Difficile credere che i servizi israeliani − il Mossad o lo Shin Bet −
non si siano, minimamente, accorti di ciò che stava bollendo in pentola.
La preparazione di un attacco su tale scala e così sincronizzato
− con la saldatura tra il sunnita Hamas e lo sciita Hezbollah e forse l’appoggio di Teheran −
non può non aver lasciato traccia.
Il Mossad, che in Iran riesce a monitorare (e, a volte, a sabotare)
gli impianti per l’arricchimento del materiale nucleare,
non ha captato segnali che qualcosa di estremamente pericoloso era imminente?
Il tutto nella dolorosa ricorrenza dell’attacco congiunto, sferrato da Egitto e Siria,
nello Yom Kippur, il 6 ottobre 1973, che trovò, sorpresa e impreparata, la difesa israeliana.
Ma questo accadeva 50 anni fa: non esistevano gli odierni mezzi di sorveglianza elettronica
o i sistemi software di intercettazione e decrittazione o gli ombrelli antimissile.
L’Arpanet americano era ancora lontano dal diventare il world wide web.
Oggi, chi viaggia in Israele vede quanto capillare e scrupolosa
sia la sorveglianza dei servizi di sicurezza sulle attività sospette.
Al confronto di quello che è successo pochi giorni fa, l’Intifada è una banale sassaiola.
Come può essere sfuggita alle antenne dei servizi di informazione
(non solo israeliani, anche Usa) un evento di questa portata?
La Storia, da tragedia, si ripete in farsa:
l’attacco giapponese a Pearl Harbour − secondo i carteggi desecretati dal governo Usa −
non era inatteso perché i messaggi della flotta imperiale, intercettati e decifrati,
fornivano chiaro allarme sull’imminenza dell’aggressione.
A questo punto, che vi sia effettivamente la responsabilità esterna, poco importa,
basta che questo appaia credibile per legittimare, di fronte alla pubblica opinione,
l’escalation del confronto militare, sempre più globale:
un’altra proxy war da combattere, questa volta, in campo aperto, tra Israele e Iran.
La Repubblica degli Ayatollah, oltre ad avere nella sua legislazione l’obiettivo della distruzione di Israele,
è anche l’armeria dei droni schierati da Mosca nel conflitto ucraino.
Inoltre, quale migliore occasione per destabilizzare, dividendola, l’avanzata dei Brics in Medio Oriente
e, soprattutto, per ridare impulso all’impegno nella controffensiva ucraina che langue,
sia sul campo che tra gli alleati occidentali?
L’Europa che, finora, non è mai riuscita a proporsi come solutore delle crisi,
continuerà a recitare il suo ruolo da comprimario, in attesa di direttive da oltre Atlantico.