da usemlab
Valanga di carta in arrivo?
(6/10/02) Ci sono diversi segnali registrati in settimana che lasciano preludere a un crash imminente, quella valanga di carta pronta a riversarsi sui mercati senza riuscire a trovare gli acquirenti in grado di assorbirne gli ordini di vendita. Acquirenti oramai sfiancati da oltre due anni di tentavi (falliti) di cogliere un minimo che continua a sfuggire e a collocarsi a livelli sempre più bassi.
Innanzitutto la formazione dell’S&P 500, un testa spalle di lungo periodo che oramai conoscono tutti e tutti hanno sotto gli occhi. Il pullback sulla neckline è stato completato con il rally estivo e il supporto dei minimi di luglio è stato testato venerdì. Il rimbalzo tentato dai mercati verso la fine della sessione non ha avuto molto successo e probabilmente la settimana prossima, o già lunedì, il supporto sarà messo nuovamente alla prova.
Anche la formazione del Dow Jones è importante e significativa: una tazza con manico rovesciata, in prossimità del supporto, pronta a esplodere al ribasso. Il Dow Jones è rimbalzato venerdì sui nuovi minimi registrati a inizio settimana e il fallimento della tenuta dei supporti potrebbe verificarsi, parallelamente a quello dell’S&P 500, la settimana prossima.
Ci sono poi altri segnali meno evidenti che forse sono sfuggiti a molti.
Innanzitutto la correlazione dei mercati azionari con i rendimenti di lungo periodo offerti dai titoli di stato. Durante la settimana la correlazione si è indebolita. Venerdì, come mostra il grafico sottostante, la rottura del legame che ha legato mercati azionari e bond ha funzionato nei movimenti intraday ma non nella variazione complessiva registrata rispetto al giorno precedente.
Abbiamo parlato in precedente della correlazione citata e, a nostro avviso, un rialzo dei rendimenti a lungo periodo potrebbe portare al cedimento definitivo delle borse. Il recente movimento al ribasso dei tassi può essere considerato per certi versi anormale. Una anormalità che scompare se considerata relativamente a una bubble economy piena oramai di quelli che Doug Noland chiama “maladjustments”. L’ultima fase discendente dei tassi del decennale, verificatasi nella seconda metà di settembre, può ad esempio essere imputata al ribilanciamento del duration gap di Fannie Mae che analizzeremo con un prossimo articolo.
Un rialzo dei tassi di lungo periodo, non controllato dalla FED quanto piuttosto dettato dal mercato, sarebbe altamente pericoloso per la valutazione relativa degli indici azionari.
Osserviamo il grafico seguente:
Si tratta del Future Inflation Gauge misurato dall’ECRI (Economic Cycle Research Institute). Da qualche tempo, come visto anche attraverso l’esame del CRB, l’indice delle commodities, le forze deflazionistiche dell’economia sembrerebbero essere contrastate in maniera decisa da delle componenti oramai definite reflattive. L’indice dell’ECRI ha registrato un vigoroso rialzo proprio negli ultimi mesi e il più forte in settembre:
Mese Indice Crescita annualizzata
giu-02 103,4 8,4%
lug-02 107,1 15,9%
ago-02 109,4 19,5%
set-02 113,3 25,9%
Una tendenza che potrebbe entro breve termine segnare la conclusione del rialzo dei prezzi dei bond di lunga scadenza e quindi del ribasso dei tassi che ha avuto grande influenza nello stimolare oltremisura il boom e la bolla del settore immobiliare.
Nel contesto delle componenti reflattive che stanno maturando una forza destinata a diventare esplosiva si prenda in esame anche il grafico dell’oro che, negli ultimi 3 anni, ha disegnato una tazza con manico rialzista pronta a rompere, plausibilmente e contrariamente a quella del Dow Jones, al rialzo.
L’oro è il barometro rotto dell’economia, messo fuori uso da diverse forze che abbiamo esaminato in passato. Un ripristino di quel ruolo potrebbe portare a una esplosione al rialzo del prezzo, con tutta una serie di interessantissime conseguenze. Del resto i movimenti violenti sono una caratteristica del mercato delle commodities, soprattutto nei casi in cui la legge della domanda e dell’offerta sia stata a lungo imbrigliata e manipolata a fini speculativi.
Infine guardiamo il seguente chart che confronta la situazione del Dow Jones nel 1929 e nel 1987 con quella attuale:
Fonte:
http://home.flash.net/~rhmjr/c1004.html
I segnali per un crash ci sono tutti e la prossima settimana vedremo se verranno confermati. I mercati, nonostante i continui inviti ad acquistare azioni, restano estremamente sopravvalutati e un cedimento massiccio potrebbe finalmente riallineare le quotazioni con i valori reali degli utili che ne giustificano i prezzi.
Non dimentichiamo che negli USA, negli ultimi due anni, la percentuale di popolazione investita nel mercato azionario è aumentata e non diminuita! Le forze in grado di dare luogo a una massiccia vendita di carta sono quindi ancora tutte in gioco.
Finora gli investitori sono stati attirati nell’investimento azionario dai messaggi di speranza e dalle rassicuranti prospettive di rendimento del medio lungo termine, ma le delusioni e le preoccupazioni a cui di recente essi sono stati sottoposti potrebbero spingere molti ad abbandonare definitivamente la scena, perlomeno fino a quando le incertezze non saranno state risolte. Come sappiamo, quando la medesima decisione viene presa da troppe persone nello stesso momento si crea il panico, le porte d’uscita sono troppo strette e le conseguenze assumono toni catastrofici.
Da ultimo un importante segnale. Abbiamo notato di recente, e non solo noi, che ogni volta che parla Bush in una conferenza pubblica i mercati azionari scendono impietosamente, un segno di beffarda ironia piuttosto gradito da molti, speculatori e non. Lunedì sera l’agenda di Bush prevede un’altra conferenza.
Qualora i segnali esaminati non dovessero essere confermati nei primi giorni della prossima settimana o comunque entro fine mese, i mercati potrebbero riuscire a trovare la forza per un rimbalzo significativo che potrebbe durare per il resto del 2002. In tal caso, il processo di riaggiustamento in corso delle quotazioni azionarie, ancora lontane dal trovare i propri valori di equilibrio, sarebbe a nostro avviso rimandato all’anno successivo, con buone probabilità che nel 2003 gli indici possano chiudere nuovamente, per il quarto anno consecutivo, in rosso.
Lo staff