Ti affacci da quel balcone-paradiso e li vedi i migranti che si sporgono alle finestre che cercano aria e respiri di libertà nel grande terrazzo della residenza “protetta” e li puoi anche incontrare nelle strade del quartiere con l’aria sparuta, a vagare intorno al loro ricovero, i più coraggiosi con un capello in mano agli angoli delle strade a chiedere una moneta, ma con l’aria di chi il mestiere del medicante non lo ha mai fatto. Scampati alla fame, alla guerra, al barcone, al mare, salvi ma oggi persi nella nebulosa di questa città straniera, una stanza, una branda, un portone, strade e facce sconosciute oltre la porta.
Ma ben presto il comitato di protesta che temeva per la sicurezza e l’incolumità del suo territorio è stato superato dal comitato di accoglienza che ha incominciato a portare soccorso ai novanta rifugiati, scaricando nel palazzo “invaso” indumenti, cibo, aiuti in denaro in una catena di solidarietà molto riservata, solidamente genovese.
E non c’è solo via Caffaro, strada segreta ai più e non c’è solo la Fiera del mare, quella che ospitava il mitico Salone Nautico, dove ora, al posto degli yacht supereleganti, delle vele da sogno, che richiamavano un pubblico mondiale ci sono le brandine dei migranti, i padiglioni riadattati a ricovero per un altro centinaio di rifugiati, non ci sono solo i convitti che mettono a disposizione stanze, bagni, spazi lasciati liberi da una popolazione di abitanti, studenti e perfino religiosi dimagrita, in calo secco oramai da decenni.
Collegi, conventi, caserme, perfino luoghi un tempo considerati al top dell’elite borghese e studentesca vengono censiti dalle autorità civili e religiose per trovare altri spazi.
I soldi ci sono anche perché lo Stato paga 34 euro per migrante, la disponibilità logistica meno in questa città dall’urbanizzazione intricata tra colline, caruggi-dedalo e tutti questi convitti e conventi con strutture antiche, immensi refettori, dormitori, poche aperture, poche separazioni. Perfino nel grande seminario arcivescovile che domina dall’alto la città, ancora più in alto del Paradiso di Caproni la complicazione di una eventuale accoglienza è insuperabile.
La curia arcivescovile ha 200 parrocchie, due santuari e un centinaio di appartamenti di proprietà di pie fondazioni. Ma questi sono quasi tutti inservibili. Andrebbero ristrutturati.
Tanto spazio ma inservibile, come un altro gioiello genovese vuoto, il nobile convento di Santa Maria di Castello nell’ombelico del centro storico, un museo quattrocentesco, con cortili, camerate, biblioteche, affreschi, dormitori recentemente lasciati dall’Ordine domenicano, in crisi di vocazioni. Ma non ci sono servizi igienici, cucine, nulla che possa essere utile ai migranti.