LE MIE ASPETTATIVE PER IL FUTURO? UN BEL PASSATO

Elezioni regionali 2020
Riepilogo Emilia-Romagna

Ultimo aggiornamento alle 12:25
Sezioni candidato presidente scrutinate: 4520 su 4520
Sezioni liste circoscrizionali scrutinate: 4520 su 4520


Voti
%
STEFANO BONACCINI 1.195.742 51,42%
7-20200126000000-11-08.png
PARTITO DEMOCRATICO 749.976 34,69%
7-20200126000000-12-08.png
BONACCINI PRESIDENTE 124.591 5,76%
7-20200126000000-10-08.png
EMILIA-ROMAGNA CORAGGIOSA ECOLOGISTA PROGRESSISTA 81.419 3,77%
7-20200126000000-13-08.png
EUROPA VERDE 42.156 1,95%
7-20200126000000-14-08.png
+EUROPA - PSI - PRI 33.087 1,53%
7-20200126000000-15-08.png
VOLT EMILIA-ROMAGNA 9.253 0,43%

TOTALI COALIZIONE 1.040.482 48,12%


Voti
%
LUCIA BORGONZONI 1.014.672 43,63%
7-20200126000000-2-08.png
LEGA 690.864 31,95%
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FRATELLI D'ITALIA 185.796 8,59%
7-20200126000000-3-08.png
FORZA ITALIA 55.317 2,56%
7-20200126000000-4-08.png
PROGETTO EMILIA-ROMAGNA RETE CIVICA BORGONZONI PRESIDENTE 37.462 1,73%
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IL POPOLO DELLA FAMIGLIA - CAMBIAMO! 6.341 0,29%
7-20200126000000-6-08.png
GIOVANI PER L'AMBIENTE 6.007 0,28%
TOTALI COALIZIONE 981.787 45,41%


Voti
%
SIMONE BENINI 80.823 3,48%
7-20200126000000-8-08.png
MOVIMENTO 5 STELLE 102.595 4,74%
TOTALI COALIZIONE 102.595 4,74%


Voti
%
DOMENICO BATTAGLIA 10.979 0,47%
7-20200126000000-16-08.png
MOVIMENTO 3V VACCINI VOGLIAMO VERITA' 11.187 0,52%
TOTALI COALIZIONE 11.187 0,52%


Voti
%
LAURA BERGAMINI 10.269 0,44%
7-20200126000000-9-08.png
PARTITO COMUNISTA 10.287 0,48%
TOTALI COALIZIONE 10.287 0,48%


Voti
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MARTA COLLOT 7.029 0,30%
7-20200126000000-1-08.png
POTERE AL POPOLO! 8.048 0,37%
TOTALI COALIZIONE 8.048 0,37%


Voti
%
STEFANO LUGLI 5.983 0,26%
7-20200126000000-17-08.png
L'ALTRA EMILIA-ROMAGNA 7.830 0,36%
TOTALI COALIZIONE 7.830 0,36%
Totale voti candidati presidente: 2.325.497
Totale voti liste circoscrizionali: 2.162.216

Bianche 11.932 0,5%

Contestate 294 0,0%

Nulle 36.251 1,5%




I dati, acquisiti dal Ministero dell'Interno, si riferiscono alle comunicazioni pervenute dai Comuni, tramite le Prefetture, e non rivestono, pertanto, carattere di ufficialità.
La proclamazione ufficiale dei risultati è prerogativa degli uffici elettorali regionali presso le corti d’appello e degli uffici elettorali circoscrizionali presso i tribunali dei capoluoghi di circoscrizione.
 
Quando al potere ci sono "quelli dell'oratorio" con i "pidioti".


Come sottolinea il quotidiano Italia Oggi, l'esecutivo non ha ancora fatto fronte all'enorme pasticcio riguardante le tasse locali,
oltre 2 miliardi delle quali sono state soppresse a partire dallo scorso primo gennaio a causa di una serie di errori normativi presenti nella legge di Bilancio


Nessuno ha ancora posto rimedio a questa falla, che rischia di trasformarsi in voragine per numerose amministrazioni comunali,
sulle quali ricadranno gli effetti negativi principali di una svista incomprensibile.

Già, perché il tempo corre e la prima rata delle imposte locali decorre dal 31 gennaio, e per quella data gli operatori potrebbero sospendere il versamento delle tasse e lasciare all'asciutto le casse comunali.

Partiamo dall'inizio.
La legge di Bilancio 2020 prevede una riforma dei tributi locali a decorrere dal prossimo anno.
Si tratta della cosiddetta local tax, la quale unisce una serie di tributi in favore dei comuni.
Nel primo comma dell'articolo 97 era riportata la formula “a decorrere dal 2021”.
Una formula temporale applicabile a tutte le disposizioni dello stesso articolo.

Il pasticcio del governo in manovra
Il governo, presentando un maxiemendamento, ha sostituito gran parte dell'articolo 97 commettendo tuttavia un errore non da poco.

Il comma 32 prevedeva l'abrogazione dell'imposta comunale “sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione degli spazi
e delle aree pubbliche e del canone per l'installazione di mezzi pubblicitari e del canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche”.

Dopo la riformulazione, il comma 32 diventa il numero 847 del nuovo articolo 1.

All'interno non vi è però alcuna data di decorrenza, quindi entra in vigore subito e non nel 2021.

In questo modo si crea un effetto bizzarro: a partire dal primo gennaio sono eliminate le imposte, che per le casse comunali valgono oltre 2 miliardi.

Dell'errore se ne accorgono solo i funzionari della camera, ma il provvedimento arriva blindato e nessuno può fare niente.

Ormai non c'è più tempo e il governo spinge per l'approvazione.

Ci si limita solo ad assicurare una correzione nel decreto milleproroghe ma qualcosa va storto e non ci sarà spazio per alcuna norma di rettifica.

I comuni se ne accorgono, il governo prova blandamente a porre rimedio; i funzionari dell'esecutivo assicurano che l'emendamento arriverà la prossima settimana.

Nel frattempo la frittata è servita. Lo scenario è da incubo: gli operatori soggetti passivi potrebbero infatti sospendere il versamento a causa della soppressione delle imposte.
 
Quanti interessi dietro la favola dell'emergenza climatica.

La scorsa estate, i professori Uberto Crescenti, Giuliano Panza, Alberto Prestininzi, Franco Prodi, Franco Battaglia, Mario Giaccio, Enrico Miccadei, Nicola Scafetta
e numerosi altri cittadini hanno inviato una petizione al Presidente della Repubblica chiedendo l'adozione di misure di protezione dell'ambiente
coerenti con le conoscenze scientifiche, evitando di aderire a politiche di riduzione acritica della immissione di anidride carbonica in atmosfera.


In buona sostanza: benissimo adottare misure ecosostenibili e green, ma senza scadere nel catastrofismo gretino.

Come ricordano i docenti nella petizione, secondo la tesi prevalente, a partire dal 1900,
ci troveremmo in presenza di un riscaldamento globale del pianeta causato quasi esclusivamente dalle attività antropiche.

Questa è la tesi del “riscaldamento globale antropico” promossa dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazione Unite.
Quella del riscaldamento globale causato dalla CO2 antropica è però, spiegavano già la scorsa estate,
"solo una congettura non dimostrata, ma dedotta da alcuni modelli climatici che sono complessi programmi al computer chiamati General Circulation Models".

Al contrario, la letteratura scientifica ha messo sempre più in evidenza l’esistenza di una variabilità climatica naturale che questi stessi modelli non sono in grado di riprodurre.
Una variabilità naturale che spiega una parte consistente del riscaldamento globale osservato nell’ultimo secolo.

Le tesi allarmistiche, osservavano, proposte come fatti scientifici, si basano solo sui suddetti modelli che interpretano il riscaldamento globale di circa + 0.9°C, osservato dal 1900,
come dovuto quasi unicamente alle emissioni antropiche. Ora gli stessi docenti promotori dell'iniziativa spiegano perché quella petizione ha scatenato la reazione dei climaticamente corretti.

"Gli interessi dietro la favola dell'emergenza climatica sono enormi" osserva il professor Franco Battaglia.

"Abbiamo sfidato i nostri detrattori a un confronto pubblico, si sono rifiutati.
I modelli climatici non hanno ricostruito il clima caldo del passato né l'arresto del riscaldamento degli anni 1940-75
e neppure hanno previsto il clima degli anni 2000-2019. La nostra petizione nega che sia stato dimostrato
che l'attuale riscaldamento globale sia dovuto alle emissioni antropiche".


Battaglia ricorda inoltre che

"non c'è prova che l'uomo abbia mai influito sul clima in modo misurabile. La CO2 è un gas serra ma dire che riscalda il pianeta
sarebbe come sostenere che chi mette un cent al giorno nei forzieri di Paperone può influire sulla sua ricchezza".


Sulla presunta origina antropica dei cambiamenti climatici, cavallo di battaglia dei climaticamente corretti e e dei sostenitori dell'emergenza climatica provocata dall'uomo,
il professor Nicola Staffetta spiega che

"l'uomo fa parte del sistema ma non c'è accordo tra gli scienziati su quanto egli contribuisca al cambiamento climatico.
Periodi caldi e freddi si sono alternati pure quando l'uomo non esisteva ancora o quando comunque non c'erano problemi di emissioni di anidride carbonica da combustibili fossili.
Settemila anni fa, sulle Alpi, i ghiacciai erano molto ridotti e sono stati trovati alberi cresciuti ad altitudini di 100 o 200 metri superiori a quelle dove crescono oggi".


La verità è che, come osserva il professor Uberto Crescenti, i catastrofisti del clima continuano a ignorare la storia.

I catastrofisti, sottolinea il professore,

"sostengono che l'aumento della temperatura vada limitato al massimo a due gradi, per evitare l'immane catastrofe",
ma in passato ci sono state fasi "più calde dell'attuale senza che si sia verificata la fine del mondo".

Centomila anni fa, in Inghilterra, ricorda, "vivevano ippopotami, elefanti, leoni e scimmie.
Nel Medioevo la temperatura era superiore di almeno 2-3 gradi rispetto a oggi".


Dati storici sistematicamente ignorati dai catastrofisti: e chi osa ricordarli, diventa immediatamente un negazionista del clima.

Più che scienza, però, quella del climaticamente corretto sembra una fede.
 
Ci vuole poco a capirlo.

Mancano pochi giorni all’inizio del Festival di Sanremo 2020 e l’ultimo attacco nei confronti di Amadeus arriva da Red Ronnie
che, pur definendolo un buon conduttore, lo ha ritenuto del tutto inadatto nel ruolo di direttore artistico.

“Amadeus è un bravissimo presentatore ma non è adatto a fare il direttore artistico perché non capisce un cazzo di musica .
Le sue scelte sembrano fatte solo in base agli algoritmi che determinano chi fa più visualizzazioni su YouTube o Spotify, oppure in base a delle opportunità”.


Il critico musicale, infatti, ha ritenuto del tutto inadatte alcune scelte fatte da Amadeus

“Prende i ‘Pinguini’, completamente sconosciuti, per strizzare l' occhio al mondo indie, prende la Lamborghini perché scuote il c..o e fa parlare di sé,
il duo Martinelli e Lula solo perché la loro canzone si occupa di Ilva e sceglie all' ultimo momento Tosca e Rita Pavone per rimediare alla scarsità di donne tra i big.
Viceversa, se le scelte non sono sue, ma imbeccate dai management degli artisti e da chi ci vuole lucrare, è ancora peggio.
In questo caso Amadeus sarebbe un burattino, manovrato da altri”.


Parole molto dure, dunque, nei confronti del conduttore e direttore artistico del Festival della Musica Italiana che, secondo Red Ronnie, “festeggia molto male il 70° compleanno”.
Questa edizione della kermesse canora, infatti, sembra non essere particolarmente gradita da molti, tanto che qualcuno ha pensato bene di boicottarla spegnendo la tv.

“In questi giorni ho ricevuto una chiamata della vedova di Sergio Bardotti, il celebre paroliere,
che mi chiede di aiutarla affinché non venga più assegnato il premio intestato al marito in questo Festival da schifo.

[...] Portare questo cantante a Sanremo significa sdoganarlo, renderlo un modello agli occhi dei bambini. Con la maschera che indossa, J
unior Cally diventerà un supereroe e, come tale, da imitare in tutto quello che dice.
Poi non sorprendiamoci se dei tredicenni stuprano una ragazzina, filmano la bravata e la condividono sui social”.

A chi lo segue e lo apprezza dal punto di vista professionale, quindi, Red Ronnie ha chiesto di condividere la protesta e “boicottare Sanremo spegnendo la tv”.

Un Festival, questo, che dal suo punto di vista ha fatto delle scelte sbagliate anche in merito alle donne che affiancherannoo Amadeus sul palco dell’Ariston.

Tacciato di frasi sessiste dopo la conferenza stampa di presentazione di Sanremo, il conduttore del Festival
si è giustificato spiegando di essere stato frainteso, ma Red Ronnie si è schierato dalla parte degli accusatori.

“Le quote rosa sul palco sono una stro...ta: devi scegliere una donna perché è brava e non perché ‘bellissima’, come lui ha ripetuto fino allo sfinimento".

Infine, una battuta sulla polemica nata intorno alla presenza di Rita Pavone sul palco dell’Ariston.
Qualcuno ha ritenuto che la sua partecipazione non fosse adatta a Sanremo tacciandola di sovranismo,
ma Red Ronnie ha voluto fare una precisazione da vero intenditore di musica.

“Una certa sinistra sa essere più fascista dei fascisti che crede di combattere. E per di più dimostra ignoranza:
critica la Pavone senza sapere che è la cantante italiana più conosciuta al mondo e la prima ad aver fatto una canzone femminista”.
 
La spallata al centrosinistra, promessa da Matteo Salvini, è riuscita a metà. Benissimo in Calabria, meno bene in Emilia-Romagna.

Per quanto sottoposta a un fuoco di fila potente, la roccaforte rossa ha retto l’urto.
Stefano Bonaccini
ha vinto sulla competitor di destra Lucia Borgonzoni.

Non bisogna nascondersi dietro un dito: la delusione per un mancato risultato che avrebbe cambiato la storia del Paese c’è.
Tuttavia, non è giustificabile passare da un eccessivo entusiasmo costruito su una speranza a un crollo emotivo autolesionista.
Perché l’Emilia-Romagna non è il Paese. E poi, non si dimentichi che la Calabria è ancora Italia e
non si comprende perché non si debba dare altrettanto peso al voto in quella regione.

Non riusciamo a comprendere l’euforia, al limite dell’isterismo, che ha contagiato politici e analisti in forza al campo progressista.

In un successivo momento commenteremo i dati numerici esatti del voto di ieri.
A spanne, emergono da una prima considerazione almeno tre elementi che dovrebbero indurre tutti a maggiore cautela nell’analisi degli risultati della domenica elettorale.

In primo luogo, l’enfatizzata sconfitta di Salvini in Emilia-Romagna non è stata tale.
La destra plurale ha raccolto un consenso di lista che supera in 45 per cento, in un’elezione dove l’astensionismo non l’ha fatta da padrone.

Se si considera che il Partito Democratico, appena dieci anni orsono, alle stesse elezioni regionali raccoglieva un consenso del 40,65 per cento contro una Lega al 13,68 per cento,
la candidata del centrodestra dell’epoca, Anna Maria Bernini, non andava oltre il 36,73 per cento, vedere oggi la Lega al 31,93 per cento, mentre il Partito Democratico è al 34,70 per cento
e la candidata Lucia Borgonzoni raccogliere il 43,62 per cento, non si può non cogliere il segno di un processo di cambiamento profondo nella cultura e nel sentire degli emiliano-romagnoli.

In secondo luogo, la campagna elettorale fortemente polarizzante condotta da Matteo Salvini ha sortito l’effetto positivo di richiamare gli elettori alle urne.
Poco importa che i cittadini siano andati ai seggi per appoggiare l’assalto al cielo di Salvini o per impedirlo a ogni costo.
Alle Regionali del 2014 dell’Emilia-Romagna votò soltanto il 37,71 per cento degli aventi diritto: una sconfitta per la democrazia.
Ieri l’affluenza ha superato di poco quella per le Europee dello scorso anno attestandosi al 67,67 per cento.
Non è forse questa una buona notizia di cui si dovrebbe dire grazie anche alle improvvide citofonate del leader leghista?

In terzo luogo, la polarizzazione ha riportato sul giusto binario della dialettica democratica il confronto tra una destra e una sinistra chiaramente connotate
. Il fenomeno distorcente del falso terzo polo costituito dai Cinque Stelle, che ha alterato gli equilibri consolidati del bipolarismo italiano, è letteralmente scomparso.
Non bisogna sottovalutare il crollo verticale dei grillini, sia in Emilia-Romagna sia in Calabria.
È questo il dato sul quale sarebbe opportuno soffermarsi perché non può non sortire ricadute sulla tenuta del MoVimento nel suo complesso.

Mettiamola così: a Salvini non sarà riuscita la spallata perché il sistema-Emilia ha retto, ma una bomba a tempo il leader della Lega è riuscita a piazzarla nel cuore della maggioranza di governo.

Alla luce degli ultimi risultati, siamo nell’inedita situazione che in Parlamento e al Governo c’è una forza maggioritaria che non esiste quasi più nel Paese.

Qualcuno dalle parti del Quirinale dovrebbe porsi la domanda se e per quanto tempo un tale scenario sia sostenibile.

Ma a rendere superfluo il punto di vista del Colle potrebbe intervenire la subitanea implosione del Cinque Stelle.
Bisogna capirli, i poveri grillini. Hanno fatto un tratto di strada al governo con la Lega lasciando sul campo metà dei consensi ricevuti alle politiche del 2018.
Da settembre si sono aggrappati alla sinistra nella speranza di restare a galla e invece sono stati spianati, in successione, in Umbria, in Calabria e in Emilia-Romagna.

I numeri in queste ultime due regioni li danno, come lista, rispettivamente al 6,22 per cento e al 4,74 per cento.

Si tratta di un trend che porta alla graduale scomparsa del Movimento dalla scena politica nazionale
.

Ora, tra i grillini che attualmente siedono in Parlamento scoppierà la sindrome del si-salvi-chi-può.
Non sono pochi i “peones” pentastellati che non puntano semplicemente a terminare indenni la legislatura ma ambirebbero ad avere un futuro, e un reddito sicuro, in politica.

Se alla Camera dei deputati la maggioranza gode di numeri sufficientemente ampi, al Senato invece si corre sul filo del rasoio.

Domanda: è tanto assurdo immaginare di trovare tre o quattro senatori grillini che da oggi, guardandosi allo specchio,
si chiedano chi glielo faccia fare di restare su una barca che affonda mentre trasbordando su un transatlantico battente bandiera della destra
potrebbero salvarsi prolungando di almeno un’altra legislatura la permanenza nelle istituzioni?


Parafrasando una pubblicità in voga alcuni anni orsono: una telefonata a Matteo Salvini, o a Giorgia Meloni, potrebbe allungargli la vita.

A questi tre elementi percepibili ictu oculi se ne aggiungono altri che meritano approfondimenti.

Qual è stato l’impatto delle “Sardine” sulla vittoria di Stefano Bonaccini?

Come valuterà Matteo Renzi il risultato elettorale tenendo conto che una ritrovata centralità egemonica del Pd nel campo progressista
taglia le gambe al suo tentativo di destrutturazione della sinistra in vista di una ricostruzione in chiave bleariana e macroniana del campo progressista,
che è il nocciolo della strategia corsara del fu “rottamatore”?

II crollo di Forza Italia nel voto emiliano-romagnolo come va interpretato?
È un incidente di percorso o il segnale di un ciclo politico esaurito con la trasmigrazione dei liberali in altri contenitori, come ad esempio quello neo-conservatore di Fratelli d’Italia?

Il partito di Giorgia Meloni, non a caso, cresce nei consensi in un rapporto con l’alleato forzista che rimanda alla logica dei vasi comunicanti.

E, in ultimo, il mancato sfondamento in Emilia-Romagna porterà a un ripensamento della strategia comunicativa imposta da Matteo Salvini
o le prossime tornate elettorali verranno scandite dai medesimi toni uditi in questo test?

Domande che chiedono risposte, risposte che sollecitano ragionamenti. È la politica, bellezza!
 
Il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha sostenuto che gli innocenti non vanno in carcere.

Tesi bizzarra, in tutto simile a quella secondo cui solo i malati sono destinati a morire.
Ma a dispetto della evidente corbelleria del Ministro dell’Ingiustizia forcaiola,
in suo aiuto è sceso in campo Marco Travaglio il quale ha rilevato come non ci sia nulla di scandaloso
nel fatto che un presunto innocente finisca dietro le sbarre visto che è la stessa legge a prevederlo.


Il seguito immediato è noto.

Gaia Tortora
, figlia di Enzo e testimone diretta che agli innocenti capita di subire manette e gogna mediatica,
ha reagito lanciando un sonoro “vaffa” nei confronti di Travaglio.

Ma, accanto a questo seguito, va rilevato per completezza di cronaca che, mentre il “vaffa” di Gaia è stato isolato,
la posizione del direttore de Il Fatto ha trovato la piena adesione di quei trentacinquemila
che hanno sottoscritto una petizione per far intitolare una strada di Milano a Francesco Saverio Borrelli,
lo scomparso capo del mitico pool di “Mani Pulite” a cui i giustizialisti nostrani attribuiscono
il merito di aver trasformato la pratica degli innocenti incarcerati in rivoluzione giudiziaria.


A costoro cosa vogliamo dire? Grazie a Gaia, che ha indicato coraggiosamente la strada, uno, dieci, mille, centomila “vaffa”.

Hai visto mai che il boato li faccia rinsavire?

.
 
E a chi è riuscito a dire al TG " Salvini ha perso".
Ricordo che lo striminzito 34,69 % (rispetto alle precedenti regionali) sarebbe stato molto ma molto meno
se Renzi - che ha commesso un gravissimo errore per il suo futuro - si fosse presentato nella Sua regione.
Perchè almeno un 10% glielo portava via.

Per farla breve, il Pd può cantare tutte le messe trionfali di successo che vuole, come ipocritamente fa sempre quando vince,
ma da oggi il centrosinistra ha una regione in meno e che piaccia o no, il centrodestra una regione in più.

Ecco perché a livello nazionale si conferma l’avanzata del terzetto Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia,
a testimonianza del sentimento popolare che premia il centrodestra a dispetto sia del risultato in Emilia-Romagna
e sia dei canti gregoriani di vittoria di Nicola Zingaretti e del Pd.

Ma quello che colpisce e che ferisce a morte sia l’esecutivo di Giuseppe Conte e sia la maggioranza che lo sostiene,
è la disfatta assoluta e il disastro elettorale dei grillini, ridotti ormai ad essere una comparsa politica oltreché un movimento morituro.


Per questo abbiamo scritto che a perdere è stato il governo Conte, un esecutivo in cui la componente maggioritaria,
quella pentastellati, da oggi è morta e sepolta e non si capisce come possa mantenere ministri,
posizioni e voce in capitolo di fronte ad una catastrofe elettorale simile.

Immaginare di tenere in piedi un premier ed un governo nato e voluto da un partito che nel Paese sta scomparendo e franando a precipizio
sarebbe una forzatura peggiore di quella che l’ha fatto nascere. La costituzione oltreché letta bene andrebbe interpretata bene.

Per non parlare di Italia viva e di Matteo Renzi che dopo il successo e il recupero del Pd di Zingaretti in Emilia-Romagna,
rischia una sofferenza elettorale insopportabile per chi come l’ex premier puntava a dissanguare il partito dal quale si era scisso.

Insomma, ci vuole faccia tosta a parlare di governo rafforzato dopo la vittoria di Bonaccini,
come spudoratezza a pensare che basti una verifica per andare avanti,
quando l’alleato più importante è praticamente scomparso dall’orizzonte politico e destinato all’estinzione.


La realtà è tutt’altra.

L’esecutivo Conte è debolissimo, frastornato dalla débâcle micidiale dei grillini,
impaurito dalle reazioni di Renzi per sopravvivere,
minato dalla perdita di un’ulteriore regione, la Calabria, su base nazionale.

Ecco perché per noi da oggi, che piaccia o meno, il voto è più vicino.
 
La sentenza n. 1551/2020 (sotto allegata) della Cassazione conferma la condanna per stalking di un imputato
che nel ricorso tenta di ottenere la dichiarazione di nullità della deposizione della psicologo delle persone offese
e una rivalutazione delle deposizioni dei testimoni oculari.
Gli Ermellini però di fronte a queste richieste restano fermi sul punto e confermano la sentenza della corte d'appello
, prima di tutto perché la stessa non ha fondato la propria decisione sulla testimonianza resa dalla psicologa
ma sulle dichiarazioni delle persone offese e dei testimoni oculari. In secondo luogo rilevano come, in ogni caso,
l'imputato sarebbe stato condannato comunque per il reato di stalking, perché lo stesso è integrato
anche solo se
le persone offese sono costrette a cambiare abitudini di vita.

La corte d'appello conferma da condanna emessa dal giudice di primo grado nei confronti dell'imputato
per il reato di cui all'art 612 bis comma 3, 610, 61 comma 1 n. 2 c.p, a un anno di reclusione.
L'imputato è responsabile di aver tenuto condotte persecutorie nei confronti delle parti lese e del figlio minore
perché ha rivolto agli stessi frasi minacciose e ha impedito loro di entrare con la vettura nel garage di proprietà,
perché si è rifiutato di spostare il suo mezzo parcheggiato proprio davanti l'ingresso del box.
All'imputato va riconosciuta l'aggravante di aver tenuto detta condotta al fine di eseguire il reato di condotte persecutorie.

I giudici di merito hanno indicato come il semplice cambio di abitudini del nucleo familiare sia di per se sufficiente a integrare il reato di atti persecutori.

Le persone offese e il bambino infatti sono stati costretti a passare dal retro dell'abitazione per evitare gli insulti dell'imputato ogni volta che rientravano in casa.
 
La Cassazione con l'ordinanza n. 840/2019 (sotto allegata) respinge il ricorso dell'Agenzia delle Entrate che,
contrariamente a quanto affermato dalla sentenza d'Appello, afferma che il termine prescrizionale delle cartelle Inps non sia quello decennale, bensì quello quinquennale.

Il termine prescrizionale di 10 anni fa infatti riferimento, dopo una profonda revisione legislativa dei rapporti intercorrenti tra ente impositore e incaricato della riscossione,
alla procedura amministrativa di discarico per inesigibilità applicabile tra l'altro, solo in materia di imposizione fiscale.

La Corte puntualizza infatti che per la soluzione della vicenda non si deve tenere conto della normativa di riordino della disciplina della riscossione mediante ruoli,
che si fonda su una revisione profonda dei rapporti tra ente impositore e agente della riscossione.

In riferimento ai rapporti intercorrenti tra ente impositore e agente della riscossione,
in ambito previdenziale occorre fare riferimento a quanto sancito dal Capo III del dlgs n. 241/1997,
il quale a partire dal 1999 prevede l'applicazione di una disciplina specifica a tutti gli enti previdenziali,
che non prevede il discarico per inesigibilità del credito, perché prevede un normativa diversa per "sanzionare ritardi e/o scorrettezze del concessionario."

L'art 2 del dlgs n. 37/1998 ha eliminato "l'obbligo del non riscosso come riscosso, in base al quale a carico dell'esattore prima
e del concessionario poi gravava l'onere di versare alle prescritte scadenze all'ente impositore l'ammontare pro rata dei crediti a ruolo, anche se non pagati dal debitore."

Tale eliminazione ha cambiato i rapporti tra ente impositore e agente della riscossione, perché dal 1999 quest'ultimo
"non è più obbligato a riversare all'ente le somme eventualmente corrispondenti ai ruoli trasmessi, ma deve versare soltanto ciò che riesce a riscuotere tempo per tempo."

Questo ha fatto si che l'agente di riscossione, per le riscossioni non andate a buon fine,
ha potuto adottare la "procedura di discarico per inesigibilità" prevista dall'art 19 del dlgs 112/1999.

Ora, nell'ambito della procedura amministrativa intercorrente tra ente creditore e concessionario,
se l'ente, dopo il discarico, individua elementi patrimoniali e reddituali riferibili ai debitori può,
sempre che non sia decorso il termine prescrittivo decennale e non esistano impedimenti, riaffidare le somme in riscossione all'agente,
comunicando i beni aggredibili e le azioni cautelari o esecutive da intraprendere.
L'azione dell'agente però deve essere preceduta dalla notifica dell'avviso di notificazione ai sensi dell'art. 50 del Dpr 602/1973.

La norma però è applicabile solo alla imposizione fiscale per diverse ragioni, i
noltre il riferimento al termine decennale richiamato dall'art 20 del dlgs n. 112/1999 è di natura sostanziale,
senza riferimento alcuno all'art. 2953 cc, perché richiamato solo in riferimento all'attività amministrativa di riscossione "per la quale,
in ambito fiscale, vale come regola generale, il termine ordinario della prescrizione,
nell'ambito di una procedura (di discarico per inesigibilità) del pari di natura pacificamente amministrativa."
 
Agcom a compagnie telefoniche: stop al diritto di cambiare i contratti.

Sanzionate Tim, Vodafone e Wind 3 per aver rimodulato in massa i contratti ricaricabili anticipando l'addebito dell'offerta ricaricabile in caso di credito esaurito.

Come ha stabilito Agcom, nel caso in cui l'utente di un contratto prepagato esaurisce il proprio credito e non effettua una ricarica utile al rinnovo dell'offerta,
«gli operatori non bloccano più il traffico in uscita ma lo rendono disponibile pur in assenza di una volontà espressa dall'utente medesimo,
addebitando un costo aggiuntivo ai clienti che, anche inconsapevolmente o involontariamente, fruiscono dei servizi voce, sms e dati.
Il costo del traffico erogato viene poi detratto dalla successiva ricarica».

Questo è ciò che è accaduto finora.

Ed è questo il contenuto della modifica contrattuale che il Consiglio dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni
ha ritenuto in contrasto con la normativa di settore, comminando 696 mila euro di multa ciascuno alle società TIM, Vodafone e Wind Tre.

Questa condotta, a parere dell'Autorità, non può configurarsi come semplice esercizio dello jus variandi per il quale,
in applicazione dell'art. 70, comma 4 del Codice delle comunicazioni elettroniche, non è necessaria l'accettazione da parte degli utenti
essendo sufficiente la garanzia di un diritto di receasao dal contratto senza costi.

Come ha stabilito la stessa Agcom nel corso di un'istruttoria avviata a luglio 2019
gli operatori non si sono limitati alle semplice modifica delle originarie condizioni del contratto prepagato sottoscritto,
ma vi hanno inserito dell'altro, qualcosa di nuovo che, in quanto tale, doveva essere accettato dagli utenti
.

La condotta menzionata è risultata ulteriormente in contrasto con quanto previsto dalla delibera n. 326/10/CONS,
che obbliga gli operatori a far cessare immediatamente la connessione dati nel caso in cui il credito disponibile sia completamente esaurito
e a riattivarla soltanto dopo aver ricevuto un'espressa manifestazione di volontà
da parte dei clienti.

La violazione da parte dei tre operatori è quella relativa agli obblighi in materia di trasparenza delle informative
rese in occasione di alcune variazioni delle condizioni economiche di offerte di rete mobile.

Nello specifico, WindTre, è stata sanzionata anche l'introduzione di un costo associato alla navigazione internet illimitata a 128Kb
allorché sia stato esaurito il bundle dati associato all'offerta sottoscritta.
 

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