Europa......?????? Ahahahahah
L’austerità ha colpito la Grecia principalmente attraverso i
tagli massicci alla spesa pubblica,
alla prevenzione sociale e all’assistenza alle fasce più deboli della popolazione
imposti dai vari memorandum a cui anche Tsipras, eletto con promesse di riscossa e orgoglio nazionale,
si è prontamente chinato.
La Grecia, negli ultimi anni,
ha registrato gli avanzi primari nel saldo tra entrate e uscite dello Stato
più alti d’Europa, pari al 3,9% del Pil nel 2016 e al 4% (7,08 miliardi di euro) nel 2017.
In assenza di manovre espansive per favorire la crescita, il solo avanzo primario non contribuisce
affatto alla stabilità del debito pubblico, che anzi nel suo rapporto col Pil è notevolmente peggiorato nell’ultimo decennio,
dato che il rapporto per la Grecia è passato dal 109,4% del 2008 al 180,8% del 2016.
Meno settore pubblico ha significato, per la Grecia meno investimenti strategici:
come segnala Formiche,
il Paese non è ancora in grado di coprire i 100 miliardi di deficit di investimenti creati cumulativamente nel periodo tra il 2009 e il 2017.
In particolare la Grecia ha perso 16 posizioni nel World Economic Forum – Competitiveness Index nel periodo 2008-2016:
è al 28esimo posto rispetto ai 28 Paesi dell’Ue. Inoltre ha perso sei posizioni nell’indice Doing Business della Banca Mondiale nel 2016/2017,
mentre è al 27esimo posto tra i 28 paesi dell’Ue.
Rigorosa nei suoi conti e nella sua ortodossia neoliberista, la Grecia ha pagato tutte le conseguenze della macelleria sociale nella maniera più grave.
La Grecia ha impegnato tutta sé stessa nel programma di risanamento:
in cambio di un alleviamento della quota di interessi dovuti ai creditori
(principalmente istituti finanziari franco-tedeschi) e di un ridimensionamento del suo
spread,
Atene si è impegnata a spalmare il
rimborso dei suoi debiti su un lasso di tempo smodatamente lungo, destinato a protrarsi fino al 2060.
Mettere preventivamente in conto quarant’anni di ulteriore austerità significa abdicare a ciò che resta della sovranità politica ed economica del Paese.
L’obiettivo dell’Unione europea è il raggiungimento, entro quell’anno, della
quota del 100% del rapporto debito-Pil.
Più che un’Odissea, la Grecia è attesa da una vera e propria ordalia del fuoco,
come segnala Bloomberg.
“Le proiezioni dell’Ue implicano un pensiero estremamente ottimistico”,
si legge su un articolo della testata d’informazione finanziaria
ripreso da Voci dall’Estero.
“Per esempio, assumono un livello di austerità impossibile: la Grecia deve realizzare un avanzo primario di bilancio
(al netto degli interessi) del 3,4% del Pil per un decennio, e poi del 2,2% fino all’anno 2060 –
qualcosa che nessun paese dell’area dell’euro con una così precaria storia economica ha mai fatto.
Ridimensionando queste proiezioni a un soltanto improbabile 2 per cento e poi 1 per cento,
e usando le stime di crescita e di tasso d’interesse del Fondo monetario internazionale,
si ha un quadro molto diverso”, che vede il rapporto sfiorare il 300%.
“Anche in uno scenario ottimistico, la Grecia dovrà prendere in prestito centinaia di miliardi di euro
dagli investitori privati per pagare i suoi creditori ufficiali. Se quegli investitori penseranno
che i debiti del governo sono fuori controllo, saranno costretti a ritirarsi
– e i leader europei dovranno affrontare un’altra crisi greca”, che potrebbe essere prevenuta
solo con un ragionevole condono di quote importanti del debito di Atene.
Si vuole imporre alla Grecia di proseguire su una strada che si è dimostrata errata sin dalle prime battute,
tanto che il Fondo monetario internazionale ha di recente segnalato le valutazioni sbagliate condotte nel 2010
in occasione della scrittura del primo programma di assistenza strutturale ad Atene.
In particolare, l’Fmi aveva imposto a 0,5 il cosiddetto moltiplicatore fiscale che,
come si può leggere sul blog di Alberto Bagnai, “esprime l’impatto che una manovra di spesa pubblica avrà sul Pil.
Moltiplicatore di 0.5 significa che un aumento di spesa pubblica di un euro incrementa il Pil di 0.5 euro,
e naturalmente (moltiplicando per meno uno), che una diminuzione di spesa pubblica di un euro decrementa il Pil di 0.5 euro”.
Nella realtà, il moltiplicatore per la Grecia si è dimostrato essere addirittura triplo,
come confermato da un crollo del Pil superiore al 25%.
I motivi politici della palese sottostima del moltiplicatore greco da parte del Fmi sono, per Bagnai, evidenti:
“Era essenziale insufflare l’idea che i tagli non avrebbero danneggiato ‘troppo’ l’economia greca”, contro ogni evidenza reale.
Secondo un disegno che ora si vorrebbe applicare nei decenni a venire.
Di sicuro la Grecia non può affidare la propria ripartenza ai
consumi,
a causa dell’erosione subita dal potere d’acquisto (-28% dal 2008)
e del deficit di spese private e gettito fiscale per l’ancora elevato livello della disoccupazione,
scesa sì di sette punti percentuali rispetto al picco del 2013 (27%) ma ancora circa otto punti sopra rispetto al 2010
Di fatto, sono inoltre stati smantellati gli ammortizzatori sociali:
chi è senza un posto da tempo incassa appena il 7% di quanto percepiva prima del licenziamento
contro il 55% garantito nella Repubblica ceca e il 68% in Lussemburgo.
E chi un lavoro ancora ce l’ha, deve far fronte alla mannaia delle tasse,
il 40% su uno stipendio medio mensile di 900 euro, contro il 14% versato dai contribuenti in Irlanda.
In Grecia, ha scritto
Martina Castigliani sul Fatto Quotidiano, “c’è la guerra. […]
ce l’ha portata la troika, Bruxelles, Alexis Tsipras. Ce l’hanno portata gli uomini.
Le città sono fortini di resistenza: centri di normalità fanno ombra a strade di periferie
abbandonate dove si lotta per l’aria e per il pane”.
Un’Odissea senza fine, nonostante i proclami del primo ministro.