Perché all'Iraq non tornano i conti
Washington ha sborsato solo 400 milioni di dollari dei 18,4 miliardi promessi per la ricostruzione
La responsabilità è una cosa che conta. Se le autorità governative che non hanno fatto tutto quel che potevano per prevenire un attacco terroristico o hanno trascinato l'America in una guerra non necessaria, riusciranno a gettare la colpa su qualcun altro, avranno reso un cattivo servizio al nostro paese. Ma questi non sono stati gli unici grandi errori. Chi verrà ritenuto responsabile del malgoverno del dopoguerra in Iraq?
Il mese scorso, abbiamo saputo che gli Stati Uniti, pur avendo speso ingenti somme in questo paese, non gli hanno fornito alcun aiuto: finora sono stati sborsati solo 400 milioni di dollari, dei 18,4 miliardi stanziati per la ricostruzione. Quasi tutto il denaro investito dal governo provvisorio che ha amministrato l'Iraq fino a un mese fa, proveniva da fonti interne. Principalmente dalle vendite di petrolio. Questa rivelazione aiuta a spiegare l'enigma della lentezza del processo di ricostruzione, che non è ancora riuscito a riportare molti servizi essenziali ai livelli d'anteguerra.
Ma solleva un altro interrogativo: se l'amministrazione provvisoria ha speso il denaro iracheno, perché non lo ha fatto in modo più oculato?
Quando una potenza straniera assume il controllo di un paese ricco di risorse petrolifere, le sue intenzioni appaiono inevitabilmente sospette. Che sia vero o no, la popolazione locale è subito propensa a credere che gli invasori siano intervenuti per appropriarsene. L'unico modo di dissipare questi dubbi è quello di operare nel modo più trasparente possibile, nominando funzionari di provata indipendenza, controllando scrupolosamente le entrate e le uscite e collaborando con società di revisori dei conti internazionali.
È accaduto è esattamente l'opposto. Tutti i funzionari responsabili delle finanze irachene erano uomini fedeli a Bush. Il governo provvisorio ha cercato di sottrarsi a una verifica internazionale, che è iniziata soltanto nell'aprile del 2004.
Quando i revisori della Kpmg, ingaggiati da una società di consulenza internazionale, si sono messi al lavoro, hanno scoperto che non era stato compiuto alcuno sforzo per registrare accuratamente le vendite di petrolio e che la documentazione relativa ai 20 miliardi di dollari del Fondo per lo sviluppo dell'Iraq era costituita da "fogli elettronici e prospetti compilati da un solo contabile". Inoltre, i revisori si sono ritrovati isolati. Non è stato loro consentito l'accesso ai ministeri iracheni, famigerati luoghi di corruzione e di connivenze con gli occupanti. Né hanno potuto prendere visione di documenti che hanno definito, con garbato eufemismo, "contratti a fonte unica". Ovvero, per dirla chiara, non sono riusciti a scoprire quale uso ha fatto la Halliburton di una somma pari 1,4 miliardi di dollari.
Ostacolando il loro lavoro, Washington non ha soltanto alimentato il sospetto di appropriazione indebita dei proventi petroliferi iracheni da parte degli americani, ma non ha neppure mantenuto la parola data. Dopo la caduta di Saddam, l'Onu ha consentito agli Stati Uniti di disporre delle risorse accumulate dagli iracheni grazie al programma petrolio-in-cambio-di-cibo, ma soltanto sotto stretta sorveglianza internazionale.
Certo, attraverso questo programma, Saddam Hussein era riuscito a dirottare parecchi miliardi di dollari. Ma dall'America ci si aspetta un comportamento migliore. Circolano voci che queste manovre di Saddam fossero state facilitate da funzionari corrotti delle Nazioni Unite. Staremo a vedere quali saranno le conclusioni della commissione d'inchiesta dell'Onu presieduta da un uomo di provata indipendenza come Paul Volcker, una di quelle figure che avrebbero potuto svolgere un utile ruolo nel corso dell'occupazione.
Nel frattempo, va rilevato che queste accuse sono interamente basate su documenti che si presume siano in possesso, immaginate un po', di Ahmed Chalabi, un personaggio fortemente sospetto a sua volta di corruzione.
Vi è poi un contorno di storie curiose. Il giorno in cui gli americani fecero irruzione negli uffici di Chalabi, un suo collaboratore inglese, che aveva preannunciato la diffusione di un rapporto contenente clamorose rivelazioni, disse al 'Daily Telegraph' che un devastante attacco di un hacker aveva distrutto tutti i file del suo computer, comprese le copie di sicurezza. Dopo la rottura fra Chalabi e gli americani, l'indagine venne tolta dalle mani dei suoi collaboratori e affidata a un nuovo responsabile che fu assassinato il 1 luglio.
Nel frattempo, la guerra, rinfocolata dal fallimento della ricostruzione, continua. E il passaggio dei poteri non sembra aver comportato alcuna differenza: nelle prime tre settimane di luglio sono morti più soldati americani che in tutto il mese di giugno, nonostante le notizie diffuse da Knightg-Ridder secondo le quali le truppe americane avrebbero smesso di pattugliare la provincia di Anbar, il cuore della rivolta. E mentre gli Stati Uniti non hanno ancora fornito alcun aiuto finanziario significativo, la ragioneria generale dello Stato americana ci fa sapere che i costi della guerra, in questo solo anno fiscale, oltrepasseranno di 12,3 miliardi di dollari le previsioni del Pentagono.
'The New York Times'-'L'espresso'
tanto per capire meglio..... caso mai ce ne fosse bisogno.