ebbene sì, sono stato io, l’ho fatto con questi miei complici;
la nostra storia conferma che ne siamo capacissimi, e la nostra motivazione è facilmente comprensibile.
Uno spettacolo solo teorico, naturalmente, al quale difficilmente qualcuno assisterà.
Lo spettacolo che invece va in scena è di tutt’altro tenore, sempre fantapolitico ma purtroppo reale.
I prigionieri della caverna, in larga maggioranza, si accaniscono con l’outsider accusandolo innanzitutto di essere evaso.
Nella caverna, intanto, la situazione è ulteriormente precipitata: i coatti devono sottostare a misure coercitive prima impensabili, e prepararsi a subire esperimenti inimmaginabili.
E’ per il vostro bene, sottolinea la voce dagli altoparlanti: e guai a chi disobbedisce.
Ogni caverna ha i suoi gestori formali, e i suoi formali oppositori.
Sicché, ai coatti accade di dividersi anche su quelli: c’è chi approva il gestore della cattività, qualunque disposizione imponga,
solo perché appare in disaccordo con il suo oppositore – solo virtuale, beninteso - perché nessun oppositore mette davvero in discussione la caverna,
cioè l’esistenza di una dimensione di sostanziale cattività, spacciata per normalità.
Questo, in ultima analisi, aumenta la solitudine dell’outsider: gli si rinfaccia un’insopportabile presunzione,
come se si divertisse a recitare il ruolo del grillo parlante e ne traesse alimento per la sua autostima, addirittura per il suo successo sociale.
C’è outsider e outsider, naturalmente: è molto variabile, il grado di attendibilità dei presunti rivelatori.
Per loro parla la storia personale: se hanno alle spalle anni di attività, si potrà facilmente verificare quale sia stato, nel tempo, l’esito delle loro previsioni.